SACCHI, Ettore
– Nacque a Cremona il 30 maggio 1851 da Massimiliano, impiegato di finanza, e da Annetta Bissolati.
La madre era sorella di Stefano Bissolati, sacerdote poi apostata, tra i principali esponenti dell’intellettualità cittadina di orientamento liberal progressista, padre naturale del socialista Leonida. Morto il marito, nell’ottobre del 1859, per una malattia contratta durante la campagna di guerra di quell’anno, mentre i figli Ettore e Arnaldo (Cremona, 1858-1888) erano ancora bambini, Annetta si risposò, nel 1866, con Giuseppe Tedoldi, spretato, professore di lettere italiane, storia e geografia all’istituto tecnico di Cremona, maestro di Arcangelo Ghisleri. Il matrimonio civile suscitò grande scalpore e l’opposizione risoluta del vescovo, che interessò della questione anche il ministro guardasigilli.
In questo clima di opposizione alla Chiesa, idealità risorgimentali e umanitarismo laico, il giovane Sacchi avviò, in gran parte da autodidatta, la sua prima formazione culturale, indirizzata al positivismo. Concluso brillantemente nel 1867 il liceo Manin di Cremona, s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Pavia, ospite del collegio Ghislieri, da cui uscì laureato il 18 dicembre 1871 con una tesi in diritto romano su Persone fisiche e giuridiche. Nel 1877 si unì in matrimonio con la concittadina Elvira Barbieri (Cremona, 1851-1922), dalla quale ebbe due figlie, Berenice (Cremona, 1877-1902) e Adelaide (Cremona, 1881-Roma, 1956). Nel 1878 divenne consigliere comunale a Cremona e l’anno successivo fondò, con il cugino Leonida Bissolati e altri giovani amici, un circolo politico intitolato a Carlo Cattaneo. Qui e nella redazione del Torrazzo, foglio della democrazia radicale cremonese, maturò le prime esperienze politiche, in aperto contrasto con l’egemonia moderata.
Avvocato di professione, civilista, nel 1882 fu eletto per la prima volta in Parlamento nelle file dell’estrema sinistra, rappresentante del collegio plurinominale di Cremona I. Nel primo discorso in veste di deputato, il 1° novembre 1883, si espresse a favore dell’autonomia comunale e del referendum in luogo della tutela governativa sulle amministrazioni locali, almeno per le imposte e le spese più rilevanti. Nel 1886 acquisì notorietà nazionale come difensore dapprima dei contadini mantovani implicati nei fatti de la boje!, a fianco di Giuseppe Ceneri ed Enrico Ferri, e poi degli imputati del Partito operaio italiano, insieme a Filippo Turati. In occasione delle elezioni generali del maggio di quell’anno sostenne l’alleanza dei radicali con il Partito operaio, pur proclamandosi sempre contrario al collettivismo e alla rivoluzione, e non nascondendo, in un primo tempo, alcune perplessità circa l’inclusione dell’operaista Costantino Lazzari nella lista democratica in cui militava. Con queste precisazioni, si mantenne sempre sensibile alla questione sociale e a lungo solidale con la parte operaia e contadina, affermando il diritto dei lavoratori di organizzarsi, scioperare e resistere, ma ancora nelle elezioni dell’ottobre 1892 negò che fosse giunto il tempo di una separazione, sul piano della rappresentanza, tra borghesia e proletariato.
Nel maggio del 1890 era nel frattempo intervenuto, a nome dei cremonesi, al congresso radicale conclusosi con la sottoscrizione del Patto di Roma, proponendo la riforma del giudice elettivo, non accettata dalla maggioranza dei convenuti. Nelle elezioni politiche del novembre di quell’anno non riuscì eletto, passando nel 1892, dopo il ripristino del sistema uninominale, al collegio rurale di Pescarolo, che rappresentò per una legislatura, per tornare in seguito al collegio urbano di Cremona. Nel 1892 invocò i probiviri per l’agricoltura, scelti dai Comizi agrari e dalla Camera del lavoro: la proposta, non accolta dal governo, fu ripresentata nel 1902 insieme a Bissolati al Consiglio provinciale di Cremona, che l’approvò.
Nel 1896, alla caduta dell’ultimo governo Crispi, osteggiò la decisione di Felice Cavallotti di sostenere Antonio Starabba di Rudinì, da Cavallotti giudicato portatore di una svolta liberale; mentre nell’aprile del 1897 tornò sul referendum amministrativo con un apposito disegno di legge. In quello stesso anno Sacchi auspicò e cominciò a lavorare alla costituzione del Partito radicale, fondato infine nel 1904, come necessaria evoluzione della democrazia ottocentesca, di cui progressivamente conquistò il ruolo di leader dopo la morte di Cavallotti (1898). «Pacato, freddo, realista; indagatore acuto e profondo, misurato nel concetto e nella forma» (Cremonesi, 1946, p. 61), si mantenne distante dagli estremismi verbali di Giovanni Bovio e Matteo Renato Imbriani, promuovendo un ‘revisionismo’ pragmatico e riformatore attento alle circostanze del momento, secondo un rigoroso principio evoluzionista.
Durante la crisi di fine secolo, difese l’ostruzionismo contro le misure illiberali del governo Pelloux (Il Secolo, 15 luglio 1899; Il Tempo, 23 agosto e 1° settembre 1899), offrendosi anche come difensore legale degli arrestati dei moti milanesi del maggio 1898 e invocando l’intesa dei partiti popolari come unica strategia di sopravvivenza per i socialisti. Nel dicembre del 1900, svolgendo alla Camera l’interpellanza sugli scioperi, formulò il diritto di classe come diritto nuovo, che veniva a collocarsi, nella storia giuridica ed economica, fra il diritto individuale e il diritto universale. Nondimeno, Sacchi affermò il carattere della democrazia radicale come partito moderno, intermedio tra il conservatore e il socialista e disposto a governare. Già l’anno precedente, prendendo la parola sempre a Montecitorio riguardo alla legge di pubblica sicurezza, aveva sostenuto fossero dovere della democrazia, accanto all’affermazione dei diritti del popolo, l’ammaestramento e l’educazione al «rispetto ai pubblici poteri, per l’interesse che il popolo stesso ha alla conservazione della pace pubblica» (Sulle modificazioni..., 1899, p. 19).
Riguardo alla questione costituzionale, sul Tempo di Milano fin dall’estate del 1899 negò che vi fosse inconciliabilità tra forma di governo e interessi del Paese, e il 20 settembre 1900 accettò di commemorare per incarico del Comune di Cremona il defunto Umberto I, ucciso il 29 luglio, ed esprimendosi ormai con toni di partecipato lealismo monarchico. Ciò gli provocò le critiche di Carlo Romussi sul Secolo, alle quali replicò sostenendo che il radicalismo non avrebbe avuto ragion d’essere se non si fosse distinto dai repubblicani, ripudiando le loro pregiudiziali.
La strada per l’ingresso della democrazia nella maggioranza governativa era segnata. Se nel 1901 tanto Sacchi quanto Giuseppe Marcora, capifila delle due principali correnti del Partito (da un lato, rinnovamento ideologico, dall’altro, resistenza ‘tradizionalista’, quest’ultima battuta al primo congresso nazionale di Roma del 1904), avrebbero rifiutato l’invito di Giuseppe Zanardelli e Giovanni Giolitti a entrare nel ministero, il deputato di Cremona vi acconsentì nel 1906 con Sidney Sonnino in qualità di ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti, quindi tra il 1910 e il 1911 con Luigi Luzzatti, tra il 1911 e il 1914 con Giolitti (in entrambi i casi ministro dei Lavori pubblici), tra il 1916 e il 1917 con Paolo Boselli e tra il 1917 e il 1919 con Vittorio Emanuele Orlando (di nuovo ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti). Alla Giustizia abolì il sequestro preventivo dei giornali, ai Lavori pubblici intervenne nell’organizzazione dei servizi e nello sviluppo del ramo edilizio, facendone occasione di pacificazione sociale. Nel 1914 seguì timidamente la linea neutralista di Giolitti, finendo poi per assecondare la volontà della maggioranza del Partito e accettando addirittura responsabilità governative nel corso del conflitto, accanto al cugino Bissolati.
Nell’immediato dopoguerra, in un momento particolarmente delicato anche per le sorti del radicalismo, Sacchi sostenne, da un lato, la consueta politica di apertura sociale e a favore del lavoro, dall’altro, la difesa dei valori patriottici d’impronta risorgimentale contro le crescenti (e a suo giudizio ‘degenerate’) forze socialiste e popolari. Alle elezioni politiche del 1919 subì l’insuccesso del Partito radicale, il primo dopo anni di continua ascesa, non riuscendo eletto. Rientrò in Parlamento per la sopravvenuta morte di Leonida Bissolati, che sostituì nel marzo del 1920. L’anno seguente, candidato nel Blocco nazionale insieme a socialriformisti, democratici giolittiani, liberali, agrari, combattenti e fascisti, tra i quali il giovane Roberto Farinacci, risultò nuovamente sconfitto, ma riuscì ancora una volta a restare alla Camera prendendo il posto dello stesso Farinacci, che non aveva ancora compiuto il trentesimo anno di età, necessario per la convalida. Nei confronti del fascismo mantenne un atteggiamento ambiguo, certo consapevole dei deplorevoli «difetti di esuberanza e partigianeria», ma anche solidale con i suoi contenuti ideali: «patria, ordine, collaborazione di classi» (lettera a Luigi Gasparotto, 19 febbraio 1924, citata in D’Angelo, 1990, p. 396).
Nella pluridecennale permanenza in Parlamento, fu segretario della commissione generale del Bilancio dal 21 novembre 1898 al 30 giugno 1899, vicepresidente della Camera dal 12 febbraio al 31 marzo 1910, promotore di più di centocinquanta progetti di legge. I suoi interventi spaziarono dalla legge comunale e provinciale alla Cassazione penale unica e al referendum amministrativo, dai problemi ferroviari, militari e tributari alla questione meridionale e sociale, dalla politica coloniale ai trattati di commercio, che lo videro sempre favorevole al libero scambio. A vantaggio di Cremona, della quale fu a lungo consigliere comunale e provinciale, si batté soprattutto per il collegamento ferroviario con Borgo San Donnino (l’attuale Fidenza, in provincia di Parma), del cui consorzio promotore fu presidente. Inoltre, fu presidente dell’Associazione generale fra gli impiegati civili di Milano nel 1903 e della Confederazione generale degli impiegati civili nel 1905.
Morì a Roma, in difficoltà economiche, il 6 aprile 1924.
Scritti e discorsi. Fra i numerosi testi, si segnalano: Sulle modificazioni ed aggiunte alla legge di pubblica sicurezza ed all’editto sulla stampa. Discorso del deputato Ettore Sacchi pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata del 1° marzo 1899, Roma 1899; Il diritto di organizzazione dei lavoratori. Discorso pronunciato alla Camera dei Deputati dall’on. Ettore Sacchi nella tornata 4 dicembre 1900, Cremona [1900]; Discorso pronunciato a Cremona il 30 giugno 1901 dal deputato Ettore Sacchi, Cremona [1901]; Il concetto politico del partito radicale. Appunti, in Nuova Antologia, 16 novembre 1901, pp. 329-351; Unione democratica romana. Discorso inaugurale pronunziato la sera del 28 maggio 1902 in Roma, Roma 1902.
Fonti e Bibl.: Rilevante il Fondo Ettore Sacchi conservato presso la Biblioteca statale di Cremona, con manoscritti, appunti, documenti e lettere. Sugli anni universitari si vedano i fascicoli nominativi in Archivio storico dell’Università di Pavia, Giurisprudenza, Iscritti, b. 102, e Archivio del Collegio Ghislieri; circa l’ambiente familiare e le reti sociali nella nativa Cremona: M. Morandi, Cremona civilissima. Storia di una politica scolastica (1860-1911), Pisa 2013 (in partic. pp. 96, 117). Inoltre: A. Vicini, Discorso pronunciato alla solenne inaugurazione del busto di E. S., Cremona 1926; G. Cremonesi, Voci e moniti della vecchia Italia. Dalla democrazia di E. S. alla signoria di Roberto Farinacci, Cremona 1946; In memoria di E. S. e Leonida Bissolati la città di Cremona, Cremona 1948; A. Groppali, E. S., in Id., Sociologia e teoria generale del diritto, Milano 1958, pp. 57-60; Id., Leonida Bissolati ed E. S., ibid., pp. 61-64; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano 1973, ad ind.; P. Cabrini, S. E., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico (1853-1953), a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1978, pp. 433-436; M.A. Fonzi Columba, E. S. e la svolta liberale della politica italiana (1899-1901), in Rassegna storica del Risorgimento, LXV (1978), 1, pp. 18-44; C. Cardelli, I radicali lombardi in Parlamento negli anni della svolta giolittiana (1900-1904), in Studi lombardi, I (1984), pp. 91-169; R. Tumminelli, Il radicalismo di E. S. (1851-1924), in Una città nella storia dell’Italia unita. Classe politica e ideologie in Cremona nel cinquantennio 1875-1925, a cura di F. Invernici, Cremona 1986, pp. 271-293; L. D’Angelo, La democrazia radicale tra la prima guerra mondiale e il fascismo, Roma 1990, ad ind.; G. Orsina, Senza Chiesa né classe. Il partito radicale nell’età giolittiana, Roma 1998, ad ind.; Id., Anticlericalismo e democrazia. Storia del Partito radicale in Italia e a Roma, 1901-1914, Soveria Mannelli 2002, ad ind.; L. Tedesco, L’alternativa liberista in Italia. Crisi di fine secolo, antiprotezionismo e finanza democratica nei liberisti radicali (1898-1904), Soveria Mannelli 2002, ad ind.; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/ettore-sacchi-18510530#nav.