ETILENE
(App. III, I, p. 577)
L'e. conserva un posto preminente come materia prima della petrolchimica (v. App. IV, ii, p. 775); la sua produzione nell'ultimo decennio ha segnato un andamento complessivamente crescente, ma con capacità di produzione sovrabbondante (che ha costretto al ridimensionamento degli impianti), con prezzi variabili che risentivano dell'andamento di quelli delle materie prime petrolifere e della richiesta del prodotto.
La capacità produttiva degli impianti nel mondo è attualmente dell'ordine di 56 milioni di t/anno; i consumi si valutano intorno a 40÷45 milioni di t (nel 1983 la capacità degli impianti era di circa 50 milioni di t, e il consumo di 40 milioni; v. tab. 1). Nell'Europa occidentale la capacità di produzione (circa 18 milioni di t nel 1980) è andata rapidamente diminuendo raggiungendo i 14 milioni nel periodo 1985-86 per poi risalire fino agli attuali 16 milioni circa; è previsto che tornerà al valore del 1980 non appena sarà terminata la ristrutturazione in atto di alcuni impianti e la costruzione di altri, già iniziati. I consumi in questi ultimi anni si sono attestati sui 14 milioni di t/anno e si ricomincia ad avere una sovracapacità di produzione, che però dovrebbe ridursi se, come previsto, alcuni consumi (polietilene, ecc.) andranno aumentando. L'impianto più recente in Europa è stato costruito in Scozia, ne è in costruzione uno in Belgio ad Anversa, mentre altri sono già in programma.
Particolare interesse rivestono gli impianti del Medio Oriente destinati a esportare gran parte della produzione di e., come tale e sotto forma di derivati, cosa che provocherà una riduzione delle esportazioni dai paesi dell'Europa. Lo stesso vale per il Canada, che sta accrescendo la propria produzione.
In questi ultimi anni, anche se non sono comparsi nuovi sistemi di cracking, gli impianti hanno registrato ugualmente notevoli progressi e miglioramenti riguardanti soprattutto la velocità di formazione dell'e. e i consumi energetici. Sono stati disegnati forni in grado di realizzare un migliore trasferimento di calore alla carica attraverso le pareti dei tubi nei quali essa corre (disposizione all'interno del forno, lunghezza, natura del metallo, spessore delle pareti, ecc.). I tubi, di piccolo diametro, della lunghezza di qualche centinaio di metri, vanno ubicati in modo che la carica, attraversandoli rapidamente, possa raggiungere in un tempo molto breve (secondi o frazioni di secondo) la temperatura massima. Perché il calore possa trasmettersi rapidamente alla carica, i tubi debbono essere di piccolo diametro, e molte sono le ricerche per poter avere materiali ad alta conduttività termica, da usare in spessori sempre minori, ma ugualmente resistenti alle elevate sollecitazioni termiche. Il prolungamento della vita dei tubi riduce, oltre al costo del loro ricambio, anche le perdite per la necessaria fermata (il costo dei forni rappresenta, mediamente, il 10÷20% di quello dell'intero impianto). Le modifiche introdotte per realizzare un risparmio energetico hanno consentito, negli impianti più recenti, efficienze termiche dell'ordine del 91÷95% (i miglioramenti derivano da una più accurata regolazione della combustione, un minore eccesso d'aria, un migliore isolamento termico dei forni, un più spinto recupero del calore dai gas che vanno al camino, oltre che dalla già citata riduzione dello spessore dei tubi).
La scelta della materia prima da utilizzare (dall'etano ai prodotti petroliferi pesanti) è legata a diversi fattori: loro disponibilità e costo, complessità e costo degli impianti, utilizzazione dei sottoprodotti. Il cracking degli idrocarburi leggeri (etano-propano) richiede impianti meno costosi, più semplici per la ridotta quantità e natura dei sottoprodotti da separare; la benzina leggera e ancor più i gasoli richiedono impianti molto più costosi per la complessità della parte riguardante la separazione dell'e. dagli altri componenti che risultano numerosi, in elevata percentuale, ma importanti come materie prime di altre produzioni (propilene, buteni, butadiene, benzene, toluene, xileni, ecc.).
Una recente valutazione del costo di un impianto capace di produrre 400.000 t/anno di e. indicava il prezzo di circa 430 milioni di dollari se destinato a trattare etano-propano, 700 milioni usando benzina leggera e 800 nel caso di gasolio; nei tre casi, oltre al valore dell'e. valutato in 156 milioni di dollari, si doveva però aggiungere quello dei sottoprodotti, rispettivamente 27 milioni di dollari, 171 e 286. Naturalmente all'aumentare della complessità degli impianti cresce anche il costo del loro esercizio (nei tre casi precedenti, rispettivamente: 112, 260 e 370 milioni di dollari/anno).
In Europa occidentale fino alla prima metà degli anni Sessanta la benzina leggera (virgin naphta) era la materia prima quasi esclusivamente usata per la preparazione dell'e.; alla fine degli anni Settanta l'uso di etano e di gasolio si era esteso raggiungendo circa il 10%; alla fine degli anni Ottanta la benzina leggera non rappresenta più del 70% della materia prima usata, l'etano e il GPL almeno il 20% e il gasolio circa il 10%.
La disponibilità di materia prima può dipendere da situazioni diverse delle fonti di approvvigionamento: in USA in questi ultimi anni si è verificata una riduzione dell'impiego di etano-propano e un incremento di quello della benzina leggera; ciò è dipeso dall'eliminazione dell'additivo antidetonante piombo tetraetile a benzine a basso numero di ottano, che ha reso disponibili nelle raffinerie elevate quantità di benzine leggere a basso numero di ottano, mentre ha accresciuto la richiesta di olefine per preparare idrocarburi ad alto numero di ottano (v. carburanti, in questa Appendice).
Le diverse cariche richiedono consumi energetici differenti, minori nel caso di quelle più leggere. Si calcola che per ottenere 1 kg di e. il consumo di calorie passa all'incirca da 3400 nel caso di etano, a 4000 per il propano, a 5000 per le benzine leggere e a 6000 per il gasolio. Un sensibile vantaggio nei consumi energetici è stato realizzato negli impianti che hanno potuto sfruttare i gas caldi per produrre energia elettrica in turbine a gas.
La maggior parte dell'e. si consuma nei posti di produzione; gli impianti di cracking di solito appartengono a società petrolifere e petrolchimiche; ciò spiega il frazionamento della produzione in numerosi impianti di relativamente modesta capacità (nonostante la chiusura di molti impianti ormai vecchi e scarsamente economici); nell'Europa occidentale si contano circa 25 impianti con una capacità di produzione di circa 14 milioni di t, mentre in USA per una capacità di produzione superiore (circa 16 milioni) se ne hanno 21 e in Giappone 11. Considerando i 6 maggiori impianti, si vede che in Europa occidentale essi forniscono il 45% della produzione, in Giappone il 50 e in USA il 55%. I vari fattori indicano che la maggiore economicità si raggiunge con impianti di elevata capacità produttiva, dell'ordine delle 400.000÷600.000 t/anno, che però comportano investimenti elevati, non sempre alla portata di una sola società, che non ha neppure la possibilità di utilizzare tutta la produzione. Si va infatti facendo strada la tendenza di gruppi diversi a riunirsi per costruire, gestire, utilizzare insieme uno stesso impianto. Si contano già diverse di queste joint-ventures specie in USA, ma anche in Europa: l'impianto di recente costruito in Scozia appartiene per il 50% alla Exxon e per l'altro 50% alla Shell; l'impianto in costruzione ad Anversa (Belgio) è per il 65% della Petrofina belga e per il restante 35% della Nestè finlandese.
Queste forme di collaborazione comportano il problema del trasporto dell'e., che solo per quantitativi modesti può essere fatto con autocisterne, per via ferroviaria o con navi cisterna nel caso di paesi oltremare. Si vanno intensificando i trasporti del gas, compresso, attraverso tubazioni. In queste condutture il gas deve trovarsi a pressione superiore a quella critica (il prodotto non deve liquefare; se umido può formare idrati solidi, capaci di ostruire o ridurre il flusso del gas). Diverse sono già le condutture per e. esistenti nel mondo: in Europa ne esistono tre, una nel Sud della Francia, che unisce Tavaux a Marsiglia, un'altra collega Anversa e Rotterdam a Francoforte, la terza unisce Liverpool alla Scozia; in Canada ne esiste una della lunghezza di circa 3000 km; in USA una vasta rete di condotte collega varie località del Texas con diversi punti della Louisiana.
I prodotti petroliferi (dall'etano al gasolio) costituiscono le materie prime più usate negli impianti di produzione dell'e.; in questi ultimi anni si sono accentuate le ricerche verso materie prime di fonte alternativa. Il carbone naturalmente è quello che riveste il maggior interesse per la sua abbondanza e diffusione. La trasformazione in e. si può ottenere gassificando il carbone a gas di sintesi (v. gas, in questa Appendice), che viene poi trasformato direttamente (col sistema Fischer-Tropsh, impiegando un opportuno catalizzatore) o indirettamente, preparando prima il metanolo dal quale per ulteriore reazione con altro gas di sintesi si passa a etanolo, che per disidratazione catalitica fornisce etilene. Naturalmente si può partire da etanolo (v., in questa Appendice) ottenuto, anziché da carbone, da fermentazione di carboidrati. Ricordiamo che il primo politene prodotto in Inghilterra dalla ICI, a partire dal 1938-39 e fino al 1951, data d'entrata in funzione del primo impianto di cracking, era ottenuto da alcool di fermentazione. E. si può ottenere come sottoprodotto nella disproporzione delle olefine (del propilene a butene, del propilene + butene a pentene, ecc.) Allo stato attuale questi sistemi non hanno un'applicazione industriale, salvo che per alcuni paesi con particolare economia autarchica (Brasile, Africa del Sud, India, ecc.).
Bibl.: Kirk-Othmer Encyclopedia of chemical technology, New York 19803; Ullman's Encyclopedia of industrial chemistry, Weinheim 1987. Cfr. inoltre le riviste: Chemical Engineering News e Hydrocarbon Process.