Espropriazione. Art. 42 bis d.P.R. n. 327/2001
L’acquisizione sanante, di cui all’art. 42 bis d.P.R. 8.6.2001, n. 327 (t.u. espropriazione), continua ad essere oggetto di un vivace dibattito. La giurisprudenza del 2012, occupandosi di fattispecie relative all’occupazione e alla modificazione di un bene da parte della p.a. in assenza di valido titolo, ha riconosciuto, sebbene il tenore letterale dell’art. 42 bis non lo preveda espressamente, il potere del giudice amministrativo, adito per il risarcimento del danno connesso alla perdita della proprietà e solo in via subordinata per la restituzione del bene, di condannare la p.a. ad avviare il procedimento di acquisizione, valorizzando il principio di atipicità delle pronunce di condanna di cui all’art. 34, co. 1, lett. c), c.p.a.
L’art. 42 bis d.P.R. 8.6.2001, n. 327 (cd. “t.u. espropriazione”) recante la disciplina della cd. acquisizione sanante, inserito dall’art. 34 d.l. 6.7.2011, n. 98, convertito con modificazioni nella l.15.7.2011, n. 111 colmando il vuoto lasciato dalla declaratoria di incostituzionalità del previgente art. 43, è stato oggetto nel corso del 2012 di un vivace dibattito giurisprudenziale relativo, in particolare, all’ampiezza dei poteri decisori del g.a. investito di una controversia concernente l’occupazione illegittima o senza titolo di un bene e la relativa trasformazione.
Chiarita la natura di illecito permanente dell’occupazione e trasformazione di un bene da parte della p.a. in assenza di valido titolo, la giurisprudenza afferma che l’obbligo restitutorio della p.a. può venire meno solo per effetto dell’esercizio del potere acquisitivo1.
È discusso, invece, se l’obbligo di restituzione possa essere escluso ai sensi degli artt. 2933 e 2058, co. 2 c.c. e se sia ammissibile una rinuncia abdicativa della proprietà da parte del proprietario che si esprima con la richiesta della sola tutela risarcitoria per equivalente del danno connesso alla perdita del diritto di proprietà. Fornita dalla prevalente giurisprudenza amministrativa risposta negativa ad entrambi i quesiti, il dibattito si è ulteriormente sviluppato sui poteri decisori del g.a qualora la domanda avanzata in via principale concerna il risarcimento per equivalente del danno commisurato alla perdita della proprietà, discutendosi se il giudice – specie alla luce del testo dell’art. 42 bis che non riproduce la cd. acquisizione giudiziaria ed esalta il carattere eccezionale del potere acquisitivo, esercitabile sulla base di rigorose valutazioni di prevalente interesse pubblico ‒ possa condannare la p.a. ad acquisire o ad avviare il procedimento di acquisizione.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza sez. IV, 16.3.2012, n. 1514, a fronte di un petitum rappresentato dalla domanda di risarcimento del danno commisurato al valore venale del bene e, in subordine, di restitutio, ha riconosciuto in capo al g.a. il potere di condannare la p.a. ad avviare il procedimento acquisitivo (ferma la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto), tramite un’interpretazione sistematica dell’art. 42 bis e valorizzando il potere di condanna atipico del g.a. di cui all’art. 34 c.p.a.
Il provvedimento di acquisizione, ai sensi del previgente art. 43 cit. ed ora dell’art. 42 bis cit. (Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico), ha una funzione di regolarizzazione delle procedure ablatorie illegittime e dei comportamenti illeciti della p.a. in ambito espropriativo ed è stato introdotto dal legislatore del 2001 con l’intento di adeguare l’ordinamento ai parametri imposti dalla giurisprudenza della C. eur. dir. uomo2 in occasione della condanna degli istituti dell’occupazione usurpativa ed acquisitiva: l’art. 43 doveva ovviare alla mancanza di una base legale (imposta dall’art. 1, Prot. n. 1 CEDU) dell’acquisizione alla proprietà pubblica come effetto di occupazioni illegittime e sine titulo e dell’intervenuta modificazione del bene.
Dichiarato nel 2010 l’art. 43 costituzionalmente illegittimo3 per eccesso di delega, il vuoto normativo è stato colmato nel 2011, con l’inserimento nel t.u. espropriazione dell’art. 42 bis, recante una disciplina parzialmente diversa rispetto alla precedente.
L’art. 43, oltre a prevedere l’acquisizione amministrativa, disposta sulla base di un provvedimento adottato dalla p.a., ai co. 3 e 4, disciplinava l’acquisizione giudiziaria, riguardante le ipotesi in cui la p.a., nel corso del giudizio per l’annullamento di un atto del procedimento ablatorio o per la restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, avesse chiesto al giudice di escludere la restituzione, riconoscendo in entrambi i casi al proprietario inciso il diritto al «risarcimento» del danno.
Diversamente, l’art. 42 bis riconosce, in luogo del risarcimento del danno, un «indennizzo» per il pregiudizio subito (per le cui controversie il Consiglio di Stato nel 2012 ha affermato la giurisdizione del g.o. ai sensi dell’art. 133, lett. f, c.p.a.4). Inoltre, se da un lato è confermata la possibilità di ricorrere all’acquisizione anche «quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio» (co. 2), dall’altro non è riprodotta l’acquisizione giudiziaria: l’elisione è compensata dall’espressa previsione che l’acquisizione può essere adottata «anche durante la pendenza di un giudizio» per l’annullamento degli atti inerenti alla procedura espropriativa. Al rischio che il provvedimento acquisitivo possa divenire rimedio ordinario alternativo alla procedura di esproprio, viene fatto fronte attraverso un aggravio dell’onere motivazionale, richiedendosi che il provvedimento sia «specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione» (co. 4).
Quanto alle novità del 2012, l’affermato potere del g.a., adito per il risarcimento del danno connesso alla perdita della proprietà e solo in via subordinata per la restituzione, di condannare la p.a. ad avviare il procedimento di acquisizione costituisce il precipitato di una serie di premesse (alcune implicite nell’iter argomentativo della citata sentenza n. 1514/2012) anch’esse dibattute.
Secondo l’orientamento prevalente del g.a., la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è un mero fatto, inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà ed integrante un illecito permanente5.
Ne consegue, si legge nella citata sentenza, che il legittimo proprietario ha diritto alla restituzione, previa riduzione in pristino stato: l’affermazione categorica presuppone l’inquadramento della restituzione del bene nella tutela ripristinatoria6, anziché in quella risarcitoria in forma specifica7 che sarebbe soggetta al limite della non eccessiva onerosità ex art. 2058 c.c., oltre a richiedere i presupposti dell’illecito. Inoltre, la trasformazione dell’area occupata non può essere addotta dalla p.a. come causa di impossibilità oggettiva e di impedimento alla restituzione ed il pregiudizio all’economia nazionale derivante dalla distruzione della cosa, ex art. 2933 c.c., può essere invocato nelle ipotesi in cui l’area sia interessata da un’opera di rilievo non meramente locale8.
Il Consiglio di Stato nella citata sentenza rifiuta evidentemente anche la tesi intermedia secondo cui, ferma la natura ripristinatoria della restituzione del bene, il ripristino dello status quo ante sarebbe riconducibile alla reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c. e potrebbe essere «negato quando il costo di ripristino super[i] il valore di mercato del bene»9.
Ulteriore premessa implicita nell’iter argomentativo della sentenza è che non è possibile connettere l’estinzione del diritto di proprietà del privato all’unilaterale volontà di questo di abdicare al proprio diritto, volontà che la giurisprudenza della Cassazione in materia di occupazione usurpativa10 ha giudicato implicita nella richiesta del proprietario di liquidazione del danno commisurato alla perdita della proprietà. Tale conclusione si porrebbe in contrasto con l’esigenza di tutela della proprietà, con principi civilistici, e con il tenore degli artt. 43 e 42 bis cit. che riservano l’acquisizione ad una decisione discrezionale della p.a.11.
Corollario delle indicate premesse è che in caso di utilizzazione di un bene a seguito di occupazione senza titolo non può darsi luogo a risarcimenti connessi alla perdita della proprietà, trattandosi di evento inesistente. Per questo, parte della giurisprudenza ha rigettato nel merito la relativa domanda12; altra giurisprudenza ha applicato, ai fini della quantificazione del risarcimento, l’art. 35, co. 2, d.lgs. n. 80/1998 (ora art. 34, co. 4, c.p.a.) ‒ per la necessità di un «passaggio intermedio, logicamente precedente il momento risarcitorio, consistente nell’assegnazione di un termine all’A. perché definisca (in via negoziale o autoritativa, ex art. 43 citato) la sorte della titolarità del bene illecitamente appreso»13 ‒, applicando in modo peculiare – per l’esigenza di pervenire ad «una compiuta definizione della controversia»14 ‒ la norma che invero pone in capo al g.a. l’onere di accertare l’an della pretesa; in altri casi il g.a. ha desunto da fatti concludenti la volontà della p.a. di acquisire l’area, con una singolare applicazione dell’acquisizione giudiziaria ed in mancanza della prescritta valutazione degli interessi in conflitto15.
In tale contesto si inserisce l’art. 42 bis (applicabile anche a fatti anteriori ai sensi del co. 8). Nella sentenza n. 1514/2012, il Consiglio di Stato ha evidenziato che l’art. 42 bis prevede espressamente che il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti ablatori e non ripropone invece «lo schema processuale previsto dal comma 3 dell’art. 43» sull’acquisizione giudiziaria. Tale espunzione ha una conseguenza: «l’eliminazione della descritta facoltà inibisce, sul piano processuale, l’emersione dell’interesse pubblico all’acquisizione dell’immobile, sia pur in sanatoria, dovendo del resto escludersi che l’interesse, pur dedotto ed argomentato dalla difesa dell’amministrazione nelle proprie memorie, costituisca o possa costituire (venuta meno la peculiare norma di cui al 43, co. 3) oggetto e frutto di quella ponderata valutazione degli “interessi in conflitto” che il legislatore demanda esclusivamente all’amministrazione nell’ambito della naturale sede procedimentale». L’art. 42 bis regola unicamente i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione e processo amministrativo di annullamento e li regola in termini di autonomia, consentendo l’adozione del provvedimento anche dopo l’annullamento di un atto della procedura ablatoria ed anche «durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento degli atti citati». In difetto di esercizio del potere di acquisizione, l’ordine di restituire il bene (in accoglimento della domanda restitutoria avanzata in via subordinata e trattata in conseguenza del rigetto di quella risarcitoria per la persistente titolarità della proprietà in capo all’originario proprietario), «eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell’amministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore».
Secondo il Consiglio di Stato, «I principi derivanti dall’interpretazione sistematica delle norme citate e le possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34 lett. c c.p.a., impongono allora una limitazione della condanna all’obbligo generico di provvedere ex art. 42 bis», «impregiudicata la discrezionale valutazione in ordine agli interessi in conflitto», in esito alla quale la p.a. potrà scegliere se restituire l’immobile previo ripristino o disporne l’acquisizione.
Si tratta di un percorso argomentativo che dimostra una sensibilità particolare del g.a. per il pubblico interesse, tale da alterare i caratteri della giurisdizione di tipo soggettivo. La medesima sensibilità viene manifestata, in altra pronuncia del 2012, nella declinazione del potere di condanna ex art. 34 c.p.a. in un ordine di restituire il bene in accoglimento della domanda ripristinatoria (in tale caso avanzata in via principale), «differendone, tuttavia, gli effetti alla mancata emissione … di un formale provvedimento acquisitivo» da adottare nel termine fissato dal giudice16.
La sentenza n. 1514/2012, inoltre, esclude che dopo un giudicato restitutorio possa essere esercitato il potere di acquisizione (nonché, evidentemente, che l’ordine di avviare il procedimento di acquisizione ex art. 42 bis, ove ritenuto ammissibile, possa essere pronunciato in sede di giudizio di ottemperanza al predetto giudicato). È un’affermazione rilevante, che avrebbe meritato maggiori argomentazioni. L’art. 42 bis non individua un limite temporale per l’esercizio del potere di acquisizione; vigente l’art. 43 la questione aveva dato luogo a opposti orientamenti: l’acquisizione è idonea a porre nel nulla l’eventuale precedente condanna giudiziale a restituire il bene, poiché «la restituzione … è la conseguenza dell’accertamento della proprietà dei beni e non implica effetti costitutivi»17; il potere acquisitivo non può essere esercitato in presenza di un giudicato che riconosca il diritto alla restituzione, mentre può essere applicato qualora siano intervenute sentenze del g.a. meramente demolitorie degli atti espropriativi18. Gli orientamenti in questione – il primo criticabile per l’ineffettività della tutela giurisdizionale cui conduce, il secondo perché omette di considerare l’effetto ripristinatorio proprio del giudicato di annullamento ‒ necessitano di un aggiornamento alla luce del c.p.a., che la sentenza n. 1514 sembra sottendere: gli artt. 30 e 34 c.p.a. configurano un potere di condanna atipico del g.a., consentendo di esplicitare già in esito al giudizio di cognizione la portata conformativa e ripristinatoria del giudicato, incluso l’ordine di restituire il bene occupato sine titulo. Poiché detto ordine escluderebbe, a giudizio del Consiglio di Stato, il successivo esercizio del potere acquisitivo, i giudici di Palazzo Spada, sensibili alla rilevanza del pubblico interesse e tenendo conto del co. 2 dell’art. 42 bis che ammette il potere acquisitivo anche dopo l’annullamento degli atti del procedimento ablatorio, hanno limitato la condanna all’obbligo generico di avviare il procedimento acquisitorio, ferma restando la discrezionalità della p.a. nello scegliere se acquisire o meno il bene.
I principi elaborati dalla sentenza n. 1514 cit. non sono consolidati. Altre sentenze interpretano l’espunzione dell’acquisizione giudiziaria e l’aggravamento dell’onere motivazionale per quella amministrativa come espressione della volontà legislativa di assicurare al proprietario la restituzione in pristino, salvo il ricorso eccezionale all’acquisizione sulla base di rigorose valutazioni di prevalente interesse pubblico «interdette al giudicante» che altrimenti invaderebbe un’area di amministrazione attiva. Queste sentenze considerano ormai inconfigurabili anche quelle pronunce del g.a. che nel vigore dell’art. 43 – sul rilievo dell’opera pubblica de facto realizzata – indicavano fra i criteri di condanna generica ex art. 35 d.lgs. n. 80/1998 il possibile accordo delle parti alla cessione delle aree, ovvero in subordine l’acquisizione da parte della p.a.19.
Anche con riguardo al rapporto tra ordine restitutorio e potere sanante la pronuncia è innovativa, ove si consideri che in una sentenza del 2011 il Consiglio di Stato ha applicato l’art. 42 bis in sede di ottemperanza ad un giudicato restitutorio (ordinando all’amministrazione di valutare entro il termine prefissato se acquisire), sul rilievo che in detta sede la giurisdizione di merito consente di «tenere in debito conto le esigenze di interesse pubblico che militano ... nel senso del provvisorio mantenimento» dell’opera pubblica realizzata20.
1 Cons. St., sez. IV, 29.8.2012, n. 4650.
2 C. eur. dir. uomo, 30.5.2000, in C-31524/96, Belvedere Alberghiera s.r.l. c. Italia; C. eur. dir. uomo, 30.5.2000, C-24638/94, Carbonara e Ventura c. Italia.
3 C. cost., 8.10.2010, n. 293, in Riv. giur. ed., 2010, I, 1420.
4 Cons. St., sez. VI, 16.3.2012, n. 1438, che ha anche affermato la conformità alla CEDU dell’acquisizione sanante, sotto i profili del rispetto del principio di legalità e del giusto indennizzo.
5 Cons. St., sez. IV, 29.8.2011, n. 4833, in Riv. giur. ed., 2011, 1749.
6 Cons. St., sez. VI, 31.5.2008, n. 2622, in Foro it., 2009, 9, 441.
7 Travi, A., La reintegrazione in forma specifica nel processo amministrativo fra azione di adempimento e azione risarcitoria, in Dir. proc. amm., 2003, 230; Cons. St., sez. IV, 15.9.2010, n. 6862.
8 Cons. St., sez. VI, 13.6.2011 n. 3561, in Resp. civ. prev., 2011, 1895.
9 Cons. St., sez. VI, n. 3561/2011, cit.
10 Cass., S.U., 6.5.2003, n. 6853, in Corr. giur., 2004, 554.
11 Cons. St., sez. IV, 28.1.2011, n. 676, in Riv. giur. ed., 2011, 203.
12 TAR Puglia, Bari, sez. III, 22.9.2008, n. 2176, in Riv. giur. ed., 2009, 1637
13 TAR Campania, sez. V, 5.6.2009, n. 3124, in Foro amm.-TAR, 2009, 1846.
14 Cons. St., sez. IV, 2.12.2011, n. 6375, in Riv. giur. ed., 2012.
15 TAR Sicilia, Catania, sez. III, 19.8.2011, n. 2102, in Riv. giur. ed., 2011, 1767.
16 TAR Puglia, Bari, sez. III, 4.5.2012, n. 922.
17 Cons. St., sez. V, 11.5.2009, n. 2877, in Riv.giur. ed., 2009, 798
18 Cons. St., sez. IV, 17.2.2009, n. 915, in Riv. giur. ed., 2009, 486.
19 TAR Abruzzo, sez. I, 19.4.2012, n. 266.
20 Cons. St., sez. VI, 1.12.2011, n. 6351, in Foro amm.-Cons. St., 2011, 371.