Etruschi
Antica popolazione italica, dominante nelle attuali Toscana, Umbria e Tuscia laziale. In Discorsi II i gli E. (che M. chiama quasi sempre «Toscani») sono citati, insieme agli altri antichi popoli con cui i Romani combatterono (tra 4° e 3° sec. a.C.), nel quadro di un discorso volto a mostrare come Roma conquistò un grande impero grazie alla virtù e non alla fortuna. Nel capitolo successivo (ii) gli E. sono annoverati insieme ad altri popoli italici come amanti della libertà, il cui esempio conferma come solo grazie a una virtù straordinaria i Romani riuscirono a sottomettere popolazioni che difendevano «ostinatamente» il «vivere libero». Al tempo in cui i Romani mossero guerra a Veio (che cadde nel 396 a.C., dopo un conflitto decennale), le altre città etrusche, libere, si rifiutarono, secondo il racconto di M. (che altera Livio V i), di prestare soccorso ai Veienti perché essi per meglio difendersi avevano eletto un re. Nel capitolo iv – dove si narra a grandi linee la storia degli E. precedente al dominio romano, per lo più sulla scorta di Livio V xxxiii-xxxiv (tra l’altro si allude alla conquista etrusca dell’Italia settentrionale, perduta poi per l’invasione dei Galli, a cui si accenna anche in Discorsi II viii 2, 10) – per esemplificare uno dei tre diversi modi di «ampliare» lo Stato, quello per mezzo di confederazioni, si fa riferimento alla lega etrusca dei dodici popoli (cfr. la lettera a Francesco Vettori del 26 ag. 1513, Lettere, p. 289). All’inizio e alla fine del capitolo (cfr. §§ 5 e 40; ma si veda anche ii 7 a proposito dell’estinzione della stirpe di Porsenna), M. rileva come, dopo la conquista romana, la ‘memoria’ degli E. si sia quasi spenta; il tema è ripreso alla fine del capitolo successivo, con un ulteriore accenno alla scomparsa della loro lingua. Il riferimento alla lingua etrusca allude agli interessi di personaggi vicini a M., come Marcello Virgilio Adriani e Francesco Soderini, per la ‘decifrazione’ di un’iscrizione etrusca rinvenuta di recente, mentre l’affermazione che la civiltà etrusca non ha lasciato alcuna memoria sembra polemizzare con quanti in Firenze, in primis Leonardo Bruni, avevano rivendicato «un magistero etrusco su Roma in materia di ordinamenti e di religione» (cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, a cura di G. Inglese, 1984, p. 404).
In Discorsi II xxv, a dimostrazione di come sia controproducente assaltare uno Stato cercando di approfittare delle divisioni interne, si riporta l’esempio dei Veienti che insieme agli altri E. si illusero di abbattere la potenza di Roma sfruttando i contrasti tra la nobiltà e la «plebe» (il riferimento è a fatti avvenuti nel 480 a.C.); l’attacco degli E. ebbe invece l’effetto di unire i Romani, ai quali toccò la vittoria (cfr. §§ 2-7 e 16; cfr. anche Livio II xliv-xlvii). In Discorsi II xxviii 2-4 si fa riferimento, sulla scorta di Livio V xxxv-xxxvi, alla guerra che i Galli nel 390 a.C. mossero contro Chiusi (guerra che ebbe gravi conseguenze per i Romani chiamati in soccorso dalla città etrusca), mentre in Discorsi II xxxiii 6-8, come esempio dei pieni poteri che a Roma si lasciavano ai consoli nella conduzione delle guerre, vengono narrate le vittoriose operazioni militari condotte da Quinto Fabio Massimo Rulliano contro gli E. nel 310 a.C. (cfr. Livio IX xxxv-xxxvii). In Discorsi III xxx, per mostrare il modo virtuoso di procedere di Furio Camillo, si ricordano le strategie difensive da lui adottate in qualità di tribuno militare di fronte all’impresa bellica tentata dagli E. nel 386 a.C. (si segue liberamente Livio VI vi). In Discorsi III xliii, all’interno di un parallelismo tra fiorentini contemporanei ed E., vittime rispettivamente della slealtà e dell’avidità dei francesi e dei Galli, a dimostrazione che gli uomini e i popoli nel corso della storia sono mossi sempre dalle «medesime passioni» (§ 3), si menziona l’inganno subito dagli E. a opera dei Galli Cisalpini, che nel 299 a.C. ricevettero denari in cambio di aiuti militari – mai arrivati – nella guerra contro i Romani (§§ 14-16, su cui cfr. Livio X x). Nel capitolo successivo (Discorsi III xliv 2-4) si narra un episodio avvenuto nel 295 a.C. durante la terza guerra sannitica, in cui gli E. furono indotti dal comportamento impetuoso dei Sanniti a riprendere le armi contro i Romani (cfr. Livio X xvi), mentre in Discorsi III xlviii si ricorda (sulla scorta di Livio X iii-iv, liberamente rielaborato) un agguato – sventato – che gli E. nel 301 a.C. tesero alle truppe romane.
In Arte della guerra II 299, si afferma che gli E. – i quali combatterono a lungo contro i Romani prima di essere sottomessi – sicuramente poterono vantare eccellenti capitani, di cui non è rimasta traccia a causa della «malignità» degli storici che hanno glorificato solo le gesta dei vincitori. Infine, nel capitolo proemiale del V libro delle Istorie fiorentine, a sintetizzare le alterne vicissitudini di grandezza e rovina della provincia italica, si ricordano fortune e cadute degli «antichi toscani» e dei Romani.