Estasi
L'estasi (dal greco ἔκστασις, "stato di stupore della mente", da ἐξίστημι, "uscire di sé") è una forma particolare di esperienza psicologica, il cui nucleo centrale è costituito dall'impressione che la mente abbandoni il corpo ed entri in altre dimensioni. È generalmente associata a esperienze religiose di tipo mistico, anche se al di fuori di quest'ambito si ammette la possibilità di un'estasi estetica o di stati di coscienza particolarmente elevati, che vengono definiti 'esperienze di vertice'.
L'estasi può essere definita come uno stato alterato della coscienza, così come lo sono il sonno, il sogno, la trance, gli stati indotti da droghe e altri meno noti. In tutti questi stati, infatti, compresa l'estasi, mente (consapevolezza, attenzione, memoria) e cervello funzionano in un modo diverso da quello della coscienza abituale dello stato di veglia.
Per quanto riguarda il raggiungimento dell'estasi, si distinguono due gruppi di tecniche: 1) quelle che la innescano attraverso un sovraccarico sensoriale (aumento della stimolazione esterocettiva) o un aumento dell'attività motoria o della vigilanza, o una intensa emozione; 2) quelle che la innescano attraverso una diminuzione progressiva e completa dell'attività sensoriale (riduzione della stimolazione esterocettiva) o dell'attività motoria o della vigilanza. Naturalmente, esistono tecniche miste, come per es. certi tipi di danza, nei quali vengono contemporaneamente stimolati i sensi e i sistemi muscolare ed emozionale. Alla prima categoria appartengono, per es., le danze sufi, le danze tribali e certi tipi di estasi cattolica, alla seconda le pratiche della concentrazione e della meditazione dello yoga e di varie religioni orientali (Ludwig 1966). Malgrado la radicale differenza delle tecniche d'accesso, l'esperienza psicologica di uscita da sé che ne deriva è sostanzialmente sovrapponibile ed è caratterizzata da sensazione di unitarietà della coscienza, dalla quale è stata esclusa la molteplicità dei sensi, dei concetti e di ogni altro contenuto empirico, così che si sperimenta solo una vuota e gioiosa unità. Sono presenti anche la sensazione di abolizione dello spazio e del tempo; quella di vivere un'esperienza oggettiva e reale; sentimenti di beatitudine, gioia, pace e felicità; la sensazione di contatto con il divino; la paradossalità; l'ineffabilità, nel senso che l'esperienza è difficilmente esprimibile a parole (Stace 1960).
Sul piano neurofisiologico (meccanismi neuronali coinvolti) e neuropsicologico (aree cerebrali attivate o disattivate e relazioni che si stabiliscono tra di loro), i due differenti tipi di tecniche per l'innesco dell'estasi provocano nel primo caso un'intensa attivazione neurovegetativa (centrale e periferica) ortosimpatica (tachicardia intensa, vasocostrizione cutanea, dilatazione delle pupille che non reagiscono più alla luce), nel secondo un'attivazione parasimpatica (bradicardia, bradipnea, aumento della temperatura cutanea, chiusura delle pupille; Fischer 1971). In ambedue i casi, una volta innescatosi e stabilizzatosi lo stato alterato di coscienza, il quadro neurofisiologico, neuropsicologico e psicofisiologico è caratterizzato dall'abolizione di tutte le sensibilità (cessazione delle funzioni visiva, uditiva, tattile, olfattiva, cenestesica e dolorifica) e da un'attività mentale allucinatoria (visioni, voci, allocuzioni, esperienze escatologiche).
Lo studio sperimentale dell'attività cerebrale durante l'estasi è ancora agli albori. Nell'estasi cattolica, l'anestesia dolorifica è stata ampiamente dimostrata, sia nel passato sia in epoca contemporanea, e sembra dovuta a un meccanismo neuropsicologico (cessazione della comunicazione tra le aree della corteccia cerebrale che ricevono i segnali sensoriali e quelle che li analizzano) invece che neurofisiologico (blocco dei segnali sensoriali lungo le vie afferenti). Lo stesso avviene per la vista, l'udito e il tatto (Margnelli 1996). In numerosissime estasi del passato è stata osservata una contrattura tetanica della muscolatura (rigidità estatica) i cui meccanismi produttivi sono ancora oscuri. Nelle estasi più recenti e contemporanee è più facile osservare la fissazione dei muscoli in un gesto o in un atto che il soggetto stava compiendo quando l'estasi l'ha colto. Nell'ambito degli stati alterati di coscienza è possibile distinguere l'estasi vera da stati consimili o paralleli. Essa è contraddistinta dall'abolizione della sensibilità e dalla sensazione di vivere un'esperienza oggettiva e reale; le esperienze paraestatiche indotte con le droghe psicoattive, dette misticomimetiche (LSD, psilocibina, mescalina ecc.), invece, sono sempre accompagnate dalla consapevolezza di essere sotto l'effetto di una sostanza. Più difficile è differenziare l'estasi dall'ipnosi, con la quale condivide molti fenomeni e anche molti meccanismi neuropsicologici. Le tradizioni culturali e religiose sono concordi nel riferire che questo stato particolare si accompagna a fenomenologie paranormali, quali la xenoglossia, l'osmogenesi, la chiaroveggenza, la telepatia, la ierognosia, la levitazione, l'incombustibilità ecc. Benché le scienze sperimentali rifiutino la possibilità di tali manifestazioni, la Chiesa le ammette e, se pur non sempre, le ritiene elementi probanti la sovrannaturalità delle estasi vere.
1.
Particolari fenomeni psichici e fisiologici caratterizzati dalla momentanea perdita delle normali funzioni della coscienza e dei sensi si trovano in tutte le culture. Nella maggior parte dei contesti culturali, tali condizioni sono interpretate come aventi una peculiare rilevanza religiosa, in quanto momento di contatto diretto e personale con il mondo divino, o con spiriti, forze e potenze del mondo soprasensibile. In talune tradizioni religiose, poi, l'estasi si presenta come una delle forme più elevate di esperienza religiosa, come strumento del rapporto mistico, immediato, dell'uomo con il divino, come momento indicibile e ineffabile di unione dell'individuo con l'assoluto, di pienezza spirituale, di realizzazione interiore. Questo legame inestricabile della condizione estatica con la dimensione più intima e profonda dell'esperienza individuale, con la condizione interiore del vissuto di ciascun soggetto, ne segna inevitabilmente anche i limiti per un'indagine oggettiva: l'osservatore esterno non potrà che coglierne alcuni aspetti espressivi e collettivi, ricercarne il senso e le connessioni culturali, ma non potrà mai penetrare nel nucleo profondo dell'esperienza soggettiva dell'estasi. Nel suo senso etimologico più ampio, con il valore di uscita da sé, perdita della coscienza, esser fuori di sé, il termine si riferisce a una quantità di fenomeni e di stati mentali quanto mai diversi e complessi, i quali implicano una separazione dai quadri che stabiliscono, in determinate circostanze culturali, i criteri della normalità (Couliano 1984).
Una prima difficoltà si incontra quindi già nel momento della delimitazione di quel campo di fenomeni ai quali si intende estendere l'uso del vocabolo, fenomeni che si trovano raggruppati sotto altre nozioni, che si intersecano e si sovrappongono in vario modo. Non è facile infatti distinguere i fenomeni di estasi da quelli che vanno sotto il nome di trance, di possessione, di ebbrezza o di entusiasmo religioso. In effetti, l'uso terminologico varia considerevolmente da un autore all'altro: mentre per alcuni studiosi concetti come quelli di estasi e di trance sono sostanzialmente intercambiabili (Eliade 1951; Lewis 1978), altri ritengono che sia possibile individuare una certa distinzione. Secondo G. Rouget (1980) l'estasi, come si presenta in numerose tradizioni religiose sia in Occidente sia in Oriente, è caratterizzata da solitudine, silenzio, meditazione, concentrazione della mente ed è, generalmente, accompagnata da una visione o da altri fenomeni percettivi che rivelano uno stato di appagamento e di pienezza. La trance sembra invece connessa con situazioni di sovrastimolazione sensoriale: avviene generalmente in situazioni pubbliche, alla presenza di altre persone, ed è provocata da forti stimoli, quali la musica, la danza, il canto ripetitivo, l'eccitazione emotiva. Spesso essa comporta la perdita delle qualità percettive, uno svuotamento della personalità che lascia una completa amnesia nel soggetto che ha vissuto quella esperienza (Terrin 1994). In questo senso la trance si avvicina maggiormente alla nozione di possessione, che ne costituirebbe una particolare modalità, in cui l'individuo si crede posseduto da un'entità spirituale che si impadronisce del suo corpo o ne fa uno strumento per comunicare con gli esseri umani (v. esorcismo). Secondo L. de Heusch (1971), ogni fenomeno di possessione comporta parallelamente un processo di svuotamento o di perdita del possesso di sé per far posto all'entità estranea che viene a occupare il corpo del posseduto.
Sebbene alcune di queste distinzioni possano rivelarsi utili e pertinenti, una tipologia astratta è lungi dall'essere adeguata a definire fenomeni sfuggenti, contraddittori, variabili e imprevedibili come questi. È probabilmente per questa ragione che alcuni psicologi e antropologi hanno preferito coniare la locuzione, più neutra e comprensiva, di 'stati alterati di coscienza', all'interno della quale trovano collocazione tutti i fenomeni in cui risultano alterate le facoltà di sensazione, di percezione, di cognizione o le emozioni (Bourguignon 1979; Religion, altered states… 1973). In questa prospettiva, allora, non diventa tanto importante distinguere i vari tipi specifici di stati di coscienza alterata, quanto osservare i diversi significati culturali che in specifici contesti vengono attribuiti ad alcuni determinati generi di fenomeni in particolari situazioni socialmente definite.
Vi sono poi alcune tradizioni terminologiche proprie degli studi antropologici e storico-religiosi, per cui si tende a parlare soprattutto di possessione o di mediazione con gli spiriti a proposito di fenomeni religiosi africani (per es., il culto degli spiriti bori nel Niger o quello degli zar in Etiopia) e afroamericani (candomblé, vudu, santeria ecc.), mentre, seguendo M. Eliade, molti autori tendono a caratterizzare i fenomeni sciamanici come propriamente legati all'estasi. Sebbene tali consuetudini terminologiche siano ampiamente discutibili (Lewis 1986), il peso che esse continuano a esercitare nelle indagini etnografiche e storiche è tuttavia considerevole e non può essere del tutto eliminato. Bisogna però tener presente che tali distinzioni hanno sempre un carattere relativo, provvisorio, impreciso, che i concetti sfumano impercettibilmente gli uni negli altri e che nessuna demarcazione stabile e definitiva può essere tracciata. Il termine estasi è poi strettamente legato a quel territorio indeterminato e difficilmente esplorabile che costituisce l'aspetto mistico delle diverse tradizioni religiose. In questo senso, si applica a una varietà di fenomeni alquanto diversificati, quali le religioni misteriche dell'antichità, le speculazioni filosofiche tardoantiche dei neoplatonici, le esperienze interiori e le visioni di personaggi come Maestro Eckhart, Teresa d'Avila o Giovanni della Croce; e ancora, i viaggi degli sciamani nel mondo degli spiriti, le tecniche meditative e ascetiche dello yoga e la mistica induista, l'illuminazione buddistica e gli insegnamenti dello zen, la mistica islamica del sufismo e la danza estatica dei dervisci. Una molteplicità di fenomeni e di esperienze, ciascuna delle quali può essere compresa e indagata soltanto qualora venga reinserita nel proprio contesto storico e culturale, il quale rivela l'imprecisione, perfino l'arbitrarietà di raccoglierli sotto un unico termine. Questi fenomeni disparati, tuttavia, rivelano una certa somiglianza e permettono di scorgere alcuni meccanismi comuni, alcune analogie sorprendenti e, forse, perfino inquietanti.
2.
Il problema di riconoscere una serie di meccanismi comuni ai diversi fenomeni di coscienza alterata ha attirato l'attenzione, come naturale, degli psicologi e dei fisiologi, i quali si sono posti il problema di indagare sui fondamenti biologici da cui avrebbero origine tutti questi stati di coscienza. Autori come P. Janet (1926-28) e J.H. Leuba (1925) hanno sostenuto la stretta associazione tra fenomeni estatici e sintomi psicopatologici, ritenendo che il linguaggio mistico e religioso in cui tali esperienze venivano collocate non fosse che una maschera, deformante e mistificante, che nascondeva la vera natura di questi stati psicologici, che doveva essere ricercata nella manifestazione di sintomi isterici e psicotici. Nelle crisi nervose, psicoasteniche o epilettiche, si trovavano gli stessi fenomeni, o fenomeni che appaiono molto simili a quelli descritti dai mistici cristiani, e cioè: sentimento di ineffabilità, di trasporto, passività, imprevedibilità, accompagnati da illuminazioni, visioni, percezioni straordinarie. Nei fenomeni epilettici e psicopatologici gli psicologi ritrovavano inoltre quei disturbi nella percezione del tempo e dello spazio, il fotismo (percezione di immagini luminose), l'impressione di levitazione e di abbandono del corpo, un sentimento di accresciuta energia morale, che costituiscono le caratteristiche descritte più abbondantemente nelle esperienze mistiche degli estatici.
Anche le pratiche sciamaniche sono state paragonate a fenomeni desunti dall'ambito della psicopatologia. La frequente occorrenza di una 'malattia iniziatica', come momento determinante nella carriera di uno sciamano, è stata interpretata come il risultato di un'esperienza traumatica, che segnava profondamente un determinato individuo e ne faceva un soggetto particolare, dalle qualità psichiche labili e facilmente impressionabile. Lo sciamano, in questa prospettiva, si configurava alla stregua di un individuo simile a un vero e proprio nevrotico, con una tendenza spiccata a distaccarsi dalla realtà, a provare agitazioni emozionali profonde ed esperienze percettive anormali, che i componenti della sua società interpretavano come capacità di entrare in comunicazione con gli spiriti (Devereux 1973). Le suddette teorie presuppongono che lo sciamano non sia altro che un individuo psichicamente disadattato, un soggetto dotato di un tipo di personalità deviante, i cui comportamenti sono da ricondurre alla sintomatologia dell'epilessia, dell'isteria, della dissociazione oppure del sonnambulismo. I fenomeni di trance e di estasi mistica devono quindi, secondo questa prospettiva, essere riportati a tale quadro psicopatologico e dimostrano soltanto come il mutato ambiente culturale permetta di interpretare in modo diverso queste esperienze psichiche, consentendo a personalità devianti o anomale di trovare una collocazione non emarginata nella comunità.
A tali conclusioni si avvicinano anche le teorie di tipo psicoanalitico, le quali tendono a ricondurre i fenomeni estatici a forme di regressione allo stadio infantile, a una ricerca di ritorno alla condizione del bambino che si aggrappa al seno materno o del feto nel grembo della madre, rinunciando alle relazioni esterne e rinchiudendosi in un appagamento narcisistico (Terrin 1994). Tutti i tentativi di interpretazione ricordati sopra hanno in comune un difetto che ne pregiudica l'utilizzabilità in ambito antropologico: essi finiscono infatti per adottare una nozione generalizzata e indiscussa di ciò che è anormale, patologico, e di ciò che costituisce un comportamento psichicamente normale, applicando poi tali categorie indiscriminatamente a qualsivoglia fenomeno culturale proveniente dai contesti più diversi. È evidente come tale procedimento si collochi in una prospettiva essenzialmente eurocentrica, perché i criteri di definizione di normale e anormale sono desunti dalla pratica clinica della psicopatologia occidentale e assunti come categorie di valore universale. La pertinenza di questi concetti nell'interpretazione di fenomeni culturali estranei alla cultura occidentale moderna non viene neppure posta in questione, ma le pastoie con cui tale prospettiva finisce per vincolare lo sguardo dell'osservatore sono tali da rendere praticamente impossibile una valutazione critica, non viziata da presupposti etnocentrici. D'altra parte, lo studio di sistemi cognitivi indigeni ha rivelato una precisa distinzione tra il comportamento patologico, in particolare psicopatologico, e l'attività dello sciamano, anche in quelle culture, come quelle siberiane, nelle quali la professione di sciamano prende avvio da una malattia iniziatica (Lot-Falck 1970).
3.
Un'altra via per giungere alla comprensione delle basi fisiologiche dei fenomeni estatici è stata percorsa da coloro che hanno posto attenzione alle affinità tra stati mistici ed effetti derivanti dall'uso di sostanze allucinogene e psicoattive. Tali somiglianze hanno indotto alcuni a sostenere, seguendo le osservazioni di A. Huxley e T. Leary, che le condizioni provocate dagli stati di estasi mistica non sarebbero altro che il risultato di trasformazioni chimiche agenti sulla fisiologia del cervello, provocate dall'assunzione di sostanze inebrianti e intossicanti. Accanto a queste considerazioni si sono accumulate, nel corso degli ultimi anni, numerose testimonianze circa l'antichità e la diffusione dell'uso di sostanze allucinogene nei più diversi contesti culturali. G.R. Wasson (1968), per es., ha cercato di dimostrare che la bevanda sacra chiamata nei testi vedici soma altro non sarebbe che un estratto dell'Amanita muscaria, un fungo le cui proprietà intossicanti erano impiegate fino a tempi recenti dagli sciamani siberiani. Analogamente, nei Misteri eleusini si sarebbe fatto uso di una sostanza dalle proprietà allucinogene nel corso delle celebrazioni rituali. In conclusione, alla base di ogni fenomeno di estasi mistica si troverebbe l'effetto di alterazioni fisiologiche e chimiche indotte dall'ingestione di sostanze dalle proprietà stimolanti o allucinogene.
Tali interpretazioni hanno avuto il merito di porre un particolare accento sull'importanza dell'impiego rituale di allucinogeni, che per es. M. Eliade (1951) riteneva del tutto trascurabile e poco significativo per la comprensione delle tecniche estatiche sciamaniche, mentre si sono rivelate determinanti nella comprensione di universi sciamanici come quelli dell'America amazzonica (Reichel-Dolmatoff 1975). D'altra parte, l'accento esclusivo sugli effetti delle sostanze allucinogene si rivela eccessivamente riduttivo, se si osserva che in numerosi casi di fenomeni estatici si deve escludere qualsiasi ricorso a sostanze stupefacenti: non solo nel misticismo classico del mondo cristiano e induista, ma anche in moltissime tradizioni religiose dell'America indigena e dell'Africa. Una correzione è stata apportata, in anni recenti, con la teoria delle endorfine. Queste sono sostanze endogene prodotte dall'organismo in particolari contesti, quando il corpo è sollecitato con periodi di digiuno, mortificazione, meditazione, oppure in situazioni di forte tensione emotiva, prodotta dal ritmo musicale, dalla danza, dalla ripetizione di gesti rituali e così via; tali sostanze agirebbero sul sistema percettivo e neurofisiologico, provocando in particolare euforia, insensibilità al dolore e all'affaticamento, senso di benessere ecc., tipici degli stati di trance ed estasi mistica (Terrin 1994). Per quanto suggestive e stimolanti, queste teorie risultano però poco soddisfacenti, in quanto si limitano a individuare una serie di meccanismi biofisiologici, ritenuti di valore universale, che sarebbero alla base di tutti i fenomeni di esperienze mistiche manifestantisi negli stati di trance e di estasi. Ciò che caratterizza questi ultimi, però, è il significato attribuito loro da parte di coloro che vivono tali esperienze e delle comunità di cui essi fanno parte: è solo all'interno di un particolare universo culturale, nel contesto di determinate concezioni cosmologiche, di valori e credenze socialmente condivisi, che specifiche esperienze estatiche assumono rilievo e significato per coloro che le hanno vissute.
4.
Lo studio antropologico dei fenomeni di trance e di estasi si è rivolto soprattutto alla ricostruzione del contesto sociale entro cui essi acquistano senso e rilevanza. L'esistenza di stati di esaltazione o di uscita da sé è data per scontata in tutte le tradizioni religiose: la questione che viene posta riguarda invece il significato sociologico di queste esperienze. I fenomeni di trance e possessione sono quindi analizzati come forme di un processo sociale, in cui gli attori agiscono in base a determinate regole, interagiscono sulla scorta delle relazioni (di parentela, vicinato, affinità ecc.) che li vincolano gli uni agli altri, in vista di particolari obiettivi di ordine sociale. In particolare, J.M. Lewis (1978) distingue i culti estatici centrali e istituzionalizzati, che tendono a rafforzare la moralità ufficiale e il potere stabilito, dai culti marginali, concentrandosi soprattutto su questi ultimi. Infatti, egli vede in numerosi fenomeni di trance e di possessione una sorta di strategia sociale, attraverso la quale gruppi più deboli e subordinati (donne, giovani, minoranze ecc.) esprimono indirettamente e in forma mistica la propria protesta e le proprie rivendicazioni nei confronti dei detentori del potere. Analogamente R. Bastide (1972) vede nella trance africana e afroamericana uno strumento di controllo sociale: degli anziani sui giovani, dei capi sui subordinati, degli uomini sulle donne, ma anche un fenomeno di protesta e di contestazione dell'ordine sociale e del sistema di potere. Anche in questo caso, non è difficile scorgere i limiti e le carenze di questo tipo di approccio: certamente è utile indagare, per es., il ruolo dello sciamano nel sostenere la moralità collettiva e nel mobilitare la pubblica opinione secondo canali socialmente rilevanti; tuttavia, il contenuto delle esperienze estatiche dello sciamano, o del mistico, o dell'asceta, ci rimane del tutto inaccessibile e oscuro. Il significato della condizione estatica, così come l'interpretazione di tale vicenda nei termini di un determinato sistema di credenze e di dottrine religiose, costituisce molto spesso un patrimonio esoterico e riservato. In molti casi, ciò può rimanere celato nell'intimo dell'individuo che ha vissuto tale fenomeno, acquistando così un grado altissimo di incomunicabilità e inattingibilità. Tutte le teorie discusse in precedenza finiscono per arenarsi di fronte all'imponderabilità e all'inafferrabilità di un fenomeno che si colloca nel profondo della soggettività e del vissuto più intimo del singolo individuo. L'unica possibilità aperta per uno studio su basi oggettive di questi stati di coscienza sembra essere quella offerta dall'analisi comparativa di specifici contesti culturali, condotta con scrupolo e con cautela: confrontando le diverse manifestazioni estatiche presso gruppi culturali diversi sarà forse possibile metterne in luce alcuni caratteri comuni, delineare i contorni di un oggetto sfuggente, destinato forse a restare imperscrutabile a ogni indagine empirica.
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