estremo (stremo)
Aggettivo abbastanza frequente, che ricorre quasi sempre in poesia, e spesso con valore di sostantivo. Molto più rappresentata la forma aferetica ‛ stremo ', mentre ‛ estremo ' appare forma dotta, esattamente corrispondente al latino extremus (e in prosa, infatti, abbiamo solo la forma ‛ estremo ').
Sette volte il termine ha valore di aggettivo, e fra le occorrenze in cui esso ha uso più proprio è quella di Pd XII 21 l'estrema [corona di anime] a l'intima rispuose: si noti l'esattezza della corrispondenza fra i due termini colti estrema-intima, che induce a preferire questa lezione a quella del Witte e dello Scartazzini (l'estrema a l'ultima a rispuose; cfr. Petrocchi, ad l., e Introduzione 234). Analogamente, in Pd XXX 117 la larghezza / di questa rosa ne l'estreme foglie, l'espressione, che si riferisce ai più alti gradi dei beati, corrisponde a l'infimo grado del v. 115: le foglie ‛ intime ', più interne, sono anche ‛ infime ', sì che le estreme sono " più alte " delle altre. Infine si cita Cv II III 3 otto cieli, de li quali lo estremo... fosse quello dove le stelle fisse sono: infatti il cielo cristallino abbraccia e comprende, con la sua immensa sfera, tutti gli altri cieli: lo estremo... che contenesse tutto (§ 3).
Due volte l'aggettivo è riferito a buccia: in If XIX 29 la strema buccia delle cose unte su cui si muove il fiammeggiar è la " superficie " di una qualunque sostanza unta, di una massa oleosa, di grasso; e così come una fiamma si propaga sulla superficie di cose unte, la fiamma che punisce i simoniaci " si muove dai calcagni alle punte, ma restando sempre sulla superficie delle piante stesse, sfiorandole solo " (Grabher). In Pg XXIII 25 la buccia strema cui è ridotto Erisittone è la " pelle sì arida " (Tommaseo) che gli rimane sulle ossa; il Momigliano insiste forse troppo sull'espressione dantesca, e intende che buccia strema equivalga alla " superficie della pelle "; mentre più che sufficiente a descrivere l'estrema magrezza dei golosi è l'idea della " sola pelle " (Fallani) che ricopre lo scheletro e il volto di quelle infelici sembianze. Il Sapegno (che cita un anonimo sonetto del codice Vaticano 3793, De che ò detto 8 " se 'npria la buccia e l'ossa / non fossen una cosa sanca charne ") avverte che l'espressione a buccia strema va unita con fosse fatto secco, ossia: " fosse ridotto magro fino all'estrema pelle ".
In Vn VII 7 l'estreme parti del sonetto sono gli ultimi versi di esso; siamo invece nel campo della metafora in un luogo come If XVII 43, dove l'orlo del settimo cerchio viene chiamato la strema testa; il termine e. compare poco prima come aggettivo sostantivato (in su lo stremo, " sull'estremità del cerchio ", v. 32), e il fatto che solo l'orlo del settimo cerchio suggerisca a D. l'idea di " estremità " si spiega notando come al di là di questo cerchio ci sia il vuoto, in cui scenderà Gerione; veramente dunque l'orlo di un abisso, il limite e. di uno sprone proiettato verso il vuoto del più basso Inferno. Il termine è usato come aggettivo sostantivato, nel senso di " estremità ", " limite ", " orlo ", di un cerchio infernale (come s'è visto in If XVII 32), di una cornice del Purgatorio (Pg XXII 121), dello stretto passaggio attraverso cui i poeti salgono alla prima balza dell'Antipurgatorio (Pg IV 32) o della rosa di anime beate, la cui " luce maggiore, collocata nella estremità, come raggi di sole oriente fa apparire più spazioso il rimanente della celeste sublimità " (Tommaseo, a Pd XXXI 122). Più precisamente il vocabolo assume il significato generico di " luogo più lontano ", " parte più lontana dal centro ", " confine ", in passi come Pd VI 5 (lo stremo d'Europa è Bisanzio) e XIX 41, dove lo stremo del mondo indica i " confini dell'Universo " (Momigliano; e cfr. il Tommaseo, che cita Prov. 8, 27); l'intera espressione risulta non solo efficace, ma di luminosa grandiosità.
Vengono infine i tre casi in cui l'aggettivo sostantivato vale " estremità della vita ", " punto di morte "; e si nota che in Pg XIII 124 abbiamo lo stremo / de la... vita, mentre in XXVI 93 lo stremo è usato senza ulteriore specificazione; in XXII 48 il vocabolo è usato al plurale, e l'espressione ne li stremi è italianizzazione del latino in extremis (si osservi che nei due casi precedenti la locuzione che vale " in punto di morte " ci si presenta con diverse preposizioni: su lo stremo e a lo stremo). Per quest'ultima accezione del vocabolo, v. anche estremitade (Vn XIV 2).