Boutroux, Etienne-Emile-Marie
Filosofo francese (Montrouge, Hauts-de-Seine, 1845 - Parigi 1921). Fu prof. dal 1888 di storia della filosofia moderna alla Sorbona, presidente dell’Accademia di scienze morali e politiche e membro dell’Accademia di Francia. Scritti principali: De veritatibus aeternis apud Cartesium (1874); De la contingence des lois de la nature (1874; trad. it. Della contingenza delle leggi di natura); De l’idee de loi naturelle dans la science et dans la philosophie contemporaines (1895; trad. it. Dell’idea di legge naturale). Partito da un’approfondita critica al sistema positivistico della scienza, negando che i vari ordini di realtà siano spiegabili sulla base di quelli inferiori, B. ha conseguentemente sostenuto l’irriducibilità delle leggi naturali al principio puramente formale d’identità, visto come paradigma della più assoluta necessità, affermandone la contingenza (➔ contingentismo). Le posizioni antimeccanicistiche e antideterministiche di B. lo conducono a postulare una spontaneità creatrice della natura, spiegando con la tendenza a ripetersi che a essa è propria il successo di previsione delle leggi naturali, viste da una prospettiva vicina a quella del convenzionalismo. Tracciati così i limiti delle teorie scientifiche, B. riafferma la libertà umana: ciò che, visto dal di fuori, è contingenza, guardato dal di dentro della nostra coscienza, o meglio della nostra volontà morale, è invece libertà, sforzo di superare quello che si è per realizzare quello che si deve essere. In tal modo la filosofia di B. si configura come un nuovo spiritualismo (il mondo come libertà e finalità, che presuppone un Dio creatore e provvidenziale), rifacendosi alla tradizione del pensiero francese da Ravaisson-Mollien a Lachelier. Notevole influsso, anche in Italia, esercitò pure il saggio Science et religion dans la philosophie contemporaine (1908; trad. it. Scienza e religione nella filosofia contemporanea), che ha come motivo fondamentale la rivendicazione del valore della religione rispetto alle altre attività spirituali, particolarmente rispetto alla scienza: «la religione ha un oggetto diverso dalla scienza, essa non è, o non è più, la spiegazione dei fenomeni. Questi, dal punto di vista della religione, valgono per il loro significato morale, per i sentimenti che suggeriscono, per la vita interiore che esprimono e suscitano; nessuna spiegazione scientifica può togliere a essi questo carattere».