eufemismo
Consiste nell'attenuare un'espressione che potrebbe risultare troppo cruda o sconveniente, sostituendo una parola o una locuzione con un'altra meno forte o addirittura contraria.
L'uso di questa figura retorica è in D. limitato, presentandosi raramente per lui l'opportunità di attenuare la violenza espressiva, che nella Commedia è invece generalmente ricercata. Si veda un caso limite come quello di If XXVIII 24 (dove si trulla), che apparentemente mira a evitare un vocabolo sconcio (usato per altro altrove in un contesto pur esso ‛ comico ', If XXI 139), mentre in realtà con tale perifrasi il poeta ottiene un risultato ancora più crudo. Nel medesimo passo minugia, termine derivato dal latino medievale e quindi presumibilmente volto a un'espressione più eletta, sostituisce ‛ budella '; ma più che un e. abbiamo in questo caso la ricerca di una rima particolare, in concomitanza con la ricerca del crudo vocabolo trangugia.
L'e. è naturalmente collegato con l'uso larghissimo della perifrasi, la quale obbedisce in D. più a un'esigenza esplicativa e intensiva che eufemistica. Tuttavia le dolenti case (If VIII 119) sulla bocca di Virgilio traducono eufemisticamente la " città di Dite ", evitando appunto il più duro nome infernale. Sono eufemismi, ottenuti attraverso perifrasi e non tanto motivati dall'esigenza di evitare la crudezza espressiva, quanto dall'esigenza di sostituire una parola banale, le perifrasi di If XXXI 117 (Anibàl co' suoi diede le spalle), Pg I 58 (questi non vide mai l'ultima sera), V 127 (quando 'l dolor mi vinse). Al tema della morte si riferiscono le perifrasi, anch'esse da considerarsi come eufemismi, di If XV 114 (dove lasciò li mal protesi nervi) e di Pg XVII 36 (hai voluto esser nulla), dove andava attenuato il tragico riferimento al suicidio. La perifrasi di Pd III 106 (uomini poi a mal più ch'a bene usi) nasconde sotto l'espressione pleonastica un aggettivo ingiurioso, che la delicata anima di Piccarda non ha voluto pronunciare.
Locuzioni attenuate, che evitano l'eccessiva crudezza dell'espressione, sono eufemismi quali condussi a far la voglia del marchese (If XVIII 56) e a mostrar ciò che 'n camera si puote (Pd XV 108), cui può aggiungersi al mondo fu rivolta (III 115), che corrisponde all'eliminazione di ogni tono realistico nell'evocazione della vicenda di Piccarda.
Non può attribuirsi se non una ragione ironica alla designazione dei diavoli come neri cherubini (If XXVII 114), che potrebbe considerarsi un'antifrasi (v.), se la locuzione non alludesse all'effettiva origine degli abitatori infernali. Tieni e burli di If VII 30 sono eufemismi che sembrerebbero dissolvere, nella designazione di un atto generico, quello proprio e riprovevole del vizio; ma in bocca ai dannati che si offendono l'e. acquista ancora una volta la funzione di contribuire al colorito comico. Così in Pd XIX 141 (quel di Rascia / che male ha visto il conio di Vinegia) evita di accennare direttamente al ripugnante peccato del falsario e alla sua dura punizione, ma con un e. leggermente ironico.
Talvolta l'e. è affidato a una scelta lessicale, in cui la parola generica sostituisce quella specifica (v. sineddoche): per Farinata non è che un letto il giaciglio funebre nel quale sconta la pena (If X 78); la stalla dove partorì la Vergine è quello ospizio (Pg XX 23). in If XIX 118, dove li cantava cotai note si riferisce sarcasticamente alla dura invettiva pronunciata dal poeta contro il papato simoniaco, l'e. assume la forma della ‛ transumptio '.