esurire
E senti' dir: " Beati cui alluma / tanto di grazia, che l'amor del gusto / nel petto lor troppo disir non fuma, / esurïendo sempre quanto è giusto! " (Pg XXIV 154): " tanto avendo appetito mangiano; e tanto, quanto è quale è giusto " (Ottimo). Il verbo è di pretto stampo latino (esurire, " aver fame "), e tutta la terzina riecheggia la beatitudine evangelica (" Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quoniam ipsi saturabuntur ", Matt. 5, 6), cui si allude anche in Pg XXII 6.
Alcuni dei commentatori moderni intendono quanto è giusto come " fame di giustizia ", osservando che " l'interpretazione più comune, e, in realtà, apparentemente più aderente al contesto... altera e immiserisce il significato e valore della beatitudine evangelica, riferendola a fame materiale, trascura il parallelismo con la prima parte della beatitudine... dove esplicitamente sono detti beati quelli che a giustizia volgono la loro sete, infine riduce quest'ultimo verso a una ripetizione del concetto espresso nei due versi precedenti " (Chimenz; così Porena e Mattalia). Rossi-Frascino vedono invece nell'espressione " una deviazione di parole e di senso giustificata dall'adattamento del testo sacro alla pena dei golosi ": così intendono, oltre ai commentatori antichi, Tommaseo, Del Lungo, Scartazzini-Vandelli, e altri. Secondo il Grabher quanto è giusto " sembra richiamare il senso del limite, non nel solo appetito della gola, ma in tutti gli umani appetiti ".