ALBÈRI, Eugenio
La figura di questo sagace poligrafo, nato a Padova nel 1817, morto a Vichy nel 1878, emerge specialmente per due iniziative storiche: l'edizione delle opere di Galileo, sugli autografi messi a sua disposizione dal granduca di Toscana; e quella delle relazioni degli ambasciatori veneti del sec. XVI, compiuta col sussidio dei documenti degli archivî toscani. La prima, veramente, è ormai diventata una curiosità erudita, dopo la più recente monumentale edizione nazionale della nuova Italia; la seconda, nella quale si manifesta il fine intuito e l'acuto discernimento dello storico nella scelta e valutazione dei documenti, è ancora uno strumento vivo. In politica, liberaleggiante agl'inizî, l'A. fu attratto nell'orbita di quel movimento culturale toscano, che faceva capo al Vieusseux, convinto di dover appoggiare il patrio riscatto a un rinnovamento dell'educazione mentale del suo tempo: e, sull'esempio del Vieusseux, giornalista (diresse il Progresso, la Ricreazione tra il 1831 e il 1834, e più tardi il Mondo contemporaneo, la Biblioteca dell'Italiano, l'Annuario storico) e letterato, diede opera a divulgare la cultura patria e straniera, curando l'edizione di buoni scrittori passati e contemporanei. Questi contatti con la Toscana, dove egli si trasferì avanti il 1838, lo sospinsero verso il neo-guelfismo, nelle cui file militò al tempo della ventata liberale di Pio IX, riaffermando la dottrina più ortodossa nello scritto Del papato e dell'Italia. Dopo il '59, invece, egli piegò a sentimenti di legittimismo, contro le ultime soluzioni del problema italiano. Negli anni maturi, si volse a studî di filosofia politica e teoretica (ad es., il Problema dell'umano destino); ma qui sente il fatto storico, dov'egli porta senso della realtà, piena aderenza alla vita, buona interpretazione della psicologia politica del tempo e, in opposizione ad esagerati e malintesi nazionalismi, profonda umanità, come può vedersi nello studio su Caterina de' Medici.
Bibl.: Arch. stor. it., s. 4ª, II (1878), pp. 172-177.