GIAN FERRARI, Ettore
Nacque a Padova il 13 marzo 1908 da Angelo Ferrari, musicista e direttore d'orchestra, e da Jole Papadopulos, contralto di origine greca, che risiedevano a Milano, dove venne portato anche il G. poco dopo la nascita. Venne battezzato col nome di Gian Ettore; agli inizi degli anni Trenta mutò il cognome in Gian Ferrari trasmettendolo alla discendenza.
I frequenti viaggi e gli impegni con i maggiori teatri europei spinsero il padre a iscrivere nel 1920 il figlio al collegio civico di Varese. Il G. ebbe però una formazione da autodidatta, appassionandosi alla scrittura teatrale e seguendo in Olanda il padre, che vi diresse la stagione lirica italiana per alcuni anni.
Nel 1929 compì il servizio militare come bersagliere. Nella primavera del 1931 fondò e diresse il teatro Nuovo sperimentale per l'arte drammatica, che aveva sede nella sala Bossi in via Rovello a Milano.
Formò una compagnia composta da attori esordienti, appena diplomati all'Accademia d'arte drammatica, tra i quali I. Miranda e M. Merlini. Il teatro fu inaugurato da F.T. Marinetti, che vide nell'iniziativa del G. una possibilità di svecchiamento della produzione teatrale milanese e un originale coinvolgimento delle arti figurative in ambito scenografico. La stagione venne inaugurata con il dramma Bufere di G. Lopez, cui seguì, il 10 maggio 1931, Il dottor Mattia, di A. Rognoni, con scene originali su bozzetti del giovane B. Munari. Nel novembre dello stesso anno, dopo aver messo in scena il dramma Pensione di cuori di A. Pisana, il G. lasciò la direzione per gravi problemi finanziari; la compagnia si trasferì a Bergamo.
Svolse la professione di paroliere, frequentando i teatri milanesi e l'ambiente artistico d'avanguardia che allora si ritrovava alla galleria del Milione, dove il G. si fece promotore della mostra "Nove scenografi milanesi" (novembre 1932) già allestita presso la galleria di A. Bragaglia a Roma. Nella stagione 1935-36 ottenne un contratto come organizzatore di esposizioni d'arte con l'Arcimboldi, istituto privato di organizzazione, diretto da H. Krüger Appelius, che disponeva di un piccolo teatro settecentesco in via dell'Unione, distrutto nel 1943: il G. s'impegnò pertanto ad avviare un'attività espositiva con cadenza quindicinale nel foyer del teatro per risollevarne le sorti.
L'invito alla prima mostra, dell'ottobre 1935 (pitture di N. Laurenti e ceramiche d'arte di Lalù), recava ancora l'intestazione "Teatro Arcimboldi", mentre i successivi riportavano "Galleria Arcimboldi. Esposizioni d'arte organizzate da Ettore Gian Ferrari": si trattava per lo più di mostre collettive destinate a giovani esordienti, sovente nobili di ambo i sessi, ma anche promettenti autori come A. Sassu e N. Benois. Interessava infatti al G., non ancora in possesso di una solida cultura nel campo delle arti figurative, che il teatro divenisse un luogo di eventi eccezionali, frequentato dall'alta società del tempo, con il consenso dei maggiori quotidiani.
Nel giugno 1936, al termine della stagione, si fece promotore di due recite del dramma Il Capitan Fortuna, opera di D. Bonardi, scrittore e critico d'arte del quotidiano La Sera, in omaggio al quale il G. organizzò, nella medesima occasione una mostra allestita nel ridotto del teatro dove, accanto alle opere letterarie, furono esposti i dipinti di 104 pittori che il critico aveva sostenuto sulle colonne della Sera, tra i quali C. Carrà, A. Tosi, G. Tallone, A. Salietti, T. Bortolotti. Il successo dell'iniziativa, accolta con favore dai maggiori quotidiani, contribuì ad alimentare una passione per le arti figurative già viva nel G. spingendolo ad aprire una galleria propria. Nel giro di pochi mesi trovò un ampio locale in centro, al n. 8 di via Clerici, di proprietà di un agente di cambio, il quale credette in lui e fu disposto a investire nella sua impresa, non pretendendo l'affitto.
Il 17 nov. 1936 il G. inaugurò la galleria denominata semplicemente Gian Ferrari, con la Prima rassegna della donna italiana nel campo delle arti figurative, dimostrando ancora una particolare attenzione, piuttosto che a una singola tendenza artistica, all'organizzazione di eventi in cui l'arte e la comunicazione estetica giocassero un ruolo primario. Il neonato spazio espositivo - il panorama milanese contava non più di sei gallerie - ottenne un notevole successo di critica tramite i maggiori quotidiani. Nell'occasione della collettiva il G. conobbe Alba Bortolotti, figlia dello scultore Timo Bortolotti (nata a Breno nel 1910; morta a Capodilago nel 1995), una delle espositrici, che sposò l'anno successivo (testimone di nozze, il pittore A. Tosi) e da cui fu introdotto più concretamente nel mondo artistico milanese.
Il G. strinse legami con alcuni artisti di area novecentista, che si erano nel frattempo staccati dal movimento conducendo una pittura solitaria e indipendente (quali A. Carpi, D. Frisia o V. Ciardo), i quali riconobbero nel gallerista un attento promotore culturale e un buon mercante. Gli interessi del G. si incentrarono soprattutto sulla pittura figurativa, nei generi classici del ritratto, natura morta e paesaggio, ma anche sulla scultura, orientandosi in varie direzioni di ricerca: dai novecentisti di area lombarda ai veneti della cosiddetta scuola di Burano; dai torinesi agli artisti di area centromeridionale. Le scelte oscillavano da una figurazione di stampo novecentista a un espressionismo più marcato. La programmazione fu caratterizzata da presenze tramite le quali il G. puntò a far diventare dei classici i protagonisti della tendenza novecentista (a questo proposito Gualdoni nel 1997 ha parlato di "ufficialità colta del classico-moderno italiano").
Per il G. furono sempre validi i principî dell'alta qualità del lavoro e dell'estraneità alle mode del momento. Tentò talvolta una rivalutazione di maestri italiani indipendenti e isolati. Non mancò tuttavia di prestare attenzione al panorama internazionale allestendo un'ampia rassegna sull'arte finlandese del XIX e XX secolo nel 1937 e, l'anno seguente, una mostra d'arte austriaca con opere di O. Kokoschka e di A. Kubin. Sempre nel 1937 apparvero alla Gian Ferrari alcuni degli artisti che più frequentemente esposero nella galleria di via Clerici, fino al 1955: A. Carpi, R. De Grada, P. Semeghini, L. Viani, e T. Bortolotti. Si ricordano, inoltre, le prime mostre di D. Frisia (1938), Mino Rosso (1940); N. Caffè e M. Vellani Marchi (1941); A. Bucci, C. Dalla Zorza, F. Pirandello (1942); nel dopoguerra, R. Melli (1950), G. De Chirico (1951), F. Wotruba (1952).
Negli anni di sospensione del premio Bagutta (1937-46), attuata dal comitato promotore per non sottostare alle regole imposte dal regime fascista, il G. mise a disposizione la sua galleria per le esposizioni degli artisti "baguttiani", dei quali promosse l'attività. Nel 1939 organizzò inoltre un'asta di beneficenza per la famiglia Pesaro, dopo il suicidio di Lino Pesaro, noto mercante d'arte milanese che si era tolto la vita per aver venduto un falso senza avvedersene. Nel 1940 venne chiamato con L. Borgese a far parte della giuria del secondo premio Bergamo. L'anno seguente si fece promotore della proposta di istituzione di un ufficio vendite alla III Mostra nazionale del Sindacato fascista artisti (Milano 1941), di cui si prese cura personalmente. Questa esperienza, che si concluse con un notevole successo di vendite, spinse A. Maraini, allora segretario generale della Biennale di Venezia, a istituire un ufficio analogo per l'ente veneziano. L'ufficio entrò in funzione nel 1942 sotto la direzione del G., che rimase in carica fino al 1968, con una sola interruzione nel 1948. Alla fine degli anni Trenta il G. inaugurò un'attività editoriale, sia con i cataloghi di mostra (Edizioni Gian Ferrari), sia con il periodico Galleria, bollettino quindicinale del quale uscirono sei numeri in tutto (dal 1941 al 1942), con il quale si voleva entrare nel vivo del dibattito artistico evidenziando questioni relative alla fruizione dell'arte da parte del pubblico, i premi ufficiali e il mercato, le problematiche inerenti il Sindacato mercanti d'arte.
Il dopoguerra rappresentò per il G. un momento di difficile e lenta ripresa economica: le sue scelte tuttavia non presero in considerazione i fermenti ideologici, politici e sociali legati al dibattito tra astrattismo e realismo, rimanendo estranee alle particolari tendenze. Negli anni della ricostruzione egli affiancò all'attività primaria di mercante e gallerista quella di organizzatore di mostre e di premi per gli artisti. Il sistema del premio infatti gli apparì come il mezzo più efficace per dare la possibilità a molti giovani di esporre il proprio lavoro e al committente di porre le basi per una collezione d'arte contemporanea, con una spesa relativamente bassa. Nel 1949 e nel 1950, presso la sua galleria, istituì il Centro informazioni ed iniziative d'arte, con l'intento di organizzare mostre e favorire contatti tra artisti, amatori, industriali, commercianti, e fondò l'Associazione nazionale collezionisti d'arte contemporanea, che ebbe lo scopo di sollecitare e supportare i collezionisti negli acquisti, e di promuovere la collaborazione tra privato e pubblico.
Tra i premi e le iniziative promosse dal G., si ricordano nel 1947 il premio nazionale F.P. Michetti a Francavilla al Mare e il premio Iseo, destinato ai giovani artisti; nel 1949 il premio Lambretta, sponsorizzato dalla società Innocenti, il premio Ines e Adolfo Fila, promosso dai noti industriali tessili, la mostra degli "Artisti di Bagutta" presso il grande albergo Terme a Salsomaggiore; l'anno seguente curò la prima edizione del premio nazionale Città di Gallarate, organizzò il premio Tiziano "per un'immagine di donna del 1950" (promosso dalla Laneria Tiziano). Nel 1952 curò la mostra "25 anni di Bagutta" al Circolo della stampa di Milano; nello stesso anno venne chiamato a far parte della giuria, impegno che mantenne sino al 1961, del premio Suzzara, nell'omonima città del Mantovano, tradizionalmente dedicato al "realismo". Nel 1955, incoraggiato dai numerosi amici artisti e dai frequenti contatti con il contesto veneto, fu curatore della Biennale d'arte triveneta, nel palazzo della Ragione a Padova, dove l'anno seguente costituì la Biennale del bronzetto.
L'edificio dove sorgeva la storica galleria di via Clerici dovette essere abbattuto per far posto al nuovo palazzo Olivetti; quindi nel 1955 venne inoltrato lo sfratto al G., che riuscì a sensibilizzare l'opinione pubblica a tal punto che l'atto di chiusura della sede fu presenziato dal sindaco di Milano e dalle più importanti autorità. Il G. trasferì intanto la galleria in uno studio in via Filodrammatici dedicandosi soprattutto all'attività organizzativa. Nel 1958 organizzò infatti il premio Bagutta-Spotorno e diede vita al premio di pittura Dellera "La donna in pelliccia", che ebbe una seconda edizione nel 1960. Nel 1959 il G. riaprì la galleria al n. 19 di via Gesù, inaugurandola con una mostra di F. Casorati.
Gli orientamenti della nuova galleria furono sostanzialmente di continuità con la linea precedente, volti anzitutto a una revisione critica dei movimenti che avevano caratterizzato la storia dell'arte italiana del Novecento. La novità rispetto all'esperienza passata fu una parziale apertura alle ricerche non figurative, sempre nell'alveo di una tradizione consolidata, senza entrare nel vivo della sperimentazione e della ricerca in atto. Da questo punto di vista si segnala l'attenzione del G. nei confronti di artisti come R. Birolli, A. Magnelli, di cui nel 1960 organizzò un'ampia antologica, lo svizzero J. Bissier; si trattò tuttavia di aperture sporadiche. Tra le mostre principali si ricordano le personali e le retrospettive di P. Semeghini (1960), L. Spazzapan (1961), G. Zanini (1961), G. Rossi (1964), Arturo Martini (1965), C. De Amicis (1965), F. Bodini (1966), A. Tosi (1968, 1980, 1981), F. Pirandello (1969), P. Borra (1971), M. Sironi e F. De Pisis (1982).
Nel 1959 il G. riprese anche l'attività editoriale con il Belvedere, di cui uscirono solo sei numeri, fino al 1961, un periodico che idealmente intendeva proseguire l'eredità dell'omonimo bollettino della galleria Bardi, cessato nel 1930. Sempre nel 1959 fu nominato vicepresidente della Federazione italiana mercanti d'arte, il primo nucleo di un sindacato di categoria, che fu creato ufficialmente solo nel 1961 in seguito al I Convegno dei mercanti d'arte moderna svoltosi nella sede dell'Unione commercianti di Milano: il Sindacato nazionale mercanti d'arte, che si rifaceva solo nominalmente all'omonima istituzione sorta nell'ambito dell'organizzazione corporativa fascista, ebbe come presidente il G., che mantenne la carica ininterrottamente fino al 1979, divenendone in seguito presidente onorario.
Le iniziative intraprese dal Sindacato in sede istituzionale, come ha notato Rota, riguardarono principalmente due problemi strettamente connessi: la qualificazione della professione attraverso l'istituzione di un albo professionale e le leggi di tutela contro i falsi. Organo ufficiale del Sindacato era il periodico La Loggia dei mercanti (dal 1967), che doveva rispondere ai problemi della categoria offrendo un tavolo di discussione a più voci. Contemporaneamente il G. fu eletto segretario generale dell'Associazione internazionale collezionisti d'opere d'arte, organismo che intendeva tutelare il collezionista dal pericolo dei falsi. Dal 1965 si fece più netta la sua posizione contro i falsi nell'arte contemporanea. Clamoroso atto simbolico fu, nel 1969, il rogo dei falsi Sironi, messo in scena dal G. in un cortile in via della Spiga a Milano con regolare delega da parte dei parenti dell'artista. Nello stesso anno, dopo l'esplosione di una bomba al tritolo di fronte alla galleria, l'impegno nella lotta contro i falsi condusse il G. a posizioni estreme, come nel caso della vicenda dei falsi Martini (Arturo), ove il mercante affrontò cause che si protrassero per anni pur di ottenere giustizia e denunciare i colpevoli: la sentenza della Suprema Corte di cassazione nel 1980 riconobbe false le opere attribuite anche da G.C. Argan al maestro trevigiano.
Nel 1975 il G. pubblicò a Milano (edizioni Belvedere) il libro Arte, mercato, società. Problemi e proposte di un mercante. Scrisse numerosi articoli per il periodico La Loggia dei mercanti, tra i quali ricordiamo: Concorrenza in casa nostra, II (1968), 1-2, p. 1; Noi e la Biennale, X (1978), 7-8, p. 1; L'archivio dei falsi. Un dibattito per una proposta, XI (1979), 11-12, pp. 15 s.
Colpito da infarto, morì la sera del 31 dic. 1982 nella sua villa di Capo di Lago (Darfo Boario Terme), sulle rive del piccolo lago Moro nel Bresciano. Nel 1984 fu insignito dal Comune di Milano della medaglia d'oro alla memoria.
Fonti e Bibl.: Milano, Archivio Gian Ferrari: G. Testori, E. G.F. storia e ricordo di un mercante d'arte moderna ad un anno dalla scomparsa (trascrizione dattiloscritta della conversazione tenuta alla Pinacoteca di Brera, Milano, 9 genn. 1984); C. Ravioli, I galleristi di Milano: G.F., in Il Giorno, 16 apr. 1965; G. Testori, Dal ridotto di un teatro alla galleria di via Gesù, in Corriere della sera, 2 genn. 1983; A. Dragone, Lotta ai falsi d'autore, in La Stampa, 2 genn. 1983; G. Mascherpa, Mezzo secolo di fervore e di scelte nell'intricata foresta della pittura, in Avvenire, 2 genn. 1983; L. Somaini, G.F., un mercante illuminato protagonista di mezzo secolo d'arte, in La Repubblica, 6 genn. 1983; L. Caramel, Mestiere come passione, in Il Giornale, 7 genn. 1983; R. Biason, Crociato contro i falsari, in Oggi, 20 genn. 1983; M. Pancera, Che bel tramonto sembra un quadro, in La Domenica del Corriere, 5 marzo 1983; C. Gian Ferrari, E. G.F. Album, Milano 1984; E. Chinol, Falsi nell'arte. Il caso Martini, Bari 1986, passim; T. Rota, La galleria Gian Ferrari 1936-1996, Milano 1995 (con bibl.); F. Gualdoni, in Milano 1950-59 (catal.), Ferrara 1997, p. 12.