ESTETICA.
– Naturalizzare l’estetica? Estetica ed evoluzionismo. Estetica e scienze cognitive. La neuroestetica. Esperienza estetica e immaginazione. Bibliografia
Naturalizzare l’estetica? – Il dato saliente della riflessione recente in materia di e. è rappresentato, con tutta probabilità, dall’emergere anche in questo campo di tendenze orientate verso la naturalizzazione dei problemi tradizionalmente affrontati dall’e., in accordo con quanto già accaduto in altri settori della ricerca filosofica. Naturalizzare la filosofia significa, in generale, combattere le impostazioni aprioristiche e spiritualistiche dei problemi filosofici; ricercare una comunanza di metodi e procedimenti con le scienze naturali; radicare le spiegazioni filosofiche nei risultati empirici forniti da tali scienze. Nel caso dell’e., la naturalizzazione sta seguendo fondamentalmente tre strade: quella del radicamento dell’e. nella storia evolutiva dell’uomo e della ricerca di manifestazioni ed esempi di condotta estetica negli animali non umani; quella del ripensamento dei problemi centrali dell’e. alla luce dei risultati delle scienze cognitive; quella della ricerca delle basi neurologiche dell’attività estetica attraverso la ricerca sul cervello e le pratiche di brain-imaging (Naturaliser l’esthétique?, 2014). Questi tre filoni presentano aspetti metodologici molto diversi e appaiono diversamente promettenti; inoltre anche la ricerca più tradizionalmente orientata verso l’e. filosofica ha affrontato negli ultimi anni problemi non lontani da quelli che emergono dagli orientamenti di ricerca appena menzionati.
Quella che di solito viene indicata come estetica evoluzionistica affronta da un lato la questione del rapporto tra e. animale ed e. umana, si chiede cioè se i comportamenti estetici umani presentano qualche analogia e qualche continuità con analoghi comportamenti degli animali non umani, dall’altro si concentra su temi più strettamente relativi alla psicologia evolutiva, interrogandosi sul ruolo che i comportamenti estetici hanno svolto nel processo di ominazione; in molti casi ciò si traduce nel chiedersi se vi sono tratti comuni alle manifestazioni estetiche riscontrabili presso le varie culture, se cioè sia possibile isolare degli universali estetici.
Estetica ed evoluzionismo. – Il primo filone di ricerca è quello più strettamente legato alla impostazione darwiniana. Come è noto, Darwin vedeva nella selezione sessuale un potente fattore dell’evoluzione, da porre accanto alla selezione naturale. E le scelte sessuali gli apparivano guidate in parecchi casi da criteri di tipo ‘estetico’. Gli splendenti piumaggi degli uccelli servono per lo più solo come richiamo della femmina. Quest’ultima deve dunque aver sviluppato una specifica capacità di apprezzamento per i tratti ‘ornamentali’ del maschio. La bellezza si rivela così un fattore potentissimo dell’evoluzione, più efficiente ancora del successo in battaglia.
Questi temi darwiniani hanno visto un’interessante ripresa di attenzione in anni recenti. Jean-Marie Schaeffer (2009) ha insistito sul significato estetico di questi ‘segnali costosi’ (piumaggi sgargianti, palchi di corna, code di pavone: tutte quelle dotazioni che implicano un grosso sforzo da parte dell’essere vivente per il loro mantenimento, senza che sia possibile individuarne immediatamente l’utilità).
Nel comportamento dell’uccello giardiniere, che decora il proprio nido con oggetti dai colori vistosi, ad es., assisteremmo a una vera e propria attività estetica, qualcosa di simile a un embrione di architettura, e non saremmo in presenza di semplici indicatori di fitness, di manifestazioni percepibili dall’esterno dello stato di salute, forze, efficienza riproduttiva dell’animale in questione. Anche Wolfgang Welsch (2004) ha insistito sul carattere estetico della scelta in questi comportamenti riproduttivi, facendo valere il cosiddetto argomento della minima variazione: una modesta variazione della simmetria nella coda del pavone maschio riduce grandemente le sue potenzialità di accoppiamento. Se gli ornamenti fossero solo una questione di fitness, sarebbe poco probabile che una piccola variazione sul piano della bellezza producesse una variazione così importante per la sopravvivenza della specie. Accanto all’argomento della minima variazione, Welsch ne fa valere un altro, quello che chiama dello scopo prossimo: anche se fosse vero che lo scopo ultimo dell’apprezzamento degli ornamenti animali è costituito dalla fitness, resta il fatto che tale apprezzamento si dirige, in prima istanza, alla bellezza in quanto tale, ossia all’aspetto esteriore degli ornamenti.
Estetica e scienze cognitive. – Argomenti simili sono stati fatti valere per spiegare la funzione adattiva di attività come la danza, il canto, o la capacità di raccontare storie; Winfried Menninghaus (2011) ha però insistito sul fatto che Darwin non ha mai affermato che la musica o le abilità retoriche, nell’uomo, siano o siano state spiegabili unicamente come richiami sessuali. Al massimo, questo può essere stato vero per ‘lontani predecessori’ dell’uomo attuale, nel quale esse hanno assunto funzioni comunicative di nuovo tipo. Di conseguenza, Menninghaus invita a dare il dovuto rilievo al ruolo che la comunicazione simbolica assume nell’evoluzione umana.
Tali osservazioni possono essere radicalizzate, nel senso che è possibile notare, facendo perno sulle ricerche di psicologia cognitiva, che è piuttosto difficile ricondurre comportamenti complessi come quelli legati all’esperienza estetica a comportamenti riscontrabili in specie animali dotate di capacità molto inferiori, e strettamente dipendenti da stimoli diretti come l’impulso sessuale. Anche perché i comportamenti presuntivamente estetici riscontrati in uccelli o insetti non hanno invece corrispondenti nei comportamenti degli animali più evoluti, in specie dei primati. Appare molto più probabile che i comportamenti estetici dell’animale umano siano da mettere in contatto con le capacità cognitive superiori e abbiano anzi svolto un ruolo importante, o addirittura essenziale, nell’evoluzione umana, sviluppandosi di conserva con le capacità linguistiche e quelle tecniche. Necessaria a tutte e tre, infatti, è la presenza di una sviluppata capacità metarappresentativa, cioè la capacità di rappresentare contenuti percettivi ed eventi anche in loro assenza. In questo quadro le attività di finzione, ossia di simulazione controllata, ricevono una rinnovata attenzione, proprio perché si rivelano centrali tanto nella sviluppo infantile quanto nella filogenesi. Ne risulta rafforzata, come del resto accade nella recente riflessione di matrice analitica sulla finzione e sul make-believe, il valore cognitivo dell’esperienza estetica, ma a essere pensata su basi nuove è anche la funzione delle emozioni estetiche e il loro carattere.
La neuroestetica. – L’ambito nel quale gli impulsi a una naturalizzazione dell’e. hanno manifestato le tendenze più recisamente riduzionistiche (si sono orientate cioè verso una esclusiva riconduzione dei fenomeni estetici alle loro basi fisiche e fisiologiche) è quello della cosiddetta neuro estetica, un filone di studi che ha attratto negli ultimi anni una crescente attenzione, anche grazie all’attivismo mediatico del suo principale esponente, Semir Zeki. Si tratta di un approccio che mira a far luce sul fenomeno estetico a partire dall’osservazione della nostra attività cerebrale studiata con le moderne tecniche di brain imaging, come la FRMI (Functional Magnetic Resonance Imaging, risonanza magnetica nucleare funzionale) o la PET (Positron Emission Tomography, tomografia a emissione di positroni), individuando le aree cerebrali che si attivano in presenza di reazioni estetiche, per lo più indotte attraverso l’osservazione di opere d’arte. La ricerca neuroestetica dovrebbe insomma dischiudere un campo totalmente nuovo di ricerca, da affrontare con il minor numero di presupposizioni ereditate dalle teorie precedenti. In realtà, però, i principali esponenti della ricerca neuroestetica, ossia, oltre a Zeki, i neuroscienziati Vilayanur S. Ramachandran e Jean-Pierre Changeux, sembrano intendere come compito fondamentale della neuroestetica quello di fondare, al livello neurologico, alcuni principi tradizionali della bellezza, incappando così in effetti curiosi e non di rado contraddittori. Ciò si vede bene negli sforzi di Zeki (2009) di trovare nella massimizzazione dell’ambiguità del messaggio, o nella accentuazione del carattere modulare della visione, le radici del valore estetico. La determinazione dell’ambiguità, infatti, è tutt’altro che rigorosa, oscillando tra ambiguità a livello percettivo (quella delle illusioni percettive) e a livello narrativo-psicologico (ambiguità delle situazioni descritte o narrate nell’arte).
Nell’applicazione all’arte contemporanea del principio della modularità della visione i limiti della neuroestetica emergono altrettanto chiaramente. Nel nostro cervello ci sono aree diverse che elaborano dati percettivi differenti: linee di contorno, forme, colori, movimento sono analizzate in parti diverse del cervello. L’arte figurativa del Novecento avrebbe assunto su di sé il compito di ‘concentrarsi’ di volta in volta su componenti diverse della percezione visiva, rivolgendosi di volta in volta a un diverso campo recettivo. Un’opera d’arte, dunque, sarebbe tanto più grande quanto più si indirizza a uno specifico campo ricettivo. Vie ne naturale osservare che, se i procedimenti artistici messi in atto dalla pittura del Novecento si spiegano nel radicamento neurologico, non si capisce perché si siano prodotti così tardi nella storia dell’arte; e se i nostri antenati vedevano come noi, quel che non si capisce è perché questi sviluppi artistici avrebbero atteso il Novecento per manifestarsi. E se qualsiasi immagine in movimento attiva le aree corrispondenti del cervello, perché mai l’arte si guadagnerebbe un merito particolare a farlo?
Esperienza estetica e immaginazione. – Si comprende allora come l’e. filosofica abbia assunto, nei confronti della neuroestetica, un atteggiamento spesso critico; il che non toglie che ricerche particolari, come, ad es., quella sui neuroni-specchio, abbiano invece suscitato molto interesse e siano state messe in rapporto produttivo con nozioni radicate nella storia dell’e., come il concetto di empatia (Immagini della mente, 2007). In generale, però, si registrano convergenze promettenti soprattutto con aspetti della psicologia evoluzionistica e delle scienze cognitive. Si pensi, ad es., a come sia tornata centrale nel dibattito estetico la nozione di esperienza estetica che era stata ostracizzata in particolare nell’e. analitica a partire dagli anni Settanta del Novecento (cfr. D’Angelo 2011). L’esperienza estetica, i suoi caratteri identificativi, i suoi nessi con le attività cognitive e con la sfera emotiva sono al centro delle indagini sulla ‘mente estetica’ (The aesthetic mind, 2011), e vengono indagati anche dal punto di vista dei loro legami con l’attenzione e l’intensificazione e modulazione di processi percettivi presenti già in stadi molto precoci dello sviluppo infantile (cfr. Desideri 2011). Se l’e. degli ultimi decenni del secolo scorso aveva fatto della sensazione il suo campo privilegiato e il suo vessillo, ora quello spazio sembra occupato piuttosto dalla immaginazione, dalla finzione e dai processi metarappresentativi (The architecture of imagination, 2006).
Bibliografia: W. Welsch, Animal aesthetics, «Contemporary aesthetics», 2004, 2, http://www.contempaesthetics.org/newvolume/pages/article.php?articleId=243 (30 aprile 2015); The architecture of imagination. New essays on pretence, possibility and fiction, ed. S. Nichols, Oxford 2006; Immagini della mente. Neuro scienze, arte, filosofia, a cura di G. Lucignani, A. Pinotti, Milano 2007; J.-M. Schaeffer, Théorie des signaux coûteux, esthétique et art, Rimouski 2009; S. Zeki, Splendors and miseries of the brain. Love, creativity, and the quest for human happiness, Oxford 2009 (trad. it. Torino 2010); P. D’Angelo, Estetica, Roma-Bari 2011; F. Desideri, La percezione riflessa. Estetica e filosofia della mente, Milano 2011; W. Menninghaus, Wozu Kunst? Ästhetik nach Darwin, Berlin 2011; The aesthetic mind. Philosophy and psychology, ed. E. Schellekens, P. Goldie, Oxford-New York 2011; G.W. Bertram, Kunst als menschliche Praxis. Eine Ästhetik, Berlin 2014; Naturaliser l’esthétique? Questions et enjeux d’un programme philosophique, éd. J. Morizot, Rennes 2014.