ROSBOCH, Ettore Bernardo
– Nacque a Torino il 19 aprile 1893 da Giuseppe Battista, commerciante e piccolo imprenditore, e da Ombellina Spesso.
Dopo la laurea in scienze economiche e commerciali partecipò alla Grande Guerra come capitano dei mitraglieri. Fu più volte ferito e decorato. Al termine del conflitto si arruolò volontario nei legionari dannunziani e partecipò con il grado di capitano all’occupazione di Fiume, ottenendo in seguito la carica di sottocapo di stato maggiore. In quanto uomo di fiducia dell’economista Maffeo Pantaleoni, ministro delle Finanze della Reggenza italiana del Carnaro, fu nominato direttore generale dell’Istituto di credito del consiglio nazionale, al quale erano state attribuite le funzioni di banca d’emissione. Successivamente gestì l’insediamento delle filiali della Banca d’Italia a Fiume e Tolmino (1922).
Dal novembre del 1922 al marzo del 1924 fu il principale collaboratore del ministro delle Finanze Alberto De Stefani, sebbene non inquadrato ufficialmente nei ranghi del ministero. Sempre nel 1922 fu nominato consigliere di amministrazione della ROMSA, (Raffineria di Olii Minerali Società Anonima) di Fiume, acquistata dal governo italiano per volontà di De Stefani e presieduta da Maffeo Pantaleoni. Precedentemente controllata dalla società ungherese Photogen, la ROMSA rappresentò il primo caso di compartecipazione del governo italiano a un’impresa industriale. L’anno seguente fu nominato consigliere della Banca di sconto in liquidazione e della neocostituita Società Ansaldo-Cogne.
Le sue attività furono oggetto di dure accuse da parte di alcuni quotidiani, tra i quali si distinse Il nuovo paese, che pubblicò una serie di articoli sulla Banca di sconto e la ROMSA. La campagna di stampa, a detta di Pantaleoni, aveva presumibilmente lo scopo di indurre alle dimissioni il ministro De Stefani (lettera di Pantaleoni a De Stefani, 13 giugno 1923, in Marcoaldi, 1980, pp. 658 s.).
La accuse a Rosboch furono oggetto di un polemico scambio epistolare tra Benito Mussolini e De Stefani. In una lettera al ministro delle Finanze del luglio 1923, Mussolini affermò che «il sig. Rosboch [...] non può trattare affari per conto dello Stato e nello stesso tempo poi assumere posti di delicato controllo e di diretta amministrazione in queste società a partecipazione statale». Nella risposta, De Stefani offrì le sue dimissioni da ministro – anche per una serie di altre questioni – e ribadì che Rosboch era e rimaneva «persona di fiducia» (Marcoaldi, 1986, pp. 96-100).
L’anno successivo denunciò per diffamazione Carlo Bazzi e Pio Borani, rispettivamente direttore ed editore del giornale Il nuovo paese, in seguito a un articolo in cui si riferiva l’acquisto da parte di Rosboch di un «sontuoso appartamento» a Torino, lasciando intendere che egli, di umili origini, aveva potuto procurarsi «simile rapido arricchimento con denaro tratto dall’esercizio di mandati pubblici e statali» (Fatti e verità, 16 maggio 1924). Dopo l’assoluzione di entrambi in primo grado, Borani fu condannato in appello a dieci mesi di reclusione e al pagamento di una multa.
Nel 1924 Rosboch fu eletto deputato per la circoscrizione veneto-tridentina. Nella XXVII legislatura si dedicò specialmente alla soluzione dei problemi economici e politici relativi al Trentino Alto-Adige. Fondò inoltre, sotto gli auspici del governo italiano, la società Commerciale italo araba, destinata alla penetrazione italiana in Yemen. Nel 1927 la pubblicazione del suo libro La riforma monetaria suscitò la riprovazione di Mussolini, poiché vi sosteneva la necessità di stabilizzare la lira a una quota meno dannosa per l’economia italiana rispetto alla fatidica ‘quota 90’. In una lettera al ministro delle Finanze Giuseppe Volpi, Mussolini giudicò il libro «disfattista, stabilizionista, invecchiato, perché scritto nell’ottobre 1926» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Volpi, b. 6).
Nel 1926 presentò istanza alla Consulta araldica per vedere riconosciuta la sua discendenza dal notaio Giacomo Rosso, o De Rubeis, vissuto nel Comune di Oglianico tra il 1588 e il 1668, al quale la duchessa Cristina di Savoia aveva conferito il titolo nobiliare. La Consulta negò il riconoscimento del titolo nobiliare, ma riconobbe lo ‘stemma di cittadinanza’ (un leone d’oro su fondo azzurro, accompagnato da una stella a raggi d’oro, sormontato da un elmo dal quale nasceva un leone che teneva nella destra un ramo di palma; alla base dell’iscrizione compariva il motto Virtute et Fortuna). Insoddisfatto dell’esito, presentò una nuova istanza nel dicembre del 1929, ottenendo il riconoscimento del titolo nobiliare nel febbraio del 1930. Lo stesso cognome Rosboch fu riconosciuto come derivante dall’originario cognome dell’antenato (Rosso o De Rubeis, poi Rubeis Boc, Rosso Boc, Rosboch). All’esito positivo dell’istanza, come si può leggere nelle carte relative alla pratica (Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, Consulta Araldica, b. 1123), non fu estranea la sua posizione nel governo Mussolini: il 9 luglio 1928 era stato nominato sottosegretario al ministero delle Finanze, carica che mantenne fino al 20 luglio 1932. Secondo alcune indiscrezioni raccolte dalla polizia politica, la sua nomina fu interpretata da alcuni deputati come sintomo di un possibile ritorno di De Stefani. Durante la permanenza alle Finanze fu spesso in contrasto con il ministro, come riferito da Antonio Mosconi, che nella sua autobiografia (1952) racconta di aver denunciato situazioni poco chiare in cui era coinvolto il sottosegretario.
Nel 1929 fu nuovamente eletto deputato. Dopo aver collaborato per anni a varie riviste tra cui La Tribuna, La Riforma sociale, La Rivista bancaria, Echi e commenti, Augustea, nel 1930 fondò con il giurista e politologo Carlo Costamagna la rivista Lo Stato. Nel primo numero i due fondatori e condirettori enunciarono la missione che il periodico si proponeva: «diventare l’organo attivo di una scuola effettivamente nazionale nel diritto, nell’economia, nella politica e concorrere alla rielaborazione sistematica delle scienze sociali in Italia» (Lo Stato, 1930, n. 1, p. 57). Le ragioni della nuova pubblicazione furono precisate nello stesso numero da Giuseppe Bottai, il quale sottolineò che si trattava di guidare e sollecitare uno sforzo di «sistemazione dottrinale del fascismo» ispirata ai principi del corporativismo (p. 5). I collaboratori provenivano soprattutto dalla Scuola di scienze corporative e dal connesso collegio Mussolini di Pisa. Fino al marzo del 1931 la rivista presentò la dicitura «diretta da Ettore Rosboch e Carlo Costamagna», ma a partire da quella data Rosboch lasciò la direzione e la dicitura fu sostituita con «fondata da Ettore Rosboch e Carlo Costamagna». Dal primo numero del 1935, e fino alla cessazione delle pubblicazioni, nel 1943, il suo nome scomparve dall’intestazione e Lo Stato si presentò solo come diretto da Carlo Costamagna.
La sparizione del nome di Rosboch dalla rivista coincise con la sua mancata ricandidatura nella lista del Partito nazionale fascista alle elezioni del 1934. Secondo alcuni rapporti anonimi della polizia politica, l’esclusione era dovuta ai precedenti scandali in cui era stato coinvolto e a una serie di suoi articoli su diversi quotidiani in cui aveva sostenuto la necessità di una politica inflazionistica per attenuare gli effetti della crisi economica internazionale. Sulla mancata ricandidatura influì probabilmente la progressiva emarginazione politica di De Stefani, anch’egli escluso dalle candidature.
Dopo il matrimoninio con Elisabetta Jaworsky, baronessa di Wolkenstein, intraprese una nuova carriera dedicandosi alla produzione cinematografica. Per la Italcine - Società cinematografica italiana produsse alcuni film di successo come Mille lire al mese (1939) e Ballo al castello (1939) diretti da Max Neufeld, e Luce nelle tenebre (1941) diretto da Mario Mattoli. Anche la sua attività di produttore attirò l’attenzione della polizia politica, che segnalò le origini ebraiche di Neufeld, da Rosboch ingaggiato «in barba alla politica razzista del regime» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Minstero dell’Interno, Divisione Polizia politica, b. 1156).
Morì a Roma il 28 agosto 1944.
Opere. Il problema monetario fiumano, in La Riforma sociale, 1920; La politica finanziaria fascista, Roma 1924; La riforma monetaria, Milano 1927; Economia fascista e produzione, Roma 1929; La concezione fascista dell’economia, Milano 1930; La crisi della civiltà europea, Roma 1930; La tragedia monetaria del mondo, Roma 1931.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione Polizia politica, b. 1156; Presidenza del Consiglio dei ministri, Consulta araldica, b. 1156; Carte Volpi, b. 6; Archivio storico della Banca d’Italia, Archivio Alberto De Stefani, f. 129 e f. 169. La raffineria di Trieste e Fiume e Ancora i cattivi affari della “Sconto” che diventano ottimi affari per la Commerciale, in Il nuovo paese, 29 giugno 1923; La campagna contro gli affaristi della Commerciale, in Il nuovo paese, 1-2 luglio 1923; Il Foro italiano, 1926, pp. 347-350.
A. Mosconi, La mia linea politica, Roma 1952, passim; F. Marcoaldi, Maffeo Pantaleoni e la Riforma finanziaria, in Annali Fondazione Einaudi, 1980, pp. 658 s.; M. Pizzigallo, Alle origini della politica petrolifera italiana, Milano 1981, pp. 252, 260 s.; F. Marcoaldi, Vent’anni di economia e politica. Le carte De Stefani, Milano 1986, pp. 96-100; N. De Ianni, Il ministro soldato: vita di Guido Jung, Soveria Mannelli 2009, pp. 176, 269, 319; M. Minesso, Giuseppe Belluzzo tecnico e politico nella storia d’Italia, Milano 2012, pp. 75-77, 81 s., 84, 234; R. Raspagliesi, Guido Jung: imprenditore ebreo e fascista, Milano 2012, p. 137.