Ettore
Figlio di Priamo, re di Troia, e di Ecuba. Valorosissimo in guerra, E. fu il principale eroe di parte troiana durante il lungo assedio greco, l'unico che potesse aspirare a misurarsi con Achille.
Seminò la strage nelle schiere avversarie, e sostenne invitto un lungo duello con il fortissimo Aiace Telamonio; quando Achille, irato contro Agamennone, si ritirò nella propria tenda, E. gettò lo scompiglio nelle file greche riuscendo persino ad appiccare il fuoco alle navi nemiche. Invano tentò di opporglisi, pagando con la vita il generoso tentativo, Patroclo, che per rianimare i Greci aveva rivestito le armi dell'amico Achille. Allora il Pelide, risoltosi a rientrare alfine nel combattimento per vendicare il caduto Patroclo, si scontrò con E. in un epico e drammatico duello dal quale uscì vincitore. Il misero corpo di E. fu strascinato dal cocchio di Achille per tre volte attorno alle mura di Troia; ma quando il vecchio re Priamo si recò dal vincitore per riscattare il cadavere del figlio, l'ira di Achille si placò e il corpo fu restituito per l'onesta sepoltura, tra il pianto unanime dei Troiani, dei quali in quei lunghi anni E. era stato l'amato capo militare e l'anima della resistenza.
Dalla narrazione omerica la figura dell'eroe troiano risulta viva anche di umanità, per la generosità verso il nemico vinto e soprattutto per gli affetti familiari: devoto verso il padre, affettuoso con la moglie Andromaca, tenero col figlioletto Astianatte; l'incontro con Andromaca e Astianatte alle porte Scee, poco prima del duello fatale, è meritamente una delle pagine più famose dell'Iliade. L'alone di simpatia che circonda la figura dell'eroe omerico è mantenuto e anzi ampliato da Virgilio, il quale tende a riflettere quella luce sul suo Enea, presentato sempre come emulo di E. in valore guerriero, e anzi a lui superiore per " pietas " (cfr. Aen. III 343, VI 169-170, XI 289-292, XII 440). È perciò a Enea che, secondo il racconto virgiliano, nel momento tragico per Troia apparve l'ombra di E. per affidargli i Penati affinché la " gens Hectorea " (Aen. I 273) divenisse Romana (II 270-297).
D. trovò nell'aristotelica Ethica nicomachea la preziosa notizia che Omero (la cui opera gli rimaneva sconosciuta) aveva esaltato l'eccezionale valore di E., il quale " valde erat bonus, ‛ neque videbatur viri mortalis puer existere, sed Dei ' " (Eth. nic. VII 1, 1145a; cfr. Il. XXIV 258), e già nella Vita Nuova aveva usufruito di quel giudizio omerico per adattarlo a Beatrice: certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: ‛ Ella non parea figliuola d'uomo mortale, ma di deo ' (Vn II 8); un passo che egli fermò bene nella memoria se vi alluse ancora, genericamente nel Convivio (IV XX 4) e puntualmente nella Monarchia (II III 9): quem [Ettore] prae omnibus Homerus glorificat, ut refert Phylosophus in hiis quae de moribus fugiendis ad Nicomacum. Tuttavia i cenni danteschi dedicati a E. sono pochi, e singolarmente privi di calore, specie se raffrontati ai commossi versi dell'Eneide che ne ricordano la sventurata fine (cfr. I 483-487, II 270-297) e la venerazione con la quale Andromaca, pur dopo tanto tempo, rendeva omaggio alla cara memoria dell'estinto (cfr. III 300-319; v. Andromaca). A parte una circonlocuzione di carattere geografico, di derivazione virgiliana (Pd VI 68 là dov'Ettore si cuba; cfr. Aen. V 371), E. è da D. sempre nominato in abbinamento con Enea: nel castello degli spiriti magni tra i discendenti di Elettra sono Ettòr ed Enea (If IV 122); nel Convivio (IV XXVI 13) e nella Monarchia (II III 9) è ripresa l'affermazione virgiliana (cfr. Aen. VI 166-170) che Miseno, già al servizio di E., dopo la morte dell'eroe passò agli ordini di Enea: e ciò per presentare il figlio di Anchise come il degno erede del valore guerriero di E., che è la sola cosa che del Priamide a D. in realtà prema.
In Ep V 17 Enrico VII è chiamato Hectoreus pastor, appellativo con cui D. intende evidentemente sottolineare a un tempo la legittimità della designazione di Enrico a imperatore e lo stretto legame esistente tra l'impero romano del tempo di Augusto (cfr. § 10) e la nuova era di grandezza che si aprirà con le ‛ nozze ' dell'imperatore e della miseranda Ytalia.
Va inoltre ricordato Cv III XI 16, dove D., discorrendo di un uso metaforico, adduce il seguente esempio: sì come fa Virgilio nel secondo de lo Eneidos, che chiama Enea: " O luce ", ch'era atto, " e speranza de' Troiani ", che è passione, che non era esso luce né speranza (così nella '21). In realtà sono invece parole di Enea ad E. (per cui cfr. Aen. II 281): e dunque alcuni editori hanno proposto di emendare il passo ritenendolo corrotto: chiama Enea [a Ettore], Busnelli-Vandelli; oppure chiama E[ttore per bocca di E]nea, Simonelli. Per la questione, v. le note dei due editori.