espressionismo
Comunicare con forza e libertà
Colori aggressivi e irreali, figure stilizzate e sgraziate: sono questi i mezzi attraverso i quali gli artisti espressionisti comunicano pensieri e sensazioni intime. Il termine espressionismo riguarda soprattutto l'arte tedesca all'inizio del Novecento, ma è utilizzato anche per definire tutte quelle opere che usano liberamente il colore e che, per esprimere un'idea o uno stato d'animo, non si preoccupano di rappresentare la realtà in modo somigliante
Che cosa significa per un artista esprimersi? Significa manifestare profondi sentimenti e stati d'animo in dipinti, sculture e opere grafiche. All'inizio del Novecento, gli espressionisti sentono la necessità di rivelare, attraverso il colore e il disegno, la propria condizione psicologica e il forte disagio esistenziale che provano nei confronti della società contemporanea.
Espressionisti sono considerati i pittori francesi chiamati fauves ("fulvi" e quindi "bestie dal pelo fulvo", cioè "belve") per i loro dipinti istintivi e pieni di colore esposti a Parigi nel 1905. Ma soprattutto, sono espressionisti gli artisti tedeschi (pittori, disegnatori, incisori) guidati da Ernst Ludwig Kirchner e riuniti a Dresda, nello stesso periodo, nel cosiddetto gruppo Die Brücke ("Il ponte"): colori forti e aggressivi, un disegno spigoloso, l'espressione della propria solitudine e delle proprie tensioni emotive sono i caratteri distintivi di questo movimento.
Oltre al gruppo Die Brücke, in Germania, a distanza di pochi anni, prendono vita altre correnti artistiche. A Monaco, nasce nel 1911 un movimento dal nome poetico, Der Blaue Reiter ("Il cavaliere azzurro"), capeggiato dal russo Vasilij V. Kandinskij. Egli è affascinato dai percorsi della spiritualità umana e dalla varietà degli stati d'animo. Ma come esprimerli? Kandinskij propone l'abbandono di ogni riferimento alla raffigurazione della realtà. Egli vorrebbe dipingere come il compositore crea la sua musica: col tempo i suoi quadri diventano astratti, composizioni fatte solo di macchie colorate, segni e forme di fantasia.
A Berlino invece, attorno alla rivista Der Sturm ("La tempesta"), fondata nel 1910, si organizza un altro movimento. Uno dei principali protagonisti è l'austriaco Oscar Kokoschka, molto legato al gruppo Die Brücke per la qualità della pennellata pastosa e per la forte deformazione cui sottopone i soggetti delle sue opere.
Un altro artista austriaco, Egon Schiele, esprime i turbamenti della sua mente non solo attraverso il colore, ma soprattutto grazie a un disegno spigoloso, capace di deformare i corpi umani fino a farli somigliare a magre figure ritagliate nella carta.
Qual è la radice comune dei fauves francesi e degli espressionisti tedeschi? Entrambi i movimenti utilizzano il colore in modo 'espressivo', scegliendo tinte decise e contrastanti, che il più delle volte non corrispondono all'apparenza reale degli oggetti, dei paesaggi, delle figure. In entrambi, inoltre, i dipinti tendono a diventare piatti perché non si utilizzano più le regole di rappresentazione della prospettiva. Le immagini risultano deformate o semplificate secondo la sensibilità e il gusto del singolo pittore. La realtà viene quindi interpretata, non solo rappresentata.
Ma negli espressionisti tedeschi, rispetto a quelli francesi, prevale con più forza l'aspetto psicologico ed emotivo nella percezione della natura o dei tratti di un volto.
Nell'Autoritratto di Ernst Ludwig Kirchner, eseguito durante la Prima guerra mondiale, l'artista si ritrae con la pelle gialla, il viso dai tratti brutali e, in primo piano, la mano mozzata per esprimere il senso di sofferenza interiore che la terribile esperienza della guerra gli ha causato.
Nelle opere dei fauves francesi manca, il più delle volte, questa interpretazione drammatica e angosciata dell'esistenza. Prevale invece l'interesse per l'innovazione stilistica, liberando il colore e la pennellata da ogni vincolo prestabilito: si pensi a Donna in camicia (1906) di André Derain, fatto di sintetiche macchie cromatiche, o al più tardo Riffano seduto (1913) di Henri Matisse, dove il viso dell'uomo sembra un vivacissimo puzzle verde, rosso e giallo.
Se si confronta il modo di tracciare le figure nell'Autoritratto di Kirchner e nei dipinti francesi, si può notare come siano diversi i contorni dei soggetti. In Derain e Matisse prevale una linea tondeggiante e morbida, mentre in Kirchner i segni sono angolosi e discontinui, l'immagine è poco gradevole. Dunque anche il brutto ha un valore espressivo.
Una delle tecniche più utilizzate dagli espressionisti tedeschi è la xilografia, molto affermata nell'arte tedesca già nel Quattrocento: si tratta di incidere una tavola di legno con uno strumento appuntito, passando poi i colori sulla superficie che, premuta su un foglio, lascia l'impronta del disegno che si è tracciato.
Rispetto alla tecnica antica, le xilografie espressioniste sono diverse: mancano di rifiniture, le forme sono volutamente abbozzate e l'artista sfrutta soprattutto l'effetto di imprevisto che la durezza del materiale e la direzione delle sue venature possono provocare. I risultati ottenuti sono talvolta molto vicini, stilisticamente, a quelli dell'arte tribale africana (maschere e bassorilievi), allora molto diffusa e apprezzata dagli artisti europei.
Dal punto di vista delle tematiche, gli espressionisti si dedicano al ritratto, ma anche alla figura, spesso immersa nel paesaggio. Di fronte alle città che cambiano a causa del forte sviluppo industriale e alla crescente difficoltà di comunicazione che affligge vari strati della società, l'artista prova un sentimento di rifiuto e il desiderio di tornare psicologicamente indietro nel tempo, a un momento precedente la cosiddetta 'civilizzazione'. Nell'autoritratto del tedesco Ludwig Meidner, intitolato Io e la città (1913), case e palazzi sembrano circondare minacciosamente l'artista, opprimendolo e generando in lui un senso di angoscia.
Gli espressionisti non sono i primi a sognare un ritorno alle origini. Verso la fine dell'Ottocento lo aveva fatto il francese Paul Gauguin che, trasferitosi da Parigi a Tahiti, aveva aperto la via all'uso arbitrario del colore, legato ai desideri e alla personale percezione dell'artista, più che all'apparenza reale delle cose.
Intorno agli stessi anni l'olandese Vincent van Gogh, autore dei celebri Girasoli, aveva cercato di comunicare la propria inquietudine interiore attraverso la forza espressiva di colori accesi e pennellate dense e sofferte, corrispondenti ad un'urgenza interiore.
Ma altri due artisti avevano anticipato alla fine dell'Ottocento i temi e le forme che sarebbero stati tipici degli espressionisti di area tedesca: il pittore belga James Ensor e, soprattutto, il norvegese Edvard Munch, che aveva rivelato pittoricamente il dramma della solitudine, l'angoscia esistenziale, la crisi dei valori morali.
L'idea di trasmettere nel dipinto stati emotivi e sensazioni personali ha grande fortuna nel corso del Novecento, mescolandosi ad altre tendenze come dadaismo e surrealismo. L'espressionismo si lega alla satira in artisti tedeschi come Otto Dix e George Grosz che manifestano il disagio psicologico di fronte alle nefandezze della guerra e dell'oppressione politica.
Possono considerarsi d'ispirazione espressionista anche le opere dei muralisti messicani, come Diego Rivera, che si ergono contro la violenza dei regimi dittatoriali. Dopo gli anni Quaranta, negli Stati Uniti si parlerà di espressionismo astratto: seguendo l'impulso creativo, gli artisti gettano direttamente il colore sulla tela fino a creare dipinti astratti.