CANTONI, Eugenio
Nacque a Gallarate (Varese) l'11 apr. 1824 da Costanzo e da Giulia Magnaghi. Compiuti i primi studi presso il collegio Rotondi di Gorla Minore, fu mandato in Svizzera e in Germania per completare l'istruzione, ed infine in Inghilterra presso alcuni stabilimenti cotonieri per approfondire le conoscenze di tecnica ed organizzazione industriale del ramo. Rientrato in Italia verso il 1845, prese a collaborare col padre nella gestione della ditta. L'intervento del C. spinse il padre ad ampliare gli stabilimenti (che tra il 1845 e il 1846 comprendevano due complessi per la filatura e uno per la tessitura a Legnano, e un altro per la tessitura con una tintoria a Gallarate), costruendo a Castegnate (frazione di Castellanza, presso Gallarate, sul fiume Olona) una nuova filatura che sfruttava la forza idraulica, dotata di macchinario inglese, con 120 telai semiautomatici e con un reparto di candeggio. Accanto all'attività manifatturiera la ditta allargava anche quella commerciale, ed apriva una succursale a Milano.
Gli eventi del 1848 interruppero solo brevemente l'attività industriale del C., che si unì a una colonna di volontari gallaratesi e svizzeri mossa nel marzo in aiuto del governo provvisorio di Milano. Non risulta che abbia preso parte ai successivi avvenimenti politici e militari.
Il suo impegno presso la ditta paterna andò intensificandosi. Negli anni successivi al 1850 il padre abbandonò gradualmente la cura delle attività industriali per dedicarsi all'agricoltura, fino a quando, nel 1863, associò il figlio a tutti gli effetti al proprio commercio e manifattura di filati. Intanto nel 1857 il C. si era sposato con la baronessina Amalia Genotte von Markenfeld e Sauvigny, figlia del segretario particolare del gabinetto dell'imperatore d'Austria.
La parentela gli valse, dopo l'unificazione d'Italia e il ristabilimento di normali rapporti con l'Impero, incarichi e titoli onorifici: la nomina a console d'Austria nel 1869, quella a console generale austro-ungarico nel 1873, e il conferimento della gran croce dell'Ordine di Francesco Giuseppe. Dal matrimonio nacquero tre figli, Arturo, Costanzo e Giulia.
L'andamento economico della ditta "Costanzo Cantoni", poco prospero nel settennio 1850-57, conobbe un netto miglioramento alla fine del periodo grazie all'introduzione di miglioramenti nel macchinario (agli inizi degli anni '50 la ditta aveva cominciato ad adottare macchine a vapore sull'esempio degli stabilimenti dei Ponti e dei Borghi) che consentirono una migliore utilizzazione degli impianti e l'immissione sul mercato di tessuti in cotone, in sostituzione di quelli di lino e misti di lino e cotone. Nuove difficoltà si presentarono alla ditta durante la congiuntura postunitaria. L'industria del cotone risentiva in modo particolare delle conseguenze della guerra di secessione negli Stati Uniti d'America, e del blocco dei porti degli Stati del Sud, che rendeva impossibile l'esportazione del cotone greggio verso l'Europa. Ai contraccolpi della congiuntura internazionale si aggiungevano le difficoltà causate dall'indirizzo più liberistico nella politica commerciale del Regno, che ebbe la sua prima manifestazione nel trattato commerciale con la Francia del 1863. Nonostante le difficoltà generali, la ditta "Costanzo Cantoni" fu tra le poche che, anziché smobilitare, tese al rafforzamento della propria attrezzatura meccanica: nel 1866 il complesso degli stabilimenti contava complessivamente 9.000 fusi e 236 telai semiautomatici.
La ripresa generalizzata dell'industria cotoniera, seguita all'introduzione del corso forzoso (1866), che favorì un aumento dei prezzi senza che a questo corrispondesse un aumento dei salari, e all'espansione degli anni successivi alla guerra franco-prussiana, diede impulso a un processo di ampliamento della ditta e pose le premesse per una sua riorganizzazione anche finanziaria. Nel 1868, quando i primi sintomi di ripresa erano appena avvertibili, il C. acquistò gli immobili e il diritto d'uso di un canale per l'impianto di una nuova filatura a Bellano (Como), che nel 1870 arrivava a contare 6.800 fusi. L'impianto venne ritenuto necessario per ovviare allo squilibrio tra la produzione degli stabilimenti di filatura e il fabbisogno di quelli di tessitura. Nello stesso 1868 il C. decise l'acquisto in Milano, in località "alla Maddalena", di un modesto stabilimento che produceva fazzoletti stampati a mano. Dotata di cinque macchine "a perrottina" di fabbricazione inglese, la stamperia fu affidata alla direzione di Ernesto De Angeli.
La ripresa industriale del triennio 1871-1873 spinse il C. ad un'attività più vasta non solo sul piano strettamente imprenditoriale. Nel 1871 si fece promotore della costituzione della Banca industriale e commerciale, e nell'anno successivo, col concorso di quest'ultima e della Banca italo-germanica, attuò la trasformazione della ditta "Costanzo Cantoni" nella società anonima "Cotonificio Cantoni" (sempre nel 1872 fondò la Banca di Busto Arsizio, primo nucleo della Società bancaria italiana e poi della Banca italiana di sconto). Tra i sottoscrittori del capitale sociale (7.000.000 di lire, versati i 5/10) figuravano, oltre alle due banche, i maggiori rappresentanti dell'industria lombarda, tra cui Andrea Ponti (presidente della società fino al 1875), i fratelli Turati, Napoleone Borghi e Giuseppe Colombo.
Costanzo Cantoni ed il C. figuravano sottoscrittori rispettivamente per 1.000.000 e per 2.750.000 lire: una cifira leggermente superiore a quella di 3.506.523 lire che rappresentavano il valore stabilito dai periti per gli stabilimenti e le merci apportati dalla ditta "Costanzo Cantoni" alla nuova società. L'acquisto degli stabilimenti e delle merci fu effettuato il 31 luglio 1872 (il rogito notarile che costituiva la nuova società portava la data dell'11 febbraio precedente) e l'esercizio ebbe inizio retroattivo col 1º genn. 1872. La carica di direttore degli stabilimenti fu attribuita per cinque anni, con facoltà di rinnovo per altri cinque anni, al C., che si impegnava a dedicare tutta la sua attività al nuovo cotonificio e versava in cauzione le azioni da lui acquistate.
Nel corso della prima assemblea degli azionisti, il 23 genn. 1873, il consiglio d'amministrazione informava tuttavia che, avendo saputo che con l'appoggio della Banca industriale e commerciale s'era costituito un gruppo per la fondazione di una Società cotoniera lombarda, s'era offerto di entrare in combinazione con l'impresa e di acquistare gli stabilimenti di cui quest'ultima disponeva: le manifatture già appartenenti alla ditta "Ferrario, De Micheli e Manzoli" di Varese. Per far fronte a tale acquisto l'assemblea dava facolta al consiglio di aumentare il capitale nominale a 15.000.000, e il consiglio nel febbraio 1873 deliberò l'emissione di nuove 12.800 azioni da 250 lire (versate per i 5/10) con un premio di L. 30 per azione: il capitale nominale veniva così portato a 10.200.000 lire. Tale operazione, che il consiglio aveva dichiarato di voler effettuare non per mire monopolistiche, ma solo per tutelare la nascita della nuova società, si rivelò non molto chiara per vari aspetti: se non altro per i successivi interventi della Banca industriale e commerciale, a cui era interessato lo stesso C., in due iniziative in reciproca concorrenza; e fu ulteriormente complicata dalla mancata osservanza delle disposizioni di legge sugli aumenti di capitale delle società per azioni. L'aumento fu infatti deliberato senza tener conto che il capitale iniziale era stato versato solo per metà: l'assemblea del 5 marzo 1874 fu quindi costretta a deliberare la sostituzione delle 40.800 azioni da 250 lire risultanti dalle precedenti emissiono, con 20.400 azioni da 250 lire interamente liberate. Inoltre deliberò l'emissione di 7.000 nuove azioni da 250 lire in opzione ai portatori delle azioni di prima emissione, in ragione di una azione nuova ogni due vecchie, con un premio di L. 15 per azione; 600 azioni inoptate furono collocate dal consiglio con un premio di L. 20 ciascuna. Il capitale nominale fu così nuovamente portato a 7.000.000 di lire, versato nel 1874 per L. 6.090.888.
Tale riduzione di capitale, sostenne alcuni anni più tardi il C. nella Memoria da leggersi all'assemblea ordinaria degli azionisti del giorno 28 febbr. 1879 (Milano 1879), presentata per rispondere alle critiche che gli venivano rivolte per la sua passata gestione, aveva impedito a lui, quale direttore, di effettuare tutte quelle innovazioni e quei rinnovamenti dell'attrezzatura che erano indispensabili per rendere efficienti e competitivi gli stabilimenti della società.
Il Cotonificio Cantoni era venuto infatti a disporre di un complesso che, al 23 genn. 1873, era così costituito: un gruppo già appartenente alla ditta Costanzo Cantoni, che comprendeva le manifatture di Legnano (mille fusi per filatura, 114 telai meccanici e un opificio per la tintura), di Castellanza (8.000 fusi, 124 telai meccanici e un opificio per il candeggio), di Bellano (6.844 fusi) e infine la stamperia meccanica della Maddalena a Milano; un altro gruppo acquistato dalla ditta "Ferrario, De Micheli e Manzoli", comprendente uno stabilimento di filatura e torcitura a Besozzo (Varese), e uno di torcitura, cardatura e tintura a Milano presso porta Romana. Tutti gli impianti richiedevano un'opera di rinnovamento. Anche gli stabilimenti già appartenenti alla ditta Costanzo Cantoni, che pure rappresentavano, con un giro d'affari valutato a circa 6.000.000 annui, il nucleo più solido della società, avevano bisogno di sostanziosi investimenti per sostituire le caldaie a vapore e tutte le macchine per la filatura. Era stata proprio la necessità di reperire capitali per tale rinnovamento, affermava il C., che lo aveva spinto a promuovere la fondazione della società per azioni. L'altro gruppo di stabilimenti di nuova accessione, d'altro canto, si presentava in condizioni assai peggiori: dotati di "vecchie macchine di legno" avrebbero richiesto spese considerevoli. Il C., che all'assemblea degli azionisti del 5 marzo 1874 aveva dichiarato di non aver potuto, quale direttore, dare una precisa valutazione degli impianti prima dell'acquisto, li giudicava in condizioni "deplorevoli" e riteneva che l'unica soluzione fosse quella di attrezzarli per la produzione di filati cucirini. I primi anni di vita del Cotonificio Cantoni furono quindi caratterizzati da una vivace polemica sull'opportunità di contenere le spese per i nuovi impianti o anche solo per il rinnovo di quelli vecchi: bersaglio delle critiche fu appunto il C., a cui fu mosso l'addebito non solo di largheggiare eccessivamente nelle spese per gli impianti, ma anche di comportarsi con troppa disinvoltura. La fondazione, nel 1874, dell'officina meccanica "Cantoni, Krumm e C." - con il concorso del Cotonificio Cantoni - diede esca alle polemiche e nell'assemblea degli azionisti del 5 marzo di quell'anno fu rilevato addirittura un "conflitto d'interessi", in quanto sembrava poco corretto che il direttore facesse acquistare alla società le macchine necessarie presso una ditta a cui egli era direttamente interessato. A chi avanzava simili obiezioni (l'industriale milanese Eugenio Bauer) il C. rispondeva che egli voleva lavorare con macchinario efficiente e che rifiutava di acquistare macchinario da ditte che non avevano "mai voluto seguire il progresso".
Il quinquennio 1872-1876, nel corso del quale egli aveva ricoperto la responsabilità di direzione della ditta, affermò il C. nella Memoria già citata all'assemblea degli azionisti del 1879, aveva portato ad un consistente aumento della produzione in tutti i settori. Le tessiture meccaniche già appartenenti alla ditta Costanzo Cantoni (stabilimenti di Legnano e di Castellanza) erano passate dalla produzione di 17.156pezze nel 1871 a 30.242 pezze nel 1876;lo stabilimento di filatura di Besozzo, malgrado le cattive condizioni iniziali, era passato dai 54.174 pacchi nel 1873ai 124.590 nel 1876;quello di torcitura di Besozzo aveva registrato negli stessi anni un incremento del 300%della sua produzione (da 37.776 a 107.804 pacchi). La situazione finanziaria fino al 1876 si era d'altro canto mantenuta positiva: i dividendi e gli interessi distribuiti agli azionisti (L. 16,40per azione nel 1872; 16,50 nel 1873; 24 nel 1874;23 nel 1875 e 17,50 nel 1876) rappresentavano il 13,12%(1872), il 13,20% (1873), il 9,60 (1874), il 9,20 (1875) e il 7% (1876)sul capitale nominale. La flessione degli ultimi anni doveva tuttavia rivelarsi segno di una tendenza per il momento inarrestabile: sotto la pressione delle vivacissime polemiche interne all'assemblea degli azionisti il C. rinunciava alla carica di direttore e dal 1877fu sostituito da Luigi Terruggia. Egli continuò tuttavia a far parte del consiglio d'amministrazione e ad avere influenza determinante nella conduzione anche tecnica.
In realtà il Cotonificio Cantoni risentiva della crisi che nel 1873-74, a seguito del crollo della Banca italo-germanica e di una ventina di altri istituti di credito, investiva tutta l'economia italiana, senza gravi conseguenze ma comportando una situazione generalizzata di stasi. I sintomi del peggioramento della situazione erano avvertibili già nel 1874-75: alla crisi finanziaria nazionale - denunciavano le relazioni del consiglio d'amministrazione alle assemblee degli azionisti dell'11 aprile del 1875 e del 26 marzo del 1876 - si erano accompagnati la netta contrazione della domanda interna per effetto dei cattivi raccolti, le maggiori spese per il combustibile necessario a far funzionare gli stabilimenti a seguito della scarsità d'acqua e, infine, il ribasso dei cotoni sul mercato internazionale che aveva svalutato le scorte. Il cattivo andamento dell'azienda, che si traduceva nel 1877 e 1878 in perdite che costringevano a sospendere i pagamenti dei dividendi fino a tutto il 1879, spinse l'amministrazione ad eliminare gli stabilimenti passivi.
Dapprima vennero ceduti quelli di Milano a porta Romana al C., che se ne fece rilevatario per conto della ditta "Scheller e C.", da lui stesso fondata; successivamente la stamperia della Maddalena, dove erano in corso da due anni esperimenti per la produzione di tessuti colorati secondo nuovi metodi, allo scopo di fronteggiare l'accresciuta concorrenza inglese. La stamperia della Maddalena passò alla società in accomandita semplice "Ernesto De Angeli e C.", alla cui costituzione (26 ott. 1878)concorsero sia il Cotonificio Cantoni sia il C. stesso. Dalla vendita dello stabilimento pervennero nelle mani della società 5.000 azioni, di cui fu votato l'annullamento nell'assemblea del 27 marzo 1881: l'operazione permise di riassorbire parte delle perdite precedenti e di sanare in via definitiva il bilancio della società: il capitale sociale restò pertanto fissato a lire 5.750.000 interamente versate.
La spinta decisiva per il superamento della crisi degli anni 1877-78 era tuttavia venuta dall'entrata in vigore, nel luglio 1878, della nuova tariffa doganale che assicurava soprattutto all'industria della filatura del cotone una difesa contro la concorrenza straniera. Di questo mutamento della politica doganale il C. era stato un attivo sostenitore. Amico e collaboratore di Alessandro Rossi (fu tra i fondatori del Lanificio Rossi e del Coton. Veneziano), fu abbastanza vicino, pur su un piano assai più ristretto e settoriale, agli orientamenti economici del ben più noto industriale veneto. Le Risposte di un gruppo d'industriali cotonieri lombardi presieduto dal barone E. C. (il titolo nobiliare gli era stato concesso da Vittorio Emanuele II nel 1871) e la Deposizione orale nel settembre 1872 dello stesso C. davanti al Comitato d'inchiesta industriale (in Atti del Comitato d'inchiesta industriale, Roma 1874, ctg. VIII, par. 2, 3, 4) chiariscono le sue linee di orientamento nel settore.
L'industria cotoniera italiana era, a suo avviso, ancora fortemente arretrata. I 9/10 della produzione provenivano da telai a mano, mentre gli investimenti di capitali erano del tutto inadeguati per sorreggere il rinnovamento e ampliamento degli impianti necessari per affrontare la concorrenza internazionale. I costi di produzione, inoltre, risentivano dell'alto costo dei trasporti ferroviari in Italia, mentre la distribuzione - effettuata prevalentemente attraverso il commercio al dettaglio - non consentiva di adeguare tempestivamente i prezzi della merce alle variazioni del mercato internazionale. La manodopera, infine, ancora strettamente legata all'attività rurale, non garantiva la continuità della produzione in quanto disertava l'attività industriale in coincidenza con i lavori agricoli; e anche se "era minore senza confronto la mercede del nostro operaio [nei confronti di quella di altri paesi], era di molto maggiore la quantità di persone che si devono impiegare, stante la relativa inferiorità di cognizioni ed attività". Da queste considerazioni il C. traeva la conclusione - ampiamente condivisa dagli altri industriali cotonieri - che fosse necessario introdurre una maggiore protezione doganale per i filati, e in particolare per i titoli fini; mentre lamentava l'enorme arretratezza dell'industria meccanica italiana (alla quale peraltro il Comitato d'inchiesta sembrava contrario a concedere analoghe misure protezionistiche) che rendeva impossibile attrezzare convenientemente gli stabilimenti per la tessitura. I successivi interventi pubblici non si discostarono da simili orientamenti. Giurato all'Esposizione universale di Vienna del 1873, affermò nella sua Relazione (in Relazioni dei giurati ital. all'Espos. univ. di Vienna del 1873, fasc. IX, gruppo V, Cotonificio, Milano 1873) che, nonostante gli insufficienti progressi dell'industria cotoniera nel primo decennio dell'Unità, cominciavano ora a profilarsi buone speranze "giacché vedo che l'attività di uomini e di capitali comincia anche da noi ad utilizzare quegli elementi naturali che possediamo, come le forze idrauliche delle correnti alpine, il costo della manodopera minore che negli altri paesi e la materia prima fornita in parte dall'Italia meridionale". Il nodo centrale di una politica doganale che favorisse lo sviluppo di questa industria nazionale restava per lui quello di un "migliore ordinamento delle imposizioni" che assicurasse adeguata protezione soprattutto ai filati dei titoli più fini. In questa direzione egli orientò molti aspetti della sua attività; fu membro del Comitato permanente per i lavori circa l'unificazione dei titoli dei filati nel 1873-1874 e nel 1875 fu vicepresidente al terzo congresso internazionale sull'argomento, che si tenne a Torino: l'unificazione internazionale dei titoli dei filati costituiva infatti una premessa tecnica necessaria per un'efficace protezione dei filati fini. In Italia sostenne pubblicamente la necessità di adeguate misure protezionistiche in diverse sedi: con una lettera aperta del 7 luglio 1876 al giornale milanese Il Sole (che aveva contribuito a fondare nel 1865), con un Promemoria presentato al Ministero dell'Agricoltura,Industria e Commercio il 2 dic. 1876 (s.n.t.), nel quale tra l'altro si impegnava a promuovere egli stesso l'industria dei filati cucirini (come di fatto avvenne con la fondazione della "Cucirini Cantoni Coats"); e infine alla Camera di commercio ed arti di Milano, di cui fu consigliere nel 1877-1882, nella seduta del 18 marzo 1878, allorché richiamò le conclusioni dell'Associazione cotoniera italiana che, nella sua seduta del 3 marzo precedente, aveva lamentato l'insufficiente protezione che i negoziatori italiani avevano saputo strappare nelle trattative con la Francia, ben più accorta nell'elevare i dazi protettivi.
L'intensificarsi delle lotte operaie nel decennio successivo al 1870 e l'emergere di una "questione sociale" che si impose alla classe dirigente portò il C. ad esprimersi anche sui problemi del lavoro e sulle esigenze del proletariato.
Fino al 1879 le manifestazioni di un suo interesse per le condizioni dei lavoratori si erano limitate alla costruzione di una casa per le operaie della filatura di Bellano, dove le giovani ricevevano, oltre all'alloggio e al vitto, i rudimenti di un'istruzione elementare: un'iniziativa un po' ambigua, al confine tra il paternalismo e la funzionalità. Nel 1879, in occasione della discussione alla Camera di commercio ed arti di Milano sul progetto di legge per la tutela dei fanciulli nelle fabbriche, il suo conservatorismo retrivo si rivelò in pieno sotto le motivazioni di una sorta di ideologia produttivistica. Il C. (alla cui memoria verrà dedicato un asilo infantile a Legnano) non solo fu completamente concorde con l'unanime parere degli industriali lombardi, ostili al progetto di legge per limitare il lavoro dei minori nelle fabbriche, ma si fece portavoce dei cotonieri, che respinsero risolutamente una proposta conciliativa di Pirelli, tesa ad abolire o limitare il lavoro notturno, in cambio del mantenimento dello stato di fatto circa il lavoro minorile diurno. L'industria cotoniera, egli sostenne, non avrebbe potuto "resistere alla concorrenza estera, se le venisse impedito il lavoro notturno". L'abolizione di esso - aggiunse - non era pensabile nemmeno per i fanciulli minori di quindici anni "imperocché le macchine per la filatura sono siffattamente costituite che un giovane dopo i quindici anni non potrebbe più in generale esservi applicato in sostituzione dei piccoli fanciulli in causa del suo sviluppo fisico". Il C. in particolar modo -riportano gli Atti della Camera di commercio - ritorna "sulla inevitabilità del lavoro notturno per la industria del cotone e ne paragona le condizioni a quelle di più industrie del Belgio, e segnatamente la laniera, la quale non fa fronte alla concorrenza inglese se non mercé il lavoro notturno".
Anche il Cotonificio Cantoni, che dal 1881 aveva ripreso a registrare utili consistenti e che sviluppava la sua attrezzatura (24.166 fusi di filatura e 5.504 di ritorcitura, nel 1884; 200 telai meccanici nella sola Legnano), conobbe nel 1884 le prime agitazioni operaie. Il consiglio d'amministrazione, di cui il C. continuò a far parte fino alla morte, fu costretto a ratificare la concessione di aumenti salariali, limitati tuttavia agli operai "ritenuti meritevoli"; fu provveduto anche alla costruzione di otto case per alloggi operai presso Legnano.
La fase di intensificata attività industriale che seguì al 1880 in Italia permise al Cotonificio Cantoni di consolidare in modo definitivo le sue basi e pose anche termine alle polemiche sorte in seno alla società. Il C. rivolse la sua attenzione, negli ultimi anni della vita, al settore ferroviario, e - probabilmente anche in funzione di uno sviluppo dei traffici diretto a favorire il rifornimento e il commercio degli stabilimenti Cantoni - si interessò allo sviluppo delle ferrovie lombarde e fece parte del comitato promotore per la costruzione della Milano-Lecco, Novara-Seregno, Milano-Gallarate, Piacenza-Castel San Giovanni. Un riflesso di questa sua attività può essere indicato nell'orientamento del Piccolo Corriere, giornale locale di Gallarate e Busto Arsizio, di cui promosse la fondazione agli inizi del 1888, e che si gettò immediatamente in unacampagna in favore dello sviluppo delle linee ferroviarie locali. Nello stesso tempo egli continuò a partecipare alla campagna per la revisione della tariffa del 1878, giudicata dagli industriali italiani incompleta e difettosa, fino all'approvazione della nuova tariffa dell'aprile 1887. I prodromi della rottura doganale con la Francia, nel febbraio-marzo 1888, lo richiamarono a Roma con unadelegazione di industriali dell'Alta Italia per esercitare sul governo le pressioni necessarie per l'applicazione integrale delle nuove tariffe. E a Roma la morte lo colse dopo brevissima malattia il 15 marzo 1888.
Accanto alle attività di maggior rilievo, vanno anche ricordate diverse iniziative industriali e bancarie alle quali partecipò: la fondazione della Filatura Fritsch di Castello sopra Lecco, della ditta Schoch di Castiglione Olona e della "Candeggio e Tintoria della Garrottola" a Olgiate; nel 1885 promosse la fondazione di banche locali a Gallarate e Legnano.
Fonti e Bibl.:Per i verbali delle assemblee degli azionisti e per le relazioni del consiglio d'amministrazione (molto sommariamente pubbl. sul Sole) siveda Milano, Arch. della Camera di commercio, industria e agricoltura, Parte storica, sez. IV, Industria, scatt. 55, 59, 67, 226. Oltre quanto indicato nel corso della voce, si vedano anche gli Atti della Camera di commercio ed arti di Milano, anni 1877-1882. Inoltre si vedano dello stesso C. il Memoriale relativo alla vertenza Torcitura di Porta Romana sussistente tra esso e il Cotonificio Cantoni, Milano 1877; e il Promemoria sulla import. del filo in rocchetti di legno, ibid. 1877. Infine, oltre a Il Sole (Milano), 9 febbr. 1877, ed a S. Zaninelli, L'industria del cotone in Lombardia dalla fine del Settecento alla unificaz. del paese, Torino 1967, ad Ind.; vedi A. Alfani, Battaglie e vittorie, Firenze 1890, pp. 62-65; G. Robecchi, Scritti e discorsi econ. e polit., Milano 1901, pp. 70-151; G. Macchi, E. C., in Rass. gallar. di storia e d'arte, V (1934), pp. 7-13; R. Tremelloni, L'ind. tessile ital.: come è sorta e come è oggi, Torino 1937, p. 79; C. Bozzi, Ponti,Borghi e Cantoni pionieri dell'industria naz., in Rass. gallar. di storia e d'arte, X (1951), pp. 18 ss.;A. Sapori, Attività manifatturiera in Lombardia dal 1600 al 1914, Milano 1959, p. 176; R. Morandi, Storia della grande industria in Italia, Bari 1962, p. 139; M. Turla, Origine e sviluppo dell'industria cotoniera gallaratese, in Rass. gallar. di storia e d'arte, XXIV (1965), pp. 33-47; L. Cafagna, La formaz. di una "base industriale" fra il 1896 ed il 1914, in La formazione dell'Italia industriale, a cura di A. Caracciolo, Bari 1969, p. 148; Il Cotonificio Cantoni nella storia dell'ind. cotoniera italiana,1872-1972, s.l. né d. (ma 1972).