VERNAZZA, Ettore
VERNAZZA, Ettore. – Nacque a Genova intorno al 1470 da Pietro e da Battistina Spinola.
Il padre, notaio, nel 1461 fu cancelliere della Repubblica e tra il 1486 e il 1475 scriba curiae. Indirizzato fin da giovanissimo verso la professione notarile, molto poco si conosce della sua giovinezza, del periodo di formazione e degli incarichi lavorativi che precedettero il suo operato in favore del Divino Amore. Questa fu un’esperienza totalizzante, documentata a partire dagli ultimi anni del secolo, intorno alla quale si sviluppa il suo intero profilo biografico. Probabilmente nel 1496 sposò Bartolomea Risso, dalla quale ebbe tre figlie: Tommasa, Catetta e Ginevrina. Scelsero tutte la via del convento: Tommasa (v. la voce in questo Dizionario) entrò in clausura all’età di tredici anni prendendo il nome di Battista, Catetta assunse il nome di Daniela e Ginevrina quello di Maria Arcangela. Nel 1581, in una sua lettera, Battista avrebbe ricordato la personalità del padre, le sue attività e il suo ruolo nell’educazione delle figlie. Ne risulta l’immagine di un uomo molto devoto, intenzionato a orientare verso le iniziative caritative gli altri membri della famiglia.
Sul finire del Quattrocento, durante una epidemia, Vernazza conobbe Caterina Fieschi, nobildonna di intensa spiritualità, che si stava dedicando all’assistenza degli ammalati dell’ospedale genovese del Pammatone, dove si era trasferita. Vernazza guadagnò subito il suo favore, entrò a far parte del ristretto cenacolo dei fedelissimi, religiosi e laici, e divenne in breve tempo il suo «dolce figliolo». In questo contesto nacque il Divino Amore di Genova, istituito nel 1497 da Vernazza in continuità con la tradizione confraternale medievale. Si trattava di un’associazione di chierici e laici dedita ad attività di apostolato nei confronti di poveri, malati e infermi, espressione di una carità devota e segreta vissuta al riparo delle stesse istituzioni ecclesiastiche. I membri della confraternita erano dediti alle pratiche di pietà, che prevedevano la partecipazione alla messa, la comunione frequente, la lettura delle Scritture, il digiuno, la flagellazione e altri esercizi di mortificazione. I laici erano la maggioranza. Per questo motivo, il Divino Amore si strutturò come un importante luogo dove i membri della nobiltà e dell’emergente borghesia cittadina potevano realizzare il proprio desiderio di perfezione e salvezza. Risulta appartenere al primo nucleo di sodali una nutrita schiera di notai, che assieme al fondatore si occupavano di redigere gli atti necessari alla raccolta dei finanziamenti per la confraternita e alla fondazione di nuovi istituzioni caritative. L’obiettivo di Vernazza non si limitò tuttavia alla mera creazione di uno strumento volto alla redenzione individuale. Mediante la fondazione del Divino Amore, e la collocazione dei suoi membri nelle cariche più alte di ospedali e luoghi pii, egli intendeva controllare e indirizzare il rinnovamento spirituale di cui si stava rendendo promotore e creare una vera e propria riforma della carità dalla quale dovevano trarre vantaggio da una parte i bisognosi, dall’altra la generazione di «iuvenes» genovesi, in particolare notai e giuristi, chiamati a governarla.
Il misticismo di Fieschi, caratterizzato da uno spiccato cristocentrismo permeato di richiami al magistero di s. Paolo, doveva rappresentare il modello spirituale del Divino Amore. L’esperienza della donna venne raccolta nell’Opus Catharinianum, un complesso di opere a lei attribuite, ma più volte emendate e ritoccate dai discepoli, tra i quali forse lo stesso Vernazza. L’annichilimento della volontà individuale, una severa ascesi penitenziale, l’estraniamento estatico e la rinuncia nei confronti delle espressioni del mondo divennero gli elementi principali della vita confraternale, insieme con una velata sfiducia nei confronti della mediazione ecclesiastica. A giudizio dei curatori dell’Opus Catharinianum, Fieschi, divenuta perfetta per «gratia infusa» (Fieschi, 1551, c. 13r), percorse per ben venticinque anni il cammino penitenziale in completa solitudine, «senza mezzo di alcuna creatura, dal solo Dio instrutta et governata» (c. 117r). Questa particolarità fu comunque sfumata dall’assistenza e dal servizio agli infermi. L’amore divino arrivava quindi a identificarsi con l’esercizio della carità, anche se veniva suggerito di vivere la carità con imperturbabilità e disinteresse. Grazie all’instancabile opera di promozione di Vernazza, questo messaggio finì quindi per condizionare l’atmosfera della rete delle confraternite del Divino Amore, i sodalizi e gli ospedali a esse collegati.
È in questo clima spirituale che tra il 1499 e il 1500 Vernazza patrocinò la fondazione dell’ospedale (o ridotto) degli Incurabili genovese, dove la pietà si saldava con gli interessi della collettività e dell’ordine pubblico, per garantire il controllo del decoro cittadino e il contenimento dei problemi sanitari derivati dalla diffusione della sifilide e delle tensioni sociali che il governo locale non riusciva ad affrontare. Inoltre, in quegli stessi anni Vernazza fondò la compagnia del Mandiletto, adibita alla raccolta di offerte ed elemosine per i poveri. Non fu un caso. La devozione cittadina si esprimeva attraverso una fitta rete di confraternite tra loro collegate e risulta che lo stesso Vernazza, insieme con altri componenti del Divino Amore, fosse membro della Misericordia, che si occupava di confortare i condannati a morte.
In questo stesso periodo è documentato un suo incarico come collettore di gabelle e, nell’ottobre del 1503, il suo definitivo ingresso nel Collegio dei notai di Genova. Della sua attività è stata rinvenuta una sola filza di atti datati tra il 1504 e il 1524, aventi per lo più come testimoni i componenti del Divino Amore, contenente molte disposizioni testamentarie e lasciti in favore dell’ospedale di Genova (Archivio di Stato di Genova, Notai antichi, 1552 bis). Rimasto vedovo intorno al 1508, prima di aver compiuto quarant’anni, egli si ritirò nei locali del ridotto degli Incurabili, dove trasferì anche il suo studio notarile. Con le figlie in convento, meditò di fare il suo ingresso nella vita consacrata come canonico regolare lateranense ma, come ricorderà Battista nella sua lettera, si persuase che lo stato laicale lo avrebbe reso più libero di seguire le opere di beneficenza.
Nel 1512, Vernazza fece rogare dal collega Battista Strata un instrumentum locorum, vero e proprio manifesto programmatico delle attività che aveva in animo di realizzare negli anni successivi, quando si dedicò pienamente all’accoglienza mettendo a frutto nella costruzione di opere pie i proventi dei luoghi che aveva fondato. Nel documento è presente un paragrafo dedicato al perfezionamento della formazione dei medici, insieme con le indicazioni per l’istituzione di un legato per l’insegnamento della teologia e della filosofia, per istruire gli «iuvenes» notai e giuristi, molti dei quali appartenevano alla rete del Divino Amore. Per la sua importanza, questo documento è considerato tra gli atti fondativi dello Studium Generale di Genova (Isnardi, 1861, pp. 224 s.). È sempre in questo periodo che Vernazza iniziò a occuparsi dell’esportazione del modello del Divino Amore. Fino ad allora, infatti, il sodalizio era cresciuto grazie alla protezione delle istituzioni cittadine e della nobiltà locale, che aveva assecondato il riconoscimento dei suoi legami con gli ospedali e gli altri enti caritativi.
La morte di Fieschi, avvenuta nel 1510, spinse il notaio a chiedere alla S. Sede il riconoscimento degli statuti del Divino Amore e, conseguentemente, ad ampliarne i confini. L’operazione fu facilitata dal radicamento nell’Urbe di alcune importanti famiglie genovesi, avvenuto durante il pontificato di Giulio II. Il viaggio di Vernazza a Roma avvenne tra il 1514 e il 1515, con il sostegno dell’arcivescovo di Salerno Federico Fregoso e la protezione del cardinale Bandinello Sauli. In questo contesto, Vernazza fondò la sede romana della confraternita, i cui primi membri, che si riunivano nell’oratorio della chiesa di S. Dorotea in Trastevere, furono reclutati nelle corti degli ecclesiastici genovesi. Tra i confratelli della prima generazione vi furono Marcantonio Flaminio, vicino a Stefano Sauli, fratello del cardinale anfitrione di Vernazza, e Gaetano Thiene, familiare di Giovanni Battista Pallavicino. Il legame con Genova rimase molto forte anche se il nuovo sodalizio aveva un differente modo di intendere la penitenza. Dai suoi statuti, infatti, fu bandita la flagellazione. Al suo posto, la devozione si incentrò sulla liturgia eucaristica e sulla pratica sacramentale, anche in virtù della maggiore presenza di ecclesiastici. Basandosi sul modello originario, Vernazza intese poi associare alla confraternita l’ospedale di S. Giacomo degli Incurabili e un pio luogo per le convertite.
La realtà romana era molto complessa ed emerse una serie di complicazioni, principalmente politiche ed economiche. Gli intrighi politici coinvolsero subito i promotori del sodalizio. Nel 1517, la scoperta della congiura contro papa Leone X, nella quale fu coinvolto Bandinello Sauli, costrinse Vernazza a lasciare la guida dell’oratorio e a farsi sostituire dal chierico bresciano Bartolomeo Stella, che aveva guadagnato la sua fiducia dedicandosi alle attività caritative con scrupolo e devozione. Fu una fedeltà ripagata: tra le sue carte sono state ritrovate le bozze degli statuti della confraternita romana e un elenco dei suoi membri datato al 1524. Inoltre, nel 1520, proprio su indicazioni di Vernazza, Stella ritornò nella sua città natale «con chierica in capo» (Bianconi, 1914, p. 65) per fondare una congregazione simile al Divino Amore e un ospedale degli Incurabili a essa associato. L’allargamento della rete confraternale mostrava che il sostegno alla carità faceva da sfondo a intricate dinamiche finanziarie. Come scrisse Battista Vernazza, «l’ospedale degli Incurabili non ha se non diece milia lire d’entrata et ne spendono vintisei» (p. 70) e i debiti venivano sanati attraverso l’assegnazione di appalti e la vendita di indulgenze, che nei primi anni Venti attirarono le critiche di Gian Pietro Carafa, uno dei membri appartenenti alla Curia papale. Nel 1524, in polemica con gli altri congregati anche per la desacralizzazione cui conduceva un ente religioso organizzato con un forte coinvolgimento del laicato, Carafa decise di abbandonare il Divino Amore e insieme con altri fuoriusciti, tra i quali Thiene, fondò l’istituto di vita consacrata dei teatini, il primo ordine di chierici regolari.
La ferrea posizione assunta da un paladino dell’ortodossia romana come Carafa nei confronti di un’«opera secreta» che proteggeva i suoi membri e le loro attività attraverso la garanzia dell’anonimato, fa vacillare le interpretazioni della confraternita come baluardo della riforma cattolica, che a partire dagli studi di Pio Paschini e Hubert Jedin hanno caratterizzato la storiografia apologetica. Gli studi più recenti si stanno orientando verso una lettura più complessa della dimensione religiosa e spirituale del Divino Amore, che avrebbe condotto il cammino di molti dei personaggi che vi facevano riferimento verso la fedeltà alla Chiesa di Roma, ma anche, influenzati dalle idee della riforma luterana e dell’evangelismo francese, su posizioni più sfumate e ambigue e talora esplicitamente antiromane o eterodosse, come dimostrano i casi di Stella, Marcantonio Flaminio e Battista Fieschi.
Il 7 novembre 1517 Vernazza era a Genova, dove redasse il suo testamento. Insieme con piccoli lasciti in favore di istituti assistenziali e luoghi pii, il documento trasmette la sua volontà di evitare possibili controversie familiari. Vernazza dichiarò di aver disposto in differenti forme la quota legittima per le figlie, di aver contratto numerose obbligazioni in favore delle opere di carità da lui istituite e di voler lasciare tutti i suoi beni al ridotto genovese degli Incurabili, per il sostentamento degli ospiti dell’ospedale e per la costruzione di una chiesa da aggregare alla struttura.
Nel suo instancabile tentativo di allargamento della rete della confraternita, nel 1518 Vernazza si recò a Napoli dove l’anno successivo, con la collaborazione del canonico regolare lateranense Callisto Fornari, riformò la Compagnia dei Bianchi della giustizia, che si occupava dell’assistenza ai condannati alla pena capitale. Anche in questo caso il modello caritativo e statutario doveva essere quello genovese, come dimostra l’aggregazione alla compagnia di un ospedale degli Incurabili e, successivamente, di un pio luogo per le convertite, governati rispettivamente dalle nobildonne spagnole Maria Lorenza Longo e Maria Ayerba. L’apporto della nazione genovese residente a Napoli fu di fondamentale importanza per l’attuazione del progetto, come dimostra l’aiuto fornito a Longo dal nobile Andrea Da Passano, dal banchiere Germano Ravaschieri e dal cittadino Pietro Maruffo.
Tornato definitivamente in patria intorno al 1521, negli ultimi anni della sua vita Vernazza si occupò della costruzione del lazzaretto per la cura e il ricovero degli appestati.
Morì nella sua stanza del ridotto degli Incurabili il 27 giugno 1524, proprio durante un’epidemia di peste che colpì la città.
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C. Fieschi, Libro de la Vita mirabile et dottrina santa, de la beata Caterinetta da Genoa. Nel quale si contiene una utile et catholica dimostratione et dechiaratione del purgatorio, Genova 1551, c. 13r; B. Vernazza, Opere spirituali della venerabile madre donna Battista Vernazza canonica regolare lateranense nel monastero di Santa Maria delle Grazie di Genova, Genova 1755, passim; L. Grillo, Elogi di liguri illustri, I, Genova 1846, pp. 357-365; L. Isnardi, Storia dell’Università di Genova, Genova 1861, pp. 224 s.; A. Bianconi, L’opera delle compagnie del Divino Amore nella riforma cattolica, Città di Castello 1914, pp. 123, 128, 132; P. Paschini, La beneficenza in Italia e le «Compagnie del Divino Amore» nei primi decenni del Cinquecento, Roma 1925, ad ind.; C. Carpaneto da Langasco, Gli ospedali degli incurabili, Genova 1938, pp. 251, 258 s., 266; P. Tacchi Venturi, Storia della compagnia di Gesù in Italia, I, 2, Roma 1950, pp. 25-41; Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dal VI al XX secolo, a cura del Consiglio nazionale del notariato, Milano 1961, pp. 554-556; U. Bonzi da Genova, Edizione critica dei manoscritti cateriniani, Genova l962, ad ind.; E. Aleandri Barletta, E. V. nei documenti dell’archivio dell’ospedale di S. Giacomo, in Archivio della Società romana di storia patria, I-IV (1966), pp. 125-131; E. Marasco, L’umanesimo cristiano di E. V., in Renovatio, III (1968), pp. 435-440; A. Morello, Le regole del ridotto degli Incurabili, l’«instrumentum locorum» ed il testamento di E. V. notaro e benefattore del ’500, in Scritti giuridici in onore del notaio prof. Vincenzo Baratta, Napoli 1969, pp. 281-321; E. Pontieri, Sulle origini della Compagnia dei Bianchi della Giustizia in Napoli e sui suoi statuti del 1525, in Campania sacra, III (1972), pp. 1-60; M. Petrocchi, Storia della spiritualità italiana, I, Roma 1978, pp. 164-171; A. Cistellini, Figure della riforma pretridentina, Brescia 1979, pp. 269-277; R. Savelli, Dalle confraternite allo stato: il sistema assistenziale genovese nel Cinquecento, in Atti della Società ligure di storia patria, XCVIII (1984), pp. 171- 216; D. Solfaroli Camillocci, Le confraternite del Divino Amore. Interpretazioni storiografiche e proposte attuali di ricerca, in Rivista di storia e letteratura religiosa, XXVIII (1991), pp. 315-332; C. Carpaneto da Langasco, Esser lievito. E. V., Genova 1992; D. Solfaroli Camillocci, La «carità segreta». Ricerche su E. V. e i notai genovesi confratelli del Divino Amore, in Tra Siviglia e Genova: notaio, documento e commercio nell’età colombiana, Milano 1994, pp. 395-434; C. Carpaneto da Langasco, E. V., in Dizionario degli Istituti di perfezione, IX, Roma 1997, coll. 1933-1935; C. Carosi, E. V., in Consiglio nazionale del notariato. Attività, II (1999), pp. 110-127; L. Fiorani, «Charità et pietate». Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, in Storia d’Italia. Annali, 16, Roma, la città del papa, Torino 2000, pp. 429-476; A. Massobrio, E. V.: «l’apostolo degli incurabili», Roma 2002; D. Solfaroli Camillocci, I devoti della carità. Le confraternite del Divino Amore nell’Italia del primo Cinquecento, Napoli 2002, pp. 72-74, 80-84, 201-204, 293-295; L. Sinisi, Una vita per il prossimo: E. V., notaio e benefattore genovese nell’Italia della Riforma cattolica, in Studi e materiali. Quaderni semestrali, V (2006), pp. 795-803; L. Moretti, Dagli Incurabili alla Pietà, Firenze 2008, p. 23; G. Alonge, Dalla carità all’eresia. Il Divino Amore e il dissenso religioso nell’Italia del primo Cinquecento, in Rinascimento, LIV (2014), pp. 187-210; A. Vanni, Gaetano Thiene. Spiritualità, politica, santità, Roma 2016, pp. 27-39; Id., Bartolomeo Stella nella crisi religiosa del XVI secolo, in Mediterranea, XLV (2019), pp. 11-24.