CICCOTTI, Ettore
Nacque a Potenza, il 24 marzo 1863, di colta e doviziosa fan:úglia "agraria": il padre, Pasquale, era allora, e fu per più anni, sindaco della città; la madre, Laura Addone, era imparentata con i D'Errico, anche più dei Ciccotti operosi in senso liberale, antiborbonico, unitario e italiano fin dai giorni della Repubblica partenopea. Dopo i primi rudimenti alla scuola privata d'un ex sacerdote lucano, in fama di "radicale", Raffaele Riviello, entrò al locale liceo "Orazio Flacco", dove il 15 maggio 1879 a nome dei condiscepoli, commemoro, nel trentesimo annuale del sacrificio, Luigi. La Vista, "inaugurandosi la iscrizione che l'egregio Francesco De Sanctis segnò".
Questa fu la prima scrittura a stampa del C., il quale, già tredicenne, aveva iniziato a carteggiare con Matteo Renato Imbriani e da lui si lasciava facilmente convertire al mazzinianesimo e al radicalismo. Conforme alle tradizioni di famiglia (erano avvocati il padre e il fratello maggiore, Emesto), s'iscrisse per l'anno acc. 1879-80 alla facoltà di giuriàprudenza dell'università di Napoli, non senza maturare interessi più strettamente storici né senza coltivare gli studi letterari; tutta la sua opera, invero, dimostra larga conoscenza di poesia italiana e straniera, e l'apparenta ai coetanei della cosiddetta seconda scuola desanctisiana (con la solitaria eccezione di Francesco Torraca, uomini "pratici" e politici pressoché tutti: A. Salandra, G. Arcoleo, Michele Torraca, G. Fortunato, ecc.). Comessi acquistò e conservò il senso, o il gusto, del classicismo e più di essi, tuttavia, risentì, anche nel nerbo della sua prosa, oltre che nella frequenza delle citazioni o delle allusioni, l'efficacia del magisterio carducciano: al quale, tramite ancora M. R. Imbriani, lo collegava, o riconduceva, altresì l'irredentismo, vigoreggiante specie tra i giovani per il sacrificio di Oberdan (sebbene mazzinianesimo e irredentismo fossero nel C. tosto superati, fino all'"interventismo democratico" del 1914-15, dai nuovi "miti" della sociologia e dell'evoluzionismo, nonché (principio anni Novanta) dal materialismo storico e dal determinismo economico.
Tornato a Potenza dopo la laurea, per esercitarvi brevemente l'avvocatura e forse per impegnarsi nelle lotte politico-amministrative dei notabili regionali (donde gli inizi della sua diuturna amicizia col Fortunato e della sua diuturna inimicizia con F. S. Nitti), mentre con più impegno attendeva. ai primi lavori scientifici, tanto di storia del diritto quanto di storia antica, interpretando in chiave evoluzionistico-sociologico-spenceriana e la costituzione di Licurgo e gli ordinamenti cretesi, divenuti allora attuali grazie alle campagne scavistiche di F. Halbherr e alla scoperta della grande iscrizione di Gortyna, sentì segnarsi il suo destino di studioso nell'incontro con Ettore De Ruggiero. Il quale era, bensì, un "tecnico" (e alla ricerca di collaboratori per l'intrapresa pubblicazione del Dizionario epigrafico)nonché un mommseniano, ortodosso, dopo il suo discepolato berlinese degli anni Sessanta e la traduzione, in questi anni apprestata e pubblicata, del quinto volume della Storia romana, ma era, altresì, un uomo aperto ai problemi del Mezzogiorno, massime il problema. agrario in genere e del latifondo in ispecie, dunque partecipe in qualche modo degli studi che i migliori intelletti (Villari, Franchetti, Sonnino, Fortunato, ecc.) venivano dedicando alla questione meridionale.
Per invito e incoraggiamento del Fortunato, che provvide quindi alla stampa del lavoro, inizialmente commissionatogli come un articolo di venti pagine dal direttore della Nuova Antologia, il C. debuttò in questo campo con una monografietta (Torino 1889) sulla Basilicata (rist. in Sulla questione meridionale, Milano 1904, pp. 1 ss.), in cui già inclina alla concezione "naturalistica" del Fortunato (e vi restò sostanzialmente sempre fedele, massime per avversione, dopo la soglia del Novecento, allo "storicismo" crociano; cfr. in Riv. pedagogica, XXV[1932], pp. 365 ss.). Contemporaneamente, però, la propria esperienza di meridionalista e di agrario, oltre che di "politico" e di "sociologo", il C. conferiva, sotto la ferula del De Ruggiero, allo studio della storia antica, iniziando dal dicembre 1888 un tirocinio romano che dovette riuscirgli molto proficuo, anche per i nuovi contatti con i docenti dell'università (Bonghi, Beloch, De Ruggiero, A. Labriola, G. Lumbroso, ecc.) e con il mondo politico-giornalistico della capitale. Libero docente di antichità classiche dall'ottobre 1889, il C. partecipò nel '91 al concorso di storia antica presso l'Accademia scientifico-letteraria di Milano (giudici, fra gli altri, Beloch e Pais). Lo vinse e tosto si trasferì nella metropoli lombarda, già roccaforte del socialismo turatiano (benché il partito socialista in quanto tale solo nascesse l'anno dopo al congresso di Genova). E diede inizio all'insegnamento con la memorabile "prelezione" Perchéstudiamo la storia antica?, subito pubblicata dal Bonghi nella sua rivista LaCultura (XI [1892], 6, pp. 132. ss).
La produzione scientifica del C., anche gli articoli "tecnici" del Dizionario epigrafico (il maggiore dei quali, Augusto, del '94, costituisce l'ossatura del Profilo, Torino 1938), pur toccando alcuni temi resi attuali dai primi scritti greci del Beloch e dalle scop erte archeologico-epigrafiche, non solamente cretesi, diverge toto caelo dall'attività della comune degli antichisti nostrali, generalmente forse più esperti del C. nel maneggiare il cosiddetto metodo filologico, o metodo tedesco, ma incomparabilmente inferiori a lui per un difetto di storicità, di cultura ed esperienza di vita. Nonché per un indirizzo di fondo, che contraddistingue in radice la cosiddetta storiografia economico-giuridica dalla storiografia "filologica" e dalla posteriore storiografia "idealistico-storicistica". Filologi prima e "idealisti" poi furono, per diverso modo e con diverse guise, in discorde ma convergente concordia, fedeli alla matrice germanica della propria cultura, sia per l'erroneo, ma universalmente diffuso, convincimento che solo alla "docta Germania" si potesse, epperò si dovesse, far capo per lo studio criticoà organico e organizzato, o scientificamente articolato, della storia e del mondo antico, sia per il ripudio "idealistico" della cultura franco-inglese nell'età dell'evoluzionismo e del positivismo.
Il C., invece, lettore di Spencer e di Stuart Mill, di Morgan e Sumner Maine, prima che di Cairnes, di Marx e di Engels, accolse dall'evoluzionismo sociologico-antropologico il fecondo principio del "confronto", dell'analogia, e/o del "ricorso", almeno quale avviamento, strumento e lume all'intelligenza storica di fenomeni, antichi, bensì, ma non peculiari dell'antico, in quanto e nella misura in cui si riscontravano presso i cosiddetti popoli primitivi come reliquati e sopravvivenze di popoli civili (esempio del primo caso, per il C., la krypteia spartana ch'egli ravvicinò audacemente al Ku Klux Klan, facendo ridere i "dotti", ma in questo anticipando il Nilsson; cfr. Confronti storici, Milano 1929, pp. XX-XXI; esempio dei secondo caso, la transumanza appenninica e, più in generale, il feudalismo e latifondismo agrario, il "manutengolismo" meridionale, che aiutarono confessatamente iI C. a intendere i moti graccani e il processo di Verre). Un "visivo", dunque, il C., più che non fosse stato lo stesso Mommsen (a non parlar degli epigoni, tedeschi, italiani e forestieri ...), com'era stato "visivo" uno de' suoi maestri, il Michelet: e un lettore, anche per cose specificamente attinenti al suo lavoro, d'inglesi, massime Freeman, e di francesi, massime Fustel de Coulanges, assai più che di tedeschi, pronto a far proprie sia le ragioni metodiche dei Freeman in difesa dell'"unità" e "politicità" della storia sia le ragioni polemiche del medesimo storico d'oltre Manica nel giudicare di Mommsen (cfr., spec., Confronti, cit., pp. VIII ss.): laddove i suoi coetanei di scuola filologico-belochiana, se pur conoscevano il Freernan "tecnico", lo storico della Sicilia generalmente leggevano per mediazione, e in traduzione tedesca, e lo storico del federalismo nella postuma riedizione del Bury, senza coglier così la tematica e la humus compositiva del libro, la congiunta lezione "elvetica" e la difesa dello "statino" (donde le ctitiche dell'"unitario" E. Meyer e il seppellimento d'una storiografia tra liberale e grotiana sotto il pregiudizio ed il peso dell'unitarismo nazional-bismarckiano).
Con questa preparazione e con questi proposig si presentava nel '91 il C. ai giovani milanesi, ch'egli, con linguaggio accademicamente inusitato, chiamava e invocava "cooperatori": in un lavoro di ricerca ch'era, dichiaratamente, a un tempo di "scienza" e di "vita", non disgiunto dalla "vita" ("vita" in quanto coeva problematica e "storicità del reale"). Perciò, forse inconsapevolmente raccordandosi al maggior Mommsen, allo storico della Römische Geschichte, che "la gente nova" gli perdonava quasi come un "giovanile errore", tosto espiato con i sacrifici dell'organizzazione epigrafica, col travaglio e la direzione del Corpus Inscriptionum Latinarum, il C., congiunto ed erede di quel Giuseppe D'Errico che, al pari d'altri "galantuomini" meridionali, aveva collaborato e carteggiato col Mommsen, alla ricerca delle Inscriptiones Regni Neapolitani (cfr. A. Signorelli, 1974, pp. 190 s.), asseriva programmaticamente nella "prelezione" milanese: "Per lungo tempo noi ci siamo fatto degli antichi un concetto che io direi di maniera, il concetto di un popolo di eroi della scena che si movevano come su di un teatro, ammirandosi e facendosi ammirare, e sottratti a tanti di quei bisogni, a cui obbediscono e sotto il cui impero si muovono i popoli moderni".
Era il preannunzio del proprio lavoro di antichista (in cui l'avrebbero seguito, con uguale insuccesso accademico, Barbagallo e Ferrero). Perché all'insegna dell'economismo e del "concretismo", nella Milano socialista, dove in vario modo, ma con uguale impegno, si dibattevano i problenù del lavoro e del capitale, del colonialismo, dell'economia liberistica o protezionistica o governativamente protetta, della guerra e della pace, dell'internazionalismo, il C. venne dettando i suoi scritti maggiori, mentre con uguale impegno si ascriveva alla milizia socialista e si buttava nella lotta politica, a detrimento sicuro delle proprie fortune universitarie: in una città, culturalmente, di "moderati", com'era, nonostante il solitario esempio autorevole dell'Ascoli e del Massarani, la Milano della municipalità, della stampa e dell'Accademia.
Sul piano. politico, il C. "milanese" dispiega la più intensa attività pubblicistica (fino a tutto il 1893 collaboratore assiduo della Critica sociale, massime per temi di economia, finanza e "meridionalismo"), organizzativa e. propagandistica: donde gl'infiniti discorsi e comizi che il C. tenne in città e in provincia, la sua candidatura alle elezioni comunali e provinciali e, successivamente, politiche (fino alla vittoria nel giugno 1000; ma il C. optò per Napoli e fu per parecchi anni il popolare "deputato di Vicaria").
Portò nel partito, e cercò d'imprimervi, una sua esperienza di meridionalista, che lo fece tosto critico (siccome nel decennio successivo il Salvemini) della direzione e delle direttive dei partito, da lui ritenuto troppo "settentrionale", industrialistico-operaista, e troppo poco incline a conoscere e a difendere le plebi agrarie del Mezzogiorno, mentre oppugnava una politica d'intese anticrispine, e generalmente liberal-statutarie, con la democrazia lombarda (cavallottiana, più che repubblicana e/o radicale, previo l'accantonamento, pertanto, della cosiddetta questione istituzionale in favore della rappresentanza, e dell'incremento della rappresentanza, parlamentare).
Sul piano scientifico-storiografico, il C. volse precipuamente la mira ad una ricostruzione della storia politica e sociale dell'ultima Repubblica romana, traendo profitto e lume, ad intenderla, dai due fenomeni attuali del "femminismo" e dei "consortismo" (donde, nell'opuscolo Donne e politica negli ultimi anni della Repubblica, Milano 1895, anche i primi elementi e avviamenti di quella che fra le due guerre mondiali si convenne di chiamare in Germania prima e in Gran Bretagna di poi la storiografia "prosopografica"; e la solida ricostruzione del Processo di Verre, Milano 1895, sul quale stingono i ricordi del processo di Warren Hastings nelle immortali pagine del Burke e del Macaulay): lavorava intanto alla composizione dei due suoi più importanti, o meglio noti, volumi: Iltramonto della schiavitù nel mondo antico, Torino 1899, e La guerra e la pace nel mondo antico, ibid. 1901.
I due libri uscirono. però, quando il C. non era più "milanese" ed erano, anzi, mutate le sorti sue e dell'Italia. Perché, dopo una lunga battaglia, anche pubblicistica, ad opera, soprattutto, di G. I. Ascoli (Intorno alla condizione del prof. C. nella scuola e Il professore socialista, due lettere aperte, la prima, non pubblicata, al direttore del Corriere della sera, la seconda ad A. Graf. entrambe edite in separati opuscoli, Milano 1897), e parlamentare (intervennero, a difesa del C., Agostino Berenini alla Camera e l'Ascoli in Senato; cfr. la bibliografia in P. Treves, Idea di Roma, pp. 237 n. 22, 242 n. 24), il C., accusato soprattutto dal sindaco o ex sindaco, di Milano, sen. Gaetano Negri, dal sen. F. Brioschi e dal preside dell'Accademia scientifico-letteraria, il grecista V. Inama, di essere un professore "socialista", incanaglitosi nelle serate trascorse in bettola con gli operai da convertire, fu escluso, il 1897, dalla promozione a ordinario, cui aveva ogni diritto per meriti scientifici e per anzianità d'incarico, epperò destituito. dalla cattedra (essendo l'Accademia università "libera", quindi indipendente dall'amministrazione universitaria nazionale).
Trovò breve asilo, ancora come "straordinario", all'università di Pavia, e vi iniziò il corso di storia antica con la prolusione, "da alcuni applaudita, da altri fischiata", su La storia e l'indirizzo scientifico del secolo XIX (pubblicata sulla rivista La Scienza sociale, del 1898), dove, più che il ribadimento dei concetti informatori della propria ricerca storica, retrospettivamente interessano la citazione dal "poeta recente" Giovanni Pascoli "il privilegiamento, come unico vero, ... che arresta i dubbi del critico e rende trepidante lo scettico", dell'"ideale morale". là il primo tentativo o proposito di superamento, nel C., d'una concezione, meramente causalistica, o naturalistica, ' della storia, la quale informa nella sostanza Il tramonto della schiavitù e La guerra e la pace.
Se della schiavitù e della guerra il C. volle dare spiegazioni meramente "materialistiche" o di "materialismo storico", individuandole come diretta conseguenza dell'insufficiente sviluppo delle forze produttive, e negando perciò che al tramonto della schiavitù avesse in alcuna rilevante fnisura contribuito il cristianesimo (donde una tenace polemica con P. Allard) e che le maggiori guerre del mondo antico, ad es. la rivolta ionica, anche nascessero da elementi ideali o ideologici (donde la polemica fierissima impegnata da G. De Sanetis contro il C., oltre che nell'inedita recensione, pubbl. da L. Polverini, in Ann. d. Sc. norm. sup. di Pisa, s. 3, III [1973], 4, pp. 1071-1077, nel discorso accademico torinese del 1904 e nella replica del 1909; cfr. Per la scienza dell'antichità, Torino 1909, pp. 231 ss., 273 ss., rist. in Scritti minori, III, Roma 1972, pp. 203 ss., 231 ss.; dopo che il C. aveva risposto con l'opuscolo La filosofia della guerra e la guerra alla filosofia, Milano 1905, estr. dalla Vita internazionale, VIII [1905], n. 6-8).
Coinvolto nei fatti milanesi del maggio 1898, e costretto a riparare in Svizzera, dove strinse amicizia, oltre che con altri esuli italiani (A. Rondani, G. Rensi, A. Cabrini, ecc.), con Vilfredo Pareto ed August Bebel, e donde riportò un utile volumetto d'impressioni sociopolitiche (Attraverso la Svizzera, Palermo-Milano 1899), perdette la cattedra di Pavia e solo nel 1901 vinse il concorso per Messina, dove restò, più o meno relegato, nonostante i tentativi di uscime e di trasferirsi a Napoli, sia nel 1910, presidente del Consiglio L. Luzzatti, sollecitato da G. Fortunato, sia nel 1920-21, ministro della Pubblica Istruzione B. Croce, per un quarto di secolo, fin quando, cioè, la temporanea soppressione gentiliana della facoltà di lettere messinese non trasferì il C. alla cattedra dì letteratura latina presso l'istituto superiore di magistero in Roma.
Nel frattempo, da storico e da militante socialista, il C. intraprese un'altra delle sue maggiori benemerenze culturali: la traduzione, opera sua e d'altri, delle opere maggiori di Marx, Engels e Lassalle (Roma 1899-1910) e la pubblicazione, nella "Biblioteca di storia economica", diretta di nome dal Pareto e di fatto dal C., di tutta una serie dei maggiori classici dell'economia e di storia economica antica (Boeckh e Dureau de la Malle, Roscher, Beloch, E. Meyer, Weber, ecc.), con lunghe introduzioni critico-bibliografiche (per es., L'evoluzione della storiografia e la storia economica del mondo antico, Milano 1903, introd. al volume I; Vecchi e nuovi orizzonti della numismatica e funzione della moneta nel mondo antico, Milano 1915, introd. al volume III, ecc.), ristampate, alcune, in tutto o in parte, nei vari saggi o capitoli di La civiltà del mondo antico (I-II, Udine 1935).
Ma qui sostanzialmente si arrestò l'attività storiografica del C., non, come sì disse da suoi nemici politico-accademici, per un privilegiamento e prevalere dell'attività politica, ma in quanto, a prescindere dall'avversione dei mondo universitario nostrale (dinanzi all'unico antichista, dopo il Ferrero, tradotto in più lingue e discusso da Kautsky e da Sorel, da G. Salvioli, P. Allard, ecc.), giustamente il C. avvertì una sorta di arresto metodico-intellettuale, un'incapacità sua di adeguarsi alla nuova cultura idealistico-novecentesca, alla quale meglio era demandata la battaglia intrapresa dalla scuola economico-giuridica contro la cultura ufficiale e il germanesimo indiscriminato degli accademici.
Il C. restò, non di meno, fedele ai propositi e ai compagni d'un tempo, se protesse gli inizi, durante la prima guerra mondiale, della Nuova Rivista storica, diretta dall'amico Barbagallo, e con lui ed altri collaborò, distinguendosi tuttavia per alto senso di responsabilità e di misura, al volumetto miscellaneo, polemico-propagandistico Per l'italianità della coltura nostra (Milano-Roma-Napoli 1918), quando il "politico" C. troppo più del giusto concedeva al dilagante, e ormai imperversante, nazionalismo.
Fin dal 1905, infatti, egli aveva sostanzialmente rotto col partito socialista, pur continuando la collaborazione saltuaria all'Avanti!, soprattutto per un eccesso di "meridionalismo" e un difetto di disciplina, che gli impedì, nel 1912, l'adesione al partito socialista riformista nonostante la profonda amicizia nutrita per L. Bissolati e le comuni direttive di accettazione della monarchia "giolittiana", cioè dello Stato liberale, in cui, e nel cui Parlamento, il C. venne tuttavia riponendo sempre minore fiducia. Interventista fermo, si rese più e più, benché inconsciamente, corresponsabile della campagna antiparlamentare, organizzata da vari gruppi, ma consciamente condotta solo da elementi eversivi: dond'era poi breve il passo all'ostinato antisocialismo, camuffato (ma nel C. in buona fede) di antibolscevismo, specialmente allor quando Nitti e Giolitti ricercarono, e più ancora si tentò nella tragica estate del '22, una intesa con i socialisti e i popolari (cui, forse per il persistere dì antichi rigurgiti anticlericali, il C. fu ostilissimo sempre, e in ispecie personalmente a don Sturzo: non meno, d'altronde, che all'avventurismo Politico, fumano e postfiumano, di Gabriele D'Annunzio). Non esitò, pertanto, a proporre, in un articolo del 22 giugno 1922, l'istituzione d'un anno di dittatura, che equivaleva a una dichiarazione di resa da parte del liberalismo parlamentare, né, qui pure malamente ispirandosi alla storia di Roma, si peritò di commentare il discorso di Filippo Turati "contro il bivacco fascista alla Camera" con le infelici parole: "Queste lamentazioni fanno un po' ricordare le querimonie delle oligarchie spodestate al finire della repubblica dell'antica Roma e che amavano confondere la causa della libertà con i loro perduti privilegi" (cfr. Cronache quadriennali, Milano 1924, II, p. 247; l'articolo sulla dittatura rist. in Il fascismo e le sue fasi, Milano 1925, pp. 219-222).
Svolgeva da anni un'intensa attività giornalistica (Il Messaggero, La Sera di Milano, ecc.) e pubblicistica (la cronaca politica della Rivista d'Italia) e la continuò fino a tutto il 1925. Riprese, frattanto, una modesta, e sempre meno marxistico-materialistica, attività storiografica, affidando alla Weltgeschichte di L. M. Hartmann un manuale di Storia greca (Firenze 1922), dov'è soprattutto notevole la condanna del principio "unitario" e la rivendicazione del concetto, e della libertà, della polis. Provvide poco di poi a raccogliere i suoi scritti più significativi, editi e inediti, in un volume programmaticamente intitolato Confronti storici (Milano 1929) cui il giovane collega romano G. De Ruggiero dedicò sulla Critica (XXVIII [1930], pp. 57 ss.) una memorabile recensione. Li univa, ormai, e così G. Lombardo Radice e P. Silva, la comune, operosa solidarietà antifascista. Ravvedutosi, infatti, del suo tendenziale filofascismo, benché accogliesse nell'autunno del '24 il laticlavio non tanto dal governo Mussolini quanto dal suo ex discepolo milanese, allora ministro della Pubblica Istruzione, il sen. Alessandro Casati, il C. fra il 1925 e il 1928 svolse in Senato una lunga e coraggiosa battaglia d'opposizione contro le leggi liberticide, l'amministrazione fascista dello Stato e la trasformazione dello Stato liberale in regime totalitario: derivando dalla sua esperienza di antichista e dalla lezione mommseniana la formula dell'avversione anche "al più geniale ed umano assolutismo", che è "cosa morta". Con questo animo, nel mentre attestava scoperta solidarietà a talune vittime del Tribunale speciale, come Ernesto Rossi, vergò le sue ultime scritture, per es. il Profilo di Augusto (Torino 1938), dove la guerra è vista come l'estremo ed inevitabile sbocco d'un'autocrazia incapace d'illudere più oltre le masse con "le opere pubbliche e le celebrazioni", con "i miraggi di conquiste onde lampeggiano a' soggetti beneficii spesso sognati od effimeri e al dominatore ancor più effimero prestigio". In quest'atmosfera non pur "imperiale", ma di prebellico "razzismo", il C. ripropose, quasi un ritorno alla sua terra, al suo autore (e dell'amico Fortunato) e al liberale semitismo ascoliano, il problema, delle origini di Orazio, non escludendo che il poeta nascesse in Venosa di razza ebraica. E su queste pagine, impubblicabili per oltre un lustro, la morte lo colse improvvisamente in Roma il 20 maggio 1939, Un quarantennio da allora, e solo ora si comincia a ristamparlo e a rileggerlo.
Gli scritti più importanti del C. sono: La costituzione così detta di Licurgo (Napoli 1886); La famiglia nel diritto attico (Torino 1886); Le instituzioni pubbliche cretesi (Roma 1891, estr. da Studi e documenti di storia e diritto, del 1891); Donne e politica (Milano 1895); Il processo di Verre (ibid. 1895);La reazione cattolica (ibid. 1897), Attraverso la Svizzera (Palermo-Milano 1899); Il tramonto della schiavitù nel mondo antico (Torino 1899; 2ed., Udine 1940; rist. Bari 1977, a cura di M. Mazza, la cui ricchissima introduzione ha riaperto il problema Ciccotti; cfr. G. Nenci, in Ann. della Scuola normale superiore di Pisa, s. 3, VIII [1978], pp. 1287 s., e le recensioni di G. Baldelli, in Il Pensiero politico, XII [1979], pp. 65-68, e in Dialoghi di archeologia, n. s., III [1981], n. 1); La guerra e la pace nel mondo antico (Torino 1901); Psicologia del movimento socialista (Bari 1903); Sulla questione meridionale (Milano 1904); L'evoluzione della storiografia e la storia economica del mondo antico (ibid. 1903); La filosofia della guerra e la guerra alla filosofia (ibid. 1905); Montecitorio (Roma 1908); Vecchi e nuovi orizzonti della numismatica e la funzione della moneta nel mondo antico (Milano 1915); I socialisti italiani e la guerra (ibid. 1917); Guerra e civiltà (ibid. 1918, parzial. rist. in Confronti storici, pp. 106 ss.); Storia greca (Firenze 1922); Cronache quadriennali (I-II, Milano 1924); Il fascismo e le sue fasi (ibid. 1925); Confronti storici (ibid. 1929); G. Fortunato e la questione meridionale (nel vol. miscellaneo in memoria di Giustino Fortunato, Roma 1932, pp. 49-68); "Storia di Europa" e metodologia storica, in Rivista pedagogica, XXV(1932), pp. 352-389 (a recensione della crociana Storia d'Europa, preceduta da questa significativa e cavalleresca precisazione: "dato il mio fondamentale dissenso con i criteri direttivi del Croce, sarebbe potuto sembrare improprio e perfino fazioso astenersi-dal discuterne obbiettivamente, e in una autorevole rivista, di carattere prettamente scientifico, da parte di chi non intende con ciò venir meno, in nessun modo, alla considerazione dovuta alla dirittura, al talento e all'operosità intellettuale del Croce; e anzi gli rende omaggio criticando, come sa e può, vivacemente ma francamente, un saggio di metodologia storica che ritiene errato"); La civiltà del mondo antico (I-II, Udine 1935); Profilo di Augusto (Torino 1938); Le origini di Orazio, in Nuova Riv. stor., XXVII(1943), pp. 203-221.
Fonti e Bibl.: Un'incompleta, ma sufficiente, bibl. del e sul C.; F. Natale, in Nuova Riv. stor., XLII (1958), pp. 290 s. (nonché presso Mazza, cit., pp. LXVII-LXX). Ad una biografia critica attende (e già ne ha dato ottimi saggi) A. Signorelli: cfr. Per una biografia di E. C., in Siculorum Gymnasium, n. s., XXVII (1974), pp. 185-214; e Dalla democrazia radicale al socialismo, ibid., n. s., XXXI (1978), pp. 138-199 (con ined. e ricco materiale). Per i tentativi di trasferimento a Napoli, cfr. G. Fortunato, Carteggio (1865-1911), a cura di E. Gentile, Bari 1978, pp. 219 s. (ovviamente di alta importanza è il fin qui pubblicato del carteggio Fortunato C.); B. Croce, Epistolario, I, Napoli 1967, pp. 68 s. (e p. 48 per le relazioni tra il C. e L. M. Hartmann), nonché l'opuscolo dell'antagonista vittorioso E. Ciaceri, Il mio trasferimento alla R. Università di Napoli e il ministro Croce, Napoli 1922. Per l'antifascismo del C., oltre alla testimonianza di E. Rossi, e di sua madre, in Elogio della galera, Bari 1968, p. 493 (e cfr., anche p. 75), gli scritti e discorsi del C., In difesa dell'uomo e della libertà, a cura di T. Pedio, Bari 1970. I maggiori scritti sul C. storiografo (oltre ai giudizi, già cit., di G. De Sanctis e a quelli di G. Sorel, in sue lettere a B. Croce, in La Critica, XXV[1927], pp. 175, 305): C. Barbagallo, in Nuova Riv. stor., IV(1920), pp. 27-60; F. Natale, ibid., XLII (1958), pp. 35 ss., 271 ss.; R. Caggese, in Riv. d'Italia, XXIII(1920), pp. 360-378; B. Croce, Storia della storiografia ital. nel secolo XIX, Bari 1947, II, pp. 139 s.; i necrologi di C. Barbagallo, di E. Sestan e di S. Mazzarino (significativamente anonimi tutt'e tre), rispettiv. in Nuova Riv. stor., XXIII (1939), pp. 257 ss.; in Riv. stor. ital., s. 5, IV (1939), pp. 615-618; e in Arch. stor. d. Calabria e Lucania, IX(1939). pp. 354-361; P. Treves, L'idea di Roma e la cultura ital. del sec. XIX, Milano-Napoli 1962, pp. 221-260, e in Athenaeum, XLI (1963), pp. 356-383; M. Mazza, intr. alla cit. riediz. del Tramonto. I, pp. V-LXX. Sul C. politico cfr.: N. Calice, E. C. per un saggio sulla formazione dell'ideologia riformista, Manduria 1979, Resta curioso e prezioso documento il discorso di L. Credaro, per l'inaugurazione dell'anno accademico 1900-1901 all'università di Pavia, La libertà accademica, in Annuario della R. Univ. di Pavia 1900-1901 Pavia 1901, pp. 19 ss.: spec. alle pp. 61-63 (il discorso fu coraggiosamente ripubblicato in Riv. pedagogica, XXV[1932], pp. 696 ss.; per il "caso Ciccotti": cfr.. ibid., pp. 719 ss.).