ETNOLOGIA (dal gr. ἔϑνος "popolo" e λόγος "discorso"; fr. ethnologie; sp. etnologia; ted. Ethnologie e Völkerkunde; ingl. ethnology)
È la scienza che studia i popoli componenti l'umanità attuale (contemporanea o storica) nella loro localizzazione, nelle reciproche relazioni, nelle manifestazioni della loro cultura materiale, sociale e spirituale. È scienza comparativa e ricostruttiva e si contrappone perciò all'etnografia, che è disciplina puramente descrittiva e raccoglie i materiali di osservazione sui quali opera l'etnologia. Ma i due termini sono usati spesso indifferentemente come sinonimi, preferendosi nei paesi di lingua francese il termine di etnografia, in quelli di lingua italiana, inglese e tedesca quello di etnologia. L'etnologia si contrappone inoltre, nell'uso ormai prevalente, all'antropologia (v.), come si contrappongono i concetti di popolo e razza. Giacché quest'ultimo concetto ha un contenuto anatomico e fisiologico e costituisce, insieme con la considerazione dei problemi generali relativi alla famiglia degli Ominidi, l'oggetto di una scienza naturale, qual'è l'antropologia. Quella di popolo è, per contro, una distinzione basata su caratteri linguistici, sociali e culturali; la disciplina che ne tratta è pertanto una scienza storicomorale, e hȧ, come vedremo, legami strettissimi con la filologia e la storia. Prima ancora che si diffondessero, nel significato attuale, i termini di antropologia (1850 circa) e di etnologia, i due gruppi di studî si tenevano abbastanza chiaramente separati sotto i nomi di "storia naturale o fisica dell'uomo" (cfr. J. Prichard, Researches into the physical history of Mȧn, 1808; J. G. Wood, The natural history of Man, 1868) e "storia civile dell'uomo" (G. Klemm, Allgemeine Kulturgeschichte der Menschhleit, 1843): la tendenza attuale è pel ritorno a questa concezione, che è la più semplice, e, oltre ad assicurare una posizione indipendente all'etnologia, facilita la comprensione e l'applicazione dei suoi rapporti con le altre scienze.
Questi concetti e limiti dell'etnologia si sono fissati dopo molte oscillazioni, e qualche incertezza dura tuttora. Il termine etn000rafia fu il primo a sorgeie, tra la fine del sec. XVIII e i primi dell'Ottocento, contemporaneamente e in relazione ai rapidi progressi della linguistica. Si tentano allora le prime classificazioni di popoli in base alla lingua, e l'Atlante etnografico di A. Balbi (1826) è un atlante linguistico. Nelle prime ricerche sull'origine e sulle parentele dei popoli, era inclusa però anche la considerazione dei loro caratteri fisici, e quando, nel 1839, venne proposto per la prima volta il nome di etnologia con la costituzione della Société ethnologique de Paris, seguiti pochi anni dopo dalla Ethnological Society of London (1843), s'intendeva veramente di affrontare "lo studio delle razze umane in base alle tradizioni storiche, alle lingue e ai caratteri fisici e morali di ciascun popolo". L'etnologia in realtà si sviluppò da prima come una scienza fortemente incline allo studio dei caratteri fisici dei popoli, pur reclamando le naturali affinità con la linguistica e la storia, e quando l'antropologia, progredendo nella sua organizzazione metodica, s'impose come la scienza centrale dell'uomo, l'etnologo reclamò ancora per sé lo studio delle razze. È da notare che anche il concetto di razza ebbe per lungo tempo un contenuto incerto, non esclusivamente somatico, e nella classificazione delle razze s'introducevano spesso anche criterî linguistici; prevalse allora una distinzione nel senso che all'antropologia spettasse lo studio di tutti i problemi generali, concernenti l'umanità considerata nel suo complesso, e quindi tanto la sua storia fisica quanto la civile, e all'etnologia lo studio dei giuppi etnici in tutti i loro caratteri. Questo indirizzo si consolidò soprattutto nei paesi anglo-sassoni: onde, p. es., E. B. Taylor (1881) intitolava Anthropology il suo libro concernente lo sviluppo della civiltà, e A. H. Keane dava il nome di Ethnology a una trattazione descrittiva dei caratteri somatici delle razze umane (1896). E ancora vi si può dire prevalente (cfr. A. C. Haddon, History of Anthropology, 1910). Anche in Germania, mentre Th. Waitz, nella prima grande raccolta sistematica delle conoscenze sui popoli della terra (Anthropologie, 1859), fonde insieme i dati dell'antropologia e dell'etnologia, il suo continuatore, G. Gerland, volendo precisare i compiti delle due scienze, assegna alla prima lo studio dell'umanità come un tutto, alla seconda lo studio dei singoli popoli nelle loro qualità fisiche e spirituali. Un tardo riflesso di queste idee tradizionali si scorge ancora in E. Morselli (1911) che, separando nettamente l'etnologia dall'etnografia, proponeva di lasciare a quella lo studio delle razze umane (in senso naturalistico e zoologico), a questa lo studio dei popoli e della loro cultura. In realtà questa concezione si può dire superata sin da quando, in Germania Federico Müller e A. Bastian, e in Francia Paul Topinard, avevano chiarito la necessità di separare l'antropologia, scienza naturale, dall'etnologia, scienza storica e filologica, e in seguito si sono attenuti a tale distinzione i principali cultori delle scienze dell'uomo. Che poi l'etnologia sia da essi considerata come una parte dell'antropologia (in senso lato) o come una scienza del tutto indipendente, ha poca importanza: il fatto essenziale da ritenere è che dell'etnologia non fa parte, secondo il concetto che abbiamo adottato, lo studio delle razze umane e dei caratteri fisici dei popoli, essendo questo divenuto compito dell'antropologia fisica e precisamente di quel suo ramo che si suol chiamare antropologia etnica: etnica: perché anche per l'antropologo i popoli sono gli aggruppamenti reali sui quali egli svolge le sue osservazioni per trarne le conoscenze relative alle razze.
L'etnologia comprende una parte preliminare, che consiste nell'identificazione dei gruppi etnici, vale a dire la classificazione e la localizzazione dei popoli, e una parte principale, che è lo studio delle loro attività, cioè della cultura. Gli elementi della cultura sono generalmente classificati in categorie, che costituiscono tante sezioni dell'etnologia. Una divisione assai frequente si limita a distinguere i fatti della vita materiale da quelli della vita spirituale. In altri sistemi si stabiliscono i tre gruppi della vita materiale (ergologia, tecnologia), della vita mentale (arti, tradizioni e folklore, religione: animologia) e della vita sociale (sociologia).
Storia delle Conoscenze.
Antichità. - I carmi omerici mostrano già interesse etnografico. Nell'Iliade i popoli non greci dell'Asia Minore sono distinti nettamente dai connazionali del poeta, da quelli che saranno più tardi dal nome di una stirpe chiamati Elleni e che nell'Iliade sono da un altro nome di stirpe detti Achei, o Panachei. La civiltà diversa degli Orientali è caratterizzata nettamente: il re di Troia, Priamo, è poligamo, in contrapposto agli eroi greci monogami; i Troiani vanno all'assalto gridando, mentre gli Achei incedono in silenzio, e cosi via. Ma l'Iliade, almeno in certe sue parti, conosce esattamente Fenici, Egizî, Traci, Misî; e sa di popoli più periferici i quali sono tuttavia descritti come esseri meravigliosi: così Posidone, guardando dall'Ida verso il nord, scorge (XIII, 4) gl'Ippemolgi (‛Ιππημολγοί), cioè "mungitori di cavalli", e gli Abî ("Αβιοι), i "privi di violenza", vale a dire che già comincia quell'idealizzazione dei popoli lontani, specie, come qui, dei popoli del nord che, come subito vedremo, è caratteristica di una certa corrente dell'etnografia greca. Il poeta sa di Etiopi (v.) che abitano nel più lontano est e hanno il volto bruno per la vicinanza del sole: essi godono il privilegio di visite divine; e sa dei Pigmei (v.) che abitano nell'estremo sud e combattono con le gru. L'Odissea (v. omero) porta il suo eroe in contatto con popoli periferici favolosi. Non l'Esiodo genuino, ma colui che compose quell'ultimo tratto della Teogonia che la collega alle Eee (v. esiodo), fa nascere da Ulisse e da Circe Latino e Agrio ("Αγριος, cioè "l'uomo selvaggio"), signori dei Tirreni, applica cioè ai Latini e agli Etruschi, che non sono distinti, quello schema genealogico degli eponimi che è in tempo preellenistico il mezzo abituale per collegare tra loro le stirpi greche, e del quale si ha un esempio nelle forme caratteristiche della civiltà patriarcale e pastorale, nel primo capitolo della Genesi.
Fin qui non si può parlare di veri studî etnografici. L'etnografia, come molte altre scienze, nasce nella Ionia della fine del sec. VI. Il Περίοδος di Ecateo (v.) di Mileto, quale lo ricostruiamo dai tenui frammenti citati letteralmente da Erodoto, conteneva per ogni popolo notizie etnografiche. E già compaiono qui alcuni schemi che vengono nella storiografia posteriore alquanto allargati: acconciature del capo, modo di vestire, ornamenti, colore della pelle, peculiarità dell'alimentazione, matrimonî e rapporti sessuali in genere. Seguivano ancora osservazioni su sacrifici e divinità, e sul modo di seppellire.
Ecateo è nell'insieme perduto, ma è conservato Erodoto: le descrizioni di popoli non greci che costituiscono la prima parte della sua opera, sono in genere costruite secondo uno schema fisso, che tuttavia non è sempre riempito in tutte le sue parti. Tra la descrizione del paese e l'enumerazione delle sue "meraviglie" (ϑωμάσια) è inserita sempre una parte più propriamente etnografica: 1) numero della popolazione; 2) sua antichità e vicende del popolo nel più remoto passato (ἀρχαιολογία); 3) modo di vita (δίαιτα); 4) costumi (νόμοι). Il modo di vita comprende le indicazioni sulla salute, il cibo e le bevande, talvolta sulle abitazioni. Cenni sul vestito servono di ponte di passaggio ai "costumi". Questi comprendono - per citare un esempio relativamente completo, quello degli Sciti - dei, sacrifici, istituzioni militari, indovini, usi nel giuramento, metodi di sepoltura, consuetudini strane. Spesso, non sempre, si aggiungono i particolari sessuali, che avevano tanto interessato Ecateo e che per la loro natura eccitano la curiosità di qualunque etnografo primitivo. Certe qualità negative di tali descrizioni etnografiche sono altrettanto importanti quanto le positive: Erodoto non tenta mai di dare un'idea generale dell'aspetto fisico di un popolo, ma si contenta di accennare peculiarità naturali o artificiali di questa o quella parte del corpo. Similmente egli non tratta ex professo le istituzioni politiche nel loro insieme: l'etnograha ionica è, in complesso, apolitica. Caratteristico è invece come le singole costumanze vengono valutate in confronto delle corrispondenti greche, prendendo a stregua la "sapienza", conforme al razionalismo illuministico della cultura ionica di questo tempo: "questo costume pare a me savio"; e qui la ragione. Spesso l'introduzione di usi, conforme a questo stesso illuminismo, è considerata come scoperta, "invenzione", di un singolo legislatore, noto o ignoto. La tendenza generale di Erodoto è quella di assegnare la palma ai Barbari; anche in lui si fa sentire quell'idealizzazione dei popoli più lontani dalla civiltà ellenica, non ancora corrotti, che, come abbiamo veduto dianzi, comincia con Omero e seguita giù giù attraverso tutta l'antichità greco-romana fino all'età imperiale, quell'idealizzazione che nel sec. V o forse già nel VI si è incorporata nella figura leggendaria del savio scita Anacarsi.
L'etnografia di Erodoto rimane tuttavia disciplina essenzialmente descrittiva. Ma forse contemporaneamente a lui un altro scienziato ionico si studiava d'introdurre anche in questa scienza il principio di causa e di effetto, il metodo etiologico. Il cosiddetto De aere (Περὶ ἀέρων, ὑδάτων, τόπων), un opuscolo attribuito a Ippocrate (il che significa soltanto che faceva parte di raccolte di scritti medici ionici del sec. IV o V, messe insieme nella biblioteca di Alessandria), ha una seconda parte, male o niente connessa con il resto, la quale tratta etiologicamente di etnografia. L'autore si chiede quale sia la ragione delle diversità somatiche o psichiche tra gli Asiatici e gli Europei e anche tra popoli di singole regioni; e la ricerca in primo luogo in fattori climatici e in genere geografici, in secondo luogo in diversità del modo di vita. L'operetta è importante non soltanto per questa innovazione metodica: anche il tentativo di sintetizzare tipi somatici e psichici è un progresso rispetto a Erodoto.
Sulla soglia dell'età ellenistica Aristotele e la sua scuola, il Peripato, continuano anche in questo campo come in tanti altri campi (p. es. zoologia e botanica) e raffinano, sistematizzandola, l'indagine ἱστορία) ionica. Aristotele, come ha raccolto le "costituzioni" dei varî popoli, così mise insieme una raccolta estesissima di "costumanze barbariche" (νόμιμα βαρβαρικά), di cui ci rimangono ancora citazioni assai numerose: qui non più registrazione tabellare di peculiarità singole, ma l'evoluzione della cultura di un popolo nello specchio delle sue usanze. Anche il principio etiologico è qui ripreso: uno dei Problemi attribuiti erroneamente ad Aristotele, il 14, tratta espressamente degl'influssi del clima sulle forme somatiche. Ogni popolo è considerato nel Peripato quale un'unità culturale, e dei popoli si tenta una tipologia, così come Teofrasto traccia nei suoi Caratteri una tipologia degl'individui moralmente difettosi. Per quanto poco di letteratura peripatetica sia conservato direttamente, tali progressi non vanno perduti per lo svolgimento della disciplina etnografica. Se un contemporaneo di Aristotele, Teopompo, negli excursus etnografici della sua opera storica imita esternamente i metodi descrittivi di Erodoto, pur dando secondo il gusto del tempo maggior rilievo alla cultura materiale, specie nelle sue forme più eccessive, il lusso e la lussuria (celebre è per questo rispetto il grande frammento sugli Etruschi), gli storici di Alessandro, per quello che possiamo ricostruire dai frammenti e dalle compilazioni posteriori, applicano i metodi peripatetici al grande paese scoperto di fresco, l'India: Nearco confronta l'aspetto somatico degl'Indiani del nord con quello degli Egizî, quello degl'Indiani del sud con quello degli Etiopi, e spiega le differenze con considerazioni climatiche: le sue descrizioni del vestito e dell'armatura indiana sono notevoli per esattezza scientifica; Megastene dà una caratteristica del popolo indiano, mettendo in rilievo i suoi pregi principali di sobrietà e semplicità. È evidente che la topica erodotea è qui morta: di divinità, sepoltura, mantica non si parla più; ma la tendenza all'idealizzazione dei "selvaggi" è ancor viva. Essa non morrà sino alla fine dell'antichità classica.
Excursus etnografici non mancano da un certo punto in poi in nessuna opera storica o geografica di alte aspirazioni: ve n'erano nel libro, ben ricostruibile, di Agatarchide di Cnido sul Mar Rosso, come ve n'erano stati prima (e sono anch'essi ricostruiti) nella storia di Timeo (sec. IV-III). Con Timeo divengono oggetto principale dell'etnografia i popoli dell'Occidente. Ma Timeo, retore ed erudito, lavora di solito di seconda mano, e non dà mai o quasi mai contributi originali.
Di ben diversa importanza è l'attività di Posidonio di Apamea (sec. I a. C.), il maggiore e il più letto fra gli etnografi dell'antichità. Diffuse descrizioni etnografiche di popoli contenevano gli excursus alle sue storie, ma di etnografia si occupava in un maggior complesso anche l'opera geofisica intorno all'oceano (Περὶὠκεανου0). Quest'ultima è nota più che altro attraverso Strabone; le storie sono, specialmente nelle parti geografico-etnografiche, bene ricostruibili dalle citazioni in Ateneo e attraverso l'uso che ne fecero Cesare, Strabone, Vitruvio, Giustino, Plutarco, Appiano, Pomponio Mela, Plinio, ecc., ma specie Diodoro Siculo nei libri XXXII-XXXVII. Anzi negli ultimi anni si era proceduto tropp'oltre, riconducendo a Posidonio osservazioni e dottrine che non gli appartengono, p. es. l'etnografia astrologica che troviamo nella Tetrabiblos di Tolomeo (la quale con Posidonio non ha molto di comune) e la scoperta che i Germani non erano una stirpe celtica, che è forse merito di Cesare. Ma il ricchissimo materiale sicuro consente anche alla critica più cauta deduzioni assai larghe. Posidonio, contrariamente a Timeo, ha spirito, più ancora che di letterato, di ricercatore: controlla rigorosamente il materiale fornitogli dagl'informatori, né rifugge da viaggi in terre lontane (fu senza dubbio a Marsiglia e persino a Cadice). Sono ricostruibili quali excursus delle storie almeno cinque descrizioni etnografiche dei Celti, dei Celtiberi e Lusitani, dei Libî, dei Liguri, degli Etruschi, vale a dire di tutti, si può dire, i popoli più interessanti del Mediterraneo occidentale. Ma alcune citazioni mostrano ch'egli ebbe anche interesse per la più antica storia culturale dei Romani e in genere degl'Italici (osservazioni sul sistema onomastico) e specialissimo per quella dei Giudei. Egli è fornito di eminente capacità di osservazione, ma anche di un non inferiore potere sintetico: sa rendere la vita di ogni popolo quale unità nella totalità, subordinando e coordinando tra loro particolari veramente caratteristici, sì da dare per ognuno un quadro chiaro e ricco di colore. Parecchi dei metodi adottati dall'etnografia moderna sono da lui già praticati: così quello, già accennato del resto da Tucidide, d'indurre dal confronto con gli attuali primitivi gli stadî preistorici della vita dei popoli presentemente civili: Omero è per lui, a ragione, fonte principale per la preistoria del popolo greco, ma egli scopre nei selvaggi usanze che corrispondono a quelle omeriche. Naturalmente rimangono ancora detriti illuministici: Posidonio attribuisce i progressi nella storia della civiltà (la quale egli considera come un'unità) secondo le dottrine stoiche ai "savî" insieme sacerdoti, filosofi e legislatori (uno di questi sarebbe stato Mosè). E tende certamente, per quanto questo sia stato di recente negato, ad attribuire sapienza singolare a popoli relativamente primitivi (p. es. ai Celti), continua cioè nell'idealizzazione dei popoli primitivi, ereditata dalla storiografia ionica. Posidonio notò anche conformità negli usi tra popoli selvaggi ora lontani gli uni dagli altri e tendeva a spiegarle - secondo un metodo greco, al quale l'instabilìtà di sede, propria dei popoli dell'Europa centrale, sembrava allora fornire la migliore conferma - con successive emigrazioni. Egli prosegue la tradizione ionica con il mettere in relazione (nell'opera Intorno all'oceano?) il clima con l'aspetto somatico e le qualità psichiche dei singoli popoli. Non a caso il calore solare ha grande parte in queste spiegazioni: nel sistema filosofico di Posidonio il sole è il centro del mondo.
Da Posidonio in poi non si può dire che l'etnografia antica abbia fatto progressi di principio o metodici. Dall'esempio di Posidonio sarà dipeso Varrone nella sua opera perduta (tranne pochi frammenti) De vita populi Romani, una storia culturale del proprio popolo. Gli excursus etnografici che ormai sono ornamento indispensabile di qualunque opera storica e devono servire anche al diletto del lettore, seguono i soliti schemi o nel migliore dei casi l'esempio di Posidonio. Questo vale anche per un geografo assennato e prudente, se pur non di grande ala, quale fu Strabone, il quale tuttavia ha il merito di aver conservato nella sua compilazione infinite notizie etnografiche sui più svariati popoli. Fa eccezione Cesare: egli, nell'inserire un excursus sui Galli nelle sue relazioni di ufficio, proprio cvn il fine di trasformarle in storia, usa liberamente di Posidonio, ma senza troppo riguardo all'unità e all'ordine aggiunge di suo osservazioni su usi giuridici che dovevano particolarmente interessare i suoi Romani e sono per noi preziosissime. Ma anche l'excursus sui Germani, che egli, come dicemmo, forse per primo distinse dai Celti, per quanto più povero, attesta curiosità non superficiale: le notizie risaliranno per la maggior parte a informazioni di commercianti.
E informazioni di commercianti saranno anche la fonte più fresca delle notizie che Tacito ci dà degli usi dei Germani nell'unica monografia propriamente etnografica che ci sia rimasta dell'antichità classica, la Germania (89 d. C.), se pure per buona parte egli avrà attinto a tale fonte non direttamente, ma attraverso libri, specie i Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, i quali alla loro volta dipendevano in parte da Livio. Anche Tacito segue i metodi di Posidonio, se pure è dubbio ch'egli abbia avuto in mano l'opera di lui. Ma la tendenza della quale in Posidonio pare fossero solo tracce, sebbene non dubbie, la tendenza a idealizzare i popoli primitivi, anima qui tutta l'opera, forma il centro spirituale di essa. La Germania povera e pura è opposta con perfetta consapevolezza alla civiltà romana ricca e raffinata ma decadente. Questa tendenza diminuisce senza dubbio il valore documentario dell'operetta di Tacito, se pur si deve dire che le ricerche dei germanisti portano a concludere che essa è in complesso veritiera e degna di fede e tutt'al più si deve osservare che dal complesso si ha un'impressione di condizioni più primitive che non fossero indubbiamente quelle dei Germani di quel tempo, che erano già venuti in contatto con civiltà superiori: la celtica e la romana. L'opera è ben ordinata, e la vita pubblica e privata dei Germani bene caratterizzata nella sua totalità, com'era possibile solo dopo Posidonio. Dapprima sono trattati i confini del paese, l'origine del popolo, il clima, i prodotti. Segue la vita pubblica: usi guerreschi e religiosi, stato, tribunali, istituzioni quali la clientela e simili. Poi la vita privata: abitazioni, vestito, matrimonio, educazione dei figlioli, diritto ereditario, vendette, ospitalità, alimentazione, divertimenti: qui l'idealizzazione è maggiore, ma anche (come in Cesare) più vivo l'interesse specie per tutto ciò che è diritto. Segue una rappresentazione delle condizioni sociali (schiavi e liberti) ed economiche (denaro e agricoltura), da ultimo sepoltura e culto dei morti. Poi la trattazione dei singoli popoli, nella quale si dà pure particolare risalto alle particolarità etniche di ciascuno. Da ultimo sono trattate, con particolari favolosi, le tribù più lontane: non manca neppure una menzione, sia pur dubitosa, di esseri che hanno volto di uomo, ma il resto ferino.
A un livello molto inferiore stanno le parti geografiche ed etnologiche della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (morto nel 79), cioè i libri III-VI. Plinio è il più puro tipo del polistore compilatore e fa tanto poco mistero del suo modo di lavorare che premette alla sua opera un indice di autori disposti, come si è visto già da parecchio tempo, secondo l'ordine nel quale li ha compilati. Egli, come non intende la natura e manca completamente di spirito critico, così non ha l'energia spirituale necessaria per fondere in uno gli elementi della sua compilazione, derivata tuttavia in questa parte da buone fonti. La mancanza di spirito critico lo porta a concedere nella sua opera a popoli favolosi assai maggiore spazio di quel che si attenderebbe da uno studioso posteriore a Posidonio. Ma proprio queste parti meravigliose sono state compilate dai più recenti, p. es. da Solino nei suoi Collectanea rerum memorabilium (sec. III).
Nell'etnografia antica è costante una qualità negativa: per aggruppare i popoli essa non si serve di criterî linguistici, come si è del resto cominciato a fare sistematicamente solo nel sec. XIX. I popoli per l'etnografia antica parlano lingue diverse o la stessa lingua, non lingue più o meno affini oppure di gruppo diverso.
Rinnovamento e sviluppo delle conoscenze nell'età medievale e moderna. - L'ignoranza della letteratura classica greca in Occidente durante il Medioevo, significò per l'etnologia la perdita della maggior parte delle conoscenze acquisite dagli antichi. Sopravvissero alcune aride enumerazioni di genti e le descrizioni di popoli mostruosi e favolosi, sul genere di quelle contenute nell'opera di Solino, che nutrì con le sue informazioni tutta la letteratura geografica ed etnografica del primo Medioevo. Con l'aggiunta di qualche riflesso biblico e di qualche nome etnico nuovo portato dalle invasioni barbariche, l'etnografia soliniana passa anche alle figurazioni cartografiche, e i più adorni e ricchi mappamondi medievali, come quelli di Ebstorf e di Hereford (1283-84), ne dànno un'interessante delineazione grafica. Le vecchie favole si possono leggere, ancora quasi intatte, nel Dittamondo che Fazio degli Uberti dettava sui primi del Trecento, e molte tracce di esse persistono fino alle "cosmografie" del secolo XVI (Seb. Münster).
Ma nell'etnologia, ricaduta così ai balbettamenti della sua prima infanzia, nel sec. XIII era incominciata la ripresa delle conoscenze, attraverso i viaggi e le relazioni di coloro che superavano i confini del ristretto mondo occidentale e cristiano. Il progresso delle conoscenze etnografiche s'identifica, da allora, con quello delle conoscenze geografiche e non è qui necessario delinearne i momenti caratteristici. Va notato soltanto che il maggior contributo d'informazioni sui popoli che si andavano avvicinando e discoprendo ci viene offerto dagl'Italiani, non solo perché sono italiani in parte notevole i missionarî, i viaggiatori e gli scopritori, ma perché dalle loro attitudini letterarie, la vita dei popoli visitati viene ad essere più frequentemente e felicemente lumeggiata. La Historia Mongalorum del minorita Giovanni di Pian de' Carpini (1245-47), il libro di Marco Polo, le relazioni del b. fra Odorico da Pordenone (1316-30) e di Niccolò de' Conti (1414-35), ne dànno gli esempî migliori per il periodo delle peregrinazioni nell'Asia, come le relazioni di Alvise da Mosto, Colombo, Vespucci, Giovanni da Empoli, Andrea Corsali, Antonio Pigafetta, Filippo Sassetti, per il periodo delle grandi navigazioni. Missionarî e viaggiatori italiani e stranieri raccolgono e diffondono nuove conoscenze con crescente attività: l'interesse delle persone colte è ugualmente vivo per le informazioni sui paesi e sulle genti, e nella seconda metà del sec. XVI s'iniziano anche le raccolte di relazioni sui paesi lontani, venendo fra le prime le Navigationi et Viaggi di G. B. Ramusio (Venezia 1550 segg.) e gli Avisi delle Indie, del Giappone, della Cina, che i celebri editori veneti Tramezzino e Gioliti e i romani Blado e Zenetti cavano dalle lettere inviate di colà dai gesuiti e divulgano con gran successo librario. Ma per lungo tempo, sin da quando (sec. XV) s'iniziano i contatti con le genti meno civili dell'Africa e dell'America, le notizie date su di essi dai navigatori recano un senso di dispregio per il loro modo di vita, descrivono di preferenza i costumi più inusuali e crudeli, le atrocità e le perversità, esagerano la povertà di beni materiali e spirituali. Da questa tendenza, tanto contrastante p. es. con la comprensione e l'umanità che traspaiono dal libro di Marco Polo, e nonostante che le relazioni dei missionarî presentino, anche in questo periodo di tumultuose scoperte, un ben diverso aspetto e valore, venne il termine di "selvaggi", usato già alla fine del sec. XVI e poi sempre più diffuso sino a entrare stabilmente nelle principali lingue europee. E con il termine, il concetto di un'umanità vivente ancora in uno stato prossimo alla selvatichezza che fornirà ai primi storici e filosofi della civiltà (Bodin, Hobbes, Vico) l'idea di un analogo stato originario dell'intera umanità. All'infuori di questa, le idee generali e comparative sono estremamente scarse. Un problema particolare era però costituito dall'America e dalla necessità di collegare in qualche modo il suo popolamento alla discendenza di Adamo. E dalla considerazione di tale problema sorgono i primi tentativi di una comparazione di costumi e di oggetti fra i popoli indigeni dell'America e quelli dell'antico mondo, raccogliendosi a varie riprese, da frate Gregorio García (Origen de los Indios de el Nuevo Mundo, Valenza 1606), da Simon de Vries (Utrecht I682) e soprattutto dal gesuita J.-Fr. Lafitau (Møurs des sauvages amériquains, comparées aux møurs des premiers temps, Parigi 1724), in siffatta ricerca di elementi simili, le prove di antiche migrazioni dall'Europa all'America. Ma nello stesso tempo, il saggio di Fontenelle su L'origine des fables (1724) e quello del presidente De Brosses Du culte des dieux fétiches (1760), se anche frutto di dilettantismo letterario, mostrano come fosse in procinto di maturare lo sviluppo dell'indagine etnologica comparativa.
Le grandi navigazioni nell'oceano Pacifico, nella seconda metà del sec. XVIII, portano gli Europei a contatto con un territorio etnico ancora più vario, con nuove culture, assai dissimili per contenuto e per grado. La rivelazione di questo mondo etnico coincide anche con un movimento filosofico che tende a valutare, talora a sopravvalutare, i popoli viventi "allo stato naturale" (Rousseau), che ha affermato l'unità spirituale del genere umano (Voltaire), che cerca nella vita dei popoli naturali i principî della storia dell'umanità (Condorcet, Herder). Queste idee passano anche ai viaggiatori, e il quadro che Bougainville, Cook, Forster ci presentano delle genti visitate nel Pacifico, come quello che Levaillant ci fa delle tribù dell'Africa australe, è dominato dalla simpatia umana, dalla tendenza ai raffronti e alla comparazione, dalla preoccupazione di non lasciare inesplorato alcun campo della vita degl'indigeni. E i due Forster, che meglio rappresentano queste qualità, sono con qualche ragione indicati tra i fondatori della scienza etnologica moderna.
Il materiale di osservazione raccolto sui popoli della terra è, ai primi dell'Ottocento, ingente: ma esso non riesce ancora a districarsi dal corpo delle discipline che per antica tradizione lo contengono, come la geografia, o che si sono da poco costituite e tendono a impadronirsene, come la linguistica e l'antropologia. Le prime raccolte generali di osservazioni etnologiche si trovano quindi nei trattati di geografia descrittiva, nei quali appaiono talora, come nelle opere di C. Ritter, con buoni quadri sintetici, mentre anche in opere di carattere divulgativo traspare l'abbondanza della materia (v. L' Universo o Storia e descrizione di tutti i popoli, trad. it., Venezia 1838-53), abbondanza che dà poi vita, per suo conto, alle numerose "gallerie" e compilazioni di "usi e costumi" dei popoli antichi e moderni. In realtà, soltanto i progressi metodici della linguistica e dell'antropologia hanno condotto a maturità scientifica anche la materia etnologica, finché questa ha potuto staccarsene e costituire un corpo separato di conoscenze e di dottrina. Il I859 è forse uno degli anni più significativi nella storia moderna dell'etnologia: in esso avveniva la pubblicazione del libro di Darwin su L'origine delle specie, che doveva dominare le dottrine etnologiche, già preparate dalla sociologia evoluzionistica (Comte, Spencer), per tutto il sec. XIX, e il primo volume dell'Antropologia di Th. Waitz, cioè del primo vasto compendio scientifico della materia etnologica; nello stesso anno avveniva con il concorso di Ch. Lyell il riconoscimento delle scoperte preistoriche di J. Boucher des Perthes; a Parigi, la fondazione per opera di P. Broca della Société d'anthropologie provocava la secessione degli etnologi e la formazione della Société d'ethnologie; a Berlino, rientrava dal primo viaggio di esplorazione etnologica Adolf Bastian, che doveva fornire all'etnologia le prime teorie generali indipendenti, i primi sicuri insegnamenti metodici, la fondazione del primo Museo. La storia successiva della scienza comprende, da un lato la continuazione delle osservazioni, dall'altro la formazione di scienziati che, se anche non sono etnologi in modo prevalente o esclusivo, dedicano all'etnologia una parte considerevole della loro attività. Essi muovono talora dal campo delle ricerche preistoriche, come, in Inghilterra, sir John Lubbock e E. B. Tylor e in Germania M. Hoernes; o dalla linguistica, come, in Germania, F. Müller e negli Stati Uniti D. Brinton; o più spesso, dovunque, dagli studî di antropologia etnica, che forniscono forse la più folta schiera di studiosi (E. T. Hamy, Paolo Mantegazza, A. H. Keane, ecc.), nei quali tuttavia l'attenzione alla materia antropologica domina e soverchia generalmente quella data ai fenomeni strettamente etnologici. I contributi più importanti vengono ancora a questi dal campo geografico, con i più vecchi compendî di Fr. v. Hellwald e di O. Peschel, con le opere di G. Gerland, cui si deve anche il primo, e finora unico, atlante etnografico (1892) nel quale non sia considerato soltanto il linguaggio, e con gli scritti e gl'insegnamenti del Ratzel. I cultori esclusivi dell'etnologia, contribuiscono d'altra parte a sviluppare il lato induttivo e comparativo (A. Bastian, R. Andree, O. T. Mason).
Tutto il rimanente periodo del sec. XIX è contrassegnato soprattutto dal moltiplicarsi degli studî particolari e dalla fondazione e dal graduale arricchimento dei musei etnografici, alcuni dei quali organizzano anche apposite spedizioni di raccolta e di studio. I musei si sviluppano, in numero e importanza, specialmente nei paesi tedeschi e negli Stati Uniti. Ma anche in Italia, due notevoli raccolte, sotto l'impulso di P. Mantegazza e di L. Pigorini, si formano a Firenze e a Roma, che testimoniano pure della parte attiva presa dai viaggiatori italiani moderni all'esplorazione etnologica; ad esse si è poi aggiunto il Museo missionario del Laterano ordinato nel 1926 da padre W. Schmidt. A Parigi e a Londra si formano le vaste preziose raccolte del Trocadéro e del British Museum. Ma in realtà poche città che abbiano una qualche funzione culturale sono oggi prive di raccolte etnografiche. La Russia sovietica, i dominî coloniali, le civiltà orientali in via di trasformazione, dànno pure ad esse un nuovo impulso di organizzazione, perché soltanto nei musei di etnografia si possono salvare i documenti delle culture umane inferiori che la diffusione della civiltà moderna sta alterando ed eliminando con impressionante rapidità. Intorno ai musei si dovrà necessariamente svolgere la principale attività etnologica futura. Il secolo presente mostra di voler tendere soprattutto a una revisione critica delle osservazioni, specie nel campo della cultura spirituale, al lavoro di sintesi e al distacco definitivo dell'etnologia dalle scienze che ne hanno assistito lo sviluppo e, insieme, alla chiarificazione dei rapporti esistenti con esse.
Rapporti con altre scienze.
Antropologia, psicologia, linguistica. - Nel suo sviluppo storico l'etnologia ha avuto legami particolarmente stretti con l'antropologia e con la linguistica, e con queste scienze essa conserva tuttora contatti numerosi nello studio dei gruppi umani. Da un punto di vista generale e pratico, con la riserva delle eccezioni che saranno poste in rilievo fra poco, si può dire che antropologia, linguistica ed etnologia sono sullo stesso piano nello studio delle tre principali categorie di fatti presentate dai popoli; i caratteri di razza, i caratteri linguistici, i caratteri culturali, e ciascuna di queste categorie è infatti studiata oggi separatamente. Sussistono però argomenti che non è agevole assegnare a una sola di queste scienze. A quale di esse spetta per es. lo studio delle manifestazioni psichiche? Ordinariamente lo si assegna all'etnologia, intendendo appunto che a questa spetti l'indagine dei caratteri spirituali, in contrapposto ai caratteri corporei che sono l'oggetto dell'antropologia. Ma la psicologia di un popolo, come quella dell'individuo, è la risultante di fatti profondamente diversi che si possono raccogliere in due classi: il patrimonio intellettuale e morale acquisito, espressione della cultura, e le facoltà psichiche ereditarie, espressione della razza. La distinzione che viene fatta con relativa facilità, negli ordinarî contatti della vita e nell'analisi della psicologia individuale, quella che si fa, per es., ordinariamente fra carattere e cultura di un individuo, è però di applicazione difficile nell'analisi della psicologia dei gruppi, perché in questi lo studio dell'eredità dei caratteri psichici è appena ai suoi inizî. Ma la razza ha indubbiamente un contenuto, non soltanto anatomico e fisiologico, ma anche psichico, e nelle manifestazioni della vita di un gruppo umano è luogo a distinguere una psicologia raziale e una psicologia sociale. Se il problema dell'attribuzione di questi oggetti alle scienze cui logicamente spettano, cioè rispettivamente all'antropologia e all'etnologia, non ha carattere d'urgenza, ciò dipende in sostanza dal fatto che le indagini dirette alla loro esatta identificazione sono in uno stadio di scarso sviluppo. Da un altro lato, in queste indagini, e specialmente nella raccolta del materiale d'osservazione, ha una parte fondamentale la linguistica: e si può concludere che attualmente le tre scienze esercitano, sul territorio della psicologia dei popoli, una forma di condominio nel quale le attribuzioni e i poteri di ciascuna sono ancora mal definiti.
I rapporti dell'etnologia con la linguistica non si limitano però al campo psicologico. Per la definizione stessa di "popolo" si ricorre alla lingua, giacché di tutti i caratteri che permettono d'individuare un aggruppamento umano, quello del linguaggio comune ai suoi componenti è il più semplice a definirsi, più semplice di tutti i caratteri culturali o sociali. La filologia comparativa, o linguistica, ha pertanto fornito, e fornisce tuttora, i materiali per la classificazione dei popoli e le stesse carte etnografiche sono, essenzialmente, carte linguistiche. Questo sussidio viene a mancare, o per lo meno ad affievolirsi, quando si considerano gli aggruppamenti umani elementari: il piccolo gruppo locale, il clan, la tribù, perché l'analisi linguistica non scende ordinariamente ad essi (ma tende sempre più a farlo), e l'identificazione dei gruppi è in tal caso determinata da criterî di abitato o sociali. Alla linguistica, anche dopo l'identificazione degli aggruppamenti etnici, l'etnologia deve poi continuamente ricorrere per l'analisi delle manifestazioni della loro cultura, che è l'oggetto precipuo della ricerca etnologica perché i nomi e le cose formano un'unità inscindibile. È vero che, a rigore, il linguaggio costituisce appunto una di queste manifestazioni: il suo studio dovrebbe quindi far parte dell'etnologia. Ma poiché l'importanza e lo sviluppo preso dalla linguistica le han dato prima ancora che a l'etnologia, la funzione di una scienza pienamente indipendente, le due discipline si devono comportare come scienze complementari e necessariamente associate. E ciò è tanto vero che l'indagine etnologica e quella linguistica sono ormai con crescente frequenza condotte simultaneamente e spesso dalla stessa persona. Finalmente, la linguistica offre un aiuto prezioso all'etnologia quando questa tenti di risalire dal presente al passato, perché la lingua, se è più labile della razza, è però sotto certi rispetti meno labile della cultura: ne dànno un esempio ben noto le indagini di toponomastica e di onomastica, per cui l'analisi di fatti linguistici residuali, in una data area, consente di lumeggiare in parte i fenomeni di sovrapposizioni etniche o successioni di elementi culturali. In ultima analisi, l'antropologia (fisica), la linguistica e l'etnologia hanno tutte un compito analitico d'indagine locale, cioè sui popoli e sui minori aggruppamenti naturali dell'uomo: per uno stesso popolo le tre categorie d'indagine sono ugualmente necessarie ed è anche opportuna la comparazione dei risultati che ciascuna di esse ha separatamente raggiunto per affrontare il problema della composizione somatica e culturale del popolo in questione, quello che si suol chiamare il problema delle origini (etnogenesi). Ma ciascuna delle tre scienze ha pure un compito di sintesi generale, dalla quale deve scaturire l'identificazione e la classificazione dei fenomeni emersi dall'indagine locale. Anche i resultati di questa sintesi generale potranno poi essere posti a confronto, per valutare quali coincidenze e quali divergenze appaiano nella distribuzione delle razze, delle lingue e delle culture. Lo studio dei fenomeni etnografici costituisce quella che si chiama l'etnologia generale, lo studio etnografico dei gruppi umani forma il compito dell'etnologia o etnografia speciale.
Storia, preistoria, folklore. - L'applicazione dei concetti esposti, nella divisione del lavoro d'indagine, avviene normalmente quando questa si rivolge ai gruppi umani meno civili. Per i popoli civili, mentre all'antropologia e alla linguistica rimane intatto il rispettivo campo di studio, l'etnologia lo trova invece già occupato da altre discipline, quelle che ne analizzano o ne esprimono le condizioni attuali di vita, e soprattutto quelle che ne studiano lo sviluppo, cioè le scienze storiche. Si è dovuto quindi assai presto chiarire che all'etnologia compete lo studio dei popoli senza storia o esostorici (Steinthal, 1864). Scriveva il Bastian: "L'estensione dell'etnologia non può essere data, provvisoriamente, se non in modo negativo, assegnandole tutta la nostra conoscenza dell'umanità, in quanto non sia già compresa nel dominio dei popoli storici". In tal modo l'etnologia si vede tolti i prodotti più elevati della storia dell'uomo. Ma il suo compito "sarà precisamente di fortificare il lato induttivo della storia e di lumeggiare le vie per le quali potrà esserne seguito il cammino. Iniziando lo studio della psicologia comparata dalle forme meno elevate e più semplici, si avrà un filo conduttore promettente un graduale chiarimento anche nel labirinto delle produzioni più complesse della civiltà" (Grundzüge der Ethnol., 1884). Questo punto di vista non è mai stato seriamente contestato, e le riserve di qualche studioso derivano dal fatto che il confine fra popoli storici ed esostorici, tra fenomeni storici ed etnografici, è tutt'altro che semplice e netto. Se vi sono infatti popoli che cadono completamente nel dominio della storia, come, poniamo, il popolo italiano, e altri che ne sono totalmente fuori, come i Tasmaniani o gli Andamanesi, ve ne sono pure che nella storia entrano parzialmente, in quanto una parte dei loro movimenti territoriali o una parte della loro cultura può essere storicamente documentata: popoli che sono entrati occasionalmente o parzialmente nella sfera d'influsso delle civiltà superiori. Nella stessa etnologia particolare dei gruppi, la limitazione fra il campo della storia e quello dell'etnologia non può quindi essere data da un elenco dei popoli che competono a ciascuno, ma per tutta una numerosa categoria di popoli semicivili sia la ricerca storica sia quella etnologica divengono necessarie. E in seno agli stessi popoli civili la civiltà non si estende ugualmente a tutti i suoi componenti, non informa di sé tutta la popolazione. Gli strati inferiori di questa vi partecipano incompletamente, sia per taluni riguardi della vita materiale, sia, soprattutto, nelle manifestazioni dello spirito: il "popolo" nelle società civili conserva residui di culture anteriori, talora assai remote o primitive, che possono ricevere qualche lume dalla storia e dalla filologia, ma assai spesso trascendono anche i mezzi di queste e possono avere chiarimento soltanto dall'etnologia comparata. Dall'analisi di questi fenomeni, in seno ai popoli storici e civili, è sorta una scienza particolare che è lo "studio del popolo", la Volkskunde dei Tedeschi, in contrapposto allo studio dei popoli, o Völkerkunde: lo studio insomma delle tradizioni popolari o folklore (v.), che ha necessariamente stretti rapporti con la storia, ma è in sostanza parte dell'etnologia e ne rappresenta il naturale prolungamento nel dominio delle civiltà superiori.
Un altro terreno d'incontro fra la storia e l'etnologia è nel loro innesto all'archeologia preistorica o preistoria. La ricerca e lo studio delle tracce delle culture che hanno successivamente occupato una data area etnica, anteriormente alla loro documentazione storica, si è iniziato e per lungo tempo si è proseguito soltanto nel territorio dei popoli più civili. Ma attualmente le ricerche preistoriche si conducono, dovunque è possibile, senza riguardo allo stato di civiltà ultimamente raggiunto: la preistoria siberiana, o eschimese, o sud-africana raccoglie quindi elementi che tendono a costituire insieme con la preistoria, per es., dell'India, della Cina o dell'Europa, un unico complesso di elementi d'informazione, i quali vanno a innestarsi alla storia dello sviluppo di tutte le forme di civiltà, superiori, medie e inferiori, vanno dunque da un lato verso le scienze storiche, dall'altro verso l'etnologia. Non solo, ma risalendo da una qualsiasi delle culture attuali ai suoi precedenti, s'incontrano continuamente oggetti che in tempi storici persistevano in altre aree culturali, o persistono tuttora nelle culture meno elevate. S'impone per conseguenza la comparazione fra i risultati delle ricerche preistoriche e quelli delle ricerche storiche ed etnologiche, per il raggiungimento di un compito comune: la storia dello sviluppo civile dell'uomo. Così, nel campo dell'etnologia generale, quando si prenda ad esaminare "storicamente" un oggetto, un'istituzione sociale, un mito, la ricerca non può far distinzione tra fenomeni esostorici e storici: quelli, rappresentati dalla vita dei primitivi attuali o dalle tracce delle culture estinte, costituiscono la premessa necessaria di questi.
Nelle ricerche e nei trattati di preistoria (Urgeschichte) si trovano spesso associati lo studio delle culture estinte con quello dei resti scheletrici dei loro portatori. L'associazione è determinata dal fatto che, con l'ausilio delle indagini geologiche e con lo studio dei relitti faunistici e floristici, la preistoria tende a un suo fine particolare, che è l'esposizione completa di tutto quanto riguardi l'uomo in determinate fasi del suo passato preistorico, in determinate regioni: scopo ultimo è la ricostruzione della successione cronologica di tali fasi. Ma i fenomeni associati in questo speciale campo di ricerche non cessano di essere distinti, e la preistoria si scompone in realtà in due branche separate d'indagini, che hanno cultori e mezzi di studio indipendenti, l'antropologia preistorica o paleoantropologia e l'etnologia preistorica o paletnologia, i cui rapporti reciproci sono identici a quelli che intercorrono fra le scienze che studiano i fenomeni storici e attuali. Quello che si è detto per l'archeologia preistorica vale anche per l'archeologia in genere, non essendoci differenza di contenuto, nei riguardi dei popoli e dei fenomeni che entrano nei compiti dell'etnologia, fra l'una e l'altra: l'archeologia, per le aree esostoriche, è naturalmente tutta preistorica. Il termine più comprensivo di archeologia è usato però di preferenza nei riguardi dei resti delle culture medie o elevate che si sono svolte interamente fuori della cerchia dei popoli civili occidentali, com'è avvenuto per le civiltà indigene dell'America. L'archeologia americana costituisce il nucleo centrale dell'americanistica (v. questa voce e america: Etnologia).
Scienze comparative dei fenomeni economici, giuridici, religiosi, ecc. - Mentre l'etnologia si concretava nello studio delle culture inferiori, contrapponendosi quasi alla storia come una scienza dei popoli esostorici, avveniva che varie discipline movessero allo studio di qualche particolare campo dell'attività umana (materiale, mentale o sociale) tenendo conto tanto delle culture superiori e storiche, quanto delle culture inferiori. Ne abbiamo già veduto un esempio nella linguistica. In generale, le discipline in questione hanno iniziato la loro costituzione sui materiali offerti dai popoli civili e hanno poi gradualmente esteso la loro indagine comparativa ai meno civili, invadendo il campo dell'etnologia in modo talvolta così profondo da sostituirsi ad essa. Occorre dunque darne una rapida enumerazione. Nello studio dell'economia, la quale interessa specialmente il campo della cultura materiale, dopo i più vecchi autori (Adam Smith 1776, F. List 1839, K. Knies 1853, W. Roscher 1854, A. Nowacki 1880), l'indirizzo comparativo si allarga nei contributi di S. Cognetti de Martiis (1881), Ed. Hahn (1896-1904), K. Bücher (1893), E. Grosse (1896) e H. Cunow (1925). Più numerose e non sempre ben differenziate negli oggetti di studio, appaiono le scienze che si sono rivolte alle forme dell'attività sociale e spirituale, allo studio comparativo degl'istituti famigliari e sociali, del diritto, delle religioni, dell'arte. Nei paesi anglosassoni e latini si è sviluppata soprattutto la sociologia (v.), dominata sin dall'inizio dalla preoccupazione di giungere alla costruzione di schemi evoluzionistici applicabili all'intera umanità, e svolgentesi poi in numerose scuole e tendenze nelle quali manca talvolta del tutto la presa in considerazione delle osservazioni etnologiche, e talaltra queste sono utilizzate con scarsa cautela critica (Ch. Letourneau; Le Play e gli scrittori de La Science sociale). L'indirizzo odierno è però verso una più stretta connessione con l'etnologia, come è dimostrato dall'attività del gruppo di studiosi de l'Année sociologique (E. Durkheim, H. Hubert, O. Mauss). In Germania, invece, si è costituita la psicologia comparativa o etnica, pure con tendenze evoluzionistiche, ma con più strette aderenze alla storia e alla linguistica: nel 1860 M. Lazarus e H. Steinthal fondarono la Zeitschrift für Völkerpsychologie und Sprachwissenschaft, assegnando alla scienza lo studio di tutte le manifestazioni spirituali di tutti i popoli della terra in ogni grado di cultura. W. Wundt cercò poi di fissarne meglio i limiti con lo stabilire "nella lingua, nei miti e nelle usanze" i punti fondamentali della ricerca comparativa. Si possono considerare come branche speciali della psicologia etnica la scienza comparata del diritto o etnologia giuridica (A. E. Post, S. R. Steinmetz, ecc.), e la scienza comparativa delle religioni (Max Müller, 1856, A. Lang, J. G. Frazer, ecc.), anch'esse sviluppatesi principalmente nei paesi tedeschi. Queste scienze, di fronte all'etnologia, presentano in comune un vantaggio, quello di non essere in alcun modo legate alla sola considerazione delle culture inferiori dei popoli esostorici, ma anche il grande svantaggio di avere un orizzonte più limitato, perché la restrizione della ricerca a una o più categorie di oggetti, che vengono in tal modo separati dal complesso organico delle culture cui appartengono, limita grandemente anche la possibilità di conclusioni generali sui processi storici di formazione e di successione dei fenomeni. Occorre però riconoscere che, per la loro stessa concentrazione, le scienze in questione hanno potuto rendere grandi servigi all'etnologia nell'analisi dei singoli fatti della cultura spirituale e sociale: d'altra parte, lo sviluppo delle ricerche e delle induzioni nelle scienze comparative della fenomenologia sociale e mentale dell'uomo, conduce queste a rapporti sempre più stretti con l'etnologia, e di fronte a questa effettiva collaborazione diviene superflua la questione se esse si debbano considerare branche dell'etnologia generale, scienze etnologiche, o scienze indipendenti alle quali l'etnologia si limiti a portare i suoi contributi e a richiedere occasionali chiarimenti.
Sono infine da considerare quei fatti che formano l'oggetto dei rapporti fra l'etnologia e la geografia: la localizzazione dei gruppi etnici, l'eventuale significato storico di essa nella ricostruzione dello sviluppo territoriale dei popoli e delle loro culture (situazione frammentaria, periferica, centrale, ecc.), i fenomeni universali di correlazione tra le forme della cultura e i caratteri dell'ambiente. Questi fatti, che sono di natura strettamente etnologica, sono presi in esame anche dall'antropogeografia. Se in questa spunta talvolta la tendenza ad accentuare eccessivamente l'importanza delle cause esterne, come è avvenuto sia nell'opera di alcuni etnologi (A. Bastian) sia in quella di qualche geografo moderno (P. Vidal de la Blache), vedremo però che la geografia umana, con l'apporto delle proprie induzioni e di particolari metodi d'indagine, ha avuto una parte essenziale nel determinare l'indirizzo più moderno del metodo dell'etnologia.
Metodo e teorie generali.
I fatti più appariscenti nelle manifestazioni culturali dei popoli della terra, antichi e moderni, sono, da un lato, le diversità complessive che si presentano da una regione a un'altra, e, da un altro lato, le somiglianze emergenti per particolari elementi della cultura fra regioni diverse, talora disgiunte e lontane. Se procediamo a una classificazione delle culture tenendo conto di tutti gli elementi che le compongono, riusciremo a stabilire un certo numero di provincie culturali. Per qualche esempio di rappresentazione, anche cartografica, di tali provincie culturali vedi voci africa I, p. 758 segg. e asia IV, p. 868 segg. Per lungo tempo l'etnologia ha concentrato i suoi sforzi sintetici nel descrivere e caratterizzare le aree culturali, e la maggior parte dei trattati svolge ancora la materia etnografica procedendo nella descrizione per aree culturali, quando non lo fa, anche più semplicemente, per aree geografiche o etnico-linguistiche. Quando tuttavia si è imposta la necessità di comparare gli aspetti e le forme che i singoli elementi della cultura presentano in aree culturali distinte, è sorto il problema dell'interpretazione delle somiglianze e delle diversità. Una delle prime teorie interpretative fu offerta dal Bastian. Questi sosteneva che tutti i popoli possiedono, come fondo psicologico primitivo della propria cultura, le stesse "idee elementari" (Elementargedanke) e che soltanto in uno stadio ulteriore di sviluppo si manifestano differenze, con l'apparizione di idee proprie ai singoli popoli (Völkergedanke), idee, cioè costumi e prodotti, determinati essenzialmente da cause esterne, ambientali, onde acquistano importanza le provincie geografiche della cultura: queste, finalmente, entrano in rapporti fra di loro per cause storiche. Di questa concezione, parte psicologica parte ambientale, delle somiglianze culturali e moderatamente evoluzionistica, il Bastian non diede tuttavia mai un'applicazione sistematica ed essa fu presto sommersa da nuove correnti nelle quali il principio evoluzionistico assumeva un più deciso rilievo. Più che dall'etnologia propria, queste venivano però dalle scienze affini: dalla storia o dall'economia politica, dalla sociologia o dalla psicologia etnica. L'intento comune era quello di fissare in un determinato schema le fasi evolutive attraverso le quali l'umanità sembrava esser passata, basandosi in modo principale o sulle forme dell'economia (il Koppers, in Anthropos, 1915-16, ha riassunto tutti i numerosi schemi presentati da questo punto di vista), o sulle crescenti complessità dell'organizzazione sociale (Spencer, Durkheim), o sul graduale arricchimento della vita materiale (Morgan), o sullo sviluppo successivo di talune fondamentali concezioni etico-sociali (Vierkandt, Wundt). Le cause esterne (ambientali) e le cause interne (psicologiche) hanno nelle diverse teorie parte maggiore o minore: ma in ogni caso vale in esse il principio che manifestazioni culturali simili rappresentano una similarità di fase evolutiva. Le somiglianze sono attribuite, in sostanza, a fenomeni di convergenza.
Contro queste teorie si spiegò soprattutto l'opera di un geografo, Friedrich Ratzel. Alla teoria della convergenza egli oppose quella della migrazione, vale a dire della diffusione storica di un'invenzione o di un costume da un dato luogo d'origine a una parte più o meno grande dell'ecumene. Aveva quindi grande importanza, nello stabilire il grado di probabilità di siffatta interpretazione, l'accertamento della totale ed esatta distribuzione dei singoli elementi della cultura, perché soltanto in seguito a questo primo accertamento è possibile porsi la questione se la presenza di un dato elemento culturale in varî luoghi della terra, presso diversi gruppi etnici, o in seno a distiute aree culturali, sia da attribuirsi a invenzioni indipendenti o all'emigrazione da un comune centro di origine. Il Ratzel stesso diede un primo esempio di ricerche condotte con questo metodo, che fu poi largamente adottato dagli etnologi. Esso ha contribuito a porre in evidenza come le culture derivino dalla combinazione di elementi venuti a sovrapporsi, in determinate aree, da diverse parti e in diversi tempi: non esistono forse più, sulla terra, culture pure, o semplici, come non esistono razze o lingue pure. Un passo successivo è stato fatto con il riconoscimento che certi elementi culturali mostrano la tendenza ad associarsi in taluni complessi caratteristici: e di questo il merito spetta al Frobenius e alla sua analisi delle culture oceaniche e africane, le quali mostrano appunto, a sì grande distanza le une dalle altre, tale abbondanza di elementi comuni da rendere del tutto inadeguata una spiegazione basata sulla teoria delle convergenze. Il Frobenius ha poi continuato nella ricostruzione dei complessi culturali, affinando da un lato l'analisi della morfologia in ciascun elemento preso in considerazione, curando, dall'altro, la precisione e l'abbondanza delle rappresentazioni cartografiche dei fatti di distribuzione e costruendo infine un suo quadro di "avvenimenti" nella storia culturale dell'umanità.
Dalle prime ricerche del Frobenius è derivata poi la scuola storica o culturistorica. Questa s'iniziò con un nuovo esame delle culture africane e oceaniche da parte rispettivamente di A. Ankermann e F. Graebner, ricevette poi contributi particolari da W. Foy, N. W. Thomas e altri etnologi e infine, con una decisiva estensione geografica e con l'assunzione in primo piano degli elementi sociali e spirituali della cultura, l'adesione del padre Willhelm Schmidt e l'attivissima sua opera e dei numerosi collaboratori dell'Anthropos: il movimento ha ricevuto nell'ultimo decennio molte nuove adesioni importanti (G. Montandon, W. Koppers, Lips, J. Imbelloni). Presentemente i risultati raccolti con tale indirizzo si sono concretati in sintesi alquanto diverse: una, più moderata nelle applicazioni, del Graebner (1923) della quale si può vedere nelle cartine qui riprodotte un riassunto grafico, quella dei padri Schmidt e Koppers (1924) esposta in altro luogo (v. culturali, cicli) e una terza, recentissima, di O. Menghin, nella quale questi ha cercato di utilizzare anche i risultati delle ricerche preistoriche e di coordinare le culture estinte alle attuali. Il numero dei cicli culturali vi è accresciuto, specie con la suddivisione della cosiddetta cultura pastorale del mondo antico; ma nei tratti essenziali il quadro del Menghin molto si accosta a quello dello Schmidt, dal quale deriva.
Va fatta infine menzione di un altro gruppo di studiosi di origine inglese (G. Elliot Smith, W. H. R. Rivers) che, senza rapporti diretti con la scuola storica, vi si accosta tuttavia per l'importanza che dà al criterio della diffusione della cultura (v. eliolitica, cultura). Lo stesso si può dire delle ricerche di alcuni americanisti che applicano largamente il metodo allo studio dei rapporti interni esistenti fra le culture americane, ma sono poco inclini ad ammettere rapporti con le culture oceaniche (Nordenskiöld).
È, nel complesso, un movimento fecondo d'idee e di ricerche, che ha rinnovato il corredo delle interpretazioni generali, giunte ormai a un punto morto, sottraendole alle preoccupazioni evoluzionistiche e riportando il problema sul terreno dell'osservazione. Ma non è ancora possibile accoglierne i risultati senza riserve. Alla scuola storica, in particolare, alcuni fanno l'addebito della troppo scarsa considerazione data ai rapporti fra la cultura e l'ambiente, e della posizione eccessivamente intransigente assunta di fronte ai concetti evoluzionistici. Nei risultati particolari, appaiono poco soddisfacenti i raccordi con la preistoria e l'applicazione alle culture americane dei cicli identificati nell'Oceania: molto dubbio è il carattere di profonda primitività dato dallo Schmidt al ciclo dei Pigmei e Pigmoidi, assai problematico il carattere arcaico e primario conferito al ciclo pastorale (v. domesticazione). Nella stessa attribuzione degli elementi caratteristici ai cicli più chiaramente identificati può darsi che debbano intervenire rettifiche importanti. Si può osservare inoltre che anche in questo metodo c'è un preconcetto: quello della monogenesi degli elementi culturali, delle invenzioni e delle idee dell'uomo. Ma il concetto dell'origine unica e della diffusione, oltre a essere confermato da tutta l'esperienza storica, è un assunto logico, perché è più facile logicamente ritenere che un oggetto o un costume siano passati da un paese a un altro, con i loro portatori o anche senza di essi, che non ammettere che oggetti o costumi praticamente uguali siano stati creati in maniera indipendente in più luoghi. Ed è in ogni modo soltanto un assunto iniziale: esso può essere abbandonato, nel corso delle indagini, tutte le volte che vi contrastino elementi di fatto, per essere sostituito da ipotesi di origine duplice o multipla. Quello che la scuola obiettiva in etnologia non può ammettere, è l'origine fatale, necessaria e ubiquitaria.
Ma ciò non significa che il metodo storico sia necessariamente anti-evoluzionistico o che debba disdegnare l'interpretazione psicologica. Esso vuole soltanto che la successione delle forme sia dedotta dall'osservazione: la stessa distribuzione geografica degli elementi culturali offre indizî e segnalazioni, mentre altri si rilevano dai caratteri strutturali e gerarchici degli elementi stessi (quella che si può dire l'anatomia di un oggetto o la struttura psicologica di un costume) e dalle loro associazioni nei complessi culturali. E la ricostruzione dei processi tecnici o mentali che hanno condotto alle invenzioni, ai costumi, ai riti conserva tutto il suo valore, anche se a questi è tolto il carattere d'insorgenze necessarie e innumerevoli. Un bene inteso indirizzo storico non deve rifiutare, pertanto, i risultati migliori delle ricerche condotte con altre tendenze.
Bibl.: Storia delle conoscenze del metodo: A. Bastian, Die Vorgeschichte der Ethnologie, Berlino 1881; Th. Achelis, Moderne Völkerkunde, Stoccarda 1896; M. Winternitz, Völkerkunde, Volkskunde und Philologie, in Globus, 1901; Th. Gollier, L'ethnogr. et l'expansion civilisatrice, in Congrès de Mons, 1905; W. Schmidt, L'ethnologie moderne, in Anthropos, Mödling (Vienna) 1906; A. C. Haddon e A. H. Quiggin, History of Anthropology, Londra 1910; E. Morselli, Etnologia ed etnografia, in Archivio per l'antropologia, XLI, Firenze 1911; W. Koppers, Die ethnologische Wirtschaftsforschung. Eine historischkritische Studie, in Anthropos, X-XI, Mödling 19150-1916; H. Plischke, Von d. Barbaren zu den Primitiven, Lipsia 1926; W. Scheidt, Rassenkunde, Völkerkunde und Völkerbiologische Forschungs- und Lehraufgaben, in Mitteil. d. Museum für Völkerkunde in Hamburg, XIII (1928). Per l'antichità classica sono fondamentali: K. Trüdinger, Studien zur Geschichte der griechisch-römischen Ethnographie, Basilea 1918 e, nonostante il titolo particolare, Ed. Norden, Die Germanische Urgeschichte in Tacitus' Germania, Lipsia 1920; 2ª ed., 1922. Per Omero: G. Finsler, Homer, Lipsia 1914, I, p. 18 seg.; Esiodo: F. Jacoby nella sua edizione della Teogonia, Berlino 1930, p. 31. Speciale rilievo alle notizie e ai metodi geografici ed etnografici dà F. Jacoby nel suo ammirevole commento ai Fragmente griechischer Historiker (Berlino dal 1923; per ora usciti due volumi). Per lo pseudo-Ippocrate: Jacoby, Hermes, 1911, p. 518; L. Edelstein, Περὶ ἀέρων und die Sammlung der hippokratischen Schriften, Berlino 1931. Timeo: J. Geffcken, Timaios Geographe des Westens, Berlino 1892. Avere scoperto Posidonio quale etnografo è merito insigne di K. Müllenhoff, Deutsche Altertumskunde, I-III, Berlino 1883 segg. Ora fondamentali (oltre l'opera del Norden e il commento di Jacoby citati) K. Reinhardt, Poseidonios, Monaco 1921, pp. 67, 392, 408; id., Poseidonios über Ursprung und Entartung, Heidelberg 1928, p. 6. Per Cesare, Fr. Beckmann, Geographie und Ethnographie in Caesars Bellum Gallicum, Dortmund 1930; G. Pasquali, Cesare, Platone e Posidonio, in Studi ital. di filol. class., n. s., VIII (1930), p. 297 segg. Fonti geografiche ed etnografiche di Plinio: A. Klotz, Quaestiones Plinianae geographicae, Berlino 1906 e in genere sull'uso delle fonti (legge del Brunn), Klotz, Hermes, 1907, p. 323.
Vecchi lavori: G. Nicolucci, Delle razze umane, Napoli 1857-58; Th. Waitz, Anthropologie der Naturvölker, voll? 6, Lipsia 1859-72 (dal 1870 curata da G. Gerland); J. Lubbock (lord Avebury), Origin of Civilisation, Londra 1870; E. B. Tylor, Researches into the early history of Mankind, Londra 1865; id., Anthropology: An introduction to the study of man and civilisation, Londra 1881; O. Peschel, Völkerkunde, Lipsia 1874; G. Gerland, anthropologische Beiträge, Halle 1875; F. von Hellwald, Naturgeschichte des Menschen, Augusta 1876; B. Malfatti, Etnografia, Milano 1878; R. Andree, Ethnographische Parallelen und Vergeiche, I, Stoccarda 1878, II, Lipsia 1889; F. Müller, Allgemeine Ethnographie, 2ª ed., Vienna 1879; A. Bastian, Der Vol̈kergedanke im Aufbau einer Wissenschaft von Menschen, Berlino 1881; id., Allgemeine Grundzüge der Ethnologie, Berlino 1884; id., Die geographischen Provinzen in ihren kulturgeschichtlichen Berührungspunkten, Berlino 1893; D. G. Brinton, The American Race, New York 1891; F. Ratzel Völkerkunde, 1ª ed., voll. 3, 1886-88; 2ª ed., voll. 2, Lipsia 1894-95 (trad. it. Le razze umane, voll. 3, Torino 1891-96; 2ª ed., 1909).
Trattati e compendî più recenti: A. H. Keane, Ethnology, Cambridge 1896; id., Man, past and present, ivi 1899, 2ª ed. rifatta da Quiggin e Haddon, ivi 1920; J. Deniker, Les races et les peuples de le terre, Parigi 1900 (2ª ed. invariata, Parigi 1926); H. Schurtz, Urgeschichte der Kultur, Lipsia e Vienna 1900 (sviluppo degli elementi culturali); M. Hoernes, Natur- und Urgeschichte des Menschen, Lipsia e Vienna 1909 (preistoria, etnologia, antropologia: trad. it.: L'uomo. Storia naturale e preistoria, voll. 2, Milano 1912-13); A. Heilborn, Allgemeine Völkerkunde, Lipsia 1915; G. Buschan, Illustr. Völkerkunde, voll. 3, Stoccarda 1922-26 (è il più ricco e aggiornato compendio di etnografia, redatto con la collaborazione dei più noti etnologi tedeschi: carte, bibliografia); M. Schmidt, Völkerkunde, Berlino 1924.
Opere fondamentali di economia, sociologia, giurisprudenza, psicologia etnologiche: S. Cognetti de Martiis, Le forme primitive nell'evoluzione economica, Torino 1881; E. Hahn, Die Wirtschaftsformen der Erde, in Peterm. Mitteil., 1892; id., Die Haustiere und ihre Beziehungen zur Wirtschaft des Menschen, Lipsia 1896; K. Bücher, Die Entstehung der Volkswirtschaft, Tubinga 1893 (10ª ed., Tubinga 1917-18); O. T. Mason, The origin of inventions, Londra 1895 (trad. it., Torino 1909); E. Grosse, Die Formen der Familie und die Formen der Wirtschaft, Friburgo-Lipsia 1896; F. Somlo, Der Güterverkehr in der Urgesellschaft, Bruxelles, 1909; K. Weule, Die Anfänge der Naturbeherrschung. I: Frühformen der Mechanik; II: Chemische Technologie der Naturvölker, Stoccarda 1921-22; H. Cunow, Allgemeine Wirtschaftsgeschichte, Berlino 1926; O. Leroy, Essai d'introduction critique à l'étude de l'économie primitive, Parigi 1925; H. Th. Bossert, Geschichte desl Kunstgewerbes aller Zeiten und Völker, I-III, Berlino 1928-30; H. L. Morgan, Ancient Society, Londra 1877; O. T. Mason, Woman's share in primitive Culture, Londra 1895; A. Vierkandt, Naturvölker und Kulturvölker, Lipsia 1896; M. Vignes, La science sociale d'après les principes de Le Play et de ses continuateurs, Parigi 1897; S. R. Steinmetz, Classification des types sociaux, in L'Année sociologique, III, Parigi 1898-99; Ch. Letourneau, La sociologie d'après l'ethnographie, Parigi 1880; E. Westermarck, The History of human marriage, 5ª ed., Londra 1921; id., Origin and Development of moral ideas, Londra 1906; J. St. Lewinski, The origin of property and the formation of the village community, Londra 1913; W. H. R. Rivers, Kinship and social organisation, Londra 1914; E. Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, Parigi 1919; R. Thurnwald, Politische Gebilde bei Naturvölkern, in Zeitschr. für vergleichende Rechtswissenschaft, 1919; B. Malinowski, Das Geschlechtsleben der Wilden, Lipsia 1929; A. E. Post, Der Ursprung des Rechts, Oldenburg 1879; id., Giurisprudenza etnologica, Milano 1906-08; S. R. Steinmetz, Ethnologische Studien zur ersten Entwickelung der Strafe, Leida 1894; W. Wundt, Völkerpsychologie. Eine Untersuchung der Entwicklungsgesetze von Sprache, Mythus und Sitte, 7 parti, Lipsia 1905-17; id., Elemente der Völkerpsychologie, Lipsia 1912 (trad. it., La psicologia dei popoli, Torino 1929); R. R. Marett, The Threshold of religion, Londra 1909; J. G. Frazer, The Golden Bough, 3ª ed., voll. 12, Londra 1911-15 (ed. abbreviata, Londra 1922, trad. it.: Il ramo d'oro, Roma 1925); id., Totemism and Exogamy, voll. 4, Londra 1910; A. van Gennep, Les rites de passage, Parigi 1909; A. Lang, The Making of religion, Londra 1909; L. Levy-Brühl, La mentalité primitive, Parigi 1925.
Indirizzo geografico e storico-culturale: F. Ratzel, Die geographische Methode in der Ethnologie, in Geogr. Zeitschrift, III (1897); id., Anthropogeographie, voll. 2, Stoccarda 1891-99; id, Geschichte, Völkerkunde und historische Perspektive, in Histor. Zeits., 1904; P. Vidal de La Blache, Principes de géographie humaine, Parigi 1922; L. Frobenius, Erlebte Erdteile, voll. 7, Francoforte 1925-29; id., Das unbekannte Afrika, Monaco 1923; id. e R. von Wilm, Atlas Africanus, Monaco e Berlino 1921-31 (ne sono usciti finora 8 fascicoli); F. Graebner, Methode der Ethnologie, Heidelberg 1911; id., Ethnologie, in G. Schwalbe ed E. Fischer, Anthropologie, Lipsia 1923; W. Schmidt e W. Koppers, Völker und Kulturen: I, Gesellschaft und Wirtschaft der Völker, Ratisbona 1924; O. Menghin, Weltgeschichte der Steinzeit, Vienna 1931; E. von Nordenskiöld, Comparative ethnographical studies, voll. 8, Göteborg 1919-30; R. Biasutti, L'archeologia preistorica e i cicli culturali, in Boll. dell'Associazione intern. per gli studi mediterranei, I, Roma 1930. V. anche la bibl. alle voci culturali, cicli; eliolitica, cultura.
Atlanti iconografici: Galleria universale di tutti i popoli del mondo, ecc., Venezia 1838-42; G. Gerland, Atlas der Ethnographie, Lipsia 1876; K. Weule, Leitfaden der Völkerkunde, Lipsia 1912; R. Karutz, Atlas der Vökerkunde, Stoccarda 1925-27 (sono usciti finora: R. Karutz, Nord- und Mittelasien; id., Europa; A. Kraemer, Westindonesien).
Atlanti cartografici: G. Gerland, Atlas der Völkerkunde, in Berghaus' Physik. Atlas, Gotha 1892. V. anche le carte accompagnanti l'opera di A. Meillet e M. Cohen, Les langues du monde, Parigi 1924; e l'atlante annesso a W. Schmidt Die Sprachfamilien und Sprachenkreise der Erde, Heidelberg 1926.
Bibliografia, Guide: Centralblatt für Anthropologie, Ethnologie und Urgeschichte, 1896-1912; Geographisches Jahrbuch, Gotha (rendiconti sui progressi dell'etnologia di F. Müller, 1866-74, G. Gerland 1875-1900, P. Gaehtgens, 1901-11); Ethnologischer Anzeiger, Stoccarda, dal 1928; L. Marin, Questionnaire d'ethnographie, Parigi 1925.
Periodici, Società, Musei, Congressi. La letteratura etnologica è ancora unita a quella antropologica e, sovente, alla preistorica, negli organi delle vecchie società e nelle principali riviste antropologiche. Si ricordano qui le più importanti: Archivio per l'antropologia e la etnologia, Firenze 1871 segg., organo della Società italiana d'antropologia, etnologia e psicologia comparata; Bulletins et Mémoires de la Société d'anthropologie de Paris (dal 1860); L'Anthropologie, Parigi 1890 segg., organo dal 1910 dell'Institut français d'anthropologie; Bulletins de la Société d'anthropologie de Bruxelles, 1882 segg.; Journal of the Royal Anthropological Inst. of Great Britain and Ireland, Londra 1872 segg., (succeduto a The Anthropological Review, 1863-71); Man, Lonra 1901 segg., pubblicato dello stesso istituto; Zeitschrift für Ethnologie, Berlino, 1868 segg., organo della Berliner Gesellschaft für Anthropologie, Ethnologie und Urgeschichte; Archiv für Anthropologie, Brunswick, 1866 segg., cui è annesso il Correspondenzblatt der deutschen Gesellschaft für Anthropologie, Ethnologie und Urgeschichte, 1870 segg.; Mitteilungen der anthropologischen Gesellschaft in Wien, Vienna, 1871 segg.
Periodici specialmente dedicati all'etnologia: Bulletin de la Société d'ethnographie de Paris (attività irregolare, indirizzo sociologico); Revue d'ehnographie, Parigi 1882-90 (dir. Hmy); Revue des études ethnographiques et sociologiques, Parigi 1908 segg. (dir. A. van Gennep); Internationales Archiv für Ethnographie, Leida 1888 segg.; Anthropos, Mödling (Vienna) 1906 segg. (dir. W. Schmidt); inoltre, le pubblicazioni dei più notevoli musei etnografici, come quelli di Berlino (Veröffentlichungen), di Amburgo (Mitteilungen), di Dresda (Abandlungen und Berichte), di Lipsia (Jahrbuch), del Rautenstrhauch-Joest Museum di Colonia (Ethnologica, 1909 segg., fond. da W. Foy), di Leningrado (Sbornik Museja), del Bernice Pauahi Bishop Museum di Honolulu (Memoris, Occasional Papers). Una nuova società di etnologia si è costituita nel 1930 a Lipsia (fond. F. Krause). V. anche nella bibl. della voce americanistica l'elenco delle principali pubblicazioni di etnologia americana, al quale sono da aggiungere le Indian Notes del Museum of the American Indian, Heye Found., New York, e The Museum Journal, dell'Università di Pennsylvania, Filadelfia. I soli congressi periodici di studiosi che abbiano un particolare interesse per l'etnologia sono quelli degli americanisti (v. americanistica).
L'etnologia giuridica.
È quel ramo dell'etnologia volto allo studio delle manifestazioni del diritto nelle forme tipiche ed elementari, quali si presentano principalmente nelle popolazioni non incivilite. I suoi esordî non vanno oltre la metà del sec. XIX, quando, per reagire all'unilateralità della scuola storica, la scienza del diritto cominciò a estendere le ricerche a popoli differenti per origini e civiltà, stabilendo utili e luminosi raffronti fra le loro istituzioni. A poco a poco, emancipandosi dal metodo filologico, allora dominante, e volgendo le indagini nella vita dei primitivi, essa venne ad assumere una propria fisionomia, che la distingue completamente dalla storia comparata del diritto. Difatti, mentre questa limita le sue ricerche a singoli gruppi di popoli per rilevarne le peculiarità delle istituzioni nei varî momenti della loro vita, la giurisprudenza etnologica ha un carattere universale, per cui abbracciando tutti i popoli della terra, cerca d'indagare "quelle cause che non si rilevano dalle sole proprietà etniche di determinati popoli, ma sono da desumersi da quei fenomeni esterni, la cui omogeneità è il prodotto della comune natura umana". Il primo posto nella storia di questa scienza spetta a J. J. Bachofen, il quale, utilizzando gli elementi etnografici contenuti nei miti classici, riuscì a scoprire nella storia dell'antica famiglia le vestigia arcaiche, che lo portarono alla concezione del matriarcato. Secondo il Bachofen l'istituzione familiare sarebbe passata, nel suo svolgimento, per tre fasi. Nella prima (eteristica), procedente dalla promiscuità dei sessi, l'uomo ha la prevalenza sulla donna, ma il sistema di parentela segue la linea femminile; nella seconda (ginecocratica), la sovranità muliebre emerge sempre più nell'ordinamento religioso e giuridico, onde, accanto al matrimonio monogamico, si osservano l'esclusione dei maschi dalla successione e il trapasso del nome e delle dignità secondo le esigenze del governo matriarcale; nella terza (patriarcale), l'uomo acquista una decisa superiorità sulla donna ed è il centro dei rapporti parentali.
Precursori immediati di questo grande pensatore, la cui concezione della matriarchia come istituzione primitiva, universale e anteriore al patriarcato, è stata confermata dalle posteriori ricerche etnologiche, sono il Mac Lennan e il Morgan: il primo noto per le sue ricerche sul matrimonio primordiale, tendenti a stabilire le ragioni da cui procedono il connubio per ratto della donna, l'esogamia, la poliandria, il levirato e altre costumanze; il secondo per quelle sulla parentela, che egli distingue, in base all'esame dei dati di 139 popoli differenti per origine e sede, in classificatoria e descrittiva, facendo vedere che di questi due tipi fondamentali quello classificatorio è il più rozzo ed è compatibile con lo stato di promiscuità, mentre quello descrittivo, alquanto evoluto, è compatibile con il matrimonio monogamico, e determinando poi le rispettive aree etnografiche, che indicano il primo sistema di parentela come caratteristico dei popoli indo-americani, turanici e malesi, e il secondo dei popoli ariani, semitici e uralici.
Con A. E. Post l'etnologia giuridica fa un notevole progresso, sia per l'abbandono del punto di vista storico nella valutazione dei fatti, sia per l'orientamento decisamente etnografico. Mediante una larga comparazione estesa a tutti i popoli della terra, e specie ai popoli che si trovano agl'inizî dell'incivilmento, il Post si propone di tracciare le linee del processo generale del diritto, rilevando da una parte gli elementi che individuano i varî aggruppamenti, e dall'altra quelli che dimostrano la conformità della natura umana. Da qui l'idea che il diritto, pur dipendendo nelle sue manifestazioni dal grado di sviluppo dei differenti popoli, presenta un nucleo d' istituzioni di carattere universale e un'uniformità sostanziale. A questo etnologo appartiene la distinzione dei quattro tipi fondamentali di organizzazione (gentilizia, territoriale, feudale o signorile, corporativa), alla quale si attribuisce grande valore come a quella che caratterizza e determina le forme e le fasi principali della vita giuridica.
Sulle orme del Post varî studiosi continuarono a lavorare, ora con l'intento di far conoscere il diritto di alcuni gruppi di primitivi, ora con l'altro di chiarire, al lume delle indagini comparate, questioni e problemi inerenti a questa o a quella costumanza. Degni di ricordo G. Kohler, R. S. Steinmetz, L. Dargun, P. Wilutzski, A. Helwig, E. Westermarck, A. Giraud-Teulon, C. Letourneau, sebbene in questi ultimi prevalga il criterio sociologico, che porta gli studiosi a descrivere o ricostruire il processo evolutivo dei fatti giuridici, passando dalle formule semplici a quelle complesse.
Pregiudizî e obiezioni contro questa giovane disciplina che si è affermata nella seconda metà del secolo XIX e al principio del XX come un ramo importantissimo della scienza etnologica, non mancano. Il più grave di tutti è quello che concerne l'inattendibilità delle informazioni sui popoli nei più bassi stadî dell'incivilimento; ma il pregiudizio, pur avendo un'apparenza di verità nel primo periodo di formazione della scienza, quando i vecchi libri di viaggi, pervasi dall'impressione personale degli esploratori, erano largamente messi a profitto dagli studiosi, non ha ragione di essere oggi, davanti a una cospicua letteratura etnologica, ricca di precise osservazioni sulla vita dei primitivi. E ciò indipendentemente dal fatto che i governi coloniali procedono a fissare i diritti consuetudinarî degl'indigeni, mediante apposite ricerche e questionarî indirizzati alle autorità locali dei possedimenti.
Questo dal punto di vista speciale o essenzialmente giuridico, giacché da quello generale si può dire che molto abbiano contribuito ad allargare le nostre conoscenze sul diritto dei primitivi i recenti progressi dell'etnologia, con gli studî sul totemismo, sul tabu, sull'esogamia, sulla covata, sulla paternità, sui riti iniziatici e di trapasso. Difatti, tali studî non solo han portato particolari lumi sopra tante questioni, ma con il dare la visione completa della vita morale e religiosa, di cui il diritto, nei bassi stadî della civiltà, è un'espressione, hanno fatto meglio intendere il significato di alcune cerimonie e istituzioni giuridiche. Così, laddove il giurista, uniformandosi alle vedute della scuola storica, crede di vedere in varie pratiche nuziali la tipica forma o la sopravvivenza del matrimonio contrattuale o per compra-vendita della sposa, basandosi sull'intrinseco valore degli oggetti che le parti si sogliono scambiare, l'etnologo invece, ponendosi da un più largo punto di vista, rileva che il cosiddetto prezzo di compra o di acquisto si risolve in donativi indispensabili all'esecuzione e alla riuscita della cerimonia, e che il fondamento del matrimonio è rappresentato, non già dal contratto, ma dal rito magico-sacro. Da ciò si arguisce che l'asserita autonomia dell'etnologia giuridica è più un'idea di alcuni studiosi che un fatto sostanziale, giacché l'esame delle istituzioni e delle costumanze, che concernono il diritto, rientra in quello dell'etnologia generale, da cui il giurista trae i principî metodologici e i criterî fondamentali per l'interpretazione dei fatti. La giurisprudenza etnologica, dice il Post, si presenta come un ramo della scienza etnologica generale e per conseguenza trae con sé sotto tutti i riguardi le caratteristiche di quella.
Bibl.: A. E. Post, Etnologia e scienza del diritto; Limiti della giurisprudenza etnologica, in Giurisprudenza etnologica, trad. ital., I, Milano 1906; id., Ethnological jurisprudence, in The Monist, II (1891), pp. 31-40; id., Über die Aufgaben einer allgemeinen Rechtswissenschaft, Oldendorp 1891; R. S. Steinmetz, Die soziale Ethnologie gegenüber Rechtswissenschaft und der Rechtsphilosophie, in Ethnologische Studien zur ersten Entwicklung der Strafe, I, Groningen 1928; G. Mazzarella, L'etnologia giuridica, i suoi metodi, i suoi risultati, in Scientia, 1910, pp. 99-122; id., Il metodo negli studi di etnologia giuridica, in Riv. ital. di sociologia, X (1906); id., L'etnologia giuridica e i fondamenti dell'analisi stratigrafica, ibid., XVI (1912). Questo studioso mette in vista l'importanza del metodo stratigrafico da lui applicato in varî studî di etnologia giuridica. Un ricchissimo repertorio di elementi informativi e critici in questa materia, specialmente per quanto riguarda il diritto dei primitivi e le tradizioni giuridiche popolari, è la Zeitschrift für vergleichende Rechtswissenschaft fondata nel 1878 e diretta da G. Kohler.