Euclide e la comunita alessandrina
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Con Euclide, la geometria trova la sua organizzazione definitiva secondo il metodo deduttivo a partire da un corpo di definizioni, postulati e assiomi: essa diventa così modello non solo per le matematiche, ma per la razionalità scientifica stessa. Gli Elementi rappresentano un punto di arrivo, in cui confluiscono le ricerche condotte dai predecessori di Euclide. Al tempo stesso, essi costituiscono il testo di riferimento in base al quale i matematici di età alessandrina si riconoscono come una vera e propria comunità.
Proclo riferisce di un ampio dibattito all’interno dell’Accademia legato alla distinzione fra problemi e teoremi: i primi riguardano la costruzione delle figure (sezioni, sottrazioni, aggiunte); gli altri dimostrano le proprietà che ineriscono di per sé a ogni figura. Per Speusippo e Anfinomo, tutte le proposizioni della geometria devono essere chiamate teoremi: le scienze teoretiche trattano infatti di cose eterne, mentre la nozione di problema comporta generazione e produzione. Secondo Menecmo, allievo di Eudosso, quelle proposizioni devono essere considerate invece tutti problemi: esse facilitano la via alla cosa cercata o, una volta assunta come definita, permettono di vederne la natura, le qualità, le proprietà e i rapporti con altri oggetti (in Eucl., p. 77-78, Fredlein).
Non si tratta qui di una semplice controversia terminologica, interna a una concezione unitaria della geometria: in realtà, nel IV secolo a.C. la matematica non ha ancora definito in maniera univoca la sua fisionomia, ma si trova in una situazione per così dire fluida. Ad affermarsi è infine la geometria dei teoremi, la geometria ordinata secondo il modo assiomatico: un sistema in cui, assunte alcune proposizioni come punti di partenza, tutte le altre ne derivano secondo un ordine univoco e rigoroso. Si è soliti mettere in relazione questo esito con la concezione della matematica elaborata da Aristotele. Egli la colloca accanto alla filosofia prima e alla fisica: è il gruppo delle tre scienze teoretiche, scienze contemplative, volte alla conoscenza della realtà per il solo amore di conoscere e dunque pure, libere da interessi di natura pratica e utilitaristica. Il suo oggetto è l’essere considerato sotto l’aspetto della quantità e dispone per la sua indagine di principi propri a partire dai quali svolge le sue dimostrazioni. Anzi, il suo grado di astrazione permette di cogliere con estrema nitidezza lo svolgersi dell’argomentazione e, attraverso l’analitica, ne fa il modello della scienza deduttiva.
È difficile comunque valutare con precisione quanto la posizione di Aristotele abbia davvero influito sull’affermazione assiomatica della geometria o, viceversa, quanto questa abbia contribuito a delineare il suo sistema del sapere, in cui ogni singola scienza trova riconosciuta la propria autonomia. Di sicuro la geometria assiomatica risponde a quelli che ancora oggi sono criteri “interni”, con cui giudichiamo della matematica: bellezza, semplicità, coerenza, ordine. La teoria delle proporzioni di Eudosso, così come appare nel V libro degli Elementi di Euclide, ha proprio queste caratteristiche e può essere considerata come il passo fondamentale nella direzione della sistemazione assiomatica. La sua espressione più compiuta si trova invece negli Elementi di Euclide.
Su Euclide non abbiamo notizie precise: non conosciamo il suo luogo di nascita e neppure le date esatte della sua vita. In base alle indicazioni indirette di Proclo – Euclide è poco più giovane di quel Filippo di Mende (IV sec. a.C.) che chiude il Riassunto di Eudemo e scrive prima di Archimede) –, si ritiene comunque che abbia composto il suo trattato intorno al 300 a.C. Ci troviamo dunque proprio all’inizio dell’età ellenistica, negli anni in cui viene a delinearsi un quadro politico e sociale profondamente nuovo rispetto al precedente. Anche nell’ambito della cultura si verifica una modificazione profonda, che viene solitamente riassunta nell’immagine del divorzio fra filosofia e scienze. Queste vengono a organizzarsi secondo un modello di autonomia e trovano la loro sede nel Museo, la grande istituzione voluta ad Alessandria dal re Tolemeo I. Proprio ad Alessandria, Euclide svolge le sue ricerche e stabilisce il suo insegnamento.
Proclo indica in Euclide colui che ha dato veste compiuta alla geometria: egli ordina in forma sistematica molti risultati di Eudosso e ne perfeziona molti di Teeteto; inoltre dà dimostrazioni inconfutabili a quelli che i suoi predecessori avevano dimostrato in maniera poco rigorosa (in Eucl., p. 68, Friedlein). Dunque, gli Elementi non si presentano come un’opera originale, ma come una sorta di collezione, nella quale confluiscono i risultati delle ricerche dei predecessori. Essa si articola in 13 libri: nelle edizioni più antiche compaiono anche un quattordicesimo e un quindicesimo libro, che però sono aggiunte di geometri posteriori.
Il I libro inizia con l’enunciazione dei principi fondamentali di tutta la geometria; prosegue poi con i teoremi elementari sui triangoli, sulle rette parallele e su quella che per noi è l’equivalenza dei poligoni, per concludersi con il teorema di Pitagora. Il II libro tratta la quadratura di un poligono qualunque, ossia la nostra algebra geometrica. Il libro III è incentrato sulle proprietà del cerchio, mentre il IV verte sulle figure inscritte in un cerchio e ad esso circoscritte, e secondo uno scolio risalirebbe ai pitagorici.
Nel complesso, i primi quattro libri trattano della geometria piana, come doveva essere già nota ai matematici del VI e V secolo a.C., indipendentemente dalla teoria delle proporzioni. Questa viene esposta nel V libro in relazione non alla geometria, ma alle grandezze in generale: come già detto, il nucleo originario risale a Eudosso. Le applicazioni della teoria delle proporzioni alla geometria sono trattate invece nel VI libro. I libri VII, VIII, IX sono dedicati all’aritmetica e presuppongono conoscenze relativamente antiche: trattano le proprietà dei numeri interi e i rapporti di numeri interi, senza fare ricorso a esempi numerici, ma attraverso segmenti e rettangoli. Il libro X, il più esteso e complesso, riprende gli studi di Teeteto sugli irrazionali. I libri XI, XII e XIII formano un tutto dedicato alla trattazione della geometria solida attraverso il metodo di esaustione.
Il processo di riscrittura dei contenuti della tradizione, non si esaurisce in una loro semplice trascrizione ma ne comporta una profonda rielaborazione da parte di Euclide. Non si tratta tanto di rivedere e approfondire singoli aspetti delle ricerche compiute dai predecessori. E nemmeno di partire da quei risultati disponibili per aprire nuove vie, come pure è il caso del celebre quinto postulato che dà sistemazione rigorosa alla teoria delle parallele e porta a ragione il suo nome. Il suo contributo decisivo sta nel progetto stesso di riunire ambiti prima disarticolati in un corpus sistematico, nel quale le proposizioni si susseguono secondo una rigorosa e coerente struttura logica, una connessione totale governata da un ordine univoco di antecedenza e conseguenza a partire da proposizioni che sono gli elementi di tutte le altre.
I principi della geometria
A fondamento dell’intero edificio, nel libro I, sono enunciati quelli che costituiscono i principi comuni: termini, postulati, nozioni comuni. Euclide non ne spiega il significato e già Proclo, per chiarirlo, li pone in relazione con le nozioni di assioma, definizione e ipotesi elaborate da Aristotele (in Eucl., p. 76-77, Friedlein). Egli attribuisce a Euclide una divisione in ipotesi, postulati e assiomi. Si ha un assioma quando una proposizione risulta insieme nota a chi apprende e credibile per se stessa; un’ipotesi quando una proposizione non è evidente per se stessa a chi apprende, ma viene comunque da questi concessa a chi l’assume; un postulato quando si assume una proposizione che non è conosciuta né ammessa da chi apprende. Tuttavia tra questa tripartizione e le distinzioni aristoteliche non è possibile stabilire una corrispondenza esatta. Le nozioni comuni di Euclide non hanno tutte lo stesso grado di generalità e non è detto che egli le considerasse davvero dotate di maggior evidenza e necessità rispetto ai postulati. Una certa analogia si può riscontrare fra i termini e la concezione aristotelica di definizione come ciò che spiega i concetti attraverso il genere e la differenza specifica: tuttavia alcuni termini euclidei più che definizioni costituiscono dei veri e propri postulati o addirittura dei teoremi. Ancora più problematico appare il riferimento alle ipotesi.
In Euclide la nozione di ipotesi non compare. Secondo alcuni interpreti, i suoi postulati racchiudono una forte istanza nel senso del costruttivismo: dal momento che questo implica un’assunzione di esistenza, si ritroverebbe così una caratteristica propria delle ipotesi aristoteliche. È chiaro però che per Euclide gli oggetti matematici esistono indipendentemente dalla loro costruzione. Magari di per sé, forme trascendenti l’empirico, come vuole Platone, magari immanenti alla materia, realtà immobili ma non separate, come sostiene Aristotele: in un caso come nell’altro, il matematico ne scopre le proprietà e le studia. In questa prospettiva, i postulati di Euclide permettono appunto di studiare le figure geometriche, stabilendo un confronto, un collegamento tra di loro mediante costruzioni che si chiede di poter impiegare. Così, per esempio, nel primo postulato si tratta di collegare mediante un segmento di retta due punti qualunque; nel terzo entrano in gioco considerazioni di uguaglianza e disuguaglianza attraverso la figura circolare, la quale permette di riconoscere che due segmenti sono uguali in quanto raggi dello stesso cerchio.
Segmenti e cerchi: riga e compasso si confermano allora in Euclide quali strumenti privilegiati, come già lo erano nella tradizione precedente: essi sono i soli a poter entrare nel campo della geometria, senza scalfirne il carattere puro.
È stato osservato che esiste un rapporto profondo fra l’organizzazione assiomatica della geometria e la definitiva affermazione della scrittura, che prende la forma del trattato. Questa offre infatti per sua natura una serie di “vantaggi logici”: costituire una terminologia, stabilire schemi di argomentazione fissi e ripetibili, esercitare un controllo ripetuto sui procedimenti e i risultati, favorire l’incremento della conoscenza. Come si vede, il significato degli Elementi va ben oltre la funzione didattica, che invece Proclo indica come loro scopo insieme alla costruzione dei solidi regolari. Sicuramente nel tempo essi hanno svolto un importante ruolo educativo e in certa misura continuano a svolgerlo, ma Euclide non mira certo ad aiutare l’apprendimento: “in geometria non esistono vie regie”, risponde anzi al re Tolemeo, che gli chiede se esista una via più breve della sua per imparare questa disciplina. Piuttosto il suo trattato va valutato in quanto rappresenta il testo di riferimento intorno al quale si costituisce una comunità di esperti in cose matematiche.
Gli Elementi definiscono lo spazio delle discipline matematiche come uno spazio teorico omogeneo, in cui chi vi partecipa condivide presupposti e metodi, destinato a crescere per aggiunte successive. Uno spazio in cui circolano trattati che espongono i risultati delle ricerche e insieme li sottopongono al controllo degli altri componenti. Uno spazio che va oltre quello geografico di Alessandria, per toccare centri diversi: Siracusa con Archimede, Pergamo con Apollonio. Uno spazio da cui è tenuto fuori tutto quanto appartiene al contesto della scoperta, confutazioni, errori, controesempi, tentativi. Uno spazio che non è quello litigioso delle scuole di filosofia o di medicina, proprio per il carattere di evidenza e di rigore che lo contraddistingue. E tuttavia uno spazio che non è immune da tensioni interne. Queste sono in qualche modo risolte nell’ambito della concezione euclidea, come nel caso di Archimede, che nel trattato Metodo meccanico espone la via attraverso cui ha conseguito alcune delle sue scoperte, precisando però che non è la via della vera scienza. O nel caso di Apollonio, che propone per le proposizioni I 10 e 11 degli Elementi una dimostrazione diversa da quella di Euclide o cerca, come dice Proclo, di dimostrare l’indimostrabile: per esempio la nozione comune che “cose uguali ad un’altra sono uguali tra loro”. Diverso è invece il caso dell’Arenario di Archimede, che si dice in grado di calcolare il numero di granelli di sabbia necessari a riempire l’universo e di scrivere per esteso un numero maggiore di questo. Ci troviamo qui in una dimensione diversa rispetto a quella di Euclide, la dimensione dell’infinitamente grande e, insieme, la dimensione dei procedimenti di calcolo, di quella logistica sostanzialmente trascurata dalla tradizione precedente e destinata a risolvere le necessità di carattere pratico del numerare. Anche Apollonio si dedica a sviluppare schemi per esprimere i grandi numeri e nel trattato Dizione rapida, oggi perduto, doveva esporre metodi per svolgere i calcoli in maniera rapida.
Questo spazio è definito spesso in termini di età aurea: in essa spiccano due figure, Archimede e Apollonio. Archimede, che vive fra il 287 e il 212 a.C., è considerato con grande ammirazione già dai suoi contemporanei. I suoi interessi procedono in direzioni diverse, dalla matematica pura alla tecnologia. La sua fama è legata in particolare alle ricerche sul cerchio e la sfera: lo scritto Sulla sfera e sul cilindro ne espone la trattazione definitiva nell’antichità, attraverso l’applicazione rigorosa del metodo di esaustione. Egli stesso del resto è così orgoglioso di aver scoperto la formula per calcolare il volume della sfera, da chiedere che sulla sua tomba venisse incisa proprio la figura di una sfera inscritta in un cilindro. Importanti sono anche gli studi relativi ai tre grandi problemi della geometria, condotti nei trattati Sulle spirali e Quadratura della parabola (quest’ultimo particolarmente interessante per il perfezionamento del metodo di esaustione). Da ultimo va ricordata l’applicazione della matematica alla fisica, attraverso lo studio della leva e dei corpi galleggianti.
Se Euclide è agli occhi degli antichi “l’uomo degli Elementi”, Apollonio (nato alcuni decenni dopo Archimede) è “il grande geometra”. Della vastissima produzione che gli valse quest’appellativo, ci è rimasta sostanzialmente l’opera Le coniche.
Il suo livello è tale che, come accaduto per gli Elementi di Euclide, essa supera e rende inutili tutte le precedenti trattazioni sull’argomento: ancora oggi è considerata uno dei capolavori della letteratura matematica di ogni tempo.
Apollonio è il primo a derivare tutte le sezioni coniche da un unico cono circolare, retto od obliquo; per ognuna di esse introduce inoltre un nome conveniente alle loro proprietà (ellisse, parabola, iperbole).
Accanto ad Archimede e Apollonio, va ricordato almeno Ipsicle, autore di quello che nelle edizioni antiche degli Elementi figurava come il XIV libro. Ma molti altri sono i matematici che contribuiscono a rendere d’oro quest’età, con lavori minori e tuttavia improntati allo stesso modello di rigore degli Elementi: Eratostene, Nicomede, Diocle, Zenodoro. La fine della scuola alessandrina è considerata solitamente come la fine della stessa scienza ellenistica, alla quale fa seguito un lungo periodo di decadimento. Fissarne una data è però cosa controversa e dà un’idea delle difficoltà interpretative che la contrapposizione scienza/decadenza pone.
Spesso la fine della scienza viene fatta coincidere con le vicende politiche e militari che sanciscono il predominio di Roma: la battaglia di Azio (31 a.C.) e la caduta di Alessandria. Va detto però che nel 30 a.C. il Museo non è più da lungo tempo centro di studi e ricerche originali: in seguito a contrasti legati alla successione al trono, nel 146 a.C. Tolemeo VII aveva infatti espulso gli intellettuali greci, ponendo così fine al fecondo rapporto fra scienza e potere. Si è però anche tentati di allungare l’orizzonte temporale della scienza ellenistica almeno fino al II secolo. A favore di questa proposta c’è senza dubbio il fatto che figure come Galeno e Tolomeo non rappresentano più semplici casi eccezionali in un periodo di declino, ma diventano esponenti a pieno titolo del più genuino spirito scientifico greco. Si vede bene però che tale operazione può essere ripetuta senza esitazione in un processo che non ha limite, fino a includere di volta in volta Diofanto, Pappo, Ipazia e ancora Proclo e Boezio.
La datazione è ancora diversa se si tiene conto che il contatto fra mondo greco e mondo romano risale alla guerra tarentina e produce i suoi frutti già all’epoca della seconda guerra punica (219-202 a.C.). In questa prospettiva, acquista rilevanza l’assassinio di Archimede per mano di un soldato di Marcello durante la conquista di Siracusa nel 212 a.C. Si può obiettare che si tratta di una datazione troppo alta, ma sicuramente quest’episodio riveste un alto valore simbolico. Più di tanti ragionamenti, racchiude il disinteresse dei Romani, quando non la loro insofferenza e la loro ostilità, verso la scienza pura dei Greci e apre a quella che sarà una diversa concezione del sapere, in cui la curiosità e l’intrattenimento dei mirabilia si sostituirà alla fatica e alla noia di una scienza senza vie regie.