ETNOLOGIA (XIV, p. 495)
Nell'ambito delle scienze antropologiche, l'e. ha radici comuni con l'antropologia culturale (v. in questa App.) ma la sua indagine verte anche oggi prevalentemente sulle culture extra-occidentali già dette - fino a 15-20 anni or sono - primitive, illetterate, arretrate, e oggi indicate con l'appellativo di tradizionali. Per questo specifico campo d'interessi l'e. si distingue dall'antropologia culturale, la quale estende il suo campo d'interessi fino a includere anche la cultura occidentale. Tuttavia, da quando con il secondo dopoguerra le popolazioni coloniali o semicoloniali del Terzo Mondo hanno assunto un ruolo nuovo e attivo nella storia mondiale con i movimenti d'emancipazione politica, con la conquista dell'indipendenza dei paesi afro-asiatici, i fermenti sociali e politici dei paesi sottosviluppati latino-americani e il vasto e rapido processo di trasformazione socio-culturale di quasi tutte le società e le culture tradizionali, ha perduto gran parte del suo significato, fino a dimostrarsi antistorica e dovuta a pregiudizi etnocentrici, l'opposizione concettuale, già postulata dalla vecchia e., fra popoli di natura o senza storia e popoli di cultura o storici, fra primitivi e moderni, letterati e illetterati, ecc. Benché si siano perpetuati e perfino relativamente aggravati i dislivelli economico-sociali fra le popolazioni del Terzo Mondo e le nazioni industriali dell'Occidente, il quadro generale delle culture già note all'e. tradizionale come arcaiche, relativamente omogenee e scarsamente dinamiche è venuto rapidamente mutando nell'ultimo quarto di secolo. Inoltre si è acquistata coscienza sempre più precisa di processi dinamici, spostamenti di popoli, contatti culturali e modificazioni più o meno complesse riguardanti il passato delle società finora semplicisticamente ritenute statiche, semplici, primitive. L'e. ha aggiornato i propri presupposti epistemologici; ha preso vivo interesse per i processi di contatto e trasformazione socio-culturale, ha acuito la sua osservazione dei fenomeni prima trascurati di dinamica culturale anche all'interno delle singole società; ha perfezionato gli strumenti e i metodi della ricerca sul terreno, istituendo una rete di collegamenti con altre discipline - storia, sociologia, linguistica, ecologia, psicologia, psichiatria, ecc. -, sviluppando una serie eterogenea d'indirizzi di ricerca, di scuole e di nuove discipline settoriali. Fra queste menzioniamo l'etnostoria, l'etnopsichiatria o psichiatria transculturale, l'antropologia sociale, economica, politica, religiosa, giuridica, l'etnomusicologia, ecc.
Nell'ampliamento di orizzonte e d'interessi verificatosi nel campo dell'e., pur rimanendo lo studio delle culture "altre" da quella moderna occidentale il proprio oggetto di studio precipuo e iniziale, questa disciplina ha ridotto via via le distanze che la separavano dalle altre discipline antropologiche, per interessarsi - per es. secondo la scuola di antropologia sociale inglese - anche allo studio di società complesse e di culture o subculture europee (e. europea), a volte identificandosi - per es. nell'URSS sotto l'etichetta di "etnografia" - con il folklore. Inoltre alla prospettiva fissistica e antiquaria delle vecchie scuole evoluzionista e diffusionista o storico-culturale, si sono venute sostituendo prospettive diversamente orientate. Tali prospettive, oggi variamente sviluppate e intersecantisi in molteplici combinazioni nell'ambito delle singole scuole nazionali e nei differenti autori, provengono da indirizzi legati a determinate scuole.
Nasce con la scuola funzionalista inglese di B. Malinowski (1884-1942) e con le teorizzazioni funzionali-strutturaliste di A. R. Radcliffe Brown (1881-1955) la prospettiva contemporaneista, in opposizione a quella antiquaria prevalsa per l'innanzi. Essa risponde a esigenze d'ordine pragmatico di fornire dati utili agli amministratori coloniali circa la cultura e la società dei popoli soggetti, e in polemica con la scuola evoluzionista anglosassone (E. B. Tylor, J. Lubbock, A. Lang, L. H. Morgan), con quella diffusionista austro-tedesca (W. Schmidt, L. Frobenius, B. Ankermann) e quella iperdiffusionista inglese (W. J. Perry, G. Elliot Smith). Ai molti tentativi contraddittori e soggettivi di quelle scuole, di ricostruire un passato puramente congetturale, Malinowski, Radcliffe Brown e i seguaci dell'antropologia sociale inglese oppongono l'esigenza di guardare alla realtà contemporanea delle culture studiate sul terreno (field-work) dall'antropologo. Quest'ultimo divide, per un adeguato periodo di tempo, la vita con i nativi secondo il criterio dell'osservazione partecipante; misura analiticamente (Malinowski) i rapporti funzionali tra le varie istituzioni e i vari aspetti della cultura, o (Radcliffe Brown) le strutture sociali, nonché (R. Firth) i rapporti fra tradizione e cambiamento. Radcliffe Brown separa l'antropologia, che egli intende come scienza comparativa e nomotetica della realtà contemporanea, dall'e. che egli vede come scienza storica e idiografica, e imprime alla successiva scuola britannica una tendenza antistorica che solo recentemente è stata corretta da E. E. Evans Pritchard (1902-1974) e da altri studiosi (J. Beattie, J. Middleton), per i quali il criterio storiografico s'integra con il criterio etnografico della ricerca diretta, al fine di ottenere un'intelligenza piena della realtà culturale nelle sue componenti odierne e nelle sue determinazioni passate.
La prospettiva storiografica ora accennata ha dato luogo allo sviluppo di ricerche circa le fasi più o meno remote di varie culture tradizionali, valendosi di eventuali fonti scritte (arabe per l'Africa), e soprattutto orali, archeologiche, genealogiche, poetiche, mitologiche (I. Schapera, J. Vansina, M. Gluckman, per l'Africa; Te Rangi Hiroa per la Polinesia, K. Birket Smith per gli eschimesi, ecc.). Uno speciale sviluppo di questa corrente di studi è costituito dall'etnostoria, che unificando metodo etnografico e studio storico-diacronico, si pone come "e. del passato" (H. Deschamps, A. Triulzi). In effetti tra la prospettiva sincronica e la prospettiva diacronica si è recentemente sviluppata una dialettica che trascende largamente i termini nei quali essa si presentò la prima volta nello scontro fra antistoricismo e storicismo entro la scuola britannica. Questa dialettica giunge a toni polemici nei rapporti fra la scuola dinamista francese (G. Balandier, P. Mercier) e la scuola strutturalista di C. Lévi-Strauss. Mentre la prima si concentra nello studio dei fenomeni di tensione manifesta o latente, di conflitto, di dinamica sia endogena che esogena e nell'analisi di singole culture viste monograficamente in se stesse e nel proprio peculiare sviluppo, la seconda affronta problemi di analisi logico-formale delle "invarianti", ossia dei caratteri costanti rilevabili nell'ambito delle culture tradizionali, attraverso l'identificazione di strutture di pensiero preposte ai sistemi di organizzazione parentale e sociale, e ai sistemi mitologici. Rifacendosi alla linguistica strutturale e alla matematica, Lévi-Strauss svolge sul terreno dell'antropologia una riflessione teorica d'ampio respiro, applicando i suggerimenti dati già da M. Mauss sui fenomeni di reciprocità, alla soluzione di problemi particolarmente importanti come quello della proibizione dell'incesto e l'altro del totemismo. Così la proibizione dell'incesto diviene spiegabile come "regola del dono", che obbliga un gruppo a dare madre, sorella o figlia ai maschi dell'altro gruppo, e reciprocamente, così promuovendo uno scambio reciproco o, più spesso, generalizzato di "segni" e doni, che fonda la nascita della cultura come salto dalla natura. Anche il totemismo è spiegato da LéviStrauss come un sistema di "segni", o linguaggio, mediante il quale vengono organizzati entro categorie i dati dell'esperienza diretta concernenti sia la società umana che il mondo e l'ambiente naturale. Indubbiamente la prospettiva strutturalista di Lévi-Strauss tende - malgrado il riconoscimento teorico della storia e delle sue differenti formazioni, "stazionaria" e "cumulativa" - a porre in parentesi i fattori storici, confinando il proprio interesse per le società arcaiche viste fuori del tempo e dei processi dinamici.
Un'interpretazione in chiave critica dello strutturalismo, e d'altro canto del marxismo, viene tentata da M. Godelier, il quale riconduce lo studio non solo delle forme dell'economia, ma anche delle ideologie religiose entro la sfera dei rapporti di produzione, e di riproduzione del sistema sociale e della cultura: opponendosi anch'egli, in questo senso, allo strutturalismo e sviluppando una problematica decisamente marxista.
Lo strutturalismo di Lévi-Strauss proviene dalla medesima matrice dalla quale discende anche la corrente ad esso opposta della scuola dinamista francese: cioè dalla scuola sociologica che fa capo ad E. Durkheim e M. Mauss. A questa scuola, e soprattutto a Mauss (1872-1950), si deve di aver fondato una prospettiva "olistica" nell'interpretazione dei fatti culturali. Pur senza aver avuto esperienza díretta di studio sul terreno, Mauss dalla letteratura concernente i fenomeni quali il dono, la magia, il sacrificio, ecc. nelle varie società tradizionali, acquisisce e formula la nozione, poi dimostratasi fondamentale nei successivi sviluppi della scienza etnologica, di "fatto sociale totale (Essai sur le don, in L'Année sociologique 1923-24). Per comprendere interamente un fatto culturale, secondo Mauss, occorre scomporlo previamente e studiarlo nei suoi singoli, molteplici ed eterogenei aspetti, volta a volta tecnico, economico, sociale, familiare, religioso, giuridico, artistico, storico, comparativo, psicologico, mentale, per poi cogliere i rapporti entro i quali quei singoli aspetti si congiungono insieme per fare di quel fatto culturale una totalità organica. Per es., un dato manufatto, o un rito, o un'istituzione va guardata sia come cosa sia come rappresentazione che la società se ne fa. Così i diversi aspetti della cultura - ergologici, sociologici, "spirituali", ecc. - che come tali dalle vecchie scuole etnologiche venivano artificiosamente ed empiricamente dissociati, vengono riportati in una complessa e articolata unità interpretativa.
Con il suo contributo, Mauss sviluppa alcune premesse formulate da Durkheim, fondatore della scuola sociologica francese, il quale già interpreta i fatti culturali come funzioni sociali. In particolare la religione, per Durkheim, si presenta come fatto sociale, ossia come istituzione garante della coesione interna di ogni data società (Les formes élémentaires de la vie religieuse, 1912). Direttamente influenzata dai contributi teorici della scuola durkheimiana è la scuola funzionalista di Malinowski, antropologo polacco vissuto in Inghilterra e inauguratore della ricerca sul terreno, con le sue missioni etnologiche presso le isole Trobriand (Melanesia). La nozione di funzione, fulcro della sua teoria, risente delle tesi durkheimiane. Funzione è, per Malinowski, la serie di relazioni esistenti fra una singola credenza, usanza o attività sociale e il sistema sociale complessivo. La cultura è, per questo autore, come un organismo vivente le cui componenti funzionalmente concorrono a garantire l'armonia dell'insieme. Ma oggi, alla luce della critica, la nozione di funzione si è rivelata estremamente empirica, e quella d'integrazione culturale si è dimostrata cieca di fronte agli elementi di tensione, contraddizione e conflitto evidenziati dai contributi delle scuole di antropologia dinamista sia inglese (M. Gluckman, G. Wilson, M. Hunter) sia francese (G. Balandier, P. Mercier, R. Bastide, A. Métraux), mentre anche negli SUA ci si è volti (R. K. Merton) ad accentuare gli studi dei fenomeni di "disfunzione".
A sua volta Radcliffe Brown, anch'egli sensibile alle influenze durkheimiane, critica il funzionalismo malinowskiano per volgersi all'analisi delle strutture sociali, dando luogo alla corrente nota come funzional-strutturalismo. Un'ulteriore correzione alle tesi di Malinowski viene portata da E. E. Evans Pritchard, e non soltanto per la sua innovatrice apertura alla storia, contro le chiusure antistoriciste dei due suoi grandi predecessori, ma anche per avere introdotto, con minore empiricismo, una teoria relazionista in luogo di quella funzionalista. I fatti magico-religiosi vengono infatti interpretati, da questo autore, alla luce dei fondamenti economici e delle strutture sociali vigenti presso ciascuna cultura e società (The Nuer religion, 1949). Sviluppi nuovi tuttavia collegabili alla matrice sociologica di cui si è detto, sono dati dagli studi di M. Gluckman e E. Leach, che scoprono i dinamismi interni delle società tradizionali nelle loro manifestazioni sociali, simboliche, rituali. Influenze indirette della scuola sociologica si rilevano anche in V. Turner, con i suoi studi dei simbolismi nelle loro molteplici manifestazioni e combinazioni semantiche. L'intera scuola di antropologia sociale britannica, in breve, risente dei primi richiami formulati dagli autori francesi a esigenze d'interpretazione sociologica dei fatti culturali.
Un grande sviluppo del filone di antropologia sociale, simultaneamente avutosi in Inghilterra e in Francia, è quello che riguarda gli studi della parentela. In particolare sono state messe in evidenza le complesse implicazioni che la parentela, con le sue strutture specifiche, presenta rispetto all'organizzazione politica, ai sistemi economici, alle manifestazioni religiose entro le società tradizionali.
Fin dalla vecchia opera di L. H. Morgan (The ancient society, 1877) erano state evidenziate certe importanti differenze fra le società tradizionali e quelle moderne del mondo occidentale a proposito della terminologia della parentela. Morgan scopriva tra gl'Irochesi una terminologia "classificatoria" della parentela (indi riscontrata presente tra le più varie società tradizionali), per la quale un'intera classe di persone non necessariamente consanguinee sono indicate con nomi quali padre, madre, sorella o fratello. Per es., tutte le donne del gruppo di discendenza della genitrice possono essere chiamate madri di Ego, tutti gli uomini del gruppo di discendenza del genitore possono essere detti padri, tutti i figli delle sorelle della genitrice o dei fratelli del genitore (cugini paralleli) possono essere detti fratelli o sorelle. Le classi parentali scavalcano spesso anche le differenze di generazione e di sesso, secondo i casi più vari. A differenza di ciò, la società occidentale usa una terminologia descrittiva per cui i termini padre e madre si riferiscono inequivocabilmente al genitore e alla genitrice, e fratelli o sorelle sono soltanto i figli d'una stessa coppia di coniugi. Lo stesso Morgan inoltre scopriva l'esistenza, fra parecchie società tradizionali, di una regola di discendenza secondo la linea materna (matrilinearità), opposta a quella che da noi nel mondo occidentale presiede all'ereditarietà del nome e dello status, secondo la linea paterna. Più in generale si venivano poi a scoprire altre differenze fra le società tradizionali e la nostra occidentale, sempre riguardanti i rapporti di parentela. Mentre nelle società complesse, a struttura urbana e industriale, spetta ai rapporti economici e territoriali il privilegio di costituire il principio fondamentale o asse portante intorno a cui ruota rispettivamente l'organizzazione sociale e quella politica, con il moltiplicarsi degli studi della parentela nelle società tradizionali (dopo opere quali African systems of kinship and marriage, a cura di A. R. Radcliffe Brown e D. Forde, 1952; C. Lévi-Strauss, Les structures élémentaires de la parenté, 1949) si constatava che nelle società più semplici e caratterizzate da elevata omogeneità strutturale, quel privilegio spetta invece ai rapporti di parentela. I sistemi di discendenza e di alleanza matrimoniale, posti alla base della formazione dei gruppi di discendenza quali il clan, il lignaggio, il segmento di lignaggio, la famiglia estesa, creano una rete di rapporti sulla cui base sono determinati non soltanto i ruoli, i diritti e le affiliazioni sociali di ciascun individuo con i rispettivi obblighi, diritti e norme di comportamento interpersonale, ma anche le attribuzioni dell'autorità politica e religiosa, nonché gli stessi diritti economici.
Per chiarire qual è l'importanza decisiva dei rapporti di parentela sull'intero assetto socio-culturale in una società tradizionale, riportiamo quanto osserva l'antropologo inglese P. Bohannan a proposito dei Tiv della Nigeria. "Il linguaggio della discendenza e della genealogia stabilisce (per i Tiv) non solo le basi del raggruppamento sociale, ma anche del raggruppamento territoriale. I Tiv si raggruppano secondo il sistema dei lignaggi, basato sul principio dell'opposizione segmentaria. Ogni lignaggio minimo è associato a un territorio. Questo lignaggio minimo si colloca spazialmente vicino a un altro dello stesso tipo, cioè discendente dal fratello dell'antenato. Considerando il padre dei due antenati al vertice dei due lignaggi minimi, essi formano un lignaggio comprensivo, e i loro territori formano un'unità spaziale. Questo processo continua genealogicamente per molte generazioni fino a comprendere tutti i Tiv, e continua spazialmente fino a che la terra intera dei Tiv è vista come una superficie di lignaggi, divisa in superfici di lignaggi sempre più piccole" (Bohannan, 1972). In termini economici, ciò sta a significare che fra i Tiv, come fra le altre numerosissime popolazioni, la terra concessa in uso, e il diritto al suo uso non si acquista su un mercato, che non esiste, ma al contrario si ottiene come prerogativa del proprio status sociale che, in ultima analisi, è uno status parentale. Più in generale, presso le società tradizionali la proprietà della terra è collettiva, e appartiene ai segmenti parentali (clan, lignaggi), per cui l'appartenenza a questi segmenti parentali diviene la condizione per il possesso e l'uso individuale del suolo produttivo (A. Saporiti).
Ma i rapporti di parentela regolano, oltreché l'organizzazione territoriale e il sistema economico, anche l'attribuzione del potere politico. L'antropologia politica rivela i legami complessi che intercorrono tra il sistema politico e quello parentale. "Nelle società cosiddette gentilizie o segmentarie, acefale o non statali, in cui le funzioni e le istituzioni politiche sono poco differenziate, si è resa manifesta l'esistenza di relazioni politiche che si fondano sull'utilizzazione del principio della discendenza. Nello stesso tempo, sempre in queste società, la parentela fornisce alla politicità un modello e un linguaggio; le relazioni politiche si esprimono in termini di parentela; e le manipolazioni della parentela sono uno dei mezzi della strategia politica. Insomma, il potere e la parentela sono in rapporto dialettico" (G. Balandier, Anthropologie politique, 1967).
Se la predominanza dei fattori parentali all'interno dell'intera cultura costituisce un fondamentale carattere di distinzione delle società tradizionali dalla società moderna occidentale, altri elementi di distinzione non sono che corollari del primo: in particolare la struttura familiare fondata sulla famiglia estesa (da noi su quella nucleare); il peso e il potere frenante della tradizione anche negli sviluppi dinamici (mentre da noi la tradizione è sempre più vivamente messa in questione); la rappresentazione tendenzialmente ciclica del tempo (che invece è prevalentemente lineare e teleologica nella civiltà giudaico-cristiana, e quindi nella civiltà moderna occidentale); una rappresentazione del mondo di tipo magico-religioso (secolare e laica da noi). Tutti questi caratteri sono correlativi alla funzione determinante attribuita, nelle società tradizionali, agli antenati, fondatori del sistema parentale, delle tradizioni, della cultura: e primi occupanti del territorio tribale, dunque garanti dei diritti di occupazione dei discendenti, che hanno con essi un rapporto sacrale. Infine un altro importante carattere distintivo delle società tradizionali rispetto a quelle occidentali moderne, è dato dai diversi modi di produzione, quali sono messi in evidenza dall'antropologia economica, e che hanno connessioni d'ordine strutturale con tutti gli aspetti delle rispettive culture. La logica comunitaria posta alla base delle società oggetto di studio dell'e. è dominata da rapporti di scambio simbolico fra individui come anche fra gruppi. Il sistema di produzione basandosi sul primcipio della reciprocità e dello scambio simbolico, il valore materiale dei beni si fonde con il valore simbolico, rituale, di prestigio degli stessi, al punto che viene a risultare erronea l'applicazione, a questi sistemi economici, della teoria economica convenzionale della società borghese. In quest'ultima infatti predominano la logica del profitto in un sistema di mercato, e il principio dell'accumulazione individuale fino al capitalismo. Invece nelle società tradizionali si dànno fenomeni di ostentazione e/o distruzione, di accumulo e ridistribuzione di beni, in funzione di prestigio e comunque con significati simbolici strettamente connessi con attività rituali, con i rapporti sociali, con la preservazione dei fondamentali valori della cultura.
Al di là di alcune generiche tendenze culturali comuni alle società tradizionali, risulta tuttavia sempre più rara la possibilità di cogliere, da parte degli etnologi, culture tradizionali scevre da influenze occidentali: e ciò a causa degl'intensi processi di trasformazione in atto negli ultimi tempi. Pertanto si va creando una demarcazione, e insieme un'esigenza d'integrazione negli studi etnologici. Da un lato fervono ricerche volte a raccogliere la documentazione di culture o resti di culture di tipo arcaico. L'International union of anthropological and ethnological sciences (Vienna) ha perciò creato un Comitato per la ricerca urgente, e pubblica un bollettino periodico che raccoglie dati in proposito. In linea con questi interessi d'ordine "antiquario" si moltiplicano le ricerche sul terreno e le pubblicazioni monografiche. In Inghilterra, Francia, Stati Uniti (v. antropologia culturale in questa App.), Germania, Belgio e ultimamente anche in Italia s'intraprendono ricerche in tal senso, prendendo in esame soprattutto, delle culture tradizionali, le strutture sociali e il sistema di credenze e di rituali. Anche i paesi ex-coloniali cominciano a produrre un'élite di etnologi (J. Kenyatta, un kikuyu; K. A. Busia, un ascianti; V. Deloria, un sioux).
Nel contempo fioriscono studi volti ai problemi della modernizzazione, dell'acculturazione, di contatto culturale, di sincretismi religiosi, di urbanizzazione, d'emigrazione, di disgregazione socio-culturale e riaggregazione, di associazioni volontarie, ecc. (M. Banton, A. Southhall, H. Miner, L. Kuper, J. Rouch, G. Balandier, P. Worsley, V. Lanternari, W. Mühlmann, R. Bastide). In quest'ordine di problemi l'e. viene aprendosi a indagini statistiche, sociologiche, socio-psicologiche, accostandosi ai problemi della demologia, unificando le culture primitive e le culture folk (O. Lewis, M. I. Pereira De Queiroz). Una tendenza assai diffusa fra gli autori di monografie etnologiche è di dedicare parti fra loro distinte delle proprie opere all'analisi degli aspetti tradizionali e a quella dei fenomeni di mutamento. In questo modo, oppure con studi separati, s'integrano fra loro i due momenti essenziali dell'e. moderna, uno volto a decifrare quanto v'è di antico, l'altro volto a delineare il senso e i modi dei mutamenti entro le varie culture. E ciò per rispondere alle due fondamentali istanze che fanno dell'e., sul piano epistemologico, una scienza storica e insieme generalizzante: ossia conoscere e capire i vari modi di essere e di porsi nel mondo da parte dell'uomo come membro di una società e autore di cultura, e - d'altra parte - conoscere e capire le vie, le direzioni e gli esiti cui tendono i processi di cambiamento, di adattamento e di crisi.
Ma la grande eterogeneità dei problemi che si affacciano a una disciplina dagli orizzonti tanto ampi, e la natura in se stessa poliedrica della cultura che è il suo specifico oggetto di ricerca, portano molto spesso a una settorializzazione degli studi e a un'iperspecializzazione degli autori, secondo zone d'interesse scientifico individualmente distinte.
Oltreché demarcazioni e specializzazioni d'ordine geo-etnografico, per cui esistono istituti, periodici, autori che si dedicano a problemi di africanistica, americanistica, oceanistica, australianistica, ecc., si distinguono orientamenti e indirizzi metodologici legati a scuole nazionali. In Inghilterra l'antropologia sociale, pur nelle sue ramificazioni più recenti (S. F. Nadel, E. Leach, R. Needham, V. Turner, R. Fox, M. Douglas), si sviluppa con coerenza e spirito critico dalle premesse metodologiche del suo periodo classico, funzionalista e postfunzionalista. In Francia le scuole dinamista, marxista, strutturalista e la scuola discendente da M. Griaule formano un panorama complesso e articolato. Negli Stati Uniti (v. antropologia culturale, in questa App.) la scuola culturologica e neoevoluzionista (A. Kroeber, L. White), quella del materialismo culturale (M. Harris), quella dell'ecologia culturale (J. H. Steward, M. Sahlins) si sviluppano con reciproca autonomia. Nell'URSS, mentre fervono studi di etnostoria, altri (V. Propp, P. Bogatyrev) si dedicano con criteri formali o strutturalistici allo studio delle fiabe e delle tradizioni popolari, mentre nel campo della teoria etnologica generale tuttora ci si rivolge al modello di evoluzionismo legato al nome di L. H. Morgan, e ripreso da F. Engels. In Austria la scuola di Vienna ha radicalmente riveduto e sottoposto a critica le vecchie impostazioni del fondatore padre W. Schmidt. In Germania si vedono fondere interessi etnologici e sociologici nell'opera di W. E. Mühlmann, mentre continua il vecchio filone di studi dediti particolarmente alle culture sudamericane (O. Zerries, W. Krickeberg). In Italia, dove l'e. si è sviluppata con notevole ritardo - sia per mancanza di colonie nel secolo scorso, sia per le influenze ideologiche della cultura umanistica e poi del crocianesimo con le sue tipiche chiusure verso i mondi popolari e primitivi, sia infine per effetto dei pregiudizi razzisti introdotti dal fascismo -, questa disciplina si sviluppa con intendimento prevalentemente storiografico, tuttavia mostrando sensibilità per i suggerimenti provenienti da diverse scuole straniere. Dopo le prime, rare ricerche a carattere individuale soprattutto nel campo dell'africanistica (E. Cerulli, C. Conti Rossini), e un saggio di sintesi etnografica a carattere manualistico (R. Biasutti, Razze e popoli della terra, 1940 segg.), R. Pettazzoni (1877-1959) con importanti ricerche teoriche e con l'istituzione di un istituto universitario di e. a Roma inaugurava (1951) una scienza fondata sul metodo storico-comparativo. E. De Martino (1908-1965; v. antropologia culturale, in questa App.) indagava il terreno intorno alla religione popolare nel Mezzogiorno d'Italia, da lui interpretata nel quadro di una storia sociale del Meridione. V. L. Grottanelli, B. Bernardi, V. Maconi s'interessano piuttosto dello studio di aspetti e forme culturali tradizionali e (V. L. Grottanelli) di fenomeni di diffusione. E. Cerulli e V. Lanternari, in modi diversi, affrontano problemi di dinamica socio-culturale. Essi tutti sono inclini a considerare l'e. una scienza storica.
Oltre alle demarcazioni d'ordine geo-etnografico e a quelle determinate in base a scuole nazionali, si sviluppano varie branche specialistiche. L'antropologia religiosa è rappresentata in Francia innanzitutto da M. Leenhardt e M. Griaule con la sua scuola (G. Dieterlen, D. Zahan), cui si debbono importanti scoperte relative al sistema mitologico-cosmogonico dei Dogon e dei Bambara, con un intero universo di filosofia primitiva a esso inerente. C. Lévi-Strauss ha impresso all'antropologia religiosa una nuova direzione con le sue interpretazioni strutturaliste dei miti. In Inghilterra questa branca è rappresentata da E. E. Evans Pritchard, J. Middleton, G. Lienhardt, J. Goody. In Germania da A. Jensen, O. Zerries, W. Krickeberg, della scuola di Francoforte già fondata da L. Frobenius; in Belgio da L. De Heusch; negli Stati Uniti da W. La Barre.
L'antropologia economica è rappresentata in Francia da M. Godelier, C. Meillassoux; in Inghilterra da R. Firth, P. Bohannan; negli Stati Uniti da M. Nash, G. Dalton, M. D. Sahlins, E.R. Wolf, K. Polanyi. L'antropologia politica ha consegmto una propria autonomia in Francia con G. Balandier; in Inghilterra con L. Mair, L. Fallers, E. R. Leach, I. Schapera, J. Van Velsen, P. Cohen, J. Middleton; negli Stati Uniti con G. A. Almond e J.S. Coleman. L'antropologia giuridica, già iniziata con B. Malinowski (1926), si perfeziona con E. A. Hoebel, L. Pospisil, I. Schapera, P. Bohannan, H. Lévy-Bruhl e M. Alliot. L'antropologia linguistica o etnolinguistica, già avviata da F. Boas, E. Sapir, C. F. Voegelin, procede con i contributi di M. Mauss, D. L. Olmstead, Th. A. Sebeok, L. Bloomfield, H. Hoijer, E. P. Dozier, D. H. Hymes, M. Cohen, A. G. Haudricourt. L'antropologia psicologica assume un suo sviluppo autonomo (Psychological Anthropology, a cura di T. R. Williams, L'Aia 1975).
Certe iniziative editoriali e ricerche sono volte ad approfondire problemi di metodologia della ricerca (Notes and Queries on Anthropology; P. J. Pelto, Anthropological research. The structure of inquiry, New York 1970). Un'impresa imponente è portata avanti dall'antropologo americano P. Murdock, con la pubblicazione delle Human Relations Area Files: un inventario tipologico di tutte le culture note, primitive, storiche e moderne, per cui si vale di calcolatori elettronici, corredando l'opera, via via, di un atlante etnografico generale. Studi generali di storia dell'e. accompagnano questo fervore di ricerche sia teoriche che concrete e vive sul terreno: P. Mercier, M. Harris, J. Poirier hanno curato delle storie dell'e. o dell'antropologia che includono via via aspetti, problemi e rapporti relativi alle varie sfere e branche della scienza antropologica, non senza riferimenti a questioni di carattere speculativo, ideologico (Harris) e metodologico. Particolari nuovi settori d'interesse specialistico sono infine quello dell'antropologia psicanalitica (G. Roheim, B. Bettelheim) e psichiatrica (G. Devereux, R. Bastide).
Una tendenza ultimamente sorta in seno ai cultori di scienze antropologiche su scala mondiale è quella dell'antropologia critica, che negli Stati Uniti è detta anche antropologia radicale. Numerosi studiosi come in Francia G. Leclerc, R. Jaulin, J. Copans; negli Stati Uniti, K. Gough, J. Jorgensen, J. Nash; in Messico, G. Bonfil Batalla e R. Stavenhagen; in Brasile, D. Ribeiro; in Italia, V. Lanternari e C. Gallini, rivedendo criticamente i rapporti tra scienza etno-antropologica e rispettive ideologie, e i rapporti fra ricerca scientifica e forze socio-politiche ed economiche preposte - più o meno scopertamente - alle stesse iniziative di ricerca, sono venuti ponendo in questione l'autonomia epistemologica, la legittimità etico-scientifica della disciplina etnologica, in quanto nata e cresciuta nel clima colonialista e al servizio del colonialismo (fino alla metà del secolo attuale) e poi rimasta in vari casi, più o meno consapevolmente, legata a interessi di nazioni e gruppi neocolonialisti o addirittura (negli Stati Uniti) imperialisti. L'antropologia critica richiede un riesame scrupoloso della posizione della scienza etno-antropologica e dei singoli studiosi rispetto alla società propria e a quella eventualmente scelta come oggetto di studio, per giungere a un chiarimento che non sia d'ordine puramente speculativo, ma d'impegno civile ed etico-sociale. L'antropologia critica si richiama ai criteri di analisi recentemente indicati, benché indipendentemente l'un dall'altro, da vari autori di diversi paesi (M. Gluckman, C. Geertz, E. Wolf, K. Gough, G. Balandier, C. Meillassoux, D. Ribeiro, ecc.), per i quali risulta sempre più chiaro ormai che lo studio dei fatti e dei processi culturali pertinenti alle società del Terzo Mondo non può prescindere - senza ricadere in uno sterile idealismo - da una preordinata chiarificazione circa i rapporti di dominio rispetto alle forze e/o nazioni detentrici del potere economico-politico. Pertanto la storia culturale delle società del Terzo Mondo non può essere vista, né compresa fuori da un blocco unitario con la storia dell'Occidente e delle relazioni di potere che ne condizionano l'intero corso di svolgimento, dall'antichità all'epoca schiavista all'era del colonialismo, fino al neocolonialismo: così come, per converso, neppure la storia politica, economica, culturale dell'Occidente può più essere vista, né trattata né capita, fuori da un blocco unitario con quella del Terzo Mondo.
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