ESPRONCEDA y DELGADO, José de
Poeta spagnolo, nato presso Almendralejo (Badajoz) il 25 marzo 1808 e morto a Madrid il 23 maggio 1842. Insofferente di ogni disciplina, lasciò la scuola di artiglieria di Segovia (1821), iniziando a Madrid gli studî letterarî. Con altri giovanetti fondò allora l'associazione segreta dei "Numantini" inneggiando al trionfo dei rivoluzionarî liberali con la sua prima poesia Al 7 de Julio (1822). Sciolta l'associazione e confinato nel convento di S. Francesco a Guadalajara, l'E. iniziò El Pelayo, poema epico in ottave, ripreso più tardi e rimasto frammentario. Fece ritorno a Madrid nella nuova scuola del Lista (1825-26), sognando la guerra ai tiranni. Per sfuggire alla polizia riparò a Gibilterra e poi a Lisbona, dove conobbe, tra gli esuli, il colonnello Mancha e la sua bella figlia quindicenne Teresa. Li seguì, espulsi dal Portogallo, a Londra (1827), dove, folle per Teresa, già sposa e madre, la strappò al tetto coniugale e, attraverso l'Olanda, la condusse a Parigi (1828). Con lei rientrò a Madrid, in seguito all'amnistia (1833), vivendo tra inquietudini, gelosie e tormenti. Teresa fuggì: egli la riebbe, la riperse subito e la rivide morta di tisi nel 1839. Rimase solo con la figlia Bianca, mentre il suo sogno di libertà si trasformava in interna ribellione alla società e si rifugiava in un vago umanitarismo senza patria. Confinato per le sue idee nella vecchia Castiglia, scrisse, a imitazione dello Scott, un romanzo storico Sancho Saldaña ó el Castellano de Cuéllar. Liberato, partecipò a tutte le opposizioni. Fu autore drammatico (Banca de Borbón, e, in collaborazione, Ni el tío ni el sobrino, Amor venga sus agravios), giornalista, poeta della libertà (Poesías, Madrid 1840), finché col trionfo di Espartero venne nominato (1841) segretario della legazione spagnola all'Aia. Deputato di Almería alle Cortes (1842), tornò in patria; ma la morte non gli concesse d'iniziare la vita legislativa. La sua poesia, filtrata attraverso il romanticismo europeo nei particolari atteggiamenti assunti in Inghilterra col Byron e in Francia col Béranger e il De Vigny, ne accolse ideali, problemi e tormenti. Fu ansia di libertà, esaltazione dell'eroismo, aperta ribellione alle menzogne sociali, anarchica affermazione dell'individuo, tutto in nome del sentimento accettato nella sua assolutezza e quindi accompagnato dal dubbio e dal dolore, dall'odio alla vita e dal pensiero della morte. Essenzialmente lirico, l'E. non oblia mai sé stesso, neppure nei lavori drammatici e nei due poemetti: El estudiante de Salamanca, dove si riprende la leggenda di Don Juan, ateo, spavaldo, spadaccino, ingannatore di donne; e El diablo mundo (1840-41), che, interrotto al settimo canto, non senza influssi dell'Ingénu di Voltaire ritesse la storia di Faust, nella persona del vecchio Adam. I due poemetti valgono per il loro lirismo: il primo per la figura di Elisa, la giovine tradita; il secondo per il canto a Teresa, la cara donna perduta insieme con la giovinezza dell'anima. Qui la lirica dell'E. raggiunge il suo culmine poetico preannunziando, pur nella sua incontenuta abbondanza verbale, gli accenti trepidi e intimi del Bécquer e del Campoamor e qualche nota del modernismo contemporaneo.
Ediz.: Obras poéticas y escritos en prosa, Madrid 1884; Obras poéticas, Valladolid 1900; Obras, a cura di Canalis, Madrid 1923.
Bibl.: A. Cortón, E., Madrid 1906; P. H. Churchman, An E. bibliography, in Revue Hisp., XVIII (1907), pp. 741-73 e Byron and E., ibid., XX (1909), pp. 5-210; L. Siciliani, Studi e saggi, Milano 1913, pp. 1-51; J. Cascales y Muñoz, J. de E., Madrid 1914; L. Banal, Il pessimismo di E. e alcuni rapporti col pensiero di Leopardi, in Revista crítica hispano-americana, IV (1918), pp. 89-134; A. Haemel, Der Humor bei J. de E., Halle 1922.