EUGENICA
(XIV, p. 560)
Termine introdotto da F. Galton (1822-1911) nel 1883 nel libro Inquiries into the human faculty, per indicare il programma di miglioramento della specie umana attraverso matrimoni selettivi. Per Galton "i processi dell'evoluzione sono in attività costante e spontanea, alcuni sono negativi, altri positivi. Il nostro ruolo è di fare attenzione alle opportunità di intervenire per controllare i primi e dare libero gioco ai secondi" (1892).
Rimasta a lungo una curiosità accademica, l'e. prese grande vigore nei primi anni del 20° secolo, dopo la nascita della genetica con la riscoperta delle leggi di Mendel. Queste sembravano offrire la possibilità di isolare singoli fattori (''caratteri unitari''), con note leggi di trasmissione che potevano essere comprese e quindi controllate.
Nella prima metà del 20° secolo, gli obiettivi eugenici si fusero con riduttive e schematiche interpretazioni della genetica, producendo misure restrittive di stampo razzista, sino alle misure sociali crudelmente oppressive del regime nazista. Questo portò praticamente all'abbandono del programma eugenico. Negli ultimi decenni il discorso, anche se non il termine stesso, ha ripreso vigore, nei dibattiti sulle basi genetiche dell'intelligenza, sulla sociobiologia, su alcune applicazioni pratiche dell'ingegneria genetica, e soprattutto nell'ambito delle iniziative (consultori genetici) per diminuire la morbilità causata da fattori ereditari.
Sviluppo storico. − L'e. era nata in stretto legame con la pratica e se ne era subito cominciata a intravedere una possibile applicazione al miglioramento delle specie vegetali e animali. Le osservazioni sulla determinazione genetica di alcune malattie metaboliche e quelle sull'ereditarietà mendeliana dei gruppi sanguigni A-B-O, oltre a generalizzare anche all'uomo le leggi mendeliane, facevano supporre di poter intervenire sul patrimonio ereditario della specie umana (data la conoscenza dettagliata delle leggi che la regolano) per poter costruire popolazioni umane ''migliori'', diminuendo la frequenza dei caratteri considerati negativi e aumentando quella dei caratteri positivi.
Nel 1904 la Carnegie Institution of Washington costruì a Cold Spring Harbor una stazione per lo studio sperimentale dell'evoluzione affidandone la direzione a Ch. B. Davenport (1866-1944). Il metodo di lavoro consisteva nel raccogliere vasti alberi genealogici (family record).
L'idea di base era di rintracciare singoli alleli mendeliani alla base di molte anormalità e malattie, ma anche di caratteristiche mentali e comportamentali, come l'alcolismo, l'epilessia, la criminalità e, soprattutto, la feeblemindedness, un termine che indicava un largo spettro di stati di deficienza mentale. Successivamente, nel 1910, lo stesso Davenport riuscì a far finanziare la costruzione, sempre a Cold Spring Harbor, di un laboratorio esplicitamente dedicato a ricerche di e., l'Eugenics Record Office, di cui fu egualmente direttore con la stretta collaborazione di H. H. Laughlin, che sarebbe diventato uno dei più accesi sostenitori del nuovo programma di ''controllo razziale''.
Con l'introduzione in Francia (1912) dei test sul quoziente d'intelligenza (QI) gli eugenisti ritennero di avere uno strumento quantitativo e affidabile per individuare le persone intellettualmente superiori. L'attribuzione di tale quoziente a un singolo gene mendeliano sembrava dare la possibilità d'intervenire per migliorare l'intelligenza della popolazione nel suo complesso.
Il movimento eugenetico si espanse notevolmente fra il 1910 e il 1940, soprattutto negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania. Molti scienziati di grande valore, direttamente o indirettamente, vi aderirono e lo sostennero, almeno per un certo periodo; fra questi, con differenti impostazioni, W. E. Castle, T. H. Morgan, H. J. Muller ed E. G. Conklin. Il movimento eugenetico tenne tre congressi internazionali, il primo a Londra nel 1912, il secondo e il terzo a New York nel 1921 e nel 1932. I programmi eugenetici erano di due tipi diversi, chiamati rispettivamente e. negativa e positiva. La prima intendeva limitare e addirittura proibire i matrimoni che avrebbero potuto portare a individui con caratteri genetici non desiderabili. L'e. positiva tendeva invece a far aumentare nella popolazione la frequenza dei geni considerati positivi, favorendo il matrimonio fra individui portatori di geni ''validi''.
Con una non chiara distinzione fra specie e razze biologiche, in questo primo periodo s'insisté particolarmente sui pericoli che sarebbero potuti derivare dal mescolamento delle razze. Come scrisse Castle in un libro divulgativo che ebbe notevole successo, Genetics and eugenics (1916), "una particolare combinazione di qualità rende utile un cavallo da corsa e una differente combinazione rende utile un cavallo da tiro... l'incrocio fra i due non produrrà né un tipo né l'altro... per questa ragione, ampi incroci razziali nell'uomo sembrano nel complesso non desiderabili". Il mescolamento delle razze era considerato altrettanto negativo della perdita della purezza delle linee ottenute da allevatori e coltivatori; permettere alla gente ''inferiore'' d'incrociarsi con la gente ''superiore'' era considerato un ''suicidio razziale'', in quanto avrebbe portato a un deterioramento genetico della razza.
Molti dei problemi sociali, come la povertà o il disadattamento, erano considerati il risultato di deficienze genetiche; per eliminarli occorreva quindi impedire la procreazione a quanti non fossero sufficientemente integrati nella società. La genetica sembrava così fornire una base scientifica a dei valori sociali e a una struttura economica preesistente e, com'era accaduto per il socialdarwinismo alla fine dell'Ottocento, la scienza sembrava fornire giustificazioni biologiche alle diseguaglianze sociali.
Soprattutto per l'azione di H. Laughlin, gli eugenisti svolsero un ruolo decisivo nell'approvazione del Johnson Act del 1924, che limitava fortemente l'immigrazione. Anche più vasta fu la campagna portata avanti dagli eugenetisti a favore di leggi per la sterilizzazione forzata delle persone considerate socialmente indesiderabili, gli internati nei manicomi, i colpevoli di reati sessuali, gli epilettici, le persone con basso QI e le persone ''moralmente degenerate''. Nel 1935 ben 26 stati negli USA avevano approvato una legge di questo tipo e sulla base di queste leggi furono sterilizzate 20.000 persone, di cui 12.000 nella sola California. Queste misure erano largamente condivise dall'opinione pubblica: un'indagine demoscopica del 1937 rivelò che il 63% della popolazione statunitense era a favore della sterilizzazione dei criminali abituali e il 66% era favorevole a quella dei ritardati mentali. In Inghilterra la campagna a favore della sterilizzazione fu condotta soprattutto dalla Eugenics Society, e anche la rivista scientifica Nature pubblicò articoli su questo tema. In Inghilterra, in Francia, in Italia e nei paesi scandinavi le relative proposte di legge incontrarono una resistenza molto più vasta e non passarono. In Germania la sterilizzazione ebbe un'applicazione su vasta scala. Anche durante la repubblica di Weimar il movimento eugenetico tedesco, guidato dalla Gesellschaft für Rassenhygiene (Società per l'igiene razziale), aveva avuto uno sviluppo notevole ed era diffusa l'opinione che i problemi sociali ed economici del dopoguerra fossero basati sulla degenerazione genetica di una parte della popolazione. Anche se sino al 1933 ciò non era direttamente legato alla persecuzione contro gli ebrei, dato che la stessa società per l'igiene razziale considerava gli ebrei tedeschi parte della razza ariana, dopo il 1933 le parti più degenerate della popolazione alle quali applicare le misure eugenetiche divennero gli ebrei e i comunisti. Nel 1933, dopo l'ascesa al potere di Hitler, fu promulgata una legge per la sterilizzazione eugenetica, molto più rigida di quella statunitense, che colpiva i deboli di mente, i ciechi, gli schizofrenici, gli epilettici, gli alcolizzati e i portatori di deficienze fisiche. I medici erano obbligati per legge a segnalare a un'apposita commissione le persone ''disadatte''. In tre anni furono sterilizzate 250.000 persone, la metà delle quali per ''debolezza mentale''. Nel 1935 furono poi approvate le leggi di Nurenberg per la sterilizzazione dei ''geneticamente inadatti'' e per impedire il matrimonio fra ariani ed ebrei.
Negli ambienti scientifici l'opposizione al movimento eugenetico aumentò dopo il 1920, ma solo dopo il 1930 e soprattutto quando si cominciò a conoscere come l'eugenetica veniva applicata nella Germania nazista, questa opposizione divenne sufficientemente forte. Molti genetisti consideravano gli enunciati eugenetici non affidabili e inaccurati e proprio per questa ragione T. H. Morgan negli anni Trenta si dimise dalla American Breeders' Association perché la rivista dell'associazione, il Journal of Heredity, pubblicava molta propaganda a favore dell'eugenetica. Figure principali dell'opposizione scientifica all'eugenetica in questa fase possono essere considerate J. B. S. Haldane e J. Huxley in Inghilterra, e H. J. Muller e H. S. Jennings negli USA.
H. Muller, che era stato da sempre sostenitore dell'intervento dell'uomo sulla propria evoluzione, e che avrebbe ripreso con coraggio intellettuale queste posizioni negli anni Cinquanta, si fece portatore delle critiche più severe. Egli partecipò polemicamente al congresso di e. del 1932, al quale per altro parteciparono non più di 100 persone, presentando una relazione dal titolo ''Il dominio dell'economia sull'eugenetica'', per condannare l'uso strumentale della genetica da parte di ben individuati circoli economici e politici. Nel 1934 giudicò l'eugenetica ormai trasformata in una pseudoscienza di facciata "per i sostenitori dei pregiudizi razziali e di classe, i difensori degli interessi costituiti della Chiesa e dello Stato, fascisti, hitleriani e i reazionari in genere".
Le posizioni eugenetiche avevano nel frattempo perso tutti i fondamenti scientifici. La genetica aveva mostrato che anche caratteri fenotipici relativamente semplici, come il colore degli occhi o le dimensioni corporee, potevano essere determinati dall'interazione di un numero molto elevato di geni differenti. Inoltre, molti geni ''negativi'' potrebbero rimanere non visibili per molte generazioni e ricomparire solo in determinate condizioni. Grazie all'opera, in Inghilterra, di L. Penrose e della sua scuola, quello che era stato il centro dell'attenzione degli eugenetisti, la ''debolezza mentale'', si sfaldò rapidamente. Questo termine infatti indicava uno spettro molto ampio di disturbi e incapacità mentali, la maggior parte dei quali erano poco noti e poco studiati. Inoltre, molti sembravano determinati non da fattori ereditari ma da scarsità alimentare o da malattie, e in nessun caso era possibile stabilire una determinazione ereditaria di una di queste forme.
Lo sviluppo della genetica di popolazione, facendo uso di modelli matematici, dimostrò come l'eliminazione dal patrimonio genetico di una popolazione di un gene recessivo era un processo molto lento, anche in presenza di forti pressioni selettive, e come solo ridurne la frequenza avrebbe richiesto un numero molto alto di generazioni e migliaia di anni. In questo modo veniva vanificata la base scientifica stessa su cui poggiava lo scopo finale del programma eugenetico. A partire dal 1930 il numero di articoli e libri dedicati ad argomenti eugenetici diminuì rapidamente e infine l'impressione suscitata dall'applicazione delle misure eugeniche in Germania spinse la Carnegie Institution a chiedere le dimissioni di Laughlin e a chiudere l'Eugenics Record Office alla fine del 1939.
La fine del movimento eugenetico non pose termine tuttavia ad alcune delle posizioni che ne erano state alla base, in particolare la possibilità e per molti la necessità d'intervenire sul patrimonio genetico delle popolazioni umane. Il rifiuto delle basi sociali ed economiche del movimento eugenetico non impediva la possibilità di usare le conoscenze genetiche per un miglioramento delle condizioni sanitarie e delle prospettive delle generazioni successive, scopo indicato da Muller come "la direzione sociale conscia dell'evoluzione biologica umana". Dopo un lungo silenzio, dovuto principalmente alle conseguenze negative prodotte dal movimento eugenetico, queste posizioni furono ripresentate a partire dagli anni Cinquanta, all'inizio dell'era atomica, e in un ambito scientifico, sociale e morale molto diverso. Si assistette alla contrapposizione fra due posizioni diverse.
Da una parte Muller sensibilizzava l'opinione pubblica sul pericolo che l'aumento drastico delle radiazioni prodotte dalle esplosioni nucleari potesse aumentare in misura drammatica il ''carico genetico'' di mutazioni negative; mutazioni che, in assenza della selezione naturale, non vengono eliminate. L'argomentazione di Muller era fondata sul fatto che il genoma di ogni singolo individuo è costantemente soggetto alle mutazioni, che possono essere spontanee oppure prodotte dalle radiazioni o da mutageni chimici. Muller stesso aveva dimostrato nei suoi studi precedenti che la maggior parte delle mutazioni sono deleterie e che questo punto doveva essere preso in considerazione dopo l'inizio dell'era atomica. Con calcoli matematici Muller mostrò che il carico genetico medio era di otto mutazioni deleterie per ogni persona. L'accumulo graduale di queste mutazioni, in genere recessive, che si diffondono nell'intera popolazione grazie agli incroci, costituisce il ''carico genetico'' della specie umana, definito come il numero totale di geni potenzialmente letali nel pool genico umano. Secondo Muller il carico genetico era in grado di ridurre la fitness evolutiva. In una situazione di libero gioco della selezione naturale, le nuove mutazioni venivano bilanciate dall'eliminazione di quelle esistenti per la morte degli individui che ne erano portatori. Ma a partire dalla preistoria lo sviluppo della medicina e il miglioramento delle condizioni di vita ridussero drasticamente gli effetti della selezione naturale, e con il venir meno di questo bilancio le mutazioni si sono accumulate. Inoltre, lo sviluppo della società industriale, e la connessa abbondanza di mutageni, aumenta la frequenza delle mutazioni. La crescita del carico genetico, argomentava Muller, poteva raggiungere un punto di non tolleranza da parte del genoma e portare alla ''morte genetica'' delle popolazioni umane. Inoltre, data la parziale dominanza di tutte le mutazioni, le mutazioni deleterie si sarebbero in ogni caso manifestate con un indebolimento generale e un abbassamento dell'attesa di vita.
La soluzione intravista da Muller era quella del controllo eugenetico della riproduzione, basato sulla scelta volontaria, una ''scelta germinale'', distinguendo chiaramente gli aspetti sessuali da quelli riproduttivi. Muller propose di costituire una vera e propria ''banca del seme'', al fine di giungere a una selezione del valore genetico degli individui fornitori, in modo da controllare il pool genico delle popolazioni future. Anche se Muller non approvò il progetto, considerandolo troppo frettoloso, esso andò effettivamente in porto e si sono avute molte fecondazioni artificiali utilizzando questa banca.
Opposti a questa visione erano i genetisti di popolazione, in particolare T. Dobzhansky, che sottolineavano invece come la dimensione biologica da difendere non è quella dei singoli individui, per avere 1000 Galileo o 1000 Pasteur, ma la popolazione, con la sua intrinseca variabilità biologica. Lo scopo da raggiungere dovrebbe essere il massimo di variabilità e lo spostamento di tale variabilità verso stati di attività maggiore, dal punto di vista intellettuale e fisico. Entrambe queste posizioni, come ha fatto notare R. Lewontin, sono egualmente ''biologistiche'', in quanto ritengono che la natura della società umana sia fortemente influenzata dalla distribuzione dei genotipi, mentre la variazione genetica è irrilevante per il presente e il futuro delle istituzioni umane, e che l'unica caratteristica della natura biologica dell'uomo è che egli non è vincolato da essa.
L'eugenica e la genetica di popolazioni. − Lo sviluppo della genetica di popolazione, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, ha minato le fondamenta delle posizioni eugeniche tradizionali. Anzitutto è stato definitivamente superato il legame con il razzismo: non c'è alcuna base genetica che possa indurre a ritenere che una razza sia geneticamente superiore a un'altra; le variazioni fra le razze possono essere per molti caratteri minori di quelle che si riscontrano all'interno di una razza. Di conseguenza, privo com'è di qualsiasi base genetica, non è compito del genetista prendere in esame il razzismo che rimane un fenomeno sociale, economico e culturale.
In secondo luogo la speranza di produrre modificazioni genetiche mediante una politica sociale (negativa o positiva che sia) cade. Data la struttura delle popolazioni umane, infatti, non è ipotizzabile un cambiamento significativo del patrimonio genetico nei tempi prevedibili da un'azione sociale mirata a questo scopo. Oltre al fatto che il giudizio sulla ''positività'' del carattere selezionato può cambiare anche nel corso di poche generazioni, facendo negativo ciò che pochi decenni prima era considerato positivo, da un'analisi matematica anche semplice si deduce che è poco probabile che ci siano risultati positivi in poche generazioni.
Se un gene letale recessivo ha una frequenza del 10% sarebbero necessarie circa 10 generazioni di selezione molto rigida, cioè 300 anni, per ridurne la frequenza al 5%. Se la frequenza iniziale è più bassa, il tempo necessario per dimezzarla è molto maggiore (il tempo in generazioni è l'inverso della frequenza genica iniziale). Una frequenza dell'1% richiederebbe 100 generazioni, ossia 3000 anni, per essere dimezzata dalla selezione. Allo stesso modo, se si mette in condizione un omozigote malato di riprodursi come gli individui normali, e la frequenza di questo gene è ancora l'1%, occorreranno 3000 anni (100 generazioni) perché questa frequenza diventi del 2%.
La prevenzione della riproduzione delle persone malate non ha praticamente alcun effetto disgenico a livello della popolazione, se ci riferiamo alla nostra scala temporale.
L'eugenica come problema di sanità pubblica. − A partire dagli anni Sessanta si è verificato un notevole cambiamento in questo ambito, quando la comunità medica internazionale si è posta come obiettivo la diminuzione della morbilità causata da malattie ereditarie. L'applicazione della genetica umana alla sanità pubblica è stata delineata dall'OMS nel 1968 (Human genetics and public health). Un programma di sanità pubblica ha per obiettivi la riduzione della mortalità causata dalla malattia e la prevenzione della malattia stessa. Quest'ultimo obiettivo viene considerato il più importante, dato che sanità pubblica dovrebbe essere sinonimo di prevenzione. L'applicazione delle conoscenze della genetica umana al trattamento e alla prevenzione delle malattie ereditarie come misura di medicina preventiva per diminuire l'incidenza delle malattie ereditarie può essere considerata un caso particolare della pianificazione familiare. A differenza dell'e. classica, essa si limita al trattamento dei caratteri patologici, non alla ricerca dei caratteri ''migliori'', e solo di quelli che hanno modalità di trasmissione ereditaria chiaramente definite. L'aumento del ruolo del consultorio genetico in questo ambito è stato determinato dal cambiamento delle frequenze delle malattie ereditarie, provocato dalla diminuzione dell'incidenza delle malattie infettive e parassitarie, che conferisce sempre maggiore importanza alla morbilità a componente genetica. Di conseguenza si assiste in percentuale a una crescita dell'incidenza delle malattie ereditarie.
Le priorità per gli interventi di prevenzione contro le malattie a determinazione genetica sono stabilite prendendo in esame la prevalenza di una malattia, la sua gravità e il periodo di tempo in cui è clinicamente attiva. Questo ha portato ad accentrare l'attenzione soprattutto sulle anemie congenite (in particolare anemia falciforme e talassemie) e sulla mucoviscidosi.
Le restrizioni, non forzate ma volontarie, nei matrimoni o nella procreazione nei casi di difetti genetici gravi, vengono considerate una misura eugenetica accettabile. Lo strumento principale per questo è la diagnosi prenatale precoce per individuare eventuali portatori (v. genetica medica, in questa Appendice). Questa prospettiva richiede un'analisi di massa per individuare i portatori dei geni recessivi potenzialmente pericolosi (come quelli per la talassemia), insieme a una vasta educazione per sensibilizzare i portatori. L'ambulatorio genetico è divenuto altrettanto diffuso quanto gli altri ambulatori per la medicina preventiva; consultori genetici sono stati installati in molti ospedali, rendendo generalmente diffuso e accettato questo tipo d'intervento eugenetico.
Tale obiettivo non è d'altronde molto diverso, dal punto di vista delle conseguenze evolutive, rispetto a quanto le società umane hanno praticato nei fatti, mediante l'accoppiamento preferenziale per molte generazioni sulla base dei costumi, dei livelli sociali e culturali. Le modificazioni delle popolazioni umane dovute alla politica della popolazione e alla pianificazione familiare mediante l'uso di metodi contraccettivi, di fatto significano una riproduzione selettiva (come quella intravista dagli eugenetisti decenni prima), che, anche se lasciata a se stessa, modifica in profondità la struttura genetica delle popolazioni.
Preoccupazioni in tal senso sono aumentate dalla messa a punto di tecniche per la procreazione medicalmente assistita (fecondazione artificiale, trapianti ovulari, ecc.) che di fatto sembrano fornire la possibilità di scelta dei caratteri del nascituro, e non solo al livello dell'eliminazione delle patologie di natura genetica. In questo ambito si sottolinea quindi la necessità di effettuare le diagnosi prenatali e la procreazione medicalmente assistita in centri autorizzati, al di fuori dei circuiti commerciali, utilizzando solo la diagnosi delle malattie genetiche gravi, la cui presenza renderebbe plausibile un'interruzione della gravidanza oppure la messa in opera di idonee misure preventive o terapeutiche. La lista dei test autorizzati, che deve cambiare con i progressi della medicina e della ricerca biologica, dovrebbe essere stabilita con una normativa di legge. I test diagnostici a disposizione dei genitori non dovrebbero essere utilizzati per determinare le caratteristiche non legate a gravi anomalie (come il colore degli occhi o il sesso).
L'eugenica e il linkage genetico. − Nuovi metodi di studio (linkage analysis, analisi dell'associazione genetica) stanno aprendo una nuova era nella genetica umana e al tempo stesso sollevano molte implicazioni sociali ed etiche. La tecnica si basa sul fatto che il genoma umano contiene delle regioni ripetitive altamente variabili, che possono, mediante l'uso di enzimi specifici, essere tagliate in punti particolari, producendo frammenti di lunghezza diversa.
Questi frammenti ipervariabili di DNA sono specifici e stabili geneticamente, segregando in modo mendeliano; essi sono quindi utilizzabili come ''impronte genetiche'' di un individuo per accertare le sue relazioni con altri individui (per es. la paternità) oppure come marcatori della presenza di un certo gene ad essi vicino, ''segnali'' per quel gene la cui presenza non può essere individuata altrimenti. Per di più, la reazione chiamata PCR (Polymerase Chain Reaction) rende possibile la produzione in vitro di grandi quantità di un frammento specifico di DNA di lunghezza e sequenza definita, a partire anche da piccole quantità di template (stampo), aumentando di molto la capacità di analisi sperimentale. Si ha così a disposizione un nuovo metodo per ottenere in laboratorio informazione genetica utile per la diagnosi prenatale, per individuare gli adulti portatori di un determinato gene e malattie a determinazione genetica, anche in assenza di manifestazioni fenotipiche, cioè di un quadro sintomatico preciso. Questa tecnica è stata già utilizzata con successo per la diagnosi prenatale della talassemia, della fenilchetonuria e della corea di Huntington.
È a questo punto che sorgono problemi etici e sociali importanti, anche rispetto alle tecniche tradizionali di diagnosi prenatale, che permettevano d'individuare anomalie cromosomiche o presenza di determinati difetti enzimatici. Un aspetto riguarda ciò che consegue alla determinazione di malattie a insorgenza ritardata e alla predisposizione a particolari malattie. Cosa fare quando la malattia non ha cura? Nel contesto della genetica medica la diffusione dell'informazione, che è quasi un imperativo etico in ogni altro tipo di patologia, richiede invece molta cautela. L'informazione è uno strumento che deve servire a uno scopo, non è un fine in sé. Normalmente la diffusione d'informazione produce risultati positivi, e ''dire la verità al malato'' è la soluzione migliore, ma non è sempre così, automaticamente. Prendiamo per es. la corea di Huntington, una delle malattie ereditarie più misteriose, che provoca la morte programmata di uno specifico sottoinsieme di cellule cerebrali e comincia a manifestarsi dopo i quarant'anni. La consapevolezza, anche quando si è giovani e sani, del fatto che a una certa età si sarà colpiti da una degenerazione implacabile e incurabile del sistema nervoso può essere traumatica e provocare stati di grave ansia, sino al suicidio, senza che questa consapevolezza possa in qualche modo portare a comportamenti capaci di modificare l'evolversi della malattia, cosa invece possibile in caso di predisposizione genetica al diabete o a determinate malattie circolatorie.
In questo ambito si è molto rivalutato il ''modello medico'', cioè l'applicazione di una metodologia dipendente dal caso singolo, centrato sul singolo paziente, con un'analisi ragionata del rapporto rischi/benefici e un'accurata analisi delle conseguenze derivanti dall'intervento o dal non intervento, dall'informazione o dalla non informazione, a livello non solo del singolo paziente ma a quello dell'intera società.
Le impronte genetiche. − Data la grande variabilità genetica, nessun essere umano, a parte i gemelli identici, ha un'identica sequenza di DNA (la macromolecola portatrice dell'informazione ereditaria) e il polimorfismo di una popolazione (le differenze genetiche rilevabili all'interno di essa, che permettono di dividerla in gruppi, come per es. Rh+ e Rh- o altri gruppi sanguigni) è rilevabile direttamente al livello di questa macromolecola e non solo nelle sue manifestazioni a livello fenotipico. Una serie di tecniche permette una valutazione quantitativa di questa variabilità e quindi di stabilire con sufficiente certezza se due campioni di DNA appartengono o no allo stesso individuo, esattamente come si fa da tempo con le impronte digitali (per questa ragione si parla di DNA fingerprints).
Queste tecniche di analisi sono divenute uno strumento potente per la diagnosi prenatale di disordini genetici, per l'individuazione di portatori e per la determinazione della suscettibilità a date malattie, come quelle cardiovascolari. Ma il loro uso solleva molti problemi etici, gli stessi tradizionalmente connessi all'analisi genetica, insieme ad altri nuovi. Fra gli altri, quelli della confidenzialità dei dati sui legami familiari, l'accertamento della non-paternità, l'uso di questi dati per la diagnosi precoce di malattie ereditarie o anche della sola suscettibilità ereditaria a particolari malattie. La tecnica più diffusa è basata sull'uso degli enzimi di restrizione, che tagliano le catene di DNA in punti precisi. Se ci sono variazioni nella sequenza, i punti di attacco di questi enzimi possono risultare spostati, sicché si otterranno pezzi di DNA diversi per lunghezza. La lunghezza dei vari frammenti può essere misurata quantitativamente mediante elettroforesi, cioè sottoponendo i campioni a un campo elettrico, che li sposterà più o meno in un gel a seconda della loro carica elettrica e della loro massa. Si procede poi all'ibridazione della catena sconosciuta con campioni standard che contengono loci noti, per individuare le sequenze.
Sono stati studiati in questo modo circa 3000 ''pezzi'' di DNA, alcuni dei quali altamente polimorfici, ed è estremamente improbabile, data la grande variabilità naturale, che il DNA di due individui diversi mostri lo stesso pattern, la stessa distribuzione della lunghezza dei pezzi di DNA prodotti dagli enzimi di restrizione.
Eugenica, bioetica e legislazione. − Lo svilupparsi delle tecniche d'ingegneria genetica e delle biotecnologie in genere, che fanno intravedere la possibilità di conoscere nella sua integrità il genoma umano e d'intervenire direttamente su di esso, con tecniche chirurgiche (per es. per sostituire un gene ritenuto dannoso), ha riaperto un vasto dibattito sulla liceità di questo tipo di interventi. Alcuni punti chiari sono emersi: avanza in primo luogo l'enunciato etico fondamentale che la possibilità di agire e intervenire nel testo genetico dev'essere usata solo per liberare quello che, nel suo ''linguaggio'', rende possibile il massimo di creatività e di libertà, per quanto risulti poi difficile definire cosa questo significhi caso per caso.
La complessità e l'urgenza dei problemi sopra accennati ha reso evidente la necessità che gli stati si dotino di appositi strumenti legislativi. La prima indicazione in questo senso riguarda la messa in opera di una legislazione su problemi come la procreazione medicalmente assistita, le diagnosi prenatali, l'ingegneria genetica e la sperimentazione medica, che di fatto mettono in opera un'e. non socialmente programmata. Si sottolinea, accanto al diritto alla libertà dell'individuo o della coppia, la necessità di una dimensione sociale di questi problemi per eliminare l'illusione del ''consenso'' che finisce per far pesare sul singolo scelte che sono invece sociali, e per portare in un ambito collettivo tutte le decisioni che possono incidere sulla struttura delle popolazioni umane. Queste scelte sociali devono essere chiaramente espresse prima di ogni tipo di legiferazione, e devono essere indicati quali sono gli interventi legittimi, soprattutto nel campo dei test genetici, e quali le condizioni in cui questi devono essere condotti.
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