BRIZI, Eugenio
Nato ad Assisi il 13 sett. 1812 dall'architetto Angelo e da Ippolita Cardinali, a venticinque anni si iscrisse alla Giovine Italia, di cui dal 1840, dopo un soggiorno di due anni a Roma, fu propagandista a Velletri. Ospite e uomo di fiducia del conte E. Borgia, influente patrizio, liberale per sentimento e tradizione di famiglia, svolse anche, con profitto, nella cittadina laziale attività di agricoltore, finché nel 1848, nominato capitano della guardia nazionale, accorse nel Veneto, per la prima guerra d'indipendenza, conducendo un centinaio di volontari velletrani, che vennero inseriti nel 3º reggimento leggeri, comandato dal colonnello Luigi Pianciani, e si distinse specialmente in una sortita a Mestre.
Richiamato coi suoi uomini nell'Italia centrale, combatté nella difesa di Ancona e portò poi i resti del battaglione in Umbria, dove questo venne sciolto. Promosso maggiore dal governo della Repubblica romana, al suo crollo il B. andò esule a Marsiglia, poi a Parigi nell'agosto 1850. Raggiunse il Pianciani a Londra alla fine del 1851, prendendo nel 1852 contatti con Mazzini e schierandosi dalla sua parte nei contrasti del tempo in seno all'emigrazione democratica, divisa tra il Comitato mazziniano di Londra e il Comitato franco-iberico-italiano di Parigi, ispirato dal Lamennais e dal Montanelli. Stimato dal Mazzini per il suo entusiasmo e la competenza militare che aveva acquisito (compose tra l'altro uno scritto gulla guerra di bande), fu da lui inviato a Milano per riallacciare i contatti con quel Comitato insurrezionale, sconvolto dagli arresti di E. Tazzoli, T. Speri, C. Poma, G. Pezzotti e altri, e, in particolare, per dirigere e convogliare i fermenti degli ambienti operai verso un moto che doveva coincidere con l'attesa riscossa della democrazia francese contro Luigi Napoleone Bonaparte e con altri tentativi in Italia.
Partito da Londra nel settembre 1852, il B. passò per Parigi e per Genova, dove incontrò Nino Bixio, e poi per Stradella, presso Agostino Depretis, che si era incaricato di procurare il finanziamento del moto, giungendo a MilanO il 4 ottobre. Ricostituito con E. Visconti Venosta il Comitato mazziniano, si accordò per la divisione dei compiti con G. Piolti de' Bianchi: questi ebbe la direzione politica del moto, curando i contatti con la classe media, mentre il B., addetto alla preparazione militare, s'introdusse negli ambienti popolari per guidare all'azione armata le fratellanze operaie, già inquadrate dai capipopolo, come il tintore G. Assi, di cui seppe vincere l'iniziale diffidenza. Lo facilitò in tale compito l'arresto di G. B. Carta, influente agitatore piuttosto contrario alla penetrazione mazziniana nell'ambiente operaio .
Tardando l'azione dei democratici francesi, che avrebbero dovuto insorgere contro la proclamazione dell'Impero (dicembre 1852) e diventando difficile celare i preparativi della cospirazione milanese, scelse per l'insurrezione il giorno 6 febbr. 1851, in cui, culminando il carnevale, i soldati austriaci si sarebbero trovati dispersi per le vie della città in festa.
Mentre il Piolti avrebbe preferito concentrare l'attacco contro poche caserme, il piano del B., più ambizioso, prevedeva vari focolai d'insurrezione, con un'azione principale al castello, guidata da lui stesso, e altre simultanee al fortino di porta Tosa, alle più importanti caserme e a tutti i posti di guardia. Tagliando le tubature del gas, si sarebbe lasciata la città al buio, accrescendo l'effetto dellesorpresa sul nemico, nelle cui file si sperava inoltre di ottenere la diserzione degli Ungheresi per le intese avvenute con alcuni di loro. Molto carente rimase il coordinamento dell'iniziativa popolare con gli elementi borghesi, per lo più diffidenti verso l'operato del B. ed il ceto operaio.
Al momento decisivo venne meno anche lo slancio dei popolani, reclutati con scarsa selezione; solo pochi di loro, per quanto animosi, si presentarono ai luoghi convenuti. Il B., trovando presenti solo una trentina di uomini sui cinquecento attesi per l'attacco al castello, dovette naturalmente rinunciarvi e similmente avvenne nelle altre zone d'operazione. Così, dopo parecchie azioni slegate e frammentarie, condotte tra le cinque e le sette pomeridiane in vari punti della città contro piccoli gruppi di militari austriaci, il moto si esaurì.
Identificato tardi e vagamente - come il "romano", cioè suddito pontificio - dalla polizia austriaca, il B. poté sottrarsi alla dura repressione restando nascosto per circa un mese e mezzo in Milano, le cui porte eran chiuse e vigilate, ospitato dalle figlie del dott. Vandoni, ucciso dai patrioti perché sospettato di tradimento desiderose di riabilitare il proprio nome; quindi, attraverso il lago Maggiore, riparò in Svizzera, dove lo attendeva ansiosamente Mazzini, amareggiato per il fallimento del tentativo, che in parte imputò alla sua mancanza di un piano di emergenza. Presto però il Mazzini tornò a valersi del B. per riallacciare i contatti col movimento clandestino in Roma sgominato dagli arresti pontifici nella successiva estate (luglio 1853).
Giunto a Roma con falso passaporto svizzero, imbastì un'attività cospirativa, che fu troncata il 4 nov. 1853, come dice nelle sue Memorie, dall'arresto per delazione di un confidente pontificio, certo Marè. Coinvolto nel processo a carico di G. Petroni, E. Roselli e di altri cospiratori di Roma, negò a lungo la sua vera identità, finché fu riconosciuto da un prelato di Velletri. Condannato il 25 sett. 1854 a vent'anni di galera, fu trasferito dalle carceri romane al forte di Paliano, dove nel 1857 avvenne un tentativo di evasione collettiva; compromesso in questo episodio, fu ricondotto alla prigione di S. Michele in Roma.
L'amico Pianciani riuscì frattanto a ottenere un intervento in suo favore del principe Girolamo Bonaparte, come si dichiara nelle Memorie, che finalmente gli valse, nel maggio 1862, la grazia e la scarcerazione, dopo nove anni di dura prigionia. Recatosi a Torino, chiese l'ammissione nell'esercito italiano, col grado di maggiore già ricoperto nella Repubblica romana. Poiché gli fu riconosciuto solo il grado di capitano, non volle retrocedere e preferì dedicarsi all'agricoltura, in collaborazione col Pianciani, prendendo in affitto dalla provincia umbra due tenute, presso Poggio Nativo. Continuò a svolgere una vivace attività politica in favore dell'opposizione democratica, soprattutto nei periodi elettorali. Nell'estate 1870, in accordo col Pianciani, era attivo in un tentativo per far scoppiare un movimento interno a Roma. Quivi si. trasferiva poco dopo, fino al 1877, per curare gli affari economici e finanziari del Pianciani. Dal giugno 1880 al luglio 1885 fu sindaco di Assisi e assessore effettivo fino al gennaio 1890, di nuovo sindaco dal gennaio 1890 all'aprile 1891 e, infine, consigliere fino al 31 luglio dello stesso anno.
Il B. morì ad Assisi il 27 genn. 1894.
Riguardando le proprie esperienze di patriota, i pericoli affrontati e le sofferenze subite, compose Memorie autobiografiche, relative agli anni 1838-62, che furono pubblicate postume insieme con discorsi commemorativi (Assisi 1898).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Fondo Pianciani, b. 7 (289 lettere dal 1849 al 1888); Roma, Museo Centr. del Risorgimento, buste 138 (38) e 820 (15, 16); Risultanze processualinella Romana di ripristinazione di società segreta e di promossa insurrezione contro G. Petroni..., Roma 1853, pp. 449-458; F. Orsini, Memorie politiche, Londra 1859, v. 95; Ediz. naz. degli scritti di G. Mazzini,Epist., XXV, pp. 358-363; XXVI, pp. 85 s., 227, 248, 251, 274, 289 294, 360, 366; XXVIII, pp. 54, 56 ss., 61, 63, 93, 161 s., 164, 201, 206; G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù, a cura di E. Di Nolfo, Milano 1959, pp. 166-178; V. Ottolini, La rivol. lombarda del 1848 e 1849, Milano-Napoli-Pisa 1887, p. 362; A. Lucatelli-L. Micucci, Martiri pontifici, Roma 1889, pp. 67, 82; E. Seidl, Das mailänder Attentat am 6Februar 1853, in Mittheilungen des k. und k. Kriegsarchivs, X (1898), pp. 293-410; Cospirazioni di Romagna nelle memorie di F. Comandini..., Bologna 1899, pp. 499, 506 s.; D. Spadoni, Una relaz. segreta di A. Saffi sulla trama milanese del '53, in Riv. d'Italia, XII (1909), 3, pp. 187-210; G. Cadolini, Memorie del Risorg. dal 1848al 1862, Milano 1911, pp. 222, 229 s.; S. Guglielmetti, G. Mazzini e i suoi seguaci di Roma, in Rass. storica del Risorg., XV (1929), pp. 125-129, 150-152; M. Monachesi, Italiani in esilio, in Ad A. Luzio gli Archivi italiani, Firenze 1933, II, pp. 197-215 passim;L. Pollini, La rivolta di Milano del 6 febbr. 1853, Milano 1953, passim; E.Morelli, Intorno al moto del 6 febbr. 1853, in Il Risorgimento, IX (1957), I, pp. 42-48; F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione ital., Milano 1958, pp. 227, 230, 340, 377 ss., 387, 389, 392, 395 s., 398, 414, 513; P. Pieri, Storia milit. del Risorg., Torino 1962, pp. 542-545, 547-549, 552; I. Ciaurro, L'Umbria e il Risorg., Rocca San Casciano 1963, pp. 9, 69, 92; Diz. d. Risorg. naz., II, ad vocem.