DESDERI, Ettore
Nato ad Asti in un'antica famiglia piemontese, da Giuseppe, generale di cavalleria e da Emilia Vagnone, il 10 dic. 1892, si laureò in architettura al politecnico di Torino nel 1920. Nel 1914 aveva iniziato lo studio del pianoforte e della composizione con L. Perrachio. Diplomatosi in composizione con F. Alfano a Bologna nel 1921, seguì un corso di perfezionamento a Firenze con I. Pizzetti (1921-22), iniziando a collaborare, soprattutto con recensioni di musiche tedesche, alla rivista Il Pianoforte.
Un breve viaggio in Germania nel 1928 (a Paderborn, invitato da O. Siegl, ove il critico musicale J. Hatzfeld fece conoscere sue composizioni sacre) lo accostò all'Associazione internazionale di musica sacra, di cui avrebbe fondato, nello stesso anno, una sezione italiana. I lusinghieri commenti di O. Boehin e di altri alla sua cantata Job (eseguita al primo festival di Francoforte il 26 ott. 1930) lo legarono alla cultura tedesca nel campo della musica sacra. Nel 1934, al congresso organizzato dall'associazione ad Aquisgrana venne eseguita la sua messa Dona pacem; al successivo convegno, indetto a Parigi nel maggio 1937, il D. avrebbe voluto presentare un Salmo per soprano, coro e orchestra (la settimana musicale venne rinviata in autunno per difficoltà organizzative, forse "di carattere politico", come egli stesso scrisse il 19 maggio all'allora podestà di Alessandria). Intanto il D. aveva iniziato a svolgere un'intensa attività didattica, insegnando dapprima presso l'istituto superiore del magistero a Torino (1931-34) e divenendo nel 1933 direttore del liceo musicale di Alessandria.
In questa città l'attività del D. si esplicò non solo nel settore didattico, ma anche nell'organizzazione di varie manifestazioni musicali. Dal 1933 al 1941 il D. promosse molti concerti del Quartetto alessandrino, che videro esibirsi anche complessi famosi (come il trio Casella-Poltronieri-Bonucci e il duo Amfiteatrof-Puliti Santoliquido), nonché solisti di nome quali i pianisti C. Zecchi (1936) e C. Vidusso (1941). Il repertorio comprendeva musiche di compositori classici e romantici, con l'inclusione di opere di Debussy, Hindemith, Martinů, Szymanowsky, nonché di Casella, Alfano, Pizzetti e Ferrari Trecate, oltre a concerti commemorativi di Pergolesi e Respighi (1936), di Paganini e dello stesso D. nel concerto d'addio del 10 maggio 1941.
Nel 1941 il D. fu destinato dapprima al conservatorio di Bolzano, ove per pochi mesi tenne la cattedra di composizione, e poi al conservatorio di Milano, ove rimase per un decennio fino al 30 apr. 1951, avendo per allievi N. Castiglioni e F. Donatoni e orientando il suo insegnamento allo studio di grandi compositori, da Palestrina a Wagner, ma non rinunciando ad accostare "rarità non accessibili sul mercato italiano di quel periodo", come ricorda il Sandelewski. L'attività didattica lo portò inevitabilmente a trascurare la composizione, anche se alcune sue opere venivano eseguite alla radio (come il Quartetto in mi nel 1948 e la cantata Job nel 1950). Era stato intanto nominato (2 marzo 1951) direttore del conservatorio "G. B. Martini" di Bologna, carica che tenne fino al 30 sett. 1963; qui promosse la costituzione di un centro di studi "G. B. Martini" (che pubblicò revisioni di musiche antiche) ed organizzò concerti e conferenze.
Poi il D. si ritirò in una villa nei pressi di Firenze ove si spense il 23 nov. 1974.
Dei quattro periodi in cui è possibile suddividere la sua produzione, il primo occupa quasi un decennio, dalla Ballata per pianoforte del 1919 (inedita) alla Fantasia orchestrata tra il 1927 e il 1930 (Wiesbaden 1930). Opere impegnative sono il Trio in la minore con pianoforte e pagine pianistiche (Intermezzo, Studio, Toccata), pubblicate a Wiesbaden (1921-24), che mescolano il gusto impressionistico a certo cromatismo regheriano, mentre le due Sonate per violino e per violoncello (Wiesbaden 1923-24) risentono dell'influsso del declamato strumentale pizzettiano. L'accostamento graduale a Pizzetti, come ha notato il Panatero, si manifesta soprattutto in un gruppo di liriche (tra cui Pégase del 1930, pubblicata a Parigi da Leduc, S'addensano le nubi e i Canti dell'estate su testi di R. Tagore e G. D'Annunzio, inedite), come pure nei tre Intermezzi per l'Antigone (Milano 1926), che costituiscono i "cartoni preparatori" per un'omonima "tragedia lirica" terminata nel 1940, ma mai apparsa sulle scene. E mentre la Sonata per pianoforte del 1926 (Parigi 1930) mostrava una scrittura alleggerita grazie a una spiccata adesione all'indirizzo "neoclassico", il secondo periodo operativo vedeva il musicista dedicarsi quasi esclusivamente alla produzione sacra, che lo designava a personalità emergente nel suo tempo, come ha notato il Della Corte. Accanto a molte composizioni corali a cappella (Mottetti, Antifone, Responsoria, ecc., Augusta 1928-30), spiccano due opere di grande respiro e di intensa drammaticità, ossia la cantata Job (pubblicata ad Augusta nel 1927, eseguita a Francoforte nel 1930) e la Sinfonia Davidica, inedita, costituita dai salmi nº 58, 87, 93 e 97, composta tra il 1929 ed il 1937, la cui seconda parte venne presentata da D. Mitropoulos al VI festival di musica contemporanea di Venezia nel 1938.
Muoveva intanto l'ispirazione del D. un più vivo interesse culturale, rintracciabile nelle Umoresche e negli Intermezzi per pianoforte pubblicati a Parigi nel 1930 (erano state peraltro colte influenze di Ravel e di Roussel) e nella citazione di una canzone natalizia piemontese ("Gesù Bambin l'è nato") che appare nella Sonata-Fantasia per violino ed organo (Wiesbaden 1932). Di qui partono due nuove tendenze stilistiche: quella che assimila, sulla scia francese, elementi del jazz (nella Sonatina e nel Preludio corale e fuga in modo sincopato per pianoforte del 1934) e quella che ricupera, sulla scia di L. Sinigaglia, il canto popolare nelle quattordici Ariette turinèise (Torino 1934). In questa terza fase operativa non va dimenticata, per certa adesione a G. F. Ghedini, la rielaborazione orchestrale di due pezzi organistici, intitolata Architetture di cattedrali (1936), ove la fuga e il corale ne costituiscono, rispettivamente, l'aspetto "gotico" e "romanico".
Intanto il D. attendeva alla tragedia tripartita Antigone (inedita; conservata, come gli altri inediti, presso la famiglia), tentando la fusione del Leitmotiv wagneriano con la declamazione pizzettiana, completando nel 1940 un'altra tragedia lirica in tre atti intitolata Il mito di Edipo (testo ancora di C. Meano), anch'essa mai portata sulle scene, come pure il successivo balletto La barriera del sonno (inedito 1949). L'ultima produzione del D., che costituisce una fase di ritorno e di riflessione, è caratterizzata da solide opere cameristiche (il Quartetto in mi, per archi del 1940e il Trio in re con pianoforte del 1942, ambedue inediti), da opere sacre (Proprium Missae del 1943, Requiem, nel 1945pubblicato a Düsseldorf e i Mottetti natalizi del 1948), mentre alcune liriche costituiscono il suo consuntivo artistico, dalla Canzone dell'Ariosto per soprano e orchestra da camera (1952) ai sei Ritmi carducciani, dedicati nel 1962alla moglie, che veniva istruendo al canto il figlio Claudio, oggi noto baritono.
La congenialità formalistica, che dapprima accosta il D. a esperienze del tardo romanticismo tedesco, tende gradatamente a espressioni più articolate, rivolte sia verso cadenze "neoclassiche" sia ad approdi verso la tradizione rinascimentale e barocca: in tal modo il D. si inserisce autorevolmente nella rinascita italiana della coralità sacra e nell'indirizzo neomadrigalistico del nostro primo Novecento. Questo itinerario è sorretto da alcune sue revisioni e trascrizioni di antichi musicisti (G. Gabrieli, F. Giardini e soprattutto G. B. Martini), nonché da alcuni suoi scritti intesi come approccio ad alcuni compositori del nostro secolo, tra i quali spicca il primo saggio italiano di rilievo su M. Reger (apparso sulla Rivista musicale italiana del 1926-27), mentre si segnalano alcuni scritti più tardi su B. Bartók, A. Casella e R. Strauss, nonché un saggio sul pianismo italiano del primo Novecento (apparso su Il Pianoforte del marzo 1923), apprezzato da F. Busoni. Inoltre, anche se in un modo essenzialmente discorsivo, il D. si occupò delle nuove tendenze musicali nel libro La musica contemporanea (Torino 1930), in cui esaminava i caratteri, le tendenze e gli orientamenti della musica del suo tempo, auspicando "l'immanenza dell'interiorità" contro la "preconcetta ricerca di originalità ad ogni costo": caratteri che vedeva esplicati nel musicista a lui più congeniale, ossia quel Reger che, come lui, non voleva apparire un "innovatore".
Fonti e Bibl.: A. Bonaccorsi, Un compositore inedito: E. D., in Il Pianoforte, VII (1926), pp. 15-21;M. Bruschettini, E. D. Bibliografia delle opere musicali, in Boll. bibliogr. musicale, VI (1931), 2, pp. 61-70; V. DiDonato, E. D. scrittore, in Rass. dorica, IV (1932), pp. 21-24;Id., Job, ibid., V (1933), pp. 8-12; E. Ferlini, E. D., in Alexandria, II (1934), 3, pp. 18-21;D. De Paoli, La crisi musicale italiana (1900-1930), Milano 1939, pp. 287 ss.; M. Panatero, Le liriche di E. D., in Riv. music. ital., XLV (1941), pp. 281-295;M. Rinaldi, Musicisti della generazione di mezzo: E. D., in Rass. dorica, XIII (1942), pp. 26-32; R. A. Mooser, D., in Regarde sur la musique contemporaine, Lausanne 1946, pp. 81 ss.; H. O. Boehm, E. D., in Zeitschrift für Kirchenmusik, XI-XII (1951), pp. 460-469;A. Della Corte, E. D., in Die Musik in Gesch. und Gegenwart, III, Kassel 1954, coll. 213 s.; L. Cervelli, La musica sacra di E. D., in Boll. ceciliano, LII (1957), pp. 53-57; A E. D. nel 70ºcompleanno, Bologna 1963 (con vari saggi); A. Tafuri, La vita musicale di Alessandria (1729-1928), Alessandria 1968, pp. 141-149; R. Pietrasanta, Vita e opere di E. D., tesi di laurea, Università cattolica di Milano, 1970; Annuario 1967-1973 del Conservatorio "Vivaldi" di Alessandria, a cura di E. Bassi, Alessandria 1973, p. 24; F. Nicolodi, Gusti e tendenze del Novecento musicale in Italia, Firenze 1982, p. 253; Id., Musica e musicisti nel ventennio fascista, Fiesole 1984, pp. 140-145; R. Cognazzo, E. D., in Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, II, Torino 1985, pp. 465 s.; R. Zanetti, La musica italiana nel Novecento, Busto Arsizio 1985, I, pp. 552 s., 595-600, 602-605; II, pp. 918, 933; S. Martinotti, D., un ponte fra Reger e l'"Ottanta", in Ghedini e l'attività musicale a Torino fra le due guerre, Torino 1986, pp. 165-179.