BARSANTI, Eugenio (Niccolò)
Nacque a Pietrasanta (Lucca) il 12 ott. 1821, da Giovanni e Angela Francesconi. Studiò presso gli scolopi nel paese natale e sin dai primi anni rivelò subito una particolare tendenza per le scienze fisiche e matematiche. Nel 1838 cominciava il noviziato nell'Istituto del Calasanzio. Professati i voti assumendo il nome di Eugenio dell'Addolorata, per consiglio di G. Inghirami si recava nel 1841 a Volterra, presso il collegio di S. Michele, per insegnare la matematica e la fisica. Nel 1845 celebrò la prima messa nel duomo della città natale. Chiamato a S. Giovannino in Firenze, nel 1848 insegnò filosofia morale e geometria e, dall'anno successivo, svolse corsi di matematiche e di scienze applicate. Dopo aver lavorato per lunghi anni in patria, il B., nel marzo 1864, si recò nel Belgio, al fine di realizzare, nelle officine di Seraing, presso Liegi, la produzione in serie del motore cui aveva dedicato i suoi studi: in questa città, contratta una grave forma di febbre tifaide, morì il 18 aprile 1864. Le sue spoglie giuigevano a Livorno il 24 maggio dello stesso anno per essere tumulate in S. Giovannino a Firenze; dal 1954 riposano nella chiesa di S. Croce.
Il B. fu un valente fisico e geniale sperimentatore. Durante il suo soggiorno a Volterra, come risulta da un manoscritto conservato presso l'Istituto Ximeniano di Firenze e certamente dettato dal B. in terza persona attorno al 1863, egli, ripetendo agli scolari la nota esperienza della pistola di Volta, ebbe la prima idea di ricavare forza motrice dalla espansione di un miscuglio di idrogeno e aria incendiato dalla scintilla elettrica. Ebbe inizio così una serie di esperienze (che erano tanto frequentemente ripetute da far sorgere il sospetto che nel Collegio si studiassero nuove armi), esposte poi dal B. nel citato manoscritto, nel quale, tra l'altro, è detto a p. 33: "... si poteva regolarne gli effetti dinamici [della forza esplosiva dei miscugli composti di idrogeno e aria], obbligandola a trasformarsi in parte o anche totalmente in calorico"; ciò dimostra che il B. era a conoscenza del principio di equivalenza fra energia termica e meccanica che, intuito dal Camot ed enunciato dal Mayer nel 1842, fu esaurientemente dimostrato dal Joule soltanto nel 1850.
Persistendo in tali ricerche, il B., verso la fine del 1851, seguendo il consiglio dei confratellì pp. Antonetti e Cetti, decise di tentare la realizzazione delle sue idee e cominciò a collaborare con F. Matteucci, per intraprendere, come afferma Guido Alfani, "una lunga e minuziosa serie di esperienze e misure delicate, come preparazione al congegno meccanico che doveva condurli alla vittoria". Il B. e il Matteucci, che già alcuni anni prima avevano avuto modo di incontrarsi in occasione degli studi per la bonifica del lago di Bientina, iniziarono quindi la loro attività comune. I risultati di questa prima fase di lavori per la realizzazione del motore a scoppio furono abbastanza chiaramente descritti in un Rapporto riguardante alcuni nuovi esperimenti dei signori E. Barsanti e F. Matteucci, depositato in un plico sigillato presso l'Accademia dei Georgofili nell'adunanza del 5 giugno 1853, poi dissuggellato in quella del 20 sett. 1863. Nel Rapporto, comparso in un volume degli Atti, dopo una premessa nella quale è chiarito che le ricerche fondamentali degli autori erano tese a trovare il mezzo per ottenere il miscuglio detonante più economico e trasformare il moto istantaneo prodotto dalla detonazione in moto regolare, successivo, uniforme, vi è la descrizione dettagliata del dispositivo sperimentale.
Questo consisteva essenzialmente in un cilindro e in uno stantuffo scorrente all'intemo di esso, nella cui parte inferiore doveva avvenire l'accensione del miscuglio gassoso, capace, con la sua forza espansiva, di respingere ad ogni colpo lo stantuffo; un disco scorrente a sfregamento in questa parte inferiore del cilindro e munito di valvola serviva ad estrarre, da un foro praticato nel fondo inferiore, i prodotti della combustione e a far entrare dalla parte superiore il miscuglio gassoso, mentre, giunto al termine della sua corsa, produceva la scarica. Circa il modo di trasformare quel movimento istantaneo in un movimento successivo e regolare, nello stesso rapporto è detto: "quattro sistemi sono stati immaginati per raggiungere questo intento: 1) munire il coperchio o il fondo superiore del cilindro, per il quale passa l'asta dello stantuffo, di scatola stoppata, acciò non sfugga l'aria che tra la base superiore dello stantuffo e detto fondo riniane, la quale, venendo compressa dall'urto e ridotta alla tensione di più atmosfere, reagisca nella discesa sopra la base dello stantuffo e l'obblighi a retrocedere per servirsi di questo ritomo, e non dell'andata, per produrre l'effetto utile desiderato mediante ingranaggi e meccanismi di speciale costruzione. 2) Ottenere nel modo stesso la compressione dell'aria, ma per l'oggetto di cacciarla per mezzo di un tubo addizionale munito di valvola che si apra dal di dentro al di fuori in una così detta cassa d'aria, dalla quale, come si fa del vapore, si potrebbe far passare uno o due cilindri a doppio effetto che non differirebbero da quelli delle macchine attualmente in uso, e qui non occorre dire che il coperchio che contiene la scatola stoppata dovrebbe essere munito di valvola che si chiude dal di fuori al di dentro, per dare passaggio a nuova aria, la quale, dopo aver premuto lo stantuffo fino alla sua completa discesa, debba essere nuovamente compressa e cacciata dal ritorno dello stantuffo. 3) Fare lo stantuffo non più in un cilindro ermeticamente chiuso, ma anzi aperto nella parte superiore ove basterebbe che l'asta del medesimo trovasse una guida: e fare allungare allo stantuffo nella sua ascensione un sistema di molle, o di altri corpi elastici che, cessata la impulsione, reagendo con la forza ricevuta dallo stantuffo stesso, lo rendesse capace di produrre l'effetto utile nel suo rìtomo. 4) Fare agire lo stantuffo in un cilindro superiormente aperto, come nel caso precedente, ed assegnare al cilindro tale lunghezza e capacità, che la forza espansiva non giunga a cacciare fuori di esso lo stantuffo. In questo caso nell'andata si formerebbe un vuoto sotto lo stantuffo; e la forza utile di cui ci varremmo, sarebbe la pressione atmosferica sulla di lui base".
A questo Rapporto, che può dirsi l'esposizione delle linee fondamentali dell'invenzione, seguì, nell'autunno dello stesso anno, la costruzione del primo motore presso la fonderia fiorentina del "Pignone", come è provato dal Cavallini che pubblicò una lettera in proposito inviata da P. Benini, direttore e proprietario dello stabifimento, al Matteucci in data 22 sett. 1853.
Nell'anno successivo venne conseguito il primo brevetto, rilasciato in Inghilterra il 13 maggio 1854 sotto il n. 1072 e il titolo "Obtaining Motive Power by the Explosion, of Gases". Di questo si era particolarmente interessato il console di Sassonia e del Wúrttemberg in Livomo, Guglielmo Haehner. Contemporaneamente, venivano svolte analoghe pratiche col governo granducale di Toscana, che concedeva la patente in data di due giorni posteriore a quella inglese. Nella primavera del 1856, nelle officine della ferrovia Maria Antonia di Firenze, funzionava un motore costruito, secondo lo schema del brevetto inglese, nello stabilimento del Benini, il quale ebbe a lodarne l'efficienza e la silenziosità.
Nell'anno successivo fu probabilmente costruito un motore della potenza di circa 4 HP; il 12 giugno 1857 fu rilasciato in Inghilterra un nuovo brevetto col n. 1655.
Verso la fine dell'anno, un'importante serie di lettere scambiate tra l'ingegner E. Pessina, agente generale della Società di Navigazione Lariana di Como, e alcuni intermediari prima, e il B. e il Matteucci poi, dimostrò che anche questa società si era interessata all'invenzione, intuendone la possibilità di applicazione sui piroscafi. Dopo il brevetto concesso in data 31 dicembre dagli Stati Sardi, il 9 genn. 1858 venne rilasciato quello francese, n. 35009, dal titolo "Nouveau moyen d'employer la détonation d'un mélange d'air atinosphérique et d'un gaz inflammable comme force mouvante". Quest'ultúno sotto il n. 42 afferma che "s'il s'agit d'appliquer cette nouvelle force a une locomotive, alors notre machine devant remplacer deux cylindres à double effet, il faut en employer quatre sur deux couples des roues motrices conjuguées". Altri brevetti, anche a tutela delle nuove invenzioni, furono ottenuti in altri paesi, come in Austria e in Belgio.
Nel 1858 fu realizzato, nell'officina del Benini, un motore di 8 HP, che fu sperimentato in pubblico con tali risultati da far esitare rapidamente tutte le azioni della "Società Anonima del Nuovo Motore Barsanti-Matteucci"; nello stabilimento livornese di V. Calegari ne fu costruito uno della potenza di 20 HP, che non dette però risultati soddisfacenti, probabilmente destinato al battello "Il Veloce", come risulta da una lettera inviata da M. Calcagnini al Matteucci l'11 ottobre 1858.
Il 27 ott. 1859, il B. e il Matteucci, in un lungo comunicato comparso sul Monitore toscano, sotto il titolo Progetto di Società per la costruzione di un nuovo motore, davano notizia della prima realizzazione di un fondamentale impiego dell'invenzione, da loro già previsto, quello della trazione ferroviaria a motore.
Il 19 ott. 1860, con rescritto del principe di Carignano, luogotenente di Vittorio Emanuele II per le Provincie toscane, veniva approvato lo statuto della "Società del Nuovo Motore", della quale furono nominati direttori tecnici il B. e il Matteucci, e primo presidente il conte Zucchini di Bologna, e le cui azioni (240 ai promotori e 1260 ai sottoscrittori) del valore di L. 84 (pari a L. tosc. 100), trovarono la più larga accoglienza anche all'estero: in Francia furono propagandate soprattutto da L. Figuier.
Nel 1861 al B. e al Matteucci si unì G. B. Babacci e, con progetto secondo il nuovo brevetto Barsanti-Matteucci-Babacci, dalla Ditta Escher Wiss & C. di Zurigo veniva costruita una "Macchina motrice a gaz" della potenza di 12 HP, che comparve poi alla Prima Esposizione italiana in Firenze, incontrando una favorevolissima accoglienza del pubblico e dei tecnici, tanto da ricevere numerose ordinazioni anche dall'estero.
Per un certo periodo, il B. fu oberato di gravi responsabilità per il forzato abbandono della direzione tecnica della Società da parte del Matteucci, seriamente malato dal 1862 al 1864. Tuttavia sotto la direzione del B., nel 1863 fu costruito un motore da 4 HP secondo uno schema del brevetto francese n. 35009, realizzato dalle officine Baurer & C. di Milano, dette "all'Elvetica" (poi Soc. Breda); il motore, presentato per le esperienze all'Istituto lombardo di scienze e lettere, fu premiato con la medaglia d'argento "con giudizio sospeso per premio maggiore dopo l'esito di ulteriori esperienze".
Nella "relazione Magrini" si legge: "Entro un cilindro verticale si dà moto a due stantuffì per contrari versi in guisa che, quando uno si innalza l'altro si abbassa, e quindi ora si allontanano per l'intera corsa, ora si avvicinano fra loro quasi a contatto"; la descrizione prosegue dettagliatamente nei riguardi della costituzione e del funzionamento dell'apparecchio, concludendo infine: e per l'avvicendarsi di questo loro va e vieni si riproduce sempre l'effetto di raccogliere sui due volanti gl'iinpulsi successivi, facendoli cospirare, ossia trasformando questi impulsi in un moto continuo circolare, suscettibile di essere versato in qualunque strumento produttore". Alle prove, il motore B. M. dava un consumo di mc 0,497 di gas per HP ora, contro il consumo di MC 2,750 del nuovo motore di Lenoir.
Nel marzo del 1864 il B. si recava nelle officine John Cockerill di Seraing, presso Liegi: qui fece funzionare il motore costruito l'anno precedente a Wano, suscitando la più viva attenzione della direzione e dei tecnici. La morte lo colse proprio mentre egli stava accingendosi a iniziare la produzione in serie del suo motore.
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