SCOLA, Ettore
– Nacque a Trevico (Avellino) il 10 maggio 1931, da Giuseppe e da Adelaide Pentimalli; entrambi i genitori avevano avuto in precedenza esperienze come attori teatrali.
Tra i primi ricordi di Scola spicca la figura del nonno paterno, colto e autoritario, che a nove anni gli faceva leggere in francese i testi di Montesquieu. Con la famiglia si trasferì ben presto a Roma nel quartiere Esquilino, frequentando il liceo Pilo Albertelli e diventando famoso tra i compagni di scuola per la rapidità con la quale eseguiva i compiti in classe. Quando nel 1944 il giornale satirico Marc’Aurelio riprese le pubblicazioni sospese in precedenza, Scola fu uno tra i primi a divenire collaboratore fisso del giornale, nonostante la giovanissima età (circostanza da lui raccontata in Che strano chiamarsi Federico, 2013, suo ultimo film), dividendosi con un altro giornale simile, Il Travaso delle idee. Il suo contributo fu subito notato e valorizzato.
Oltre all’attività giornalistica, Scola iniziò a lavorare anche in pubblicità (fu lui a inventare il cane a sei zampe che divenne poi il logo distintivo della benzina Agip) e soprattutto nel cinema. A introdurlo in questo mondo fu in particolare una coppia di collaboratori del Marc’Aurelio, Vittorio Metz e Marcello Marchesi, che da tempo si erano dedicati con successo alla sceneggiatura, firmando contratti per almeno una decina di film comici all’anno: inevitabile, per loro, rivolgersi a collaboratori (che spesso non figuravano nemmeno nei titoli di testa ed erano gergalmente chiamati negri) per incrementare le gag e le situazioni comiche previste nei vari film.
In un’intervista rilasciata a Enrico Magrelli durante il Bari international film festival il 24 marzo 2013, Scola ricordò la frenesia di quei primi lavori, che erano una concreta alternativa sia ai mestieri più umili (calzolaio o falegname) per sbarcare il lunario, sia agli studi di legge che nel frattempo aveva intrapreso.
In quel periodo Scola lavorò soprattutto per Totò, creando alcune tra le gag più conosciute dell’attore napoletano (tra cui «Io Tarzan tu Bona» per Totò Tarzan di Mario Mattoli, 1950) e soprattutto la famosa lettera che Totò detta a Peppino De Filippo in Totò, Peppino e la... malafemmina (1956, di Camillo Mastrocinque). Contemporaneamente collaborò assiduamente con Alberto Sordi per le trasmissioni radiofoniche, che a inizio carriera contribuirono in modo decisivo alla notorietà dell’attore romano (ad esempio, per Vi parla Alberto Sordi, dove vennero proposti i personaggi di Mario Pio e del conte Claro creati dallo stesso Scola), e scrisse per il teatro (in particolare Sesta pagina, messo in scena nel 1951 dalla compagnia del Teatro comico per la regia di Nino Meloni).
A partire dal 1953 il nome di Scola iniziò ad apparire nei titoli di testa. I primi film che poté firmare con il suo nome tra gli sceneggiatori furono Fermi tutti... arrivo io!, diretto da Sergio Grieco e cucito su misura per Tino Scotti (ex calciatore dell’Inter che si era poi dedicato con successo allo spettacolo di varietà), e Canzoni canzoni canzoni di Domenico Paolella, cavalcata attraverso la storia italiana basata sulle canzoni più famose nelle varie epoche prese in considerazione.
Nel 1954 Scola firmò Un americano a Roma, diretto da Steno e primo grande successo popolare di Sordi, e il film collettivo Amori di mezzo secolo, con il quale iniziò la collaborazione fissa con il regista Antonio Pietrangeli, di cui scrisse tutti i film fino al 1965. L’episodio in questione si intitola Girandola 1910 ed è il primo cimento di Scola nella ricostruzione in costume, tema che più volte si trovò a trattare nella sua carriera. Seguendo la tradizione della sceneggiatura italiana che vedeva i nomi più affermati lavorare spesso in coppia (Age e Scarpelli, Metz e Marchesi e prima ancora Steno e Mario Monicelli), Scola inaugurò in quel periodo la sua collaborazione fissa con Ruggero Maccari. In quegli anni intensi firmò anche I giorni più belli (1956) di Mario Mattoli, malinconica rivisitazione interpretata da Vittorio De Sica di un mondo che stava scomparendo.
Il 1957 fu un anno di svolta per la carriera di Scola, che si sposò con Gigliola Fantoni e che, nell’ottobre dello stesso anno, iniziò a collaborare con la televisione firmando Poltronissima, un varietà molto popolare con Isa Barzizza ed Enrico Viarisio. La sua carriera cinematografica, però, non si interruppe, e il trionfo di Il conte Max di Giorgio Bianchi, con Sordi e De Sica (rifacimento di una delle più famose interpretazioni di De Sica negli anni Trenta) collocò Scola tra gli autori di maggior successo e capaci di lavorare su più generi, dal comico alla commedia al cinema drammatico. Nel 1958, ad esempio, Scola firmò la farsa Totò nella luna di Steno, il drammatico Nata di marzo di Pietrangeli, il varietà televisivo Le canzoni di tutti e altri tre film: un’attività frenetica che divenne una vera e propria scelta di vita. Come lui stesso precisò in un’intervista a Lino Miccichè realizzata nel 2002 alla Mostra del nuovo cinema di Pesaro, in occasione di una personale a lui dedicata, la sua attività era paragonabile a quella di un ragazzo di bottega che scriveva in funzione delle esigenze specifiche dei vari registi per i quali si trovava a lavorare. Un’attività che era partita dagli ‘scarabocchi’ che aveva pensato per il Marc’Aurelio all’inizio della carriera, e che continuava anche con l’impegno politico, più esplicito e manifesto rispetto a quello di molti suoi coetanei. In occasione delle elezioni del 1958, ad esempio, rese nota la sua intenzione di votare per il Partito comunista italiano (PCI).
Scola amò molto i contrasti e i cambi di registro. Nel 1960, ad esempio, firmò vari film tra i quali la pochade di Luciano Salce Le pillole di Ercole e il drammatico Adua e le compagne per la regia di Pietrangeli. E nel 1962, proprio grazie a questa sua predisposizione, realizzò Il sorpasso di Dino Risi, uno dei grandi capolavori della commedia all’italiana.
Il film, dapprima pensato per Sordi, iniziò la lavorazione in sordina: il produttore Mario Cecchi Gori non era convinto del finale drammatico e voleva che il protagonista, Bruno Cortona, non morisse. Vittorio Gassman fu scritturato all’ultimo, mentre Jean-Louis Trintignant fu ingaggiato addirittura dopo l’inizio delle riprese. Tuttavia il successo del film fu clamoroso in tutto il mondo e la sua fama durò nel tempo: difatti Dennis Hopper intitolò Easy rider il suo road movie realizzato nel 1968 proprio ispirandosi al road movie italiano, che in America era uscito nelle sale con il titolo Easy life.
Negli anni successivi, tra il 1963 e il 1965, Scola continuò a lavorare con Pietrangeli a due film drammatici: La visita (scritto per la regia di Giuseppe De Santis e poi passato a Pietrangeli), e soprattutto Io la conoscevo bene (in cui si manifestò il talento recitativo di Stefania Sandrelli). Contemporaneamente, accettò di scrivere la commedia leggera Il gaucho, ancora per Risi, con un copione che veniva scritto giorno dopo giorno in Argentina, dove il film è interamente ambientato.
Nel 1957 nacque Paola e, nel 1962, Silvia: le due figlie di Ettore e Gigliola Scola che iniziarono giovanissime a frequentare il mondo del cinema e che, negli ultimi anni di vita del regista, si rivelarono collaboratrici preziose nella realizzazione dei suoi ultimi progetti.
Frattanto, spinto dall’amico Gassman, decise di passare alla regia: Se permettete parliamo di donne (1964), il suo esordio dietro la macchina da presa, è una commedia dolceamara che Scola aveva scritto senza pensare di dirigere, riuscendo però ad assolvere facilmente al nuovo impegno, mettendo a frutto la curiosità che lo aveva sempre spinto a frequentare i set, fatto piuttosto inusuale per uno sceneggiatore. Con la metà degli anni Sessanta diminuirono drasticamente i copioni scritti per altri autori, mentre la nuova attività di regista lo assorbì quasi interamente. Le sue regie del periodo furono grandi successi commerciali, in particolare Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968) e Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) (1970), nei quali riuscì a mescolare abilmente la vena narrativa di commedia con il riferimento esplicito alla letteratura popolare, della quale fu attento e curioso lettore.
I fatti del 1968 e la rivolta prima studentesca e poi operaia nel Paese colpirono profondamente Scola, che nel 1972 decise di girare un film militante a 16 millimetri per la Unitelefilm, la casa di produzione legata politicamente al Partito comunista.
Trevico-Torino, viaggio nel Fiat-Nam (1973) è un racconto tutto interno alle manifestazioni e alla militanza politica, caratteristiche di una Torino che aveva vissuto dapprima la massiccia immigrazione dal Sud e poi la rivolta degli immigrati stessi. Scola decise di girare il film con attori non professionisti, secondo la tradizione del neorealismo, e scelse simbolicamente, come paese d’origine dell’immigrato la cui storia è al centro del film, proprio la sua città natale.
Negli stessi anni, Scola diresse, sempre per il Partito comunista, uno spot destinato alla campagna elettorale per il referendum contro l’abrogazione del divorzio (1974), senza però trascurare il cinema professionale. Dopo un tentativo non riuscito di girare una commedia americana con protagonista Marcello Mastroianni (Permette? Rocco Papaleo, 1971), nel 1974 realizzò uno dei suoi film più intensi e riusciti, C’eravamo tanto amati.
Interpretato da Gassman, Nino Manfredi, Sandrelli e Stefano Satta Flores, il film fu una specie di summa del dopoguerra italiano, sia per quanto riguarda la storia del Paese (inizia infatti con la Resistenza, che vede impegnati alcuni dei protagonisti. e propone tutte le speranze e le delusioni di una generazione di militanti), sia per i toni dolceamari che avevano caratterizzato la commedia all’italiana nello stesso periodo e che dopo questo film di fatto scomparvero dal cinema italiano.
Il film successivo di Scola, Brutti, sporchi e cattivi (1976), è un’opera decisamente ispirata a Pier Paolo Pasolini e al suo racconto delle borgate romane, con gli aspetti comici che trapelano sottotraccia a vantaggio invece degli elementi drammatici e di un’accurata ricostruzione d’ambiente.
Questa svolta nella filmografia di Scola coincise non a caso con una crescente attenzione da parte della critica italiana e internazionale, che apprezzò i risvolti drammatici molto più di quanto non avesse fatto per le commedie. C’eravamo tanto amati ottenne infatti il primo premio nel 1975 al Festival internazionale del cinema di Mosca, mentre Brutti, sporchi e cattivi vinse nell’anno successivo il premio per la miglior regia al Festival di Cannes.
E nel 1978 Una giornata particolare (1977), scritto con Maurizio Costanzo e interpretato dalla coppia italiana più famosa nel mondo (Mastroianni e Sophia Loren), ricevette riconoscimenti ancora più importanti, in particolare la prima nomination all’Oscar di un suo film come migliore film straniero. E questo nonostante il grande rischio che Scola si era preso coscientemente, proponendo al latin lover Mastroianni il ruolo di un omosessuale e alla Loren il ruolo di donna semplice, in una Roma all’inizio della seconda guerra mondiale, splendidamente ricostruita nel teatro 5 di Cinecittà.
I film successivi di Scola furono sempre più rivolti, da un lato, verso l’impegno politico, mentre dall’altro risultarono connotati da una dimensione internazionale. Se La terrazza (1980) è un’amara riflessione sulla crisi del mondo intellettuale di sinistra, Il mondo nuovo (1982) è una ricostruzione storica della Rivoluzione francese. Ballando ballando (1983) e La famiglia (1987) sono, invece, due saghe storiche arricchite da un cast ricco e articolato. Con lo stesso impegno Scola realizzò anche molte sequenze del documentario collettivo L’addio a Enrico Berlinguer (1984), sui funerali che seguirono la morte del segretario del Partito comunista, molto amato dai suoi militanti ma anche da buona parte del Paese. Scola continuò in quel periodo a lavorare con gli attori di sempre, in particolare Mastroianni, senza però trascurare le nuove leve della recitazione italiana, soprattutto Massimo Troisi – da lui diretto in Che ora è? (1989), Splendor (1989) e Il viaggio di Capitan Fracassa (1990) –, ma anche Sergio Castellitto e Diego Abatantuono, protagonisti di Concorrenza sleale (2001).
Con il passare degli anni, come dichiarò lo stesso Scola, si affievolì però la sua passione per il cinema, a vantaggio dell’impegno politico e del desiderio di raccontare la realtà italiana, nonostante il crescendo di riconoscimenti in patria e all’estero. Nel 1979 fu infatti nominato agli Oscar per I nuovi mostri, nel 1984 per Ballando ballando e nel 1988 per La famiglia; inoltre, nel 2003 divenne cavaliere della Repubblica italiana, mentre la Repubblica francese lo insignì nel 2001, dopo il grande successo di Ballando ballando (che racconta cinque epoche diverse della storia francese, dagli anni Trenta del Fronte popolare ai moti del Maggio francese nel 1968), dell’onorificenza della Legion d’onore.
Nel 1989, infatti, Scola accettò di fare parte del governo-ombra proposto dal segretario del Partito democratico della Sinistra (PDS, nato dalle ceneri del Partito comunista) Achille Occhetto come ministro per la Cultura (incarico che Scola accettò con grande entusiasmo, per poi abbandonarlo profondamente deluso dall’esperienza).
Nel 1994 firmò con molti altri registi il film Roma: 12 novembre 1994, documentario collettivo sulla grande manifestazione sindacale contro la legge finanziaria proposta dal governo di Silvio Berlusconi. Nel 2001 partecipò a un altro film collettivo, Un altro mondo è possibile, anch’esso realizzato a più mani da molti registi che documentarono le giornate di manifestazione che si svolsero a Genova durante il vertice internazionale del G8. Per entrambe le esperienze Scola non fu solo una delle tante firme: il suo prestigio internazionale e la sua passione militante risultarono decisivi per mettere insieme le energie e i finanziamenti necessari per girare il film, nonché per trovare un palcoscenico importante di visibilità. Lo stesso discorso vale per il documentario Lettere dalla Palestina (2003), in cui Scola, assieme ad altri registi, si occupò degli scontri politici, razziali e religiosi nel Medio Oriente.
La dimensione del documentario fu al centro degli interessi di Scola fino a fine carriera. Gente di Roma, da lui firmato nel 2003 insieme con le figlie Paola e Silvia, è un viaggio tra realtà e finzione, tra poesia e osservazione della vita quotidiana, in una Roma nella quale il degrado cittadino è il minimo comune denominatore che lega tra loro i vari episodi. Che strano chiamarsi Federico, il suo ultimo film, anch’esso scritto assieme alle figlie, mescola nuovamente documento e finzione ricostruendo gli anni tumultuosi del dopoguerra, proprio nel periodo che aveva visto il giovanissimo Scola imbattersi nel già affermato Federico Fellini presso le redazioni dei giornali umoristici. Presentato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 2013, il film ottenne un riconoscimento, mentre due anni prima Scola aveva ricevuto il David di Donatello alla carriera, dopo altri sette David per la regia o la sceneggiatura.
Scola fu anche produttore (soprattutto insieme all’amico Franco Committeri che con la Mass Film produsse molti film del regista), regista di opere liriche (debuttò nel 2003 al teatro Regio di Torino con Così fan tutte, colorata interpretazione del dramma giocoso di Mozart, in occasione del quale curò in modo particolare la recitazione dei cantanti) e presidente di festival (il Bari international film festival, creato nel 2009 dal suo amico Felice Laudadio). La sua partecipazione ai festival di cinema non fu mai banale. Nel 2012 il Torino film festival gli offrì un premio alla carriera che il regista, pur recatosi in città, decise di rifiutare per solidarietà con i lavoratori del Museo nazionale del cinema, che erano in sciopero contro la direzione del Museo stesso.
Morì il 18 gennaio 2014 a Roma.
Pochi mesi prima era stato presentato un documentario che raccontava i fatti salienti della sua vita, Ridendo e scherzando, realizzato dalle figlie Silvia e Paola con Pierfrancesco Diliberto (Pif) come narratore.
Fonti e Bibl.: 22 questions à Ettore Scola, a cura di J. Gili, in Écran 76, 15 novembre 1976, n. 52, p. 22; J. Gili, La comédie italienne, Paris 1983, passim; M. D’Amico, La commedia all’italiana, Milano 1985, passim; G. Canova, E. S., in Belfagor, XLI (1986), 3, pp. 279-296; R. Ellero, E. S., Firenze 1998; S. Masi, E. S., Roma 2006; I. Moscati, E. S. e la commedia degli italiani, Roma 2017.