ESTINZIONE (lat. extinctio; fr. extinction; sp. extinción; ted. Erlöschen; ingl. extinction)
Diritto penale (estinzione del reato e della pena). - Dal reato, quale ente giuridico, sorge un rapporto di diritto tra lo stato e il reo, in quanto al primo compete il potere-dovere di attuare la sua pretesa punitiva per l'applicazione della legge penale al caso concreto. Il commesso reato costituisce la causa d'un tale rapporto punitivo, che è rapporto ipotetico, nel senso che - prima della concreta applicazione della pena - occorre accertare giudizialmente e dichiarare se nel caso speciale lo stato abbia effettivamente la potestà di punire quel determinato individuo, cui si attribuisce la violazione della legge penale. A questo accertamento si giunge mediante un altro rapporto giuridico, intercedente sempre tra lo stato e il reo, ma d'indole formale (rapporto giuridico-processuale penale). Quando l'accertamento giudiziale da luogo alla condanna, il rapporto punitivo da ipotetico diventa reale, effettivo, e il condannato deve scontare la pena.
Esistono cause le quali, escludendo o diminuendo l'imputabilità o la responsabilità dell'autore del reato, fanno venir meno o limitano la pretesa punitiva dello stato. Da queste cause intrinseche al fatto criminoso si distinguono altre, che possono dirsi estrinseche, in quanto estranee al rapporto di causalità morale e materiale del fatto attribuito al reo, ma che, ciononostante, impediscono il sorgere del rapporto giuridico-processuale o, sorto che sia, estinguono detto rapporto, ovvero estinguono o limitano il rapporto punitivo.
Di tali ultime cause una vecchia dottrina riferiva esclusivamente alcune all'azione penale, altre alla condanna e, altre ancora, cumulativamente, all'azione e alla condanna insieme. S'insegnava che, nonostante l'efficacia di tali cause estintive, il reato sussistesse sempre, ma, per speciali ragioni, estranee agli elementi essenziali e accidentali del reato e alla legalità sostanziale e formale della sentenza, il legislatore, in vista di speciali contingenze, reputasse opportuno troncare l'esercizio del diritto d'azione o del diritto d'esecuzione o dell'uno e dell'altro diritto insieme. Si diceva che tali cause facessero cessare la vitalità dell'azione, ossia la ragion d'essere o la funzione della medesima, ovvero impedissero o estinguessero l'esecuzione della condanna. Va rilevato che, per contrario, anche qualche antico criminalista italiano, trattando di tali cause, aveva parlato di estinzione del delitto, giacché quando "cessa l'azione alla pena del delitto, si estingue il delitto medesimo" (Carmignani). E negli stessi antichi criminalisti italiani si rinviene anche il concetto di remissione o estinzione della pena piuttosto che della condanna (oltre il Carmignani, Carrara). Così pure nel campo legislativo, tra le leggi penali vigenti in Italia, il regolamento pontificio sui delitti e sulle pene (art. 36) parlava di cause di estinzione del delitto e della pena; il codice estense (art. 84) distingueva tra estinzione dell'azione penale ed estinzione della pena; il codice sardo (art. 131) dichiarava che per le cause suddette si estinguono il reato e le pene. Prevalse però, in Italia, l'opinione dell'improprietà di queste locuzioni in quanto il reato, come fatto reale, non potesse estinguersi o distruggersi, e neanche la pena, astrattamente comminata o concretamente inflitta, comportasse il concetto di estinzione.
La scienza del diritto processuale penale, nella sua fase più recente, elaborando il concetto di azione, ha messo chiaramente in luce la differenza tra azione penale e pretesa punitiva. La prima consiste in un'attività meramente processuale, che tende all'instaurazione del processo per l'attuazione della legge penale. La seconda è costituita dal diritto dello stato alla punizione del reo, mediante il procedimento, nel quale si accerta la fondatezza della pretesa stessa e, accertata che questa sia, si dichiara la responsabilità penale dell'imputato, con il conseguente obbligo di sottostare alla pena. Mentre dunque l'azione appartiene al diritto processuale, la pretesa si riferisce al diritto sostanziale. Da siffatta distinzione si ricava, come necessaria conseguenza, che oggetto delle suindicate cause di estinzione non possa essere l'azione penale, bensì la pretesa punitiva, che sorge dal reato. Sennonché estinto il diritto di punire, viene a estinguersi anche il reato, o, se già sia intervenuta condanna, la pena. Non può ammettersi la giuridica esistenza d'un reato e d'una pena, ove più non esista il diritto dello stato a far valere la pretesa punitiva o a fare scontare la pena.
Erronea è, in questo campo, la considerazione del reato come fatto materiale e storico, occorrendo invece, a tale scopo, riguardarlo come ente giuridico, donde fluiscono i suddetti rapporti di diritto. È chiaro allora come la pretesa punitiva sia consumabile e caduca, mentre l'azione penale non è suscettibile d'estinzione, non potendo impedirsene il promovimento anche quando sia venuto a mancare il fondamento della pretesa. L'azione penale è dunque il mezzo mediante cui lo stato attua la sua pretesa punitiva, mezzo che rappresenta, a sua volta, un diritto, ma di natura processuale, verso l'organo dell'attività giurisdizionale, cui incombe il corrispondente dovere di decidere sulla fondatezza, o meno, della pretesa.
Dall'estinzione della pretesa punitiva scaturisce inevitabilmente l'estinzione del reato, come ente giuridico, venendo a mancare quel rapporto di diritto che, in seguito del reato, si costituisce tra lo stato e il reo. Non può esservi reato, quando non v'è diritto di punire. La sentenza di condanna, non si estingue però, perché il fatto della condanna è una realtà processuale che nulla può sopprimere. Quello che vien meno è l'esecuzione della pena, principale o accessoria, e talvolta cessano anche gli effetti penali diversi dalle pene accessorie.
Questa chiarificazione di concetti giova anche a ben determinare la sedes materiae. È chiaro che non possa considerarsi istituto processuale ciò che influisce direttamente sulla potestà di punire dello stato (Binding). Infatti le cause che impediscono il sorgere del rapporto giuridico-processuale penale, e lo estinguono, finiscono per sopprimere anche il rapporto punitivo, privando di fondamento la potestà di punire. Vi sono altre cause di più limitata efficacia ma anch'esse hanno come effetto una limitazione della potestà di punire. Si è sempre nell'orbita del diritto penale sostanziale, poiché la pretesa punitiva dello stato non è che uno dei profili soggettivi della norma penale, ossia è la stessa norma in relazione a uno dei soggetti del rapporto giuridico che essa fonda (Massari). Al diritto processuale può rinviarsi soltanto ciò che riguarda l'attuazione formale degl'istituti compresi nella presente materia.
Non v'è concordia circa il numero delle cause di estinzione del reato e della pena. Limitandoci alle opinioni più autorevoli e ai punti maggiormente controversi, ricordiamo che, secondo alcuni, dovrebbero annoverarsi, tra le cause d'estinzione del reato anche la novazione legislativa e la cosa giudicata, e, tra le cause d'estinzione della pena, l'avvenuta esecuzione di essa. Riteniamo preferibile l'opinione negativa. La novatio legis non è causa estrinseca di estinzione della pretesa punitiva. Cessando la qualità criminosa del fatto, il reato rimane abolito per una ragione intrinseca, e può dirsi che vi sia abolizione della legge penale, che rendeva incriminabile il fatto, più che estinzione del reato e della pena. Ecco perché tale argomento appartiene, secondo un tradizionale insegnamento, all'efficacia della legge penale nel tempo (cod. pen., art. 2). Il concetto di estinzione non può esattamente riferirsi alla cosa giudicata, che è il naturale esaurimento dell'azione penale, onde in essa la pretesa punitiva trova compimento e attuazione. L'esecuzione della pena, infine, è anch'essa diversa dall'estinzione di questa. La pena espiata è eseguita, compiuta, scontata, ma non estinta.
Avuto riguardo all'oggetto, le cause d'estinzione si distinsero in cause comuni all'azione penale o, meglio, al reato e alla condanna ossia alla pena e cause proprie di ciascuno di detti istituti. Comuni sono, ad esempio, la morte del reo e l'amnistia; propria del reato è l'oblazione; proprie della pena sono la grazia e l'indulto.
Secondo un'antica e scolastica classificazione, le cause d'estinzione del reato e della pena si ripartiscono in due categorie: naturali e politiche. Si dicevano naturali le cause dipendenti dall'essenza dell'azione, la quale può finire naturalmente di funzionare e cioè la morte dell'imputato e la cosa giudicata. Escludendo quest'ultima dal novero delle cause estintive dell'azione, non rimarrebbe, come causa naturale, che la morte dell'imputato. Si qualificavano politiche le altre cause estintive, perché trovano il loro fondamento in ragioni estrinseche all'essenza dell'azione penale e proprie, invece, d'un immediato interesse politico-sociale.
Altra distinzione più moderna è quella che si riconnette a un grave problema: se, cioè, le cause estintive del reato e della pena possano tutte considerarsi come rinunzie dello stato alla pretesa punitiva. Il concetto unitario di rinunzia per tutte le cause di estinzione del reato e della pena si fonda sul rilievo che la dichiarazione della volontà sovrana, con la quale si stabiliscono gli effetti giuridici di quelle cause sull'azione e sulla condanna penale, costituisce sempre necessariamente ed essenzialmente un'autolimitazione che lo stato pone ai proprî poteri, per ragioni di equità, opportunità o utilità. Ma venne obiettato, a ragione, che il concetto di rinunzia include una dichiarazione di volontà del titolare del diritto soggettivo: dichiarazione che può riscontrarsi in alcuna di dette cause estintive (indulgentia principis), ma che è assente dalle altre.
Il codice Zanardelli, in conformità alla dottrina prevalente in Italia al tempo nel quale venne emanato, contemplò le cause delle quali parliamo, sotto la rubrica "Dell'estinzione dell'azione penale e delle condanne penali", nel lib. I, tit. IX. In detto libro sono compresi i seguenti istituti: 1. morte dell'imputato e del condannato (art. 85); 2. amnistia, indulto e grazia (art. 86-87); 3. remissione della querela (art. 88); 4. prescrizione dell'azione penale e della condanna (art. 91-99); 5. riabilitazione (art. 100); 6. oblazione volontaria (art. 101). Il nuovo codice penale (1930) è informato alla più recente dottrina suesposta. Non si parla più di estinzione dell'azione penale e della condanna, ma di estinzione del reato e della pena (lib. I, tit. vi). E nella relazione ministeriale sul progetto definitivo (vol. 1, pp. 198-99) si spiega il mutamento di denominazione, riproducendo i risultati dell'odierna elaborazione dottrinale suesposta. Cause estintive del reato sono le seguenti: morte del reo prima della condanna (art. 150); amnistia (art. 151); remissione della querela (art. 152-156); prescrizione (art. 157-161); oblazione (art. 162); sospensione condizionale della pena (art. 163-168); perdono giudiziale (art. 169). Cause estintive della pena sono: morte del reo dopo la condanna (art. 171); decorso del tempo (art. 172-173); indulto e grazia (art. 174); non menzione della condanna nel certificato del casellario (art. 174); liberazione condizionale (art. 176-177); riabilitazione (art. 178-181). Vi sono dunque cause comuni al reato e alla pena (morte del reo, amnistia); cause che riguardano esclusivamente il reato (oblazione, prescrizione propriamerite detta, sospensione condizionale della pena, perdono giudiziale); cause, infine, che si riferiscono alla sola pena, principale o accessoria (indulto e grazia, decorso del tempo, non menzione nel certificato del casellario giudiziale, riabilitazione).
Cause estintive del reato e della pena, in particolare. - a) Morte del reo o del condannato. - Potrebbe apparire perfino superflua la menzione di una tal causa, a chi non sapesse che, nella storia della giustizia penale, vi furono fasi nelle quali il magistero punitivo non si arrestava dinnanzi alla tomba del reo, ma si esercitava anche contro il cadavere.
b) Amnistia, indulto e grazia. - Sono atti d'indulgenza sovrana. Si riteneva dalla maggioranza della dottrina che l'atto di amnistia costituisse la posizione di una vera e propria norma giuridica; che cioè fosse una legge abolitiva del reato e che il relativo decreto si emanasse per delegazione del potere legislativo (cfr. 589 cod. proc. pen. 1930). Ora si propende a ritenere che si tratti di potestà autonoma del sovrano (diritti maiestatici o di regalia), la quale si esplica mediante una manifestazione di volontà dispositiva del diritto di punire (rinunzia). Quest'ultima opinione è quella accolta nella riforma penale in Italia (v. Relazione cit., p. 201). L'amnistia abolisce, elimina, estingue la pretesa punitiva; ma opera soltanto per il passato, essendo esclusa ogni efficacia per i reati futuri (abolitio in praeteritum). L'indulto e la grazia esercitano la loro efficacia soltanto dopo la condanna: l'indulto è atto d'indulgentia principis generale e impersonale, per cui si condona, in tutto o in parte, la pena; la grazia, che ha lo stesso effetto, è atto d'indulgenza limitato a una o ad alcune persone. Quando, come talvolta accade, l'indulto e la grazia non condonano, ma semplicemente commutano la pena, sostituendo una pena più lieve ad altra più grave, sono dette cause modificatrici della pena.
c) Remissione della querela. - Consiste in un diritto di disposizione, conferito alla persona danneggiata od offesa dal reato, sul diritto statale di punire. È causa d'estinzione che opera prima che la condanna sia passata in cosa giudicata, tranne casi eccezionali tassativamente previsti dalla legge. Poiché la querela costituisce una condizione di punibilità, la remissione, facendo venir meno tale condizione, non può non costituire una causa d'estinzione del reato. Essa è pertanto un istituto di diritto penale sostanziale, concretandosi nel diritto del privato, leso dal reato, d'attuare la condizione da cui la legge fa dipendere la nascita della pretesa punitiva dello stato. La remissione della querela può essere tanto processuale quanto extra-processuale, e quest'ultima può risultare anche da fatti di riconciliazione, incompatibili con la querela proposta. La remissione non produce effetto se non intervenga l'accettazione del querelato, e anche l'accettazione può essere espressa o tacita.
d) Prescrizione ed estinzione della pena per decorso del tempo. - Per effetto della prescrizione la risoluzione della pretesa punitiva dello stato viene a ricollegarsi a quel fatto naturale, che consiste nel decorso del tempo. Molto si è discusso sulla razionalità e legittimità d'una tale causa d'estinzione del diritto di punire, sembrando che a siffatta causa non potesse assegnarsi alcun valido fondamento, onde da alcuni se ne propugna l'abolizione. Ma sulle argomentazioni della logica astratta prevale la considerazione pratica che all'azione del tempo nessuna cosa, anche nel campo morale e giuridico, può sottrarsi. Il rapporto giuridico-penale non può concepirsi avulso dalla realtà nella quale si svolge la vita umana. Non si tratta di rinunzia alla pretesa punitiva, essendo la causa d'estinzione legata a un fatto naturale, cui la legge dà valore giuridico di condizione negativa di punibilità. Nel codice abrogato la prescrizione estingueva la pretesa punitiva prima dell'accertamento del reato (prescrizione dell'azione penale), ovvero - quando la condanna era già intervenuta - estingueva la pretesa dello stato di eseguire la pena. Il nuovo codice (1930) mantiene la prescrizione vera e propria come causa d'estinzione del reato, prima del suo accertamento; ma attribuisce altra configurazione giuridica al decorso del tempo in relazione al rapporto giuridico punitivo che profluisce dalla condanna. Per la cosiddetta prescrizione della condanna si è ideata una disciplina con le caratteristiche della decadenza piuttosto che della prescrizione in senso tecnico, non ammettendosi cause di sospensione o interruzione e stabilendosi un complesso di condizioni ostative, incompatibili con la prescrizione vera e propria (art. 176 capov. ult.). A togliere ogni possibilità di confusione, al nuovo istituto venne data una specifica denominazione: "estinzione della pena per decorso del tempo "Il tempo necessario ad aversi l'estinzione del reato o della pena varia secondo la gravità del reato o della condanna. Per il vecchio codice vi erano due pene imprescrittibili (ergastolo e interdizione perpetua dai pubblici uffici): per il codice nuovo non sono soggetti a prescrizione i reati punibili con la pena di morte o con la pena dell'ergastolo, e tali pene non si estinguono mai per il decorso del tempo.
e) Oblazione. - Con l'oblazione volontaria l'imputato si libera, pagando una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena pecuniaria stabilita per il reato. Non si tratta di volontaria esecuzione della pena, poiché il reo non corrisponde la pena pecuniaria, ma versa un equivalente economico; il quale versamento produce l'effetto giuridico di trasformare l'illecito penale in illecito amministrativo. L'oblazione opera soltanto in materia di contravvenzioni.
f) Sospensione condizionale della pena (detta impropriamente, condanna condizionale). - Col nuovo codice penale questo istituto viene a essere considerato in sede propria, tra le cause di estinzione del reato. Invero, la sospensione qui adempie la funzione giuridica di una condizione risolutiva, nel senso che - trascorso proficuamente un dato termine - ogni effetto penale della condanna è travolto ex tunc, insieme con le pene principali e accessorie, rimanendo, in tal modo, estinto il diritto di punire, e quindi lo stesso reato. La legge stabilisce condizioni e limiti per la concessione del beneficio, e si tratta d'un provvedimento discrezionale, che, cioè - pur concorrendo le condizioni di legge - è sempre rimesso alla facoltà del giudice. Questi può anche subordinare la sospensione all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al risarcimento del danno o al pagamento d'una somma a titolo di provvisionale, ovvero alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno. La sospensione è revocata se il condannato, nel termine stabilito, commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole, o non adempia agli obblighi impostigli, o riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente commesso. Ove riporti altra condanna per contravvenzione anteriormente commessa, il giudice può revocare l'ordine di sospensione condizionale della pena solo quando si tratti di contravvenzione della stessa indole e tenuto conto dell'indole e gravità di essa.
g) Perdono giudiziale. - Questo istituto, causa di estinzione del reato, mancava nel nostro diritto ed è un'innovazione introdotta col nuovo codice. Esso va distinto dalla sospensione condizionale della pena, per quanto il fondamento sia lo stesso, trattandosi anche qui di un mezzo col quale, indulgendo al delinquente primario, si cerca di non farlo ricadere nel delitto. Tuttavia i due istituti si differenziano, perché mentre con la sospensione condizionale viene a essere sospesa l'esecuzione d'una pena già inflitta, con il perdono giudiziale si evita di applicare la pena. Tale ultimo scopo si raggiunge, facendo astenere il giudice dal pronunciare il provvedimento di rinvio a giudizio o di condanna, e con ciò si perviene sostanzialmente a un'assoluzione. Il perdono giudiziale segna, come si vede, una profonda deviazione dai principî fondamentali, regolatori della giustizia punitiva. Per quanto una tale deviazione sia giustificata dal proposito eticamente nobilissimo e, nello stesso tempo, socialmente utile, di salvare dalla perdizione giovani esistenze, il legislatore deve usar cautela e far sì che non siano possibili esorbitanze. Nel nuovo codice il perdono giudiziale si ammette solo per i minori di anni diciotto, colpevoli di reati per i quali sia stabilita una pena restrittiva della libertà personale non superiore a due anni, o una pena pecuniaria non superiore nel massimo a lire diecimila, anche se congiunta a detta pena.
h) Liberazione condizionale. - Essa è causa estintiva della pena, in quanto, col verificarsi delle condizioni risolutive stabilite dalla legge, rimane estinta quella parte della pena ancora non eseguita. Il cod. pen. 1889 ne trattava sotto il titolo Delle pene agli articoli 16-17 e il cod. proc. pen. agli articoli 587-588. La dottrina riscontrò nell'istituto i caratteri d'una sospensione di pena, con la possibilità di revoca. E il nuovo codice, meglio cogliendone l'indole giuridica, lo ascrive alla categoria della cause d'estinzione della pena. La liberazione condizionale, a differenza della sospensione condizionale, funziona non all'inizio, ma dopo che si è scontata una parte rilevante della pena e si applica rispetto a pene d'una certa gravità (art. 176). Il provvedimento è sottoposto a limiti soggettivi e oggettivi, ed è anch'esso d'indole discrezionale. La revoca si verifica o quando il liberato condizionalmente commetta, durante il periodo di prova, altro delitto o altra contravvenzione della stessa indole, o quando egli trasgredisca agli obblighi inerenti alla libertà vigilata (art. 177, 230 n. 2 e 31).
l) Vi sono, infine, alcune cause di estinzione che non si riferiscono al reato, né alla pena principale, ma a pene accessorie o agli effetti penali della condanna. Esse sono: la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e la riabilitazione. Della prima il cod. proc. pen. 1913 parlava all'art. 427. Con più esatto criterio sistematico, il nuovo codice penale ne tratta fra le cause estintive della pena "in quanto la concessione di tale beneficio si risolve in una limitazione degli effetti della condanna, e, quindi, nella estinzione di tali effetti" (relazione citata, p. 223). Condizioni stabilite per la concessione del beneficio sono: 1. che si tratti d'una prima condanna onde qualsiasi altra precedente condanna, anche a pena mitissima e per contravvenzione, comunque inflitta, per sentenza o per decreto penale, sarebbe di ostacolo; 2. che la pena pecuniaria o detentiva non superi un determinato limite; 3. che alla condanna non debbano conseguire pene accessorie (art. 175). Anche l'ordine di non menzione che è lasciato al giudizio discrezionale del giudice (art. 175 e 133) è revocato qualora il condannato commetta altro delitto, anche colposo. La seconda è causa estintiva di pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna; è provvedimento che si ricollega alla restitutio in integrum del diritto romano. Il nuovo codice ha innovato profondamente in questa materia sopprimendo la riabilitazione di diritto, "che non trova altra giustificazione se non nel semplice decorso del tempo, senza che si abbia la prova di buona condotta, reale e accertata, di chi pretende di essere riabilitato" (v. relazione cit., p. 224), imponendo condizioni più rigorose (art. 179) e disponendo che il beneficio sia revocato di diritto se la persona riabilitata commetta, entro i cinque anni dalla sentenza di riabilitazione, un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a tre anni, o altra pena più grave (art. 180). I progetti facevano menzione d'una sottospecie di riabilitazione, detta "riabilitazione agli effetti del casellario giudiziale". Essa è scomparsa nel testo definitivo del codice, per le ragioni che si leggono nella Relazione al re (n. 89, p. 35)
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