concessione, espressione della
Al pari della causa e dei motivi (➔ causalità, espressione della), la relazione concessiva richiede come necessaria condizione che i due processi coinvolti (che indichiamo con p e q) siano reali. Il suo contenuto è un caso particolare di relazione avversativa: tra p e q si percepisce un contrasto; a motivare il contrasto c’è però una ragione specifica, e cioè la frustrazione di un’aspettativa.
In (1), l’aspettativa concerne la regolarità di una relazione causale:
(1) anche se splende il sole, la neve si mantiene farinosa
Alla premessa p (splende il sole) non dovrebbe seguire q (la neve si mantiene farinosa) ma il suo opposto: la neve si riduce in poltiglia. L’aspettativa può concernere anche i motivi, e quindi le azioni compiute dalle persone: un evento accaduto nel mondo (2) o un progetto dell’agente stesso (3) dovrebbero motivare una certa azione, ma l’agente prende la decisione opposta:
(2) anche se il tempo è splendido, ho deciso di non partire
(3) sebbene desideri diventare interprete, Lucia si è iscritta a Chimica
Si comportano allo stesso modo i motivi del ‘pensare’ (4) e del ‘dire’ (5):
(4) sebbene le persiane siano aperte, Giorgio non è in casa
(5) Giorgio è uscito, anche se non te ne importa nulla
L’apertura delle persiane mi porta a pensare che Giorgio sia in casa, ma l’inferenza si rivela errata; il disinteresse del destinatario dovrebbe portare il parlante a non enunciare l’informazione su Giorgio, ma il parlante compie ugualmente l’atto linguistico. La frase (5), come l’espressione del fine del dire (➔ finali, frasi), non contiene l’azione principale che regge la subordinata concessiva, cioè l’azione di dire, ma il contenuto detto.
Se introduciamo una forma del verbo dire, il costrutto ritrova la sua integrità strutturale, anche se perde in naturalezza: anche se non te ne importa nulla, ti dico che Giorgio è uscito. La rete di relazioni concettuali sintetizzata in (4) è più complessa: Giorgio non è in casa non è il contenuto del ragionamento del soggetto (penso che Giorgio sia in casa perché le finestre sono aperte), ma il fatto reale che lo smentisce.
L’idea che un’aspettativa è stata frustrata è una condizione necessaria perché si attivi una relazione concessiva, ma non è esplicitata nell’espressione. Se lo fosse, un costrutto come (1) avrebbe la forma: Splende il sole. La neve è farinosa. Il sole avrebbe dovuto ridurla in poltiglia. Si tratta dunque di una componente implicita che, per semplicità, chiameremo implicito di causa confutata, senza però dimenticare che a essere smentito dai fatti può essere anche un motivo.
Quando vanifica una causa, la relazione concessiva sottolinea la vulnerabilità delle nostre aspettative: l’efficacia causale di un evento può essere annullata da condizioni concomitanti imprevedibili. Quando si applica a un motivo, mette in luce la libertà dei soggetti, il cui comportamento non si lascia incanalare dalle aspettative generali.
Una codifica completa della relazione concessiva dovrebbe includere tutte le sue componenti: la realtà di p e q, la loro successione temporale e l’implicito di causa frustrata. La codifica delle diverse componenti non segue, come nella causa (➔ causalità, espressione della), una progressione lineare, dal meno al più, ma procede per moduli indipendenti.
La coordinazione mediante e (6) indica che p e q sono reali e co-occorrenti, ma ignora sia la successione temporale sia l’implicito di causa confutata. La coordinazione mediante ma (7) codifica una relazione di opposizione generica, e quindi la realtà dei fatti e la loro co-occorrenza, ma ignora anch’essa la successione temporale e l’implicito di causa confutata. Anche se (8) a. e b. codifica l’implicito di causa confutata e le sue implicazioni temporali, ma non la realtà della protasi p, che è sospesa. Quanto a questo modulo, dunque, anche se è più povero non solo di ma ma persino di e. Sebbene, quantunque e benché (9) codificano tutte le componenti del contenuto concessivo, ma lasciano in sospeso la distinzione tra causa e motivo, che non è mai codificata.
(6) il tempo è splendido e Marco non è uscito
(7) il tempo è splendido ma Marco non è uscito
(8) a. anche se il tempo è splendido resto in casa
b. anche se il tempo fosse splendido resterei in casa
(9) sebbene il tempo sia splendido resto in casa
La relazione concessiva si esprime di preferenza o mediante un periodo o mediante coordinazione. La giustapposizione è sentita come naturale solo se ci sono avverbi anaforici.
Le proposizioni subordinate concessive esplicite (➔ concessive, frasi) sono introdotte da anche se + indicativo (10) o da sebbene, quantunque, benché, nonostante, malgrado, per quanto + congiuntivo (11). Le forme implicite sono introdotte da pur + gerundio (12):
(10) anche se piove, Giorgio è uscito senza ombrello
(11) sebbene piovesse, Giorgio è uscito senza ombrello
(12) pur non essendo d’accordo, ho dato la mia adesione all’iniziativa
Quando la subordinata occupa la prima posizione, nella reggente sono ammessi avverbi anaforici come tuttavia, ugualmente, lo stesso. L’avverbio è un rafforzativo, che non aggiunge nulla alla codifica:
(13) sebbene Giorgio non sia ancora arrivato, possiamo metterci a tavola ugualmente
(14) anche se Giorgio non è ancora arrivato, possiamo metterci a tavola
Nonostante la sua complessità concettuale, la relazione concessiva può essere facilmente inferita da una relazione temporale (15):
(15) dopo avermi promesso aiuto, Gianni si è dileguato
Le concessive col congiuntivo codificano la realtà della premessa: anche se condivide la reggenza del se condizionale (➔ periodo ipotetico). Quando regge l’indicativo, ammette due interpretazioni: quella concessiva, se la premessa è assunta come reale (piove, ma Giorgio uscirà lo stesso) e quella condizionale concessiva che, come una struttura condizionale, sospende la realtà della premessa: non sappiamo se pioverà o no, ma in ogni caso Giorgio uscirà.
Se c’è anche se la realtà della premessa non è codificata: deve essere inferibile indipendentemente, come in (18). Quando regge il congiuntivo, anche se codifica esclusivamente la relazione condizionale concessiva, con sospensione della realtà della premessa, come il più aulico quand’anche (19):
(16) sebbene piova, Giorgio uscirà
(17) anche se piove, Giorgio uscirà
(18) anche se ha guidato otto ore, Luigi non è stanco
(19) anche se [o quand’anche] Giorgio fosse venuto, non mi avrebbe trovato
Se c’è la congiunzione e, il contenuto propriamente concessivo dev’essere totalmente inferito dal destinatario. L’attivazione di una relazione concessiva come inferenza da parte del destinatario ha grande forza argomentativa, soprattutto in contesti polemici. In (20), ad es., gli effetti interpersonali della frustrazione di un’aspettativa legittima sono amplificati dal fatto che questa forma di espressione fa parlare, per così dire, le cose stesse, e lascia all’interlocutore il compito di trarre dal suo comportamento le conclusioni ovvie:
(20) sei partita all’improvviso e non mi hai telefonato
Dato che la relazione concessiva è un caso specifico di relazione avversativa, il ma porta molto vicino al contenuto concessivo. La piccola distanza tra i due può essere colmata dall’inferenza (21) o codificata da un avverbio anaforico (22). I principali avverbi anaforici che possono rinforzare la coordinazione sono tuttavia, ciononostante, lo stesso, ugualmente. L’uso di ma detto preconcessivo (23) può essere considerato l’anello di congiunzione tra l’espressione della relazione concessiva in senso stretto e le strategie retoriche di concessione:
(21) piove ma i campi sono aridi
(22) piove ma i campi sono ugualmente aridi
(23) a. in realtà, la nuova C è sì l’erede della 190, ma è più lunga, larga e alta («L’Espresso»)
b. Saremo anche fuori dall’inverno, ma qui è peggio che in Siberia (Guccini & Macchiavelli)
La semplice giustapposizione non si presta all’espressione della relazione concessiva: la frase in (24), ad es., non è molto naturale. La presenza di un avverbio anaforico adeguato restituisce naturalezza al costrutto (25):
(24) è una splendida giornata: resto in casa
(25) è una splendida giornata: tuttavia, resto in casa
È interessante osservare che la relazione concessiva, a differenza del fine e della causa, non dispone di ➔ incapsulatori capaci di entrare nell’espressione.
Herczeg, Gyula (1976), Sintassi delle proposizioni concessive nell’italiano contemporaneo, «Studi di grammatica italiana» 5, pp. 195-242.
König, Ekkehard (1988), Concessive connectives and concessive sentences. Cross linguistic regularities and pragmatic principles, in Explaining language universals, edited by J.A. Hawkins, Oxford, Blackwell, pp. 145-166.
Latos, Agnieszka (2009), Tre tipi di relazione concessiva? Sulle affinità semantiche nel dominio di contrasto concessivo, «Quaderni di semantica» 30, 2, pp. 305-316.
Mazzoleni, Marco (1991), Le frasi concessive, in Grande grammatica italiana di consultazione, a cura di L. Renzi, G. Salvi & A. Cardinaletti, Bologna, il Mulino, 1988-1995, 3 voll., vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 784-817.
Mitsuko, Narita I. (2008), Contrast, concessive, and corrective. Toward a comprehensive study of opposition relations, «Journal of pragmatics» 40, pp. 646-675.
Rudolph, Elisabeth (1996), Contrast. Adversative and concessive relations and their expressions in English, German, Spanish, Portuguese on sentences and text level, Berlin - New York, Mouton de Gruyter.