Ester
Biblica eroina del libro che da lei prese il nome, moglie di Assuero re di Persia. D. la menziona in Pg XVII 29 intorno ad esso era il grande Assüero, / Estèr sua sposa e 'l giusto Mardoceo, in un sogno, mentre la vede assistere, con il marito Assuero (v.) e il padre adottivo Mardoceo, alla morte di Aman, avvenuta il giorno 13 di adar (nome del XII mese del calendario ebraico antico-testamentario) dell'anno 474 a.C., exemplum d'iracondia punita.
Il solenne exemplum di questo che è il secondo dei tre sogni raccontati dal poeta (Pg XVII 13-45), è tratto per sommi capi seppur puntualmente dal libro di E. (1, 1; 3, 5; 7, 9-10) - e cioè il matrimonio di E., l'odio di Aman per Mardoceo che gli rifiutava per motivi religiosi la genuflessione secondo l'uso persiano, la crocifissione di Mardoceo sventata da E. e la condanna invece dello stesso Aman, come traditore -. Nei passi biblici citati - a cui s'ispirò anche Michelangelo per una delle vele della volta della Sistina -, e in quello più importante (Esth. 8, 10), che i commentatori han sin qui trascurato, D. aveva trovato gli elementi essenziali per la sua descrizione nella quale, seguendo una sua formula abituale, ereditata dalla tradizione retorica e forse da Alberico da Montecassino, il nome di Aman vien taciuto e suggerito invece da una perifrasi di due versi, iniziata da un crucifisso e conclusa da cotal si moria (vv. 26-27), implicante una non meno abituale e tradizionale distinctio in bono e in malo.
Ma sulla scorta dello Scartazzini (che trascriveva dal Poletto " è notabile che Dante, sempre ligio a ritrarre anco le più minute circostanze accennate dalla Bibbia, faccia crucifisso Amano mentre il sacro Testo lo dice impiccato ", aggiungendo: " Dante lesse, nel testo della Volgata, Esther, V, 14: ‛ Et iussit excelsam parare crucem ' quindi dice che Amano fu crocifisso "), tutti i commentatori posteriori hanno dunque creduto che D. si fosse presa, a dir poco, una certa libertà. Ma così non è.
Il passo che D. aveva sotto gli occhi non era Esth. 7, 10 " Cui dixit rex: Appendite eum in eo. Suspensus est itaque Aman in patibulo quod paraverat Mardochaeo; et regis ira quievit ", ma quello del capitolo successivo, quello per ricapitutationem (8, 7): " Responditque rex Assuerus Esther reginae et Mardochaeo Judaeo: Domum Aman concessi Esther, et ipsum iussi affigi cruci ", dove non solo sono riuniti tutti i personaggi ma anche Aman non è direttamente nominato ed è ‛ cruci aflixus ', dove dunque troviamo tutti gli elementi perfino stilistici dell'episodio dantesco, riprova se mai ve ne fosse bisogno della conoscenza delle Scritture e dell'uso magistrale che ne fa il poeta.
Del resto E. nella tradizione figurale era diventata " figura Ecclesiae " a partire da s. Gerolamo (" Esther, quae interpretatur absconsa, et quae altero nomine vocabatur Edissa, hoc est, misericordia, Ecclesiam gentium designat, quae in abscondito cordis sui propter fidei castitatem placet Deo, et misericordiam ac gratiam coram oculis Dei magis invenit ": Patrol. Lat. XXII 547; XXV 1137), attraverso s. Isidoro (ibid LXXXIII 116), Alcuino (ibid CI 1127) fino a Rabano Mauro (ibid CIX 652), uno dei 12 campioni della schiera capeggiata da s. Bonaventura (Pd XII 139), così come s. Isidoro lo è di quella capeggiata da s. Tommaso (ibid X 131) -, e Aman, al contrario, " figura impii et diaboli ", secondo la definizione ancora di Rabano Mauro (Patrol. Lat. CIX 652): " Aman superbus significat et diabolum et fastum potentum hujus saeculi, qui beneficiis sibi divina pietate collatis abutentes, proximos suos, quos consortes habent naturae, gratiae socios habere despiciunt ". Queste due equazioni figurali e la correlata ‛ distinctio in bono ' e ‛ in malo ' diventano parametri fondamentali della ‛ intentio ' dantesca e sono direttrici esegetiche per meglio intendere le altre ‛ figure ' (Assuero e Mardoceo) e la scelta degli exempla.
Il trittico dei sogni centrato in una delle figure tradizionali, E. regina, permette a D. di creare ex nihilo attenendosi alla ‛ distinctio ' le altre due ‛ figure ' di Progne e di Amata, regine anch'esse come E., immettendo nella tradizione cristiana gli exempla classici - e non a caso scegliendone uno greco e uno latino - in nome di quel plurilinguismo che la tradizione, e massime s. Isidoro, ha chiamato mistico e che nella Commedia è diventato sempre con la tradizione storico-provvidenziale.
Bibl.-Sulle distinctiones e sull'uso dei Flores Rhetorici di Alberico da Montecassino nella Commedia, si cfr. G.R. Sarolli, Prolegomena alla D.C., Firenze 1969; cfr. anche R. Montano, Il canto XVII del Purgatorio, in Lect. Scaligera II 613-652.