iterazione, espressione della
Il valore iterativo (o frequentativo) esprime, in genere rispetto a un verbo (ma anche a nomi o aggettivi deverbali; ➔ deverbali, nomi), un’azione o un processo che si attua in modo ripetuto. Il valore iterativo può assumere anche l’accezione di ritorno a uno stato antecedente all’attuazione di un’azione o di un processo, movimento in direzione contraria e, più raramente, intensificazione.
Sul piano formale, l’espressione del valore iterativo può avvenire:
(a) perifrasticamente, mediante forme verbali (del tipo ricominciare a …, tornare a …; ➔ fraseologici, verbi) o avverbiali come per la seconda volta, per X volte, di nuovo;
(b) morfologicamente, cioè attraverso l’impiego di ➔ prefissi e ➔ suffissi.
La strategia prevalente in italiano è il ricorso al prefisso ri-, che Montermini (2002 e 2008) colloca nella classe dei «prefissi modali». Il prefisso iterativo ri- ha un allomorfo re- che si combina, preferibilmente, con basi che iniziano per [i]: reintrodurre, reinterpretare, ecc. Secondo Iacobini (2004: 154), «[n]el caso della prefissazione, la ripetizione dell’azione ha luogo a partire dallo stato risultato dell’azione indicata dal verbo di base, quindi i prefissi con valore iterativo selezionano di norma verbi telici o perfettivi».
Un’azione iterativa, dunque, trae origine dallo stato determinato da un’antecedente occorrenza della medesima azione e produce un effetto che è, spesso, pressoché identico a quello precedente. L’anomalia di un verbo come rimorire si spiega con il fatto che l’azione indicata dal verbo morire determina l’annullamento dell’entità interessata, e di conseguenza l’impossibilità della ripetizione dell’azione. Per la stessa ragione, nota Montermini (2002: 157), il prefisso ri- non si combina con forme derivate unendo il prefisso in- a participi con funzione aggettivale (per es., inappagato, inespresso): infatti, a differenza di altri prefissi negativi (come dis- o de-), in- non ha un valore reversativo (diretto, cioè, a esprimere il rovesciamento di un’azione o di un processo già compiuti), ma si riferisce piuttosto alla mancata effettuazione di un processo o di una azione. In questo caso, quindi, non vi è alcun effetto risultante: di conseguenza, viene meno la condizione imprescindibile all’espressione del valore iterativo. Al contrario, forme come ridisfare, ridisseppellire o ridecolonizzare sono pienamente accettabili.
Il prefisso ri- in italiano ha elevatissima produttività. Come accennato, predilige basi verbali con sfumatura telica (Iacobini 2004: 155):
(1) riaccendere
riascoltare
ricomprare
riscrivere
riverniciare
ricomprare
ripiantare
rieleggere
rimasterizzare
rifinanziare
Non mancano, comunque, prefissati in ri- con base intransitiva, ma con soggetto agente:
(2) riabbaiare
ribussare
riemergere
Ci sono esempi sporadici di verbi iterativi formati da basi verbali intransitive senza soggetto agente (3 a.), da verbi pronominali (3 b.) o stativi (3 c.) (Iacobini 2004: 155):
(3) a. ripiovere
riesplodere
b. riaccorgersi
riammalarsi
c. riabitare
Il prefisso ri- indica generalmente una sola ripetizione dell’azione indicata dal verbo base. Assume valore frequentativo quando è applicato ricorsivamente (4) o nella costruzione V e ri-V (5) (Iacobini 2004: 156):
(4) ririregistrare
(cfr. anche fr. rerelire «ri-rileggere»; ingl. re-rewrite «ri-riscrivere»; neerl. her-heroverweeg «ri-riconsiderare»; Montermini 2002: 152)
(5) scrivere e riscrivere
dire e ridire
fare e rifare
Come si è accennato, attorno al valore iterativo di base si colloca una costellazione di sfumature che a esso sono comunque riconducibili: reciprocità (riabbracciare, ribaciare), ritorno a uno stato precedente (riconquistare, ricostruire), movimento in direzione contraria (rispedire), intensificazione (ribollire, ripulire, riscaldare).
Il valore iterativo è espresso, ovviamente, anche in una serie di nomi deverbali (riconquista, rilettura, riscrittura) o di aggettivi deverbali (riscrivibile, riscaldabile).
Dal punto di vista formale, Montermini (2002: 306) segnala che ri-, come gli altri membri della classe dei prefissi modali, ha le seguenti proprietà: non è portatore di accento proprio; tende a non integrarsi prosodicamente con la parola base; tende a non unirsi a basi flesse; può unirsi a basi derivate; non può essere fattorizzato; ha un’alta predisposizione alla lessicalizzazione (respingere, ritenere).
L’iteratività (o iterazione) è un concetto che si lega alla quantificazione degli eventi, che, a sua volta, può avvenire su due livelli: uno esterno e uno interno (Grandi 2008: 124). In una frase come:
(6) il postino per tre volte ha suonato il campanello
la quantificazione è esterna (per tre volte): il singolo evento, inteso nella sua globalità, viene moltiplicato, con lo scopo di codificare una sequenza di eventi considerati però come indipendenti e completamente separabili nel tempo. Il prefisso ri- compie una quantificazione esterna, cioè indica la ripetizione di un evento inteso nella sua globalità.
Invece, in una frase come:
(7) il postino per tre volte ha suonato due volte il campanello
alla quantificazione esterna (per tre volte) si affianca una quantificazione interna (due volte): essa segnala la natura ripetitiva di una singola azione, trattandola però come un evento complesso e internamente articolato, cioè suddiviso, a sua volta, in una serie di microeventi che si susseguono, ma che paiono difficilmente isolabili.
Il valore iterativo a quantificazione interna, in italiano, viene espresso suffissalmente, attraverso cioè una serie di suffissi che formano verbi da verbi e che, per la loro lettura semantica, vengono generalmente ricondotti alla etichetta di valutativi (o alterativi; ➔ alterazione). Tra questi, mostrano un buon livello di produttività i seguenti:
(8) a. -acchiare: studiacchiare, rubacchiare, ridacchiare
b. -icchiare: tossicchiare, bevicchiare, canticchiare
c. -ucchiare: mangiucchiare, sbaciucchiare, piangiucchiare
d. -azzare: sbevazzare, scacazzare, sputazzare, svolazzare
e. -(er)ellare: saltellare, trotterellare, bucherellare
f. -ettare: fischiettare, scoppiettare, spezzettare
A questi si affiancano coppie come tagliare → tagliuzzare, piangere → piagnucolare, piovere → piovigginare, che non riproducono schemi di formazione di parole produttivi in sincronia. In generale, l’accezione iterativa dei suffissi in esame non ha a che fare con l’intensificazione di un’azione, ma con il suo sezionamento o sminuzzamento in singoli sotto-eventi di breve durata: picchiettare non significa «picchiare più volte qualcuno», non designa, cioè, una sequenza di eventi discontinui, percepiti come singolarmente separabili nel tempo; esso indica, piuttosto, una azione unica, ma suddivisibile in una serie di sotto-eventi che si susseguono, però, senza soluzione di continuità.
Il significato di questi verbi prevede inoltre una costellazione di sfumature aggiuntive che ruotano attorno a quattro elementi cardine: abitualità, superficialità, attenuazione e rapidità. In sostanza, tali elementi designano sovente una azione svolta in modo rapido, abituale e superficiale, con intensità ridotta e i cui effetti sono, per conseguenza, attenuati. L’accezione iterativa pare trasversale rispetto a queste accezioni.
Dal punto di vista formale, i suffissi in (8) si uniscono di preferenza a verbi atelici (cantare → canticchiare), dinamici non puntuali (correre → corricchiare) e durativi (dormire → dormicchiare). Il valore iterativo con quantificazione interna pare più tenue in quest’ultima classe di verbi.
Proprio la diversa natura della quantificazione operata da ri- e dai suffissi in (8) spiega l’opposizione tra la netta preferenza del primo per verbi con valore telico e la maggiore propensione dei secondi a unirsi con basi ateliche:
(9) a. Marco canticchia (valore atelico)
b. Marco canticchia una canzone (valore telico)
(10) a. ? Marco ricanta (valore atelico)
b. Marco ricanta una canzone (valore telico)
Si è detto che il prefisso iterativo opera una quantificazione esterna, indicando la ripetizione di una azione, di un processo, di un evento inteso nella sua globalità, includendo, dunque, il suo punto finale. In questo senso, si può affermare che ri- ha una netta predilezione per una rappresentazione perfettiva del significato del verbo (➔ aspetto), dal momento che l’aspetto perfettivo prevede che l’azione, il processo, l’evento designati da un verbo siano considerati nella loro globalità, quindi da una prospettiva di osservazione, appunto, esterna.
Al contrario, la quantificazione interna operata dai suffissi non implica, necessariamente, la considerazione del punto finale dell’azione, del processo o dell’evento codificati dal verbo, e lascia presagire un loro legame preferenziale con una caratterizzazione imperfettiva del verbo, che, come è noto, prevede un punto di osservazione interno all’azione. Questo spiega, tra l’altro, il diverso grado di frequenza (e, in alcuni casi, di accettabilità) di forme prefissate e suffissate in combinazione con tempi differenti. In generale, le forme prefissate sembrano più frequenti (e, talora, accettabili) nei tempi con smaccata caratterizzazione perfettiva (come passato prossimo e passato remoto), mentre le forme suffissate sono più frequenti (talvolta accettabili) se appaiono nei tempi connotati imperfettivamente (come imperfetto). Ad es., nel corpus CORIS / CODIS, la forma ricostruire ha 47 occorrenze all’imperfetto e 209 al passato prossimo; riscrivere conta 15 occorrenze all’imperfetto e 28 al passato prossimo; rieleggere conta una sola occorrenza all’imperfetto a fronte di 11 al passato prossimo. Circa i suffissi in (8), Grandi (2008) ha mostrato come l’incidenza di forme dell’imperfetto sia in un rapporto di 16,4 rispetto alle forme dal passato prossimo; in altri termini, per i verbi formati con i suffissi in (8) ci si imbatte in una forma di passato prossimo mediamente ogni 16,4 forme di imperfetto.
CORIS: http://corpora.dslo.unibo.it/CORISCorpQuery.html
Grandi, Nicola (2008), I verbi deverbali suffissati in italiano. Dai dizionari al web, Cesena, Caissa.
Iacobini, Claudio (2004), Prefissazione, in La formazione delle parole in italiano, a cura di M. Grossmann & F. Rainer, Tübingen, Niemeyer, pp. 97-163.
Montermini, Fabio (2002), Le système préfixal en italien contemporain (Tesi di dottorato), Université de Paris X - Nanterre; Università degli Studi di Bologna.
Montermini, Fabio (2008), Il lato sinistro della morfologia. La prefissazione in italiano e nelle lingue del mondo, Milano, Angeli.