Ettore Marchiafava
Marchiafava recò un contributo originale allo studio della malaria, malattia dalle forti conseguenze sociali. Egli si distinse inoltre per l’impostazione innovativa che seppe dare all’anatomia patologica, nella eziologia di malattie autoimmuni e genetiche, la cui rilevanza sarebbe stata compresa solo più tardi. Di non minore importanza il suo impegno politico-sociale. Egli fu attento supervisore dell’opera di bonifica e di prevenzione (della malaria e della tubercolosi) attuata dal regime fascista nelle campagne centro-meridionali.
Ettore Tito Nazzareno Gaspare Marchiafava nacque a Roma il 3 gennaio 1847. Come molti medici e naturalisti della sua generazione, ebbe un’educazione umanistica e si iscrisse alla facoltà di Medicina presso lo Studium Urbis Sapientiae di Roma. Laureatosi nel giugno 1869 e, nel luglio dello stesso anno, ad honorem con una dissertazione su L’azione specifica dei rimedi, lavorò per circa un anno come assistente presso l’ospedale S. Spirito, per poi entrare nel 1872 con la qualifica di settore nell’Istituto di anatomia patologica fondato da Corrado Tommasi-Crudeli (1834-1900). Incaricato delle esercitazioni, eseguì le prime esperienze anatomiche e microscopistiche, e nel 1875 frequentò a Strasburgo il laboratorio del patologo Friedrich Daniel von Recklinghausen (1833-1910).
Conseguita la libera docenza nel 1877, fu assistente nel 1879-80, e l’anno successivo tornò in Germania, a Berlino, presso il laboratorio di Robert Koch (1843-1910). Nel biennio 1882-83 successe nell’insegnamento di anatomia patologica a Tommasi-Crudeli, passato alla cattedra di igiene sperimentale. Per limiti di età, lasciò l’università nel 1922 a 75 anni e nel biennio successivo fu nominato professore emerito di anatomia patologica.
Dal 1913, per ventidue anni, fu senatore del Regno d’Italia, arrivando a ricoprire numerose cariche pubbliche (assessore all’Igiene nel comune di Roma, presidente del Consiglio superiore di sanità nel 1913 e del Comitato nazionale medico del Consiglio nazionale delle ricerche, CNR, nel 1929). Membro delle più importanti accademie scientifiche italiane e straniere, si occupò, tra l’altro, dei disegni di legge per la protezione della maternità e infanzia, attivandosi per l’istituzione di una scuola superiore di malariologia e per la disciplina sulla vivisezione. Promotore della fondazione del primo sanatorio antitubercolare in Roma e di quello antimalarico per bambini nelle campagne romane, nel 1925 organizzò il primo congresso internazionale sulla malaria, e nel 1926 ricevette la medaglia Patrick Manson della Royal society of tropical medicine and hygiene of London. Morì a Roma all’età di 88 anni, il 23 ottobre 1935.
L’impiego presso l’Istituto di anatomia patologica consentì a Marchiafava di seguire un metodo rigorosamente sperimentale adottato dal direttore Tommasi-Crudeli: era questa la nuova ‘via scientifica’ secondo il modello tedesco, congeniale al giovane Marchiafava e a molti ricercatori della sua generazione. Dopo le prime osservazioni su processi flogistici nei polmoni, vasi sanguigni ecc., nel 1877 Marchiafava cominciò a interessarsi attivamente alla malaria, descrivendone, in un’epoca in cui non era ancora nota l’eziologia, la gamma di lesioni caratteristiche. Si trattava di un ambito esplorato approfonditamente anche dal suo maestro il quale, collaborando con Theodor Albrecht Edwin Klebs (1834-1913), a seguito di ricerche condotte nell’agro romano, nel 1879 aveva creduto di identificare nel bacillus malariae l’agente responsabile delle febbri malariche. In quello stesso periodo, l’attenzione di Marchiafava si andava soffermando soprattutto sul carattere del pigmento malarico, un argomento controverso per gli studiosi che, sempre più numerosi in Europa, affrontavano lo studio di questa malattia.
Nel necrologio del 1936, l’igienista Alberto Missiroli (1883-1951), all’epoca capo del Gabinetto di malariologia dell’Istituto di Sanità pubblica, sottolineava l’impegno di Marchiafava il quale, «partendo da prime ricerche incomplete ed incerte» aveva mirato «a porre le basi scientifiche dell’eziologia della malaria» (Missiroli 1936, p. 184).
Prima ancora di accertare l’origine della malattia, fin da quando nel 1847 Heinrich Meckel (1821-1856) aveva osservato la presenza di granuli bruno-marrone nel sangue e nella milza di individui infetti (non ancora collegati con l’affezione malarica), la melanemia costituiva uno dei segni caratteristici della malaria e, partendo da questo fatto, i patologi orientavano le proprie indagini sul sangue. Qui si situano le prime ricerche di Marchiafava del 1877, nelle quali lo studioso descriveva le lesioni prodotte dall’infezione palustre, correlando sintomi, lesioni e segni obiettivi con la storia clinica della malattia. In questo contesto focalizzava la propria attenzione sul pigmento malarico, ritenendo che esso si formasse all’interno del globulo rosso, con la conversione dell’emoglobina in ‘pigmento nero’. All’epoca era una questione dibattuta, giacché patologi di chiara fama sostenevano invece che i globuli formassero il pigmento dopo il loro disfacimento.
Frattanto, nel 1880, il medico militare Charles-Louis-Alphonse Laveran (1845-1922) osservava nel sangue di soldati di stanza in Algeria corpuscoli pigmentati dotati di flagelli, molto più complessi dei batteri, che a parer suo non erano il prodotto della degenerazione dei globuli rossi, bensì forme del parassita causa del paludismo. Ma Laveran era del parere che si trattasse di un agente di natura diversa da quello apparentemente identificato da Tommasi-Crudeli e Klebs. Si sviluppò pertanto un’accesa discussione tra Laveran e Marchiafava e Angelo Celli (1857-1914), assistente di Tommasi-Crudeli. Marchiafava e Celli avevano già osservato nei globuli rossi dei pazienti, ancor prima della formazione del pigmento, dei corpuscoli che si coloravano bene con il blu di metilene, credendo che fossero una trasformazione retrograda dei globuli stessi. Ma nel 1885 mutarono opinione: i corpi da loro considerati come prodotti di degenerazione erano ora visti come parassiti; difatti i globuli osservati erano letteralmente invasi da corpi apigmentati che si muovevano con movimenti ameboidi, e questo lasciava intuire che il pigmento si formasse dopo la loro comparsa. E del fatto che quelle formazioni endoglobulari non costituissero un’alterazione di natura regressiva, tesi che era stata nuovamente avanzata da Angelo Mosso (1846-1910) e da Edoardo Maragliano (1849-1940), Marchiafava fornirà nel 1886 una prova conclusiva.
Un’altra non meno impegnativa polemica, circa la presenza di forme bacillari anche nel sangue di soggetti sani, vide contrapposti, insieme con una pletora di comprimari, da un lato Marchiafava e la scuola romana, e dall’altro lato Camillo Golgi. D’altra parte, come ebbe a osservare più tardi lo stesso Marchiafava, in quella fase della ricerca, le infezioni di natura protozoica erano poco note negli animali.
Tra il 1884 e il 1885 si situano i risultati più maturi delle indagini avviate con Celli sulla morfologia e biologia di quello che sarà da loro denominato plasmodio della malaria. Al 1885 risalgono le fondamentali conclusioni sull’eziologia della malattia, nelle quali si correlavano causalmente la penetrazione del parassita nel sangue e le alterazioni nei globuli rossi. Le ‘particelle di protoplasma’ omogeneo, nettamente colorabili e dotate di vivaci movimenti ameboidi, si distinguevano per la presenza di una masserella di pigmento nero, proveniente dalla trasformazione dell’emoglobina – della quale i corpuscoli si nutrono – in melanina, processo avente luogo dentro i globuli rossi, nei quali erano racchiusi i corpuscoli parassitari. Ma la presenza di pigmento non era una costante, giacché se ne poteva osservare la completa assenza anche in soggetti colpiti da malaria grave.
Se era ormai evidente che la causa della malaria si annidava in un microrganismo ematofilo diverso da quello prefigurato da Tommasi-Crudeli, un ulteriore problema era costituito dalle forme cliniche estremamente diversificate nelle quali si presentava l’infezione, con febbri intermittenti che era difficile mettere in correlazione con il ciclo biologico del parassita. Un aspetto particolare di questo problema, condiviso con Golgi, riguardava il ruolo delle ‘forme di scissione’ del plasmodio che, se pure in un primo tempo erano state interpretate dai due ricercatori romani come un ‘fatto regressivo’, furono poi riconosciute come «la maniera di moltiplicazione dei plasmodi» (Marchiafava, Celli 1886, pp. 210-11).
Nel corso degli anni Novanta la ricerca malariologica continuò a essere molto importante, e non solo in Italia. Tra il 1885 e il 1886, Golgi si era persuaso che le due forme note di malaria, terzana benigna e quartana, erano provocate da due diverse specie di plasmodium, con differenze morfologiche e di segmentazione. Anche a questo proposito nascerà una controversia, giacché Marchiafava e Celli, che potevano disporre soltanto di forme ‘miste’, tipiche dell’ambiente palustre romano, in un primo tempo misero in dubbio l’originalità dell’individuazione del processo di segmentazione del plasmodio all’interno dei globuli rossi da parte di Golgi, il quale aveva invece l’opportunità di ‘vedere’ forme omogenee di terzana benigna e di quartana in pazienti dell’area pavese.
Ciò nonostante, in una serie di scritti degli anni Novanta, avvalendosi delle conclusioni di Golgi sulla correlazione tra il parossismo febbrile e la segmentazione del protozoo (legge di Golgi), Marchiafava descriverà con precisione il ciclo vitale del parassita, in rapporto agli accessi febbrili. Attraverso un processo di divisione, i corpuscoli mettono capo a un ‘accumulo’ di individui giovani, senza pigmento, tale da far sospettare che questo processo costituisca il modo di moltiplicazione dei plasmodi all’interno del corpo umano. Sei-otto-dieci ore prima dell’accesso febbrile, nell’ameba cominciano le modificazioni che conducono alla segmentazione, cioè alla sporulazione. Intanto il parassita è cresciuto in modo tale da occupare quasi tutto lo spazio del globulo, che lo ricopre come una membrana. La segmentazione avviene poco prima o in coincidenza con la febbre. In seguito, le forme di segmentazione, dove i corpiccioli dell’ameba si dispongono come i petali di una margherita intorno al blocco di pigmento centrale, scompaiono, e dentro i globuli rossi si rilevano le giovani amebe che si svilupperanno pigmentandosi, avviando così un nuovo ciclo (Sulle febbri malariche estivo-autunnali, 1892, p. 5).
Infine, potendo contare sui risultati di Golgi, Marchiafava e Celli, ai quali si unì poi Amico Bignami (1862-1929), pervennero a individuare un terzo tipo di malaria, la terzana maligna, che si sviluppava soprattutto nelle campagne romana e pontina nella stagione estivo-autunnale, e della quale era responsabile il Plasmodium falciparum (Sulle febbri estivo-autunnali in genere, in ispecie sulla perniciosa con localizzazione gastro-intestinale, 1894). Peculiare era l’endemia estivo-autunnale caratterizzata da malaria grave rispetto a quella mite descritta da Golgi: essa era provocata da una varietà di plasmodi più vivaci, dagli pseudopodi lunghi e sottili, il cui ciclo vitale si sviluppava intorno a 48 ore. Occorreva pertanto stabilire una diagnosi differenziale e conoscere la biologia del parassita per individuarne il ciclo vitale «in relazione alle vicende della febbre». Le presunte ‘irregolarità e incostanza’ delle febbri (un vero e proprio caos, secondo il parere degli specialisti) per Marchiafava costituiranno invece la prova che, in tutti i parassiti, il ciclo si compie ‘fondamentalmente’ nello stesso modo, benché le diverse specie mostrino differenze che aumentano con lo sviluppo, ragion per cui le febbri malariche si presentano con caratteri clinici vari.
Negli scritti sull’infezione malarica apparsi nel corso di un trentennio, Marchiafava riassumerà, aggiornandolo, lo stato della malariologia, alla luce delle sue scoperte e di quelle di Golgi, ma anche di Giovan Battista Grassi (1854-1925). Nel 1898-99 questi aveva individuato nel genere di zanzara Anopheles il vettore del plasmodio, e determinato il ciclo biologico di questo protozoo nell’Anopheles claviger. Aveva poi scoperto in seguito che la zanzara si infetta quando punge un essere umano a sua volta infetto. Pertanto era possibile correlare i fenomeni morbosi salienti con il ciclo di vita del parassita che si compie nell’uomo. Ma oltre a questo ciclo vitale – precisava Marchiafava – ve ne è anche un altro, che nell’uomo ha solo inizio, e si configura per la presenza di corpi detti semilunari per il loro aspetto. Se questi rimangono nell’uomo, possono non dar luogo a fenomeni morbosi, ma degenerare e scomparire; ma se passano nell’intestino di alcune specie di zanzare, allora ha inizio un secondo ciclo vitale. Quando la zanzara punge un soggetto malato, le semilune nel suo intestino medio emettono flagelli che fecondano altre semilune e riescono a emigrare nelle fibre muscolari. Qui si incapsulano, assumono i caratteri di sporozoi e, attraverso una serie di modifiche, finiscono per raccogliersi nelle cellule dei tubuli delle ghiandole salivari della zanzara, di modo che, quando l’insetto punge un altro soggetto, vengono a essere inoculati insieme con il secreto irritante. I parassiti passano dall’uomo alle zanzare malariche e da queste nuovamente all’uomo, con forme alternanti; ma siccome nella zanzara si configurano forme più elevate di organizzazione (sessuali), questi insetti sono da ritenersi gli ospiti definitivi del parassita, mentre l’uomo è soltanto ospite intermedio. La presenza umana pare però assolutamente indispensabile per la conservazione dei parassiti malarici, giacché questi non si sono mai rinvenuti in altri animali e nemmeno nelle uova o nelle larve degli insetti stessi (E. Marchiafava, A. Celli, La infezione malarica. Manuale per medici e studenti, 19312, pp. 10-12).
Molti degli studi di Marchiafava in anatomia patologica derivano dal suo interesse per le infezioni e i fenomeni degenerativi del sistema nervoso. Tra questi va ricordata la descrizione, insieme con Celli, di un micrococco delle meningite cerebro-spinale (Sopra i micrococchi della meningite cerebro-spinale, 1884). A Marchiafava spetta inoltre la prima descrizione di un reperto istopatologico di un’arterite cerebrale sifilitica (Sulla sifilide delle arterie cerebrali, 1877), nonché del quadro patologico delle alterazioni dovute ad alcune forme di corea (Contribuzione alla anatomia patologica della corea grave, 1880-81 e Sulla malattia di Morvan, 1890-91). Altri lavori trattano i fenomeni degenerativi encefalici nei soggetti dediti all’alcol (Sulla patologia del cervello nell’alcolismo, 1915): Marchiafava, infatti, insieme con Bignami, osservò la demielinizzazione delle fibre del corpo calloso, della sostanza bianca della commissura anteriore e dei peduncoli cerebrali medi; dalla descrizione delle caratteristiche di questa alterazione prese forma lo stato patologico noto come ‘malattia di Marchiafava e Bignami’.
Altro campo di elezione è rappresentato dagli esiti di affezioni polmonari fibrinose: in questi casi non solo era rilevata una proliferazione connettivale poliposa (Sopra due esiti rari della polmonite fibrinosa acuta, 1882, e Note sulla infezione pneumonica, 1890-1891), ma anche la complicanza di un’endocardite pneumococcica valvolare ulcerosa (aortica) frequentemente associata a una meningite a carattere purulento. Comprensiva di lesioni polmonari, cerebrali ed endocardiche, quest’affezione costituì la cosiddetta triade di Marchiafava (Sopra la polmonite produttiva quale esito della polmonite fibrinosa lobare, 1907).
Al nome di ‘Marchiafava-Micheli’ è legata invece una forma di anemia emolitica cronica, descritta nel 1911 (Nuovo contributo allo studio degli itteri cronici emolitici), che si presenta con emoglobinuria a insorgenza notturna, caratterizzata da crisi emolitiche, cioè dalla distruzione dei globuli rossi, soprattutto durante il sonno, con conseguente immissione di emoglobina nelle urine. Il clinico medico Ferdinando Micheli (1872-1937) ne riprese lo studio nel 1931; ma nel 1928 lo stesso Marchiafava era tornato sull’argomento, rimarcando il carattere ‘perpetuo’ dell’emosiderinuria, cioè l’abbondante presenza di cristalli di emosiderina nelle urine, e considerandolo elemento essenziale della fisionomia clinica di questo tipo di ittero emolitico.
Oltre agli studi sulle malattie e sugli stati degenerativi del sistema nervoso, Marchiafava si occupò anche di svariate affezioni cardiache e di patologie vascolari, mettendo in evidenza l’influenza della sclerosi delle arterie coronarie nella patogenesi dell’infarto del miocardio (Sopra la sclerosi delle arterie coronarie, 1904) e distinguendo la morfologia dell’arteriosclerosi da quella delle arteriti. Nell’arco di quarant’anni, tra il 1884 e gli anni Venti, dedicò studi alle coronaropatie, all’angina pectoris, agli effetti della sifilide su cuore e aorta; documentò gli effetti del bacillo del tifo sulla tunica media dell’aorta (La malattia di Take-Jonesco, 1923). Né mancò di studiare il campo delle nefropatie, descrivendo una glomerulonefrite streptococcica e, a fronte della diffusione della tubercolosi, si impegnò attivamente, con opere di igiene e profilassi, nella lotta di quello che definiva un «flagello sociale», con «tante forme» riconducibili a una causa comune, ma variabili secondo il fattore endogeno e i modi del contagio (prefazione a La tubercolosi, 1928, p. XXIV).
Va ricordato, inoltre, il costante impegno di Marchiafava anche in epoca successiva all’insegnamento. La sua attitudine clinica gli consentì di ottenere importanti successi professionali. Medico di casa Savoia, fu frequentemente chiamato a consulto al Quirinale e in Vaticano, dove fu l’archiatra di Leone XIII e di Pio X. Profondo umanista, cultore appassionato del pensiero latino, un mese prima di morire pubblicò un saggio su Dante e Orazio.
Confidandosi con amici e colleghi, nel commentare retrospettivamente la propria attività in vasti campi del sapere non solo medico, Marchiafava ebbe a osservare che forse il suo lavoro sarebbe stato più proficuo se avesse potuto orientarsi in un’unica direzione, anziché frammentarsi in innumerevoli indirizzi di ricerca. Ma questo aspetto, per chi lo conobbe, era invece prova del suo ingegno multiforme.
Si riportano qui di seguito solo le opere principali di Marchiafava. Per un elenco completo si rinvia a M. Crespi, Marchiafava Ettore, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 69° vol., Roma 2007, ad vocem.
Studi sulla malaria:
Contribuzione all’anatomia patologica della infezione palustre, «Atti della Regia accademia medica di Roma», 1877, 3, pp. 65-76.
Sull’anatomia patologica della infezione da malaria, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1881, 7, pp. 15-28.
E. Marchiafava, A. Celli, Sulle alterazioni dei globuli rossi nella infezione da malaria e sulla genesi della melanemia, «Atti della Regia accademia dei Lincei, memorie, classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali», s. III, 1882-1883, 18, pp. 381-401.
E. Marchiafava, A. Celli, Les altérations des globules rouges dans l’infection par malaria et la genèse de la mélanémie, «Archives italiennes de biologie», 1884, 5, pp. 147-74.
E. Marchiafava, A. Celli, Neue Untersuchungen über die Malaria-Infektion, «Fortschritte der Medizin», 1885, 3, pp. 339-54.
E. Marchiafava, A. Celli, Nuove ricerche sulla infezione malarica, «Archivio per le scienze mediche», 1885-1886, 9, pp. 311-40.
E. Marchiafava, A. Celli, Studi ulteriori sulla infezione malarica, «Archivio per le scienze mediche», 1886-1887, 10, pp. 185-211.
Sulla infezione malarica, «Atti della Regia accademia medica di Roma», s. II, 1886-87, 3, pp. 277-94.
Sulle febbri malariche […] nell’estate e nell’autunno in Roma, «Atti della Regia accademia medica di Roma», s. II, 1890-1891, 5, pp. 181-215.
E. Marchiafava, A. Bignami, Sulle febbri malariche estivo-autunnali, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1891-1892, 18, pp. 297-463, e in forma monografica Roma 1892.
Sulle febbri estivo-autunnali in genere, in ispecie sulla perniciosa con localizzazione gastro-intestinale, «Atti dell’XI Congresso internazionale di medicina», Sezione di patologia generale ed anatomia patologica, Torino 1894, pp. 226-30.
E. Marchiafava, A. Bignami, La infezione malarica. Manuale per medici e studenti, Milano 1902 (2a ed. a cura di A. Nazari, Milano 1931).
Über Malaria perniciosa, «Deutsche medizinische Wochenschrift», 1913, 39, pp. 1577-81.
La perniciosità nella malaria, Roma 1928.
Altre ricerche:
Sulla sifilide delle arterie cerebrali, «Atti della Regia accademia medica di Roma», 1877, 3, 2, pp. 101-38.
E. Marchiafava, A. Valenti, Della glomerulonefrite scarlattinosa: studi clinici e istologici, Roma 1877.
E. Marchiafava, C. Brunelli, Contribuzione alla anatomia patologica della corea grave, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1880-1881, 6, 3, pp. 28-32.
Sopra due esiti rari della polmonite fibrinosa acuta, «Rivista clinica di Bologna», s. III, 1882, 2, pp. 439-54.
Un nuovo caso d’induramento polmonale consecutivo alla polmonite fibrinosa, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1882, 8, pp. 92-94.
E. Marchiafava, A. Celli, Sopra i micrococchi della meningite cerebro-spinale epidemica, «Gazzetta degli ospedali: giornale di scienze mediche», 1884, 5, p. 59.
Sulla sclerosi delle arterie coronarie, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1884, 10, pp. 91-98.
E. Marchiafava, E. Rossoni, Obliterazione dell’istmo dell’aorta, ed endocardite ulcerosa, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1885, 11, pp. 42-54.
E. Marchiafava, A. Bignami, Sulla malattia di Morvan, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1890-1891, 17, pp. 118-34.
E. Marchiafava, A. Bignami, Note sulla infezione pneumonica, «Bullettino della Regia accademia medica di Roma», 1890-1891, 17, pp. 365-77.
Sulla stenosi degli orifizi delle coronarie, «Bullettino della Società lancisiana degli ospedali di Roma», 1897, 17, 1, pp. 276-79.
E. Marchiafava, A. Bignami, Sopra un’alterazione del corpo calloso osservata in soggetti alcoolisti, «Rivista di patologia nervosa e mentale», 1903, 8, pp. 544-49.
Sopra la sclerosi delle arterie coronarie, «Rivista critica di clinica medica», 1904, 5, pp. 265-72.
Sopra la polmonite produttiva quale esito della polmonite fibrinosa lobare, «Il Policlinico», sez. medica, 1907, 14, pp. 477-98.
Intorno l’angina pectoris e specialmente in rapporto alla sua cura, «Bullettino della Società lancisiana degli ospedali di Roma», 1909, 29, 2, pp. 9-18.
E. Marchiafava, A. Bignami, Sopra una alterazione sistematica delle vie commissurali dello encefalo nell’alcoolismo cronico, «Atti della reale accademia dei lincei. Rendiconti, classe di scienze fisiche, matematiche e naturali», s. V, 1910, 19, 1, pp. 129-32.
E. Marchiafava, A. Nazari, Nuovo contributo allo studio degli itteri cronici emolitici, «Il Policlinico», sez. medica, 1911, 18, pp. 241-54.
Sulla patologia del cervello nell’alcoolismo, «Quaderni di psichiatria», 1915, 2, pp. 97-110.
Sulla morte improvvisa nella sifilide del cuore e dell’aorta, «Rivista ospedaliera», 1916, 6, pp. 549-57.
Sull’endocardite tubercolare e sull’endocardite a lungo decorso, «Rivista ospedaliera», 1917, 7, pp. 554-62.
E. Marchiafava, A. Nazari, La malattia di Take-Jonesco (Aortite ulcerosa tifica), «Il Policlinico», sez. medica, 1923, 30, pp. 1-7.
Prefazione a La tubercolosi. Scienza e legge nella lotta contro la tubercolosi a traverso i tempi e nei diversi paesi, Roma 1928, I, pp. V-XXXIX.
Anemia emolitica con emosiderinuria perpetua, «Il Policlinico», sez. medica, 1928, 35, pp. 109-20; 1931, 38, pp. 105-15.
J. Mannaberg, Die Malaria-Krankheiten, Wien 1899.
A. Missiroli, Note biografiche. Ettore Marchiafava, «Rivista di malariologia», 1936, 15, pp. 183-89.
B. Fantini, La scoperta dei meccanismi di trasmissione e la lotta contro la malaria in Italia, «Medicina nei secoli», 6, 1, 1994, pp. 181-212.
B. Fantini, The concept of specificity and the Italian contribution to the discovery of the malaria transmission cycle, «Parassitologia», 1999, 41, pp. 39-47.
Ch.M. Poser, G.W. Bruyn, An illustrated history of malaria, New York 1999.
G. Corbellini, La lotta alla malaria in Italia: conflitti scientifici e politica istituzionale, «Medicina nei secoli», 18, 1, 2006, pp. 75-95.
P. Mazzarello, Il Nobel dimenticato. La vita e la scienza di Camillo Golgi, Torino 2006, capp. 13, 15.
M. Crespi, Marchiafava Ettore, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 69° vol., Roma 2007, ad vocem.