ESPOSIZIONE (fr. exposition; sp. exposición; ted. Ausstellung; ingl. exhibition)
È una mostra pubblica, spesso periodica, dei prodotti del lavoro umano in un dato campo, per una data regione o di un periodo determinato; talvolta con premî ai migliori espositori.
Esposizioni di belle arti.
L'origine delle esposizioni di belle arti va ricercata nelle feste e fiere popolane che per tradizione secolare tentano gli approcci delle grandi città, o si rifugiano all'ombra di qualche duomo o santuario. Ivi tra le mille curiosità da metter sotto gli occhi dei campagnoli e cittadini, cominciano nel Seicento a far capolino tele dipinte, immagini, vedute e simili. È certo che qualcuna delle maggiori personalità dell'arte francese d'allora si rivelò appunto in simili occasioni. Così fu p. es. di N. Lancret e J.-E. Chardin, che con altri artisti profittavano della processione a Place Dauphine per appendere i loro quadri sotto i baldacchini e si divertivano a chiamare codeste improvvisate mostre Salons de la jeunesse.
Nel 1673 venne fondato e aperto il Salon des artistes français che fu la prima esposizione regolare di belle arti. Organizzata a spese del re si teneva ogni due anni. Dapprima aperto esclusivamente ai membri dell'Académie royale de peinture, solo nel 1791 divenne accessibile a tutti gli artisti, previa accettazione delle opere da parte di una giuria.
Nel periodo immediatamente precedente alla Rivoluzione i Salons furono tra gli avvenimenti che più si prestavano a discussioni e movimenti d'idee rinnovatrici. I saggi critici che ce ne ha lasciato il Diderot, precorrono molte idee moderne sull'arte e spiegano come l'interesse per le esposizioni resistesse alla Rivoluzione e s'intensificasse poi con l'avvento di Napoleone. È inutile dire che la pittura delle esposizioni, passando dalle mani di J.-M. Nattier, J.-B. Greuze e J.-A. Fragonard in quelle di A.-J. Gros, J. L. David e H. Vernet, se cambiò soggetto e da arcadica si fece eroica, rimase pur sempre l'espressione dell'ufficialità e della tradizione nel senso più rigoroso.
La pacifica ortodossia delle esposizioni cominciò a venir turbata all'avvicinarsi di quella seconda metà dell'Ottocento, che parve segnare dappertutto un risveglio della coscienza e degli spiriti ansiosi d'ogni libertà. La rivolta più clamorosa e quella che inizia in un certo senso la lotta delle individualità artistiche insofferenti di regole, contro le regole delle grandi esposizioni, parte da Parigi ed è quella di Gustave Courbet. Il quale, anziché sottomettersi al rifiuto pronunciato dal Salon del 1855 contro alcune delle opere da lui presentate, fece costruire un padiglione o per meglio dire un ricovero temporaneo e ivi tenne pubblicamente quella che si può chiamare la prima esposizione di un rifiutato.
Una dozzina d'anni dopo, nel 1868, l'avvenimento si ripeté, ma in forma ben più grave, per il riconoscimento ufficiale che con il titolo di Salon des refusés gliene venne. Fu quando, per intervento dell'imperatrice Eugenia, Napoleone III diede ordine che le opere respinte dalla giuria fossero esposte nell'edificio stesso del Salon, in sale a parte. Erano, fra queste, pitture di Edouard Manet e di molti degli "impressionisti" allora alle loro prime armi. Lo scandalo polemico, se dapprima parve mettere alla berlina gli autori, finì invece con il giovare alla loro rapida conoscenza seguita poi dal successo; sicché si può dire che da allora cominciò ad affermarsi la fisionomia di libera ricerca estetica delle esposizioni, che è propria anche di oggi.
Finalmente nel 1890 la centenaria Société des artistes français, che aveva saputo superare fino allora queste scosse e dissidî, non poté impedire un'irreparabile definitiva scissione, dalla quale nacque la Société nationale des beaux-arts. Recentemente poi un gruppo di dissidenti fra i più giovani della Société nationale des beaux-arts se ne è a sua volta distaccato sotto la guida di Albert Besnard per fondare il Salon des Tuileries. Né diversamente è avvenuto in tutti gli altri paesi d'Europa, ove le "secessioni" per usare una parola venuta di moda successivamente a Monaco, a Vienna, a Berlino, a Londra, a Roma, per indicare le società d'esposizioni innovatrici sorte per scissione giovanile dal tronco delle antiche istituzioni statali, non si possono ormai più contare e fanno concorrenza al sussiego anacronistico e spesso assai vuoto delle "accademie" di tutto il mondo.
Le tre esposizioni ricordate non esauriscono però a sé la vita artistica di Parigi, che, divenuta da un cinquantennio a questa parte sempre più assorbente e preponderante in Europa, sia come mercato artistico sia come centro di rivolgimenti estetici, ha altre due grandi istituzioni: il Salon des indépendants e il Salon d'automne. Il Salon des indépendants, fondato nel 1884, è aperto a tutti senza giuria, e ha veduto passare lungo le pareti dei suoi capannoni tutte le ricerche più audaci e singolari che caratterizzano i tre primi decennî del secolo. Il Salon d'automne, fondato dall'architetto Frantz Jourdain nel 1905, accoglie attraverso una giuria le espressioni dell'arte giunta già a maturità d'espressione.
In Italia le sorti delle esposizioni d'arte sono state, sia pur con minore risalto, le medesime. A Torino, Milano, Venezia, Parma, Firenze, Napoli e nelle altre città e regioni, durante tutto l'Ottocento società e circoli di belle arti promovevano le loro mostre con l'autorizzazione e l'interessamento maggiore o minore dei varî governi locali. A Roma la Società amatori e cultori di belle arti, fondata nel 1829, sussiste ancora, e anch'essa, come quelle di Francia, ebbe le sue scissioni, prima con la In Arte libertas, fondata da Giovanni Costa circa il 1880, e poi con la Secessione avvenuta nel 1913; tuttavia essa ha resistito fin qui e rappresenta la più antica sopravvivenza in Italia d'istituzioni consimili.
La prima esposizione nazionale fu tenuta in Firenze nel 1861, e fu un'esposizione, per l'arte italiana dell'Ottocento, memorabile, perché vi comparvero riuniti i maggiori artisti rinnovatori di ogni parte della penisola: a essa pertanto bisogna risalire quando si voglia ricostruire la storia della ripresa naturalistica italiana dopo il lungo tempo dell'accademismo neoclassico e scolastico, e individuare quelle fisionomie d'artisti che, come F. Palizzi, D. Morelli, G. Toma e G. De Nittis nel Mezzogiorno, N. Costa, G. Fattori, S. Lega e T. Signorini nel Centro, A. Fontanesi, G. Induno, D. Ranzoni, T. Cremona, G. Ciardi e G. Favretto nel Settentrione, furono i pionieri e i capi di altrettanti movimenti regionali, donde doveva nascere la nuova arte.
Dopo questa di Firenze, le principali esposizioni nazionali si susseguirono a Milano nel 1872, a Napoli nel 1877, a Roma nel 1880, a Torino nel 1884, a Palermo nel 1891, a Roma di nuovo nel 1893 e di nuovo a Milano nel 1894. Nel 1895 ha luogo la prima Biennale veneziana, prima esposizione di carattere internazionale, promossa in Italia, da allora tenutasi regolarmente con sempre crescente importanza (v. sotto). E da allora il ritmo delle esposizioni in tutta la penisola si accelera, mentre l'interesse per ogni forma d'arte le conduce a specificarsi per meglio indagare ogni lato e campo dell'arte. Così nel 1896 Venezia apre una mostra tiepolesca e Firenze una mostra d'arte e fiori, Milano tiene nel 1900 un'esposizione della pittura lombarda del sec. XIX e Torino nel 1902 la prima esposizione internazionale d'arte decorativa, Roma nello stesso anno la prima pure internazionale di bianco e nero, e nel 1906, contemporaneamente con l'esposizione industriale, Milano accoglie ancora una mostra nazionale d'arte.
Il 1911, per il primo cinquantenario del regno, l'Italia vide tre grandiose esposizioni: quella di Roma, internazionale d'arte contemporanea, con larga partecipazione di tutte le nazioni in padiglioni appositamente costruiti a Valle Giulia, quella di Firenze retrospettiva del ritratto italiano dal'400 alla fine del'700, e quella industriale e d'arte applicata di Torino (v. sotto). Fu come una grande revisione della produzione nazionale in confronto di quella straniera, che mostrò i progressi compiuti dal paese in cinquant'anni di unità.
Negli anni successivi le mostre d'arte più degne di ricordo furono quelle della Secessione in Roma, indette da un gruppo di giovani per affermare la loro volontà di rinnovamento, che si susseguirono nel 1913, 1914 e 1915 e furono interrotte dalla guerra. Dopo la vittoria, la ripresa delle esposizioni fu quasi eccessiva: ché, oltre la Biennale veneziana riapertasi il 1920, tra il '21 e il '23 altre biennali venivano istituite, con l'intento di renderle stabili, a Roma, a Napoli e a Firenze, mentre da un lato Torino e Milano riprendevano le loro mostre della Permanente e di Brera, Monza fondava le sue Internazionali d'arte decorativa, e dall'altro Genova e Venezia riesumavano la loro pittura dell'800, e Firenze radunava nel 1922 in palazzo Pitti una memorabile esposizione della pittura italiana del '600 e '700. Il colmo di saturazione delle esposizioni venne toccato nel 1927, quando esse furono tante (nella primavera ne vennero aperte cinque nella sola Firenze) che da allora norme precise furon dettate per regolarne la frequenza; norme che non si riferiscono però alle mostre d'indole provata, come quelle dei negozianti o di qualche istituzione. Esempio il "900 italiano" che fa capo a un gruppo ristretto di artisti lombardi e tiene mostre di avanguardia a Milano e all'estero.
Tali disposizioni stabiliscono tre ordini di esposizioni di carattere pubblico e ufficiale: 1. Esposizioni regionali affidate ai Sindacati regionali delle belle arti che le debbono tenere ogni anno a Torino, Milano, Venezia, Trieste, Genova, Bologna, Firenze, Perugia, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari; 2. Quadriennale nazionale di Roma (dal 1931, alla quale si accede dopo aver partecipato alle regionali); 3. Biennale internazionale di Venezia, ultima e somma prova cui si giunge dopo la quadriennale nazionale. Secondo tale ordinamento le esposizioni d'arte possono essere considerate un sistema di vagli attraverso i quali la produzione nazionale viene successivamente selezionata.
Organizzazione. - Il sistema d'organizzazione di tutte queste esposizioni si può dire basato su un duplice modo d'ammissione: l'invito della presidenza e l'esame della giuria. L'invito, diretto agli artisti che già abbiano acquistato tal fama da presumere possano essere esentati da qualsiasi giudizio, o tutt'al più sottomessi a una visita di controllo da parte del segretario dell'esposizione o d'una commissione; nel qual caso l'invito si dirige più propriamente alle opere. L'esame della giuria, che viene nominata o su votazione degli espositori o su designazione della presidenza, può essere affrontato da chiunque invii la propria opera entro le date di tempo stabilite, previo pagamento d'una tassa d'iscrizione. Gli artisti ammessi, sia per la prima sia per la seconda via, sono tutti soggetti al regolamento, che ogni esposizione deve preventivamente sottoporre all'approvazione delle autorità centrali per il tramite della locale prefettura. Su ogni opera venduta l'autore rilascia una percentuale, che varia dal 10 al 15 o 20%, a beneficio dell'esposizione stessa, in rimborso di tutte le spese che l'organizzazione delle vendite richiede per contrattare con i compratori. Quando però compratori sono lo stato o i municipî per le gallerie d'arte moderna, possono intervenire patti che modifichino, riducano o aboliscano tale percentuale. Così pure nel caso dei premî, quando ve ne siano in danaro oltre le consuete medaglie e diplomi. Alla chiusura dell'esposizione le opere vengono rispedite, dando notizia del fatto alle società assicuratrici, se vi sia stata, il che dipende dagli accordi presi, assicurazione.
Ma per concludere questi dati relativi anche all'organizzazione tecnica d'una grande esposizione, prendiamo brevemente in esame la Biennale veneziana, che è la più importante e completa esposizione internazionale periodica di belle arti che si tenga attualmente. La Biennale fornisce alle dodici nazioni che vi hanno padiglioni proprî tutta l'organizzazione di cui dispone, e che le serve per preparare anche la sezione italiana: quindi la segreteria, tanto per il lato artistico quanto per quello amministrativo, il catalogo completo, la sistemazione delle opere a posto, la sorveglianza, l'ufficio vendite, la propaganda, la restituzione delle opere, ecc. Le nazioni straniere non hanno d loro carico altro che la scelta, l'adunata e il trasporto delle opere da esporre. La Biennale ha la figura giuridica di un ente autonomo gestito e amministrato da un comitato di amministrazione, nel quale sono rappresentati il governo e la città di Venezia, poiché il governo e la città di Venezia contribuiscono con notevoli sussidî annuali al finanziamento dell'esposizione. Inoltre essa è riconosciuta per legge dello stato come l'unica periodica manifestazione internazionale d'arte autorizzata in Italia, per la pittura, scultura e incisione contemporanea. Infine la Biennale è completata da un archivio e biblioteca d'arte contemporanea, che ha sede nei proprî uffici del palazzo ducale, in sale aperte al pubblico degli artisti e amatori d'arte, per lo studio dell'arte italiana e straniera dagl'inizî dell'800 ai giorni nostri.
Altra istituzione che adempie agli stessi fini e con il medesimo carattere d'internazionalità, nei riguardi dell'arte decorativa e dell'architettura, è la Triennale di Milano. Essa dapprima ebbe stanza a Monza ove venne fondata e tenuta per tre volte dal 1924 al 1930, ma si trasferirà a Milano in un proprio palazzo nei giardini del Parco. Secondo le intenzioni dovrà avere la pronta disponibilità di mercato d'una fiera industriale di tipo elevato, per servire a valorizzare e diffondere largamente la produzione decorativa nazionale soprattutto fuori d'Italia.
Bibl.: L. Hourticq, De Poussin à Watteau, Parigi 1921; A. Fage, Le collectionneur de peintures modernes, Parigi 1930; D. Morelli e E. Dalbono, La scuola napoletana di pittura del secolo XIX, ed. B. Croce, Bari 1915; M. Pittalunga, Fromentin e le origini della critica moderna, in L'Arte, XXI (1918), pp. 5-25, 66-83, 145-89; U. Ojetti, La pittura italiana dell'800, Milano-Roma 1929; Cfr. anche i cataloghi delle varie mostre citate.
Esposizioni industriali.
Le esposizioni di prodotti dell'industria o di nuovi ritrovati e invenzioni suscettibili di applicazione pratica nacquero nel secolo XVIII, nell'età dell'illuminismo, col sorgere della grande industria e dell'interesse sistematico dei governi per le questioni economiche. In questa temperie storica, è naturale che sorgesse l'idea di constatare i progressi compiuti nei varî campi delle attività umane, di attrarre su questi l'attenzione del pubblico e di stimolare produttori e inventori, per mezzo di gare e di premî, a emulazione suscitatrice a sua volta di nuovi progressi. Si tratta, in origine, di tentativi piuttosto modesti, ristretti dapprima a una sola nazione o a un solo campo dell'attività umana; ma già, imposta dalle condizioni politiche, la necessità che alcuni paesi sentono di assicurare la propria indipendenza economica attrae sulle esposizioni il favore dei governanti; e nel sec. XIX lo sviluppo dell'economia e dell'ideologia progressista rende le esposizioni di questo genere sempre più frequenti e accolte con crescente favore.
In Londra, già nel 1756 e poi nel 1761 la Society of Arts espose nella sua sede oggetti varî, macchine agricole e altre; si ha poi notizia di esposizioni industriali a Ginevra (1789), Amburgo (1790), Praga (1791). In Francia, insieme con la mostra degli oggetti d'arte decorativa prodotti dalle manifatture nazionali di Sèvres e dei Gobelins, si ebbe un'esposizione a Parigi, nel Champ de Mars, che raccolse 110 espositori (17 settembre-1 ottobre 1798). Una seconda ebbe luogo dal 18 al 22 settembre 1801 e una terza dal 18 al 24 settembre 1802; la quarta fu inaugurata il 25 settembre 1806, sulla Place des Invalides. E nello stesso anno, il 15 agosto (festa della Saint-Napoléon) fu inaugurata in Milano, nella Società Patriottica, un'esposizione analoga per il Regno italico, cui ne tennero dietro altre otto, fino al 1813. Le esposizioni furono riprese, nel Regno Lombardo-Veneto, dal 1815 in poi, e si tennero alternativamente in Milano e in Venezia nel giorno genetliaco dell'imperatore e re. In Francia invece le esposizioni furono riprese solo nel 1819 (25 agosto-30 settembre) cui seguirono quelle del 1823 (25 agosto-13 ottobre), del 1827 (1° agosto-1° ottobre), del 1834 (1° maggio-30 giugno), del 1839 (1° maggio-30 giugno), del 1844 (1° maggio-30 giugno) e del 1849, che durò sei mesi e raccolse 4532 espositori. In Germania le esposizioni più importanti si ebbero dopo la conclusione dell'Unione doganale (Zollverein): a Magonza (1842), Berlino (1844), Lipsia (1850) e Monaco (1854). Scarso successo ebbero invece le varie esposizioni dell'Impero d'Austria tenute a Vienna nel 1835, 1839, 1845. In Italia, si ebbero esposizioni industriali, e di belle arti, a Torino nel 1805, 1811 e 1812; ma solo nel 1829 si decise di tenervi esposizioni generali e periodiche degli Stati sardi, che ebbero luogo nel 1829, 1832, 1838, 1844, 1850. Firenze ebbe un'esposizione nel 1838; Genova due, nel 1846 in occasione del congresso degli scienziati, e nel 1854. Altre esposizioni s'ebbero in questo periodo in Svizzera, a Ginevra (1828 e 1833), Losanna (1833 e 1839), Berna (1804, 1810, 1820, 1848, 1857), Basilea (1830), Zurigo (1846), San Gallo (1843), Soletta (1847), Sciaffusa (1850), Lucerna (1852); in Inghilterra (Londra, 1828-1833 e 1845; Dublino, triennali, dal 1829; Birmingham, 1849) e così nel Belgio (Gand, 1820), in Russia (Pietroburgo, 1829 e 1833; Mosca, 1831 e 1835; esposizioni panslave quadriennali e alternantisi a Varsavia, Pietroburgo e Mosca, dal 1845), ecc.
Le esposizioni industriali, senza perdere il loro primitivo carattere di gara tecnica, avevano intanto acquistato un'importanza sempre maggiore, come rassegna delle attività produttrici d'un paese, e, dal punto di vista commerciale, come un modo potente di attrarre l'attenzione del pubblico sopra i prodotti meglio esposti o premiati. Era naturale che sorgesse l'idea di non restringerle a una sola nazione, e di farne dei mezzi per l'estensione dei traffici e la conquista di nuovi mercati. Si entra così nella fase delle esposizioni internazionali, accanto alle quali continuano a vivere sia le minori mostre nazionali, sia - effetto della specializzazione - le esposizioni particolari. Trasformate così in gare internazionali, cui i varî stati partecipano ufficialmente, le esposizioni diventarono sempre più grandiose. e si accrebbe assai il numero dei visitatori, attirati ad esse come a ritrovi mondani e luoghi di divertimento. Le esposizioni finirono così col diventare poderose organizzazioni finanziarie e commerciali esse stesse: il più delle volte infelici in quanto speculazioni, considerate in sé. Ma si diffuse l'idea, non infondata, che le passività del bilancio d'un'esposizione fossero più che compensate, alla fine, dalla pubblicità che lo stato organizzatore faceva ai proprî prodotti, e dall'intenso movimento commerciale determinato dall'affluire dei visitatori, specialmente se stranieri.
La prima esposizione internazionale fu tenuta a Londra, in Hyde Park, nel Crystal Palace (poi trasportato a Sydenham), dal 1° maggio all'11 ottobre 1851: ebbe 13.937 espositori e 6 milioni di visitatori. Attuato in Inghilterra il regime liberistico, essa "fu la solennità festiva della nuova vita industriale e commerciale che s'era inaugurata" (B. Croce). A questa tennero dietro le esposizioni di Dublino e New York (1853), di Melbourne e di Monaco (1854). Ma una vera risposta all'esposizione di Londra fu data da quella di Parigi, che, decretata nel 1853, fu organizzata insieme con un'esposizione d'arte e inaugurata, benché non del tutto pronta, il 15 maggio 1855, e chiusa il 15 novembre. Comprendeva il grande Palais de l'Industrie, nei Champs-Elysées, e altre gallerie e rotonde, fino alla Place de la Concorde e al Pont de l'Alma. Vi furono in tutto 23.954 espositori di cui 11.968 stranieri e più di 5 milioni di visitatori. Nel 1861, all'esposizione artistico-industriale di Firenze parteciparono industriali d'ogni parte d'Italia (vedi sopra: esposizioni d'arte).
Altra esposizione grandiosa fu quella di Londra del 1862, tenuta in un fabbricato eretto appositamente nel South Kensington Park: vi furono in tutto 28.653 espositori; durò dal 1° maggio al 1° novembre. Seguì un'esposizione internazionale a Costantinopoli, inaugurata il 27 febbraio 1863. Ma più grandiosa riuscì la successiva esposizione internazionale di Parigi (1867) intesa a mostrare la prosperità e la grandezza del Secondo Impero. Non bastando più il Palais de l'Industrie ne fu elevato un altro al centro del Champ de Mars; si ebbero anche mostre speciali (storia del lavoro fino al sec. XVIII; pesi, misure e monete, opere musicali; un diorama della Compagnia del Canale di Suez); vi furono 52.000 espositori e 11 milioni di visitatori. Visitata da numerosi sovrani, parve ad alcuni "un'attestazione e un augurio" (B. Croce) del vagheggiato trionfo del pacifismo.
Tra le esposizioni minori che seguirono, si possono ricordare quelle del 1870 a Torino e del 1871 a Milano e a Napoli (internazionale di marina), del 1872 a Mosca, per il secondo centenario di Pietro il Grande. Finanziariamente disastrose riuscirono l'esposizione organizzata a Londra, per gruppi di industrie varianti d'anno in anno, dal 1871 al 1874; e quella, assai grandiosa, di Vienna, tenuta nel Prater, inaugurata il Io maggio 1873. Per il centenario della dichiarazione dell'indipendenza americana si tenne un'esposizione internazionale a Filadelfia (10 maggio-10 novembre 1876), inaugurata con un concerto in cui fu eseguita la marcia composta per l'occasione da R. Wagner.
Parigi riprese la serie delle sue grandi esposizioni con quella del 1878, per cui fu eretto un palazzo principale nel Champ de Mars, e altre gallerie sull'area adiacente oltre al Palais du Trocadéro (costruito da Davioud e Bourdais). Questa esposizione, alla quale parteciparono 12.835 espositori di tutti i paesi (2408 italiani), eccetto la Germania, durò dal 1° maggio al 10 novembre, fu visitata da 16 milioni di persone e dimostrò la vitalità della Francia nell'anno stesso del Trattato di Berlino; ma non ebbe l'animazione delle altre. Seguirono, tra le altre, due esposizioni australiane, di Sidney (17 settembre 1879-20 aprile 1880) e di Melbourne (1° ottobre 1880-30 aprile 1881); l'esposizione nazionale di Milano, nei Giardini Pubblici, nella Villa Reale e nel Palazzo del Senato, inaugurata il 5 maggio 1881; l'esposizione italiana di Buenos Aires (inaugurata il 20 marzo 1881), quella di elettricità a Parigi, aperta l'11 agosto 1881; l'altra esposizione di elettricità di Londra (1882), quelle di Boston (3 settembre 1883), di Amsterdam (coloniale e industriale, 1883), la nazionale svizzera di Zurigo (maggio-ottobre 1883, per l'apertura del traforo del S. Gottardo), la nazionale di Torino (1884, al Valentino), quella internazionale di Anversa (1885), quella di New Orleans (della coltivazione e industria del cotone, 16 dicembre 1883-30 giugno 1884), l'altra esposizione italiana di Buenos Aires (1885), le esposizioni internazionali di Barcellona (8 maggio-8 dicembre 1888) e di Bruxelles (1888) nonché l'Esposizione Vaticana, in occasione del giubileo sacerdotale di Leone XIII, che ricevette in tale occasione regali da tutti i sovrani (fuorché dai re d'Italia e di Svezia), inaugurata il 6 gennaio 1888.
Organizzata fin dal 1884, la successiva esposizione parigina (6 maggio-6 novembre 1889) fu indetta per solennizzare il centenario della Rivoluzione francese: onde la maggior parte degli stati europei vi partecipò solo in forma non ufficiale. Perciò la maggior parte dei 25.364 espositori stranieri (in tutto, comprese le Belle arti, furono 65.596) fu fornita da paesi extraeuropei o di minore importanza e all'inaugurazione mancarono, perché ufficialmente in congedo, tutti gli ambasciatori delle grandi potenze. Di sovrani stranieri visitò l'esposizione solo lo scià di Persia; tra le curiosità esposte, vi fu il laboratorio di Edison con il fonografo. L'Italia (presidente del comitato parlamentare apposito, Luigi Luzzatti) ebbe un padiglione proprio e riportò un vivo successo nella mostra ferroviaria. L'area dell'esposizione fu a un dipresso quella della precedente, ma più ampia, svolgendosi sulle due rive della Senna, dal Palais de l'Industrie al Trocadéro e dall'Esplanade des Invalides al Champ de Mars, ove sorse la maggior attrattiva dell'esposizione, la Tour Eiffel.
Diversamente significative dal punto di vista politico (alleanza franco-russa), l'esposizione di Mosca (15 maggio-18 ottobre 1891) e quella nazionale di Palermo, inaugurata il 15 novembre 1891 e presto turbata dallo scoppiare dei disordini dei "Fasci". Il quinto centenario della scoperta dell'America fu celebrato con due esposizioni, l'Italo-Americana di Genova (10 luglio-20 novembre 1892) e la mondiale di Chicago, devastata, il 10 e l'11 luglio da un uragano e da un incendio. Milano ebbe le "Esposizioni riunite" intorno ed entro il Castello Sforzesco (6 maggio 1894): anche qui, le cerimonie furono turbate da manifestazioni politiche, contro il Crispi. Altre esposizioni si ebbero ad Anversa (1894), Ginevra (1896), Budapest (2 maggio 1896, per il millenario della città), Berlino (1° maggio 1896). Un'altra esposizione italiana, per commemorare il cinquantenario dello statuto, fu inaugurata, e a Torino il 1° maggio 1898. Raccolse 8000 espositori ed ebbe anche una mostra degl'Italiani all'estero, e mostre d'arte sacra e delle missioni cattoliche; per le automobili e l'elettricità fu internazionale. Ma venne turbata dai disordini scoppiati in tutta Italia. L'anno dopo, l'esposizione Voltiana (di elettricità e seteria) a Como, inaugurata il 20 maggio, fu distrutta da un incendio in cui perirono preziosi cimelî, ma riaperta dopo poco più d'un mese, il 27 agosto.
Più grandiosa ancora delle precedenti, l'esposizione parigina del 1900, per cui s'ebbe una specie di "tregua" tra i partiti politici in lotta per l'affaire Dreyfus. Il Palais de l'Industrie fu in tale occasione demolito e sostituito da due nuovi edifici, il Grand Palais e il Petit Palais; fu anche costruito il Ponte Alessandro III. L'inaugurazione, il 14 aprile, fu pomposa: si eseguì una Marche solennelle scritta appositamente dal Massenet. Il 2 maggio fu inaugurato il padiglione italiano. La Germania, che per la prima volta partecipava a un'esposizione francese, mandò, per ordine dell'imperatore, libri, quadri e mobili francesi di Federico II di Prussia; ma anche manufatti e cannoni. I conti, chiusi nel 1912, diedero franchi 127.323.878,45 d'incassi, 120.068.774,37 di spese. Altre esposizioni importanti furono quella con cui Saint-Louis commemorò il centenario della cessione della Louisiana agli Stati Uniti, inaugurata il 30 aprile 1904; di Liegi, per il 15° anniversario dell'indipendenza belga (1905); di Milano, in occasione dell'apertura della galleria del Sempione. Comprendeva due sezioni, una prevalentemente artistica, al Parco, l'altra prevalentemente industriale, nella Piazza d'Armi. Le due sezioni furono inaugurate rispettivamente il 28 e il 30 aprile 1906 dal re d'Italia, presente anche l'arcivescovo cardinal Ferrari. Fu posta in tale circostanza la prima pietra della nuova stazione di Milano (inaugurata nel 1931). Particolarmente interessante, la Mostra retrospettiva dei trasporti. Nella notte del 3 agosto, un incendio distrusse le sezioni dell'arte decorativa e dell'architettura i ricostruiti padiglioni dell'arte decorativa italiana e ungherese furono inaugurati, il primo dal re, il 15 e il 20 settembre. Il 14 maggio 1908 il principe di Galles inaugurava l'esposizione franco-inglese di Londra, simbolo dell'Entente cordiale; il 1910 vide le due esposizioni internazionali di Bruxelles (distrutta in gran parte da un incendio) e Buenos Aires, entrambe con partecipazione italiana.
Nel 1911, si tennero esposizioni d'arte a Firenze (v. sopra: Esposizioni d'arte), d'arte (archeologica, nelle Terme Diocleziane; retrospettiva, in Castel S. Angelo; contemporanea, a Valle Giulia) ed etnografica, con padiglioni regionali, nella Piazza d'Armi, a Roma; industriale e artistica a Torino. La mostra di Roma fu visitata dalle missioni straordinarie inviate da quasi tutti gli stati. A congiungere le due parti dell'esposizione fu edificato il Ponte del Risorgimento, a un'arcata, in cemento armato. L'esposizione di Torino (al Valentino) durò dal 30 aprile al 19 novembre; fu costruito in tale occasione un grandioso stadio. Seguirono ancora quelle di sport a Vercelli (1913), marinara a Genova e del libro a Lipsia (1914), nazionale svizzera a Berna (15 maggio-2 novembre 1914) e di S. Francisco, inaugurata il 20 febbraio 1915 dal presidente Wilson, che dalla Casa Bianca, secondo la tradizione americana, azionò elettricamente i congegni. Il 21 maggio, inaugurandosi il padiglione italiano, il commissario speciale, Ernesto Nathan, pronunciò un discorso in cui illustrò le cause dell'imminente intervento italiano nella guerra mondiale.
Il dopoguerra vide diminuire alquanto la frequenza delle esposizioni, fenomeno già molto deprecato, ma senza risultati, nel periodo precedente. Le nuove condizioni create dalla guerra e dai trattati di pace, l'erezione di nuove barriere doganali, la instabilità delle valute, i regimi vincolistici adottati da molti paesi, la minor frequenza e l'accresciuto costo dei trasporti, favorirono la creazione o lo sviluppo, anziché di vere e proprie esposizioni (cioè mostre di prodotti concorrenti a premî), di "fiere campionarie" (v. fiera), cioè di centri d'affari, che ricordano in certo modo le fiere e i mercati medievali e, com'essi, vengono favoriti con speciali privilegi. Del pari, la frequenza delle esposizioni internazionali, considerate come uno dei mezzi più adatti a celebrare grandi avvenimenti storici, impose la necessità di regolarne internazionalmente il ritmo e il regime: a tale scopo una convenzione fu firmata a Berlino, il 26 ottobre 1912, dai principali stati europei e dal Giappone. Una nuova convenzione fu firmata a Parigi il 22 novembre 1928 da 32 stati e ratificata successivamente da Albania, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Svizzera e Tunisia (17 dicembre 1930), Italia (19 gennaio 1931 e r. decr.-legge 13 gennaio 1931, n. 34) e Belgio (15 aprile 1931). E già s'era riconosciuta in molti paesi l'opportunità d'un'organizzazione nazionale stabile, atta ad assicurare la migliore rappresentanza nelle esposizioni straniere. La prima iniziativa del genere si ebbe in Francia, allorché per preparare la partecipazione all'esposizione di Barcellona in un momento di tensione diplomatica con la Spagna, non avendo il parlamento francese autorizzato la spesa necessaria, si creò un comitato apposito, che nel 1901 fu riconosciuto come ente di pubblica utilità. Esso servì di modello agli altri che furono ben presto istituiti in varî paesi, più o meno strettamente legati alle varie associazioni sindacali dell'industria. I diversi comitati nazionali si unirono poi in una federazione internazionale.
Tra le principali esposizioni del dopoguerra meritano ricordo quella d'arte decorativa italiana a Stoccolma (13 novembre 1920); d'arte decorativa del libro a Torino (1921); la ripresa delle esposizioni agricole annuali tedesche (Lipsia, 1921); le esposizioni di Monaco (1922), internazionale di Rio de Janeiro (7 settembre 1922), di Göteborg (1923, per il terzo centenario della città); l'esposizione missionaria vaticana per l'Anno santo 1925 e quella dell'Impero britannico, a Wembley Park, presso Londra (1924-1925); l'esposizione internazionale d'arte decorativa (Parigi 1925); l'esposizione di Torino (Valentino), per il decennale della battaglia di Vittorio Veneto e il quarto centenario di Emanuele Filiberto (inaugurata il 1° maggio 1928); quella della stampa, a Colonia (1928); l'esposizione ibero-americana, artistica e storica, di Siviglia e quella internazionale di Barcellona (inaugurate rispettivamente il 16 e 19 maggio 1929); le esposizioni nazionale di storia della scienza a Firenze, internazionale d'aviazione a Londra, dell'Alto Adige a Bolzano, della pubblicità a Berlino (1929); le esposizioni internazionali di Liegi e Anversa (marina; colonie e trasporti), per il centenario dell'indipendenza belga (1930), quella internazionale coloniale di Parigi (Bois de Vincennes, 1931).
Le esposizioni sono particolarmente interessanti anche dal punto di vista architettonico. Con le prime grandi mostre intennazionali del sec. XIX si diffuse in un primo tempo l'idea che convenisse raccogliere tutti gli oggetti esposti in un solo grandioso fabbricato, al quale si trattava di assicurare la maggiore illuminazione possibile: il Crystal Palace di Londra e il Palais de l'Industrie di Parigi si possono considerare esempî caratteristici di questo tipo. Ma ben presto si vide che ciò non era possibile; e si sentì la necessità di creare padiglioni separati per le singole nazioni e le varie industrie e insieme luoghi di divertimento, ristoranti, caffè e padiglioni per singoli espositori, che costituiscono una notevole fonte di lucro per gli organizzatori; oltre che di edifici speciali per uffici e servizî. Così si assiste a un progressivo accrescersi dell'area, coperta e non coperta, adibita a esposizioni. Queste divennero così vere e proprie città-giardino, dotate - come si è accennato - di servizî e di mezzi di comunicazione proprî. La sistemazione generale tende ad avvicinarsi sempre più al tipo appunto della città-giardino, spesso con laghetti e corsi d'acqua anche artificiali, ma con una cura anche maggiore rivolta alla creazione di grandi prospettive, all'ubicazione e orientazione generale e all'adozione di mezzi di trasporto rapidi e sufficienti per folle numerose, che colleghino l'esposizione al centro della città. Nei padiglioni destinati ai singoli stati si cercò per lo più di presentare le caratteristiche dell'architettura nazionale, spesso riproducendo, appena con lievi alterazioni, un monumento ben noto, o giustapponendo parti di edifici celebri, con fusioni più o meno felici. Inoltre il carattere temporaneo o semi-stabile di tali edifici (relativamente pochi sono i fabbricati di esposizione destinati a rimanere) indusse a usare materiali, come il legno o il cemento armato, il ferro e il gesso, estremamente plastici e pieghevoli a ogni fantasia. Si aggiunga il desiderio di dare alle facciate e agl'interni quanto più fasto e festività fosse possibile, specie nei padiglioni destinati appunto a feste, divertimenti, concerti: onde l'abuso delle ornamentazioni, che condusse spesso alla creazione di deplorevoli "pasticci" architettonici del peggior gusto, che raggiunse forse l'apice al principio del nuovo secolo, con l'adozione dei cosiddetti stili liberty, floreale, ecc., o con baroccaggini sovraccariche d'elementi accozzati da ogni parte. Da qualche anno, tuttavia, una salutare reazione si è venuta imponendo quasi dappertutto: e si sono visti edifici nei quali la semplice chiarezza delle linee e l'assenza di ornamentazioni superflue rivelano, anziché mascherare, lo scopo per cui vennero costruiti, pur non togliendo nulla, anzi aggiungendo, all'effetto complessivo di luminosa e invitante piacevolezza. Grandi progressi si sono venuti facendo anche nell'arte di esporre i singoli oggetti, in modo che ciascuno venga a trovarsi nell'ambiente più adatto e nella funzione a cui nella realtà è destinato.
Una grossa questione, a proposito di esposizioni, è quella dei premî e della costituzione delle giurie, specialmente nelle esposizioni internazionali. Nelle esposizioni più antiche, i giudici erano per lo più designati dai governi e dai comitati ufficiali; più tardi si fece strada il principio elettivo, e i giurati furono spesso scelti dagli espositori stessi. A Chicago, nel 1893, si volle cambiar sistema, designando un unico giudice per ciascuna classe; sistema che, data anche la differenza nei criterî seguiti, provocò un vero malcontento, specie tra gli espositori stranieri (i francesi rifiutarono qualsiasi premio). D'altra parte, anche il sistema di avere giurie numerose, i cui membri cedevano spesso a considerazioni d'indole personale e consideravano piuttosto l'importanza delle ditte espositrici che la bontà e il merito intrinseco degli oggetti esposti, e il numero eccessivo dei premî distlibuiti, ha indubbiamente contribuito a screditare l'importanza dei premî stessi. Nelle ultime esposizioni tenute nel dopoguerra, tuttavia, si può notare anche in questo campo una vivace reazione e una maggiore oculatezza. I premî sono generalmente costituiti da medaglie (d'oro, argento, bronzo) e da diplomi o attestati, secondo gradazioni variabili; gli espositori che vengono designati a far parte della giuria sono messi "fuori concorso" e possono servirsi di questa classificazione.
V. tavv. XLV-XLVIII.
Il contratto di esposizione.
Il negozio giuridico che si pone in essere fra l'espositore e l'impresa espositrice è stato diversamente definito nelle brevissime trattazioni che vi ha dedicato la dottrina e nelle varie sentenze che hanno dovuto decidere le non infrequenti questioni a cui le esposizioni in genere hanno dato luogo. Due principali teorie si sono delineate al riguardo: quella che sostiene essere il contratto di esposizione nient'altro che un contratto di locazione di cose e quella che vede in esso un contratto di deposito.
La teoria della locazione è, in ordine di tempo, la prima che venne proposta. Essa infatti è quella che si presenta più spontanea a chi consideri il rapporto in esame. Nell'invito a esporre c'è l'offerta di un'area o di un locale sotto determinate condizioni e contro un determinato compenso, il quale può consistere sia nella tassa d'iscrizione, sia nel diritto di occupazione dell'area offerta, sia anche in una percentuale sulle vendite eventuali. Non è però chi non veda come tale costruzione sia troppo semplicistica, perché, se pure si potesse ammettere che la concessione dell'uso di uno spazio nel recinto della mostra realizzi uno degli elementi costitutivi del contratto di locazione di cose, sarebbe veramente assai difficile sostenere che la somma pagata sotto qualsiasi denominazione dall'epositore, corrisponda al prezzo di una locazione. Basta considerare al riguardo come non sia raro il caso in cui tale somma non è affatto in rapporto allo spazio occupato, ma consista invece in una tassa d'iscrizione uguale per tutti gii espositori. D'altra parte, anche le amplissime facoltà del preteso locatore, specialmente per quanto concerne la collocazione degli oggetti esposti, inducono sempre di più a non accettare l'identificazione del contratto di esposizione con un contratto di locazione di cose. Né più convincente sembra la teoria del deposito. Se infatti è vero che gli espositori consegnano le cose da esporre all'impresa espositrice, la quale dal canto suo si obbliga a custodirle e a riconsegnarle alla fine della mostra, non è meno vero: 1. che il deposito è un contratto reale (art. 1837 cod. civ.), mentre invece il contratto di esposizione si perfeziona con la semplice ammissione alla mostra; 2. che la causa del contratto non è per l'espositore quella di consegnare un oggetto perché venga custodito, ma quella di esporlo; 3. che la tassa pagata dall'espositore mal si presta a essere considerata come un compenso per la custodia prestata dal depositario (è noto che la gratuità non è elemento essenziale del contratto di deposito), specie se si considera che non c'è in genere alcuna relazione fra tale tassa e il valore della cosa esposta; 4. che l'impresa espositrice si esonera in genere, in forza dei patti contenuti nel regolamento della mostra, dalle responsabilità che incombono al depositario; 5. che, infine, il preteso depositario presta molteplici servizî e compie svariati atti di natura tecnica e commerciale che esorbitano dal deposito. Ciò posto, sembra ragionevole concludere come anche la teoria del deposito non sia accettabile.
Più conforme alle caratteristiche del contratto di cui si tratta è invece indubbiamente l'assunto, di cui si fece sostenitore qualche scrittore italiano, secondo il quale il contratto di esposizione dovrebbe piuttosto considerarsi un contratto di locazione di opera. Questa definizione del rapporto tra l'espositore e l'impresa espositrice ha il pregio di mettere in evidenza quella che è l'attività tipica e preponderante di quest'ultima: quell'attività, cioè, consistente nell'apprestamento delle aree e dei locali prima, nei servizî di pubblicità e d'illustrazione dopo, che costituisce la vera prestazione dell'impresa espositrice e che corrisponde a un'obbligazione che è certamente di facere e non di dare.
Ora, si deve per l'appunto al riconoscimento della preponderante importanza di questa attività dell'impresa espositrice, se la giurisprudenza italiana ha potuto, avvalendosi del processo dottrinario che aveva a mano a mano scalzato le teorie della locazione di cose e del deposito, giungere finalmente a una definizione del contratto di esposizione che appare sotto ogni aspetto accettabile come quella che, affermando essere il medesimo un contratto di pubblicità, tiene conto soprattutto dello scopo immediato perseguito col contratto stesso. Soltanto infatti aderendo a tale definizione è possibile identificare chiaramente quali siano le reciproche prestazioni a cui sono tenute in forza del contratto le due parti contraenti: prestazioni consistenti, come si disse, per l'impresa espositrice, nell'apprestamento e nella concessione dei locali e nei varî servizî accessorî occorrenti per la pubblicità delle cose esposte; e per l'espositore, nella consegna e nel deposito della cosa da esporsi. Così soltanto è possibile infine risolvere in modo conforme alla reale intenzione dei contraenti le questioni che più di frequente sono sorte in rapporto al contratto di esposizione e cioè: 1. la questione della validità dell'esonero di responsabilità da parte dell'impresa espositrice: validità che non può infatti essere giudicata se non in rapporto alla natura dell'obbligazione a cui la clausola d'irresponsabilità si riferisce; 2. la questione della facoltà dell'impresa espositrice di variare a sua discrezione il luogo assegnato all'espositore: facoltà che trova la sua giustificazione e il suo limite precisamente nello scopo di pubblicità a cui tende il contratto di esposizione.
Bibl.: E. Brugni, Esposizione, in Enciclopedia giuridica italiana; id., Le esposizioni nel diritto privato, in Monitore dei tribunali, 1906, p. 201; F. Contuzzi, Esposizione, in Digesto italiano; A. Musatti, Nota a sentenza 28 luglio 1893 del Trib. di Venezia, in Riv. del diritto commerciale, 1923, i, p. 705; A. Dorf e J. Fholien, Lex expositions et le droit, Parigi 1910; F. Lacointa, Les expositions internationales universelles au point de vue du droit, Parigi 1896; C. Lyon Caen, De la saisie arrêt des objets figurant une exposition universelle, in Journal de droit international privé, Parigi 1878, p. 449.