BARONI, Eugenio
Nacque a Taranto da genitori lombardi il 27 marzo 1888 e si trasferì giovinetto a Genova, dove il padre era professore all'Istituto nautico. Abbandonò gli studi di ingegneria al secondo anno di università e si dedicò completamente alla scultura, studiando presso G. Scanzi, seguace del Vela e del Monteverde. Frequentò anche i corsi dell'Accademia Ligustica, interessandosi però soprattutto allo studio dell'antico sui gessi raccolti nella Gipsoteca e mal accogliendo l'insegnamento accademico, tanto che distrusse una delle sue prime statue, Giuseppe ebreo, troppo ligia ai canoni e alle preferenze estetiche di quella scuola.
Nella testa di Garibaldi (che presentò nel 1907 a un concorso bandito dalla provincia di Genova per un busto in bronzo da dedicare all'eroe) già appare una certa ricerca veristica lontana dall'ortodosso gusto accademico. Ma in realtà fin dal 1904 il B. aveva volto il suo interesse ad esperienze più signifìcative, come l'arte di E. Meunier e soprattutto del Rodin. Non è documentato un soggiorno del B. in Francia, ma è certo che l'arte del Rodin fu determinante per lui ed affiora in tutto il primo periodo della sua attività (fino alle soglie della prima guerra mondiale) secondo una maniera supefficiale ed esteriore che porta alle estreme conseguenze i caratteri più vistosi e facili dello scultore francese. Ne fa fede la serie, di piccole sculture, isolate nello spazio, senza basamento, del ciclo degli Erotici (1912): Paolo e Francesca, L'Addio, la Coppa nuziale; e anche Faunetto addormentato, La lampada, L'anello, il Pensieroso, l'Adolescente; quest'ultimo gli valse l'elogio del Rodin e la nomina a membro del Salon d'Autonme. Di questo periodo èanche il monumento allo scienziato Giacomo Bove ad Acqui; ma l'opera più importante di quegli anni e senza dubbio il monumento dei Mille a Quarto, che eseguì dopo aver vinto (1910) il concorso bandito dal Comune di Genova e che fu inaugurato dal D'Annunzio il 5 maggio 1915 .
Il monumento si distingue dagli altri del genere perché nel sostegno del gruppo marmoreo manca il bassorilievo; ricorda le sculture del Vittoriano e il bozzetto del monumento a Garibaldi del Bistolfì a Milano (Cast. Sforzesco), artista che, del resto, protesse il B. e lo influenzò in larga misura. Come ebbero ad influenzarlo, nell'orientamento del gusto, il Sartorio e G. D'Annunzio, dei quali il primo gli fu molto amico e scrisse la lusinghiera relazione della commissione giudicatrice e il secondo ebbe per lui parole di alto elogio. L'insieme dell'opera, non priva di monumentale suggestione, ricorda anche il Vela delle Vittime del lavoro; ma sono particolarmente da segnalare gli studi fatti per le statue ornamentali (Gli eroi), nei quali è vivo il culturale ricordo dei Prigioni di Michelangelo e che anticipano le sculture per il Foro Italico, in Roma.
Altra importante opera del B. è il monumento funebre (1915) ai principi Doria, a San Fruttuoso alle pendici del promontorio di Portofino, che tradisce reminiscenze della retorica funeraria propria ad Adolfo Wildt: l'ispirazione al nostro Rinascimento non è diretta bensì mediata attraverso le imitazioni che produsse l'ultimo Ottocento italiano.
Sempre a Genova si devono al B. anche le statue di Guglielmo Embriaco e di Andrea Doria nel frontale di una delle due gallerie scavate nei colli della città ed alcune statue dell'Arco della Vittoria del Piacentini. A Genova eseguì anche opere funerarie, secondo certo tipico gusto del tempo: il monumento funebre a Luisa Cibils, il monumento Sciuto e quello in memoria di Berthe Grosso Bornin.
La partecipazione del B. come ufficiale degli alpini alla prima guerra mondiale, che lo portò a diretto contatto con la realtà tragicamente umana della vita del soldato, segna l'inizio di un nuovo periodo nella sua attività che culmina nel monumento-ossario sul monte S. Michele del Carso (1920), che non fu eseguito e di cui restano il bozzetto e i gessi. La composizione, imponente e grandiosa, sembra riassumere tutti i caratteri più significativi e popolari della scultura funeraria e commemorativa tra i due secoli.
L'ultima grande opera del B. è il monumento (1933-1935) al duca d'Aosta a Torino, il cui bozzetto vinseiiconcorso, a cui partecipò anche Arturo Martini. La morte colse l'artista prima del termine del lavoro, completato dal Morbiducci. Tra le ultime sue opere, e le più valide, bisogna ricordare anche le statue per il Foro Italico a Roma (L'alpe, La vetta, Lo sci, Saltatore, La caccia, Il remo). Espose alla Biennale di Venezia nel 1912 e nel periodo dal 1926-1934.
Morì a Genova il 25 giugno 1935.
La personalità del B., pur invischiata nel gusto deteriore dell'ultimo Ottocento e della prima retorica dannunziana, benelliana e fascista; pur dibattuta tra le correnti auliche ed ufficiali più in voga dettate dal Bistolfi, dal Wildt, dal Sartorio, dal Coppedè; pur succube del falso Rinascimento e del falso classicismo, non manca di qualità tecniche. Ciò dimostrano particolarmente le due teste in bronzo acquistate per la Galleria nazionale d'Arte Moderna di Roma nel 1926 alla XV Biennale di Venezia, l'ordine severo e dignitoso del monumento al duca d'Aosta e le relative statue (L'alpino, La vedetta), e soprattutto le statue per il Foro Italico in cui pure l'artista sembra rinnovarsi e agire con un linguaggio più dinamico e moderno: quello, in fondo, che egli aveva desiderato raggiungere fin dalla prima giovinezza.
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