COLORNI, Eugenio
Nacque a Milano il 22 apr. 1909, secondogenito di Alberto, industriale, di famiglia ebraica mantovana, e di Clara Pontecorvo di origine pisana. Per indole incline all'introspezione, in uno scritto autobiografico La malattia filosofica, avviato durante il confino nell'isola di Ventotene (datato aprile-maggio 1939), ricordò i suoi primi studi, l'influenza che ebbero su di lui i cugini Enrico, Enzo ed Emilio Sereni, maggiori di alcuni anni, con i quali ebbe consuetudine anche se non senza tensioni. Di Enzo in particolare aveva subito il fascino quando aveva quattordici anni. Sionista fervente, Enzo si sarebbe recato in Palestina; il C., seguendone per un certo periodo l'orientamento, si dette anche a studiare l'ebraico. Cercava però una strada sua, e negli anni di liceo, al "Manzoni" di Milano, credette di trovare un "filo conduttore", "un criterio" e "una chiave", nel Breviario di estetica di Benedetto Croce, che l'accese di entusiasmo.
Iscritto nel 1926 alla facoltà di lettere e filosofia di Milano, fece a tempo a partecipare all'attività antifascista di quei Gruppi goliardici per la libertà che, fondati da Lelio Basso, Rodolfo Morandi e altri, benché ufficialmente già sciolti nel 1925, sopravvissero di fatto fino al 1928. Fra gl'insegnanti prediligeva G. A. Borgese e Piero Martinetti, col quale si laureò in filosofia nel 1930 discutendo una tesi sullo Sviluppo e significato dell'individualismo leibniziano: e Leibniz rimarrà poi sempre il suo "autore". Nel 1928 egli aveva pubblicato, con lo pseudonimo di G. Rosenberg, il suo primo articolo su L'estetica di Roberto Ardigò e del positivismo italiano nella seconda metà dell'Ottocento. L'articolo uscì su Pietre (nel numero del 10 febbraio), la rivista nata a Genova nel 1926 per raccogliere una certa eredità gobettiana, e trasferita nel 1927 da Lelio Basso a Milano, dove fu un punto di convergenza di giovani avversi al regime. Nel 1930, per una manifestazione politica durante una lezione di Borgese, fu fermato con alcuni compagni, e ben presto, secondo la testimonianza di Lucio Luzzatto, avrebbe partecipato all'attività del gruppo milanese di Giustizia e libertà.
Nel 1931 era a Berlino dove conobbe Ursula Hirschmann, che sposerà alla fine del 1935 e da cui avrà tre figlie: Silvia, Renata, Eva. Nell'autunno del 1931, appunto a Berlino, incontrò Benedetto Croce con cui discorse di un ampio saggio che stava componendo sull'estetica. Di quell'incontro è traccia in alcune pagine crociane del 1951, in nota alle quali il filosofo pubblicò anche uno scambio di lettere col C. del febbraio-marzo 1932. Nel '51 Croce ricorderà il C. ancora "molto legato al cosiddetto idealismo attuale e ai suoi rappresentanti", cosa che, a dir vero, non appare da quanto si legge in recensioni e articoli pubblicati fra il 1931 e il 1932 in riviste quali Il Convegno, La Cultura, Civiltà moderna e la martinettiana Rivista di filosofia.
Nel 1932, a Milano, in trecento esemplari, dalla Società editrice La Cultura, usciva L'estetica di Benedetto Croce. Studio critico.
Quando era già in bozze, alla fine di febbraio, il C. aveva mandato il manoscritto a Croce. "Il lavoro - gli scriveva - è nato più che altro per un bisogno di chiarificazione, e per la necessità che ho sentito sempre più forte di acquistare netta coscienza di quanto dobbiamo al Suo insegnamento, e di quanto in esso costituisca solo una premessa necessaria per proseguire". E soggiungeva: "sarebbe per me un grande dolore non essere considerato con spirito di benevolenza da colui che ritengo il più grande maestro di questi miei anni, e della nostra generazione" (Quaderni della Critica, VII [1951], p. 186). Il saggio del C. era importante perché metteva bene in evidenza il contrasto immanente all'opera del Croce fra la ricchezza delle analisi empiriche ("il suo spirito di sperimentatore indefesso") e una impalcatura imposta a priori. Naturalmente il Croce non solo respinse la critica, ma considerò positivamente la successiva svolta del C., che pure lo avrebbe portato del tutto al di fuori dei suoi metodi e dei suoi interessi.
Lettore d'italiano all'università di Marburgo negli anni 1932-1933, con l'avvento del nazismo il C. tornò in Italia. Nel 1933 egli compì una tesi di perfezionamento su La filosofia giovanile di Leibniz. Vinse poi un concorso per cattedre di storia e filosofia nei licei, e dopo una prima assegnazione a Voghera passò nel 1934 a insegnare filosofia e pedagogia all'istituto magistrale "Giosuè Carducci" di Trieste, dove rimase fino all'arresto del 1938. Sono anni in cui all'insegnamento che lo appassiona, e alla ricerca, si affianca una costante attività politica, distinta certo dalle altre, cui è parallela, ma anche profondamente connessa. Non a caso, in un articolo uscito nel 1932 nella Rivista di filosofia sulle Relazioni fra conoscenza e volontà, il C. insiste sul nesso fra pensiero e azione. Se l'uomo, scrive, "si limitasse ad una pura conoscenza, senza completarla con l'azione, ciò significherebbe che egli non ha compreso appieno, in tutti i suoi rapporti, l'oggetto delle sue ricerche; o che, per lo meno, una grande e fatale astrazione egli ha lasciato sussistere nel suo spirito: quella fra conoscenza e volontà" (Scritti, p. 54).
Sul terreno della ricerca il C. raccoglie materiali per la monografia su Leibniz, che disegna di pubblicare in francese presso il ben noto editore di opere di filosofia scientifica, Hermann. Intanto nel 1935 esce nella collana scolastica Sansoni, diretta dal Gentile, la sua versione della Monadologia, illustrata attraverso un'antologia sistematica che è un modello nel suo genere, e che dimostra una familiarità eccezionale con le opere del grande pensatore. Leibniz era divenuto la sua guida. Sempre nel 1935 il C. scriveva che chi si accosti a Leibniz "ne riceve un senso immediato di attualità e di fecondità". Enigmatico, ma aperto in tutte le direzioni, Leibniz lo costringe ad affrontare studi di logica e di matematica, a rimettere in discussione il modo stesso di concepire la scienza, e i rapporti fra scienza e filosofia.
Nel testo autobiografico già citato, il C. racconta come a Trieste, in seguito alle osservazioni del poeta Umberto Saba, si decidesse ad abbandonare la filosofia. In realtà non era la filosofia che rifiutava, ma un orientamento, legato a quell'idealismo di cui erano, o si dicevano, seguaci, anche se in modi diversi, Croce come Gentile e Martinetti: "da quel giorno - confessa - non ho più orrore né disprezzo per le scienze naturali, e non sento più il bisogno di scrivere difficile. La parola "empirico" non è più per me un insulto. E da quel giorno non mi entra più in testa che cosa significhi l'Universale" (Scritti, p. 29).
Il processo di revisione critica del C., che era del resto diffuso in quegli anni nella cultura italiana, proseguì e si fece più articolato nel periodo del confino. Ripartì da Kant e dalla problematica kantiana, e meditò sulle conseguenze che la fisica teorica e la psicanalisi potevano avere per la dissoluzione di impostazioni filosofiche tradizionali. Discusse con Ludovico Geymonat a Melfi nel 1942 un progetto di rivista (ne è rimasta traccia nel postumo Programma di una rivista di metodologia scientifica). Ai Dialoghi di Commodo consegnò la conclusione della sua "distruzione della filosofia", che era in realtà uno sforzo di riprendere da Kant, ma tenendo conto di una nuova rivoluzione scientifica, la via critica della ragione.
Come si è detto, in parallelo con la riflessione teorica il C., svolgeva un'intensa attività politica. Staccatosi nel 1935 da Giustizia e libertà, collaborò col Centro socialista interno nato a Milano nell'estate del 1934, in una piccola riunione in via Telesio, ad opera fra gli altri di Morandi, Basso e Lucio Luzzatto. A Trieste il C. unì all'opera di organizzatore un costante impegno sui problemi generali. Nel suo lavoro nel Veneto si incontrava con Eugenio Curiel, e veniva in contatto con la fronda antifascista di giovani intellettuali e di appartenenti alla piccola e media borghesia. Maturò così quella rivalutazione positiva della loro funzione che espresse nell'articolo I problemi della guerra, comparso a firma Agostini (fra gli altri suoi pseudonimi Anselmi, Ruggeri, D4, D5) su Politica socialista del 1° ag. 1935, che provocò una nota fortemente critica (ma non pubblicata) di R. Morandi, che si rifiutava di sopravalutare la resistenza delle classi medie di fronte alla campagna etiopica (R. Morandi, La democrazia del socialismo, Torino 1961, pp. 129 s.). Nella primavera del 1937, in connessione con le notizie della guerra di Spagna e con le difficoltà interne crescenti, si ebbero varie agitazioni spontanee. Il C. scrisse allora un articolo, firmato Anselmi, per l'edizione parigina del Nuovo Avanti! del 12 giugno, La spontaneità è una forma di organizzazione, in cui sottolineò nelle masse una spinta rivoluzionaria spontanea che oltrepassava le posizioni dei partiti organizzati. I partiti, quindi, dovevano dare "direttive sempre più precise, parole sempre più concrete". Continuava: "non si tratta di eliminare la spontaneità, ma anzi di coltivarla, riempirla di contenuto" (L. Solari, p. 122). Intanto, nell'aprile, a Milano erano stati arrestati molti dei dirigenti del centro interno: fra essi, Luzzatto e Morandi. Non erano mancate le delazioni, e proprio a Trieste un "confidente" era riuscito a conquistare la fiducia del C., lasciato libero di proposito per ulteriori operazioni.
Così per la prima volta nel 1937 il C. prese contatto con la direzione del P.S.I. a Parigi, dove si era recato per il IX congresso internazionale di filosofia, il Congrès Descartes, che si svolse dal 31 luglio al 6 agosto. Si trattava di organizzare un nuovo centro, delle cui strutture discusse molto vivacemente con Giuseppe Faravelli (Joseph), ponendo sotto accusa tutta la precedente organizzazione e sostenendo la necessità di separare e mantenere rigorosamente distinte funzioni politiche e attività amministrative e di "penetrare in modo legale nel maggior numero di ambienti e strati della popolazione, per rendersi conto degli stati d'animo e dei bisogni" (S. Merli, Documenti del movimento socialista in Italia e la lotta contro il fascismo dal 1936 alla seconda guerra mondiale, in Annali... Feltrinelli, V [1962], p. 755).
Nei confronti dei comunisti ritiene possibile "collaborare ..., pur salvaguardando l'autonomia" ("direzione in Italia - quindi non soggetta a burocratismi moscoviti - e rifiuto di accettare la disciplina antitrotzkista"). Progetta - contro il parere di Faravelli - la pubblicazione in ciclostile, e con la collaborazione dei comunisti padovani, di "un foglietto di propaganda col titolo Bollettino del Fronte popolare" (il disegno viene bocciato dalla direzione comunista di Parigi). Si propone di continuare "la lotta all'interno delle organizzazioni fasciste": nel luglio del '37, a firma Agostini, aveva pubblicato sul Nuovo Avanti!, a puntate, un saggio su La funzione del maestro nella scuola fascista; le puntate furono poi raccolte e distribuite in opuscolo.
Il C. sapeva di essere sorvegliato, ma continuava la propria attività. Mentre si recava in questura per il rinnovo del passaporto per la Francia (motivava un viaggio a Parigi con la pubblicazione del suo studio su Leibniz presso Hermann), fu arrestato a Trieste l'8 sett. 1938. Si era in piena campagna razziale (le decisioni del Gran Consiglio del fascismo sono del 6 ottobre), e tutti i quotidiani, fino al Corriere della sera, colsero l'occasione per sfruttare La doppia vita del prof. C., come scrisse il Piccolo di Trieste. Trasferita l'istruttoria a Milano, il C. resta nel carcere di Varese fino al gennaio 1939. Mancando prove serie contro di lui, fu quindi assegnato per cinque anni al confino dell'isola di Ventotene dove giunse il 5 gennaio. Continuò i suoi studi di filosofia; stese vari scritti fra cui i Dialoghi di Commodo, che saranno pubblicati postumi e che riproducono le discussioni con gli amici Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria, Altiero Spinelli. Aderì alle idee federaliste, che presero corpo nel Manifesto di Ventotene da lui pubblicato nel gennaio del 1944 a Roma con due documenti stesi da A. Spinelli e con una sua prefazione che ritrae con efficacia il ripensamento politico degli anni 1941-42 "nella tristezza dell'inerzia forzata e nell'ansia della prossima liberazione".
Nell'ottobre del 1941, su sua richiesta e con un intervento di Gentile, fu trasferito sul continente e nel dicembre giunse a Melfi (dopo brevi soste a Montemurro e a Pietragalla). Il 6 maggio 1941, avendo ottenuto il permesso di andare a Potenza per una visita medica, riuscì a fuggire a Roma, dove, nella clandestinità, operò alla organizzazione del Partito socialista di unità proletaria nato dalla fusione del gruppo giovanile del Movimento di unità proletaria (M.U.P.) e del Partito socialista italiano. Dopo la caduta del fascismo partecipò a Milano all'incontro in casa di Mario Alberto Rollier, il 27 e 28 agosto, da cui nacque il Movimento federalista europeo. A Firenze incontrò Alessandro Levi (E. C., in Rivista di filosofia, XXXVIII [1947], p. 146). Dopo l'8 settembre operò indefessamente a Roma nell'organizzazione della Resistenza. Membro del comitato direttivo del nuovo Partito socialista, redattore capo dell'Avanti! clandestino, si impegnò nella ricostruzione della Federazione giovanile socialista e nella formazione della prima brigata Matteotti. I suoi ultimi articoli sull'Avanti!, del 16 marzo e del 20 maggio 1944 (Amministrazione o rivoluzione; Rivoluzione dall'alto?), analizzano lucidamente la situazione politica dell'Europa alla vigilia della vittoria alleata e si battono per un moto di autentica rivoluzione dei popoli d'Europa contro ogni possibile imposizione e strumentalizzazione da parte dei vincitori. Il 28 maggio 1944, in via Livorno, fermato da una pattuglia, fu ferito a colpi di mitra mentre tentava di fuggire. Morì il 30 maggio nell'ospedale di S. Giovanni sotto la falsa identità di Franco Tanzi.
Fonti e Bibl.: Una buona bibl. essenziale accompagna l'articolo di E. Gencarelli nel Dizionario biogr. del movimento operaio italiano. 1853-1943, a cura di F. Andreucci-T. Detti, II, Roma 1976, pp. 74-81, da integrarsi, soprattutto per gli scritti filosofici, con le indic. che si trovano in calce a E. Colorni, Scritti, introd. di N. Bobbio, Firenze 1975, pp. 364-370. La silloge presentata da Bobbio non comprende, fra l'altro, il saggio su L'estetica di B. Croce (Milano 1932), ma offre gli inediti filosofici più importanti, oltre a dare esatte indicazioni di tutta la produzione e delle edizioni. Lettere e docum. tratti dall'Arch. Tasca si trovano nel già citato lavoro del Merli, Documenti del movimento socialista..., negli Annali… Feltrinelli, V (1962), pp. 541-844. Altre lettere e docum. si possono leggere nelle Lettere di antifascisti dal carcere e dal confino, a cura di G. Pajetta, Roma 1962, II, pp. 411-420, e nella seconda parte del libro di L. Solari, E. C. Ieri e oggi. Venezia 1980, pp. 90-188. Sul pensatore e sull'uomo (nelle pagine di Levi e di Tagliacozzo con ricordi e testimonianze,) cfr. ancora: Al. Levi, E. C., in Riv. di filosofia, XXXVIII (1947), pp. 142-146; F. Rossi Landi, Sugli scritti di E. C., in Riv. critica di storia della filosofia, VII (1952), pp. 147-153; E. Tagliacozzo, L'uomo C., in Tempo presente, dicembre 1980, pp. 46-55.