CORBETTA, Eugenio
Nacque a Milano il 15 nov. 1835, terzo dei quattro figli di Francesco e di Maddalena Tenca.
Trasferitasì a Milano verso la metà del XVIII secolo senza spezzare i legami con l'originaria Cantù, la famiglia del C. vantava ormai da più generazioni una salda collocazione nel ceto medio e un progressivo consolidamento delle sue fortune, assicurate in partenza da modesti possedimenti terrieri. L'ascesa, avviata dal bisnonno e dall'avo Ignazio, entrambi "ragionati collegiati" investiti di rilevanti mansioni ed impieghi, poteva dirsi compiuta con il padre del C., che fu, alto funzionario governativo.
Completati gli studi legali a Pavia e avviato alla carriera dei pubblici uffici in età napoleonica, Francesco aveva finito col compierla prevalentemente nei ranghi meno promettenti della burocrazia "politico-amministrativa" austriaca, approdando comunque nel 1833 al ruolo di segretario di governo, un gradino appena sotto il vertice della gerarchia. Ma egli occupò anche altre posisioni di spicco: dal 1842 sedette a più riprese e quasi ininterrottamente nel consiglio del comune dei Corpi Santi di Milano. di cui fu anche deputato. Per diversi anni, dal 1844 prima e di nuovo dal 1857, fu poi consigliere cittadino. E soprattutto alla fine del 1851 fu cooptato nella commissione amministratrice del Fondo di beneficenza e delle Casse di risparmio delle provincie lombarde. Alla sua morte, avvenuta a Cantù il 9 dic. 1859 a settantuno anni, Francesco poteva lasciare agli eredi una sostanza valutata in oltre 500.000 lire per i soli beni stabili dislocati in città e Corpi Santi e nella comunità di Cantù; un patrimonio non ricchissimo, ma comunque di tutto rispetto e capace di assicurare ai figli una vita indipendente ed agiata. All'atto della divisione dell'asse ereditario, il C. si vedeva assegnare la possessione denominata Cassina Molinazza sita nel comune dei Corpi Santi di Milano per un valore di oltre 170 mila lire italiane.
Poche indicazioni si possono dare sulla sua giovinezza. Il padre non era probabilmente un liberale ma neppure un austriacante o un retrivo. Le relazioni familiari gravitavano negli ambienti del cattolicesimo liberale: Antonia, la sorella maggiore del C., nel 1847 sposò il filandiere Eugenio Tosi, parente del vescovo L. Tosi di Pavia, noto per le sue posizioni liberaleggianti. Troppo giovane per prender parte alle Cinque giornate come il fratello Carlo, che fu tra i combattenti, quasi sicuramente il C. ebbe negli anni successivi qualche contatto con l'opinione patriottica giovanile. Intanto, compiuti appena gli studi liccali, sposò Enrichetta Morardet, già dotata di suo dei larghi mezzi che le venivano dall'eredità del padre, antico commissionario serico. Nel 1863 ne ebbe l'unico figlio, Francesco, morto poi adolescente.
Solo qualche tempo dopo le nozze, sulle orme del padre e di Carlo, il C. s'indirizzava verso gli studi giuridici, laureandosi a Pavia il 10 maggio 1859. Dopo l'unificazione prese ad interessarsi fattivamente della vita politica. Si segnalò soprattutto durante la campagna elettorale del 1865 con i suoi interventi presso l'Associazione liberal-progressista delle Galline e, pare, con qualche collaborazione giornalistica alla Cronaca grigia di Cletto Arrighi. Nelle vivaci pagine dedicate allora da G. Bellini alle conventicole elettorali milanesi il C. era definito "il deputato dell'avvenire": posizione sociale, amicizie, cultura e facondia ve lo abilitavano. In effetti, il C. non si legò mai ai circoli più esclusivi della città dove dominava una concezione ristretta, "consortesca", della politica. In vista della imminente tornata elettorale del 1867, fu nominato nella commissione elettorale dell'Associazione di Brera, ispirata da L. Luzzatti, per tracciare il progranuna di una Destra coerentemente liberale e riformatrice contro le chiusure e le tentazioni di conservazione che andavano affiorando da più parti. Il manifesto elettorale racchiudeva le tematiche e i motivi che il C. avrebbe variamente richiamato nel corso della sua intera esistenza politica e di studio e riproposto nel discorso programmatico che tenne pendente il suo ballottaggio al IV collegio di Milano (Il Pungolo, 9 marzo 1867). Destinato all'insuccesso, dovuto anche al fatto che egli era soltanto un giovane avvocato di provincia, e che si ripeté ad Abbiategrasso, il C. tentò allora invano di assicurarsi, con la protezione di C. Correnti, un altro collegio.
La notorietà gli venne in seguito, anzitutto dalla pubblicazione di un lavoro di ampia portata, che riprendeva alcune considerazioni già avanzate nel discorso programmatico agli elettori, Dell'imposta sulla rendita mobile. Studj (Milano 1868). Si trattava di un saggio di economia pubblica, "serio ed inglese", scriveva ad A. De Gubernatis (Firenze, Bibl. nazionale, Carteggio De Gubernatis, cass. 31, ins. 16), alieno dalle polemiche, ma dai risvolti immediatamente politici.
Il C. spaziava fra teoria e pratica di governo, appoggiandosi a vasti studi di legislazione comparata e adottando il linguqggio delle cifre. Con questo saggio apprezzato per solidità di dottrina, benché non offrisse alcunché di originale per contenuti teorici, il C., che si collocava nella corrente di pensiero economico che voleva contemperare le acquisizioni della scienza con le esigenze della "morale", si affermava come un tecnico in materia di finanza e di legislazione, di elevata qualificazione.
Nel 1869 egli veniva nominato nella commissione per la revisione dei redditi di ricchezza mobile. Contemporaneamente andava partecipando a molte delle iniziative milanesi del Luzzatti, dalla fondazione della Società promotrice delle biblioteche popolari, di cui fu anche per molti anni vicepresidente, all'Associazione industriale italiana che lo accolse nel comitato direttivo centrale. In questa veste egli sottoscrisse anche alla Società anonima del salone ai Giardini pubblici in Milano, che si riprometteva di contribuire all'avanzamento dell'industria organizzando esposizioni e mostre.
Liberale intransigente ma moderato nel metodo, il C. condivideva infatti con gli esponenti della Destra lombarda più avanzata una sensibilità sociale attenta più a promuovere che a soccorrere. Il conflitto che opponeva il proletariato ai possidenti, a quanto scriveva nell'Imposta avendo sott'occhio la situazione. inglese, era ineliminabile, ma "i tempi, le savie istituzioni, le beneficenti cure" ne avrebbero stemperato il vigore. Era questa l'opera dell'educazione, del mutualismo, dei credito popolare, ma anche del libero svolgimento dell'economia e dell'iniziativa privata.
Intorno a questi assunti si sviluppò un intervento pubblicistico del C., I contadini e la industria. Lo scritto, apparso sul foglio dell'Associazione del Luzzatti, Cooperazione ed industria (15 genn. 1869: ora in Il Nord nella storia d'Italia, a cura di L. Cafagna, Bari 1965, pp. 55-72), prendeva spunto dal subitaneo crescendo delle emigrazioni contadine in alcune località lombarde.
La sconsolante miseria della zona collinare della regione era da decenni al centro di un appassionato dibattito a più voci, denso di suggestioni e di progetti innovatori. Con esso si collegava idealmente il C., che dava al fenomeno il valore di un sintomo ineludibile di malessere materiale e morale. E se l'emigrazione gli appariva più il risultato di un momentaneo "riscaldo di mente" che "sfogo di reale bisogno", di fatto essa traeva forza dall'indigenza, dallo squallore, dall'avvenire cupo. Per contro, laddove l'industria "suppletiva" all'attività agricola - affermava il C. con trasparente allusione all'agro canturino - assicurava più larghi mezzi al vivere quotidiano, l'abbandono del paese era'una realtà sconosciuta. Escluso il ricorso allo strumento illiberale della repressione, la discesa dell'industria dai borghi alle campagne. gli appariva perciò l'unico rimedio capace di parlare al "senso poco acuto" del contadino. Protagonista della trasformazione doveva essere l'azione individuale delle forze interessate, i proprietari terrieri, invitati ad accantonare l'ottica angusta che li faceva nemici dell'industria per farsi essi stessi industriali. Con ciò si sarebbe innescato un processo di sviluppo dagli effetti diffusi. E solo allora le istituzioni educative e creditizie avrebbero potuto dispiegare in pieno la propria opera benefica.
Con altri lavori, come l'ampia recensione in più puntate dedicata, sempre sulle colonne di Cooperazione ed industria, all'annuario statistico di P. Maestri o il rapporto dettato con altri esperti per incarico della Società agraria di Lombardia sull'organizzazione del credito agricolo (cfr. Relazione sul progetto di statuto e regolamento della Banca di credito agricolo di Lombardia, Milano 1870), vanno poi ricordate le Conferenze popolari di economia pubblica e sociale (Milano 1872).
Nel volumetto il C. raccoglieva le lezioni domenicali tenute presso la sua villa agli artigiani di Cantù per divulgare, con i principi sperimentali della scienza della ricchezza, una visione armoniosa della convivenza civile e dei rapporti fra capitale e lavoro.
Dal 1869 il C. sedeva nel consiglio comunale dei Corpi Santi di Milano, ove già suo fratello Carlo era assessore. Membro della commissione di vigilanza del prestito comunale e amministratore per qualche tempo della locale Congregazione di carità, si distinse nel corso della resistenza al provvedimento di aggregazione al comune di Milano, abbracciando, con una predilezione non occasionale per le piccole comunità di campagna, il cosiddetto partito dei rurali, portavoce dei proprietari terrieri della cintura suburbana, che si erano mossi anche in passato (e il C. con loro) per rendere autonome le frazioni rurali dei Corpi Santi.
Gli impegni sul piano locale avevano comunque ormai un ruolo secondario nell'attività del C.: nel novembre 1870 egli era stato infatti portato dagli elettori del collegio di Como II (Cantù) contro il rappresentante uscente, G. Semenza, un commerciante serico e negoziatore d'affari con Londra, comproprietario del Sole di Milano. La diversa scelta di campo, un liberale dopo un democratico, si giustificava per gli elettori con l'esigenza di ampie riforme interne per le quali il C. appariva più qualificato del suo competitore, autore di fantasiosi progetti di risanamento delle finanze e sostenitore a oltranza del verbo liberista.
Ministeriale per collocazione naturale, il C. non identificò il proprio ruolo con il sostegno governativo ad ogni costo, pur rifugendo dalle guerre e guerricciole di partito in cui si andava logorando con la Destra anche la credibilità delle istituzioni. Né, in un momento segnato dall'affermazione degli interessi locali, si confuse con la voce spicciola del collegio. Piuttosto volle rappresentare una versione rammodernata e progressiva della Destra storica con una salda coerenza sul terreno dei principi, tanto da essere indicato come uno dei leader della giovane Destra. Fu soprattutto nel corso delle discussioni sulla rovente materia dei rapporti Stato-Chiesa che il C. si distaccò dagli orientamenti prevalenti nella sua parte. Egli si oppose infatti, accostandosi ai centri e al terzo partito, al secondo titolo della legge delle guarentigie che, sotto l'accattivante formula della libertà della Chiesa, gli appariva aprire la strada alle offensive di una potenza autoritaria e nemica. Lo Stato non andava perciò disarmato degli strumenti storici della sua difesa. Dietro la concezione giurisdizionalistica del C. stava così la preoccupazione tutta politica di non accrescere lo spazio di quello che veniva configurandosi come un vero e proprio partito ostile e combattivo e che sarebbe stato reso pericolosamente forte, soprattutto nelle campagne, dalla subordinazione del clero minore, anche di quello fedele alla causa nazionale, alle direttive vescovili. Per il C. non era dunque in gioco la questione teorica della separazione fra Stato e Chiesa, ma un'operazione di polizia interna. Chiusa l'era delle rivoluzioni politiche, la nazione non poteva comunque arrestarsi nel campo delle conquiste civili, pena la stasi e la decadenza. Questa era la missione universale intimamente legata alla tradizione del liberalismo che il C. rivendicava alla Roma laica. E in questo senso, mentre respingeva la concezione implicita a tanta parte del moderatismo che lo Stato per reggersi dovesse poggiare sul patrimonio ideale, ad esso in realtà estraneo, del cattolicesimo, il C. ammoniva la Destra a non inseguire illusori sogni di conciliazione con il Pap ato, che avrebbero portato, con l'abdicazione ai principi liberali, alla scissione del partito.Alla manifesta discordia nello schieramento della maggioranza si arrivò due anni più tardi intorno al disegno di legge sulla soppressione delle corporazioni religiose a Roma, che lasciava sussistere una parte di manomorta per le case generalizie, in contrasto con il diritto codificato dello Stato. Il C. non esitò a denunciarla come una legge di regresso, un cedimento nei confronti della reazione cattolica, inaccettabile per la coscienza laica e liberale del paese. Rotta momentaneamente la consonanza con la maggioranza, con altri dissidenti si dimise dalla Giunta, generale del bilancio, ma le dimissioni vennero respinte.
Molto attivo nel lavoro di commissione, fu in particolare membro in permanenza della Commissione generale del bilancio (con la sola eccezione del 1872), riferì più volte sul bilancio del ministero delle Finanze e su eluestioni di bilancio in genere. Nel 1879 presentò una ponderata relazione sullo stato di prima previsione dell'entrata. La complessa materia finanziaria e i nodi del sistema fiscale, d'altronde centrali nel dibattito del momento, rappresentarono il terreno d'indagine e di intervento prediletto dal C., che non sempre però sfuggì al rischio di confinarsi entro spazi angusti lasciando prevalere il tecnico sul politico. Pur invocando l'urgenza del pareggio, il C. sostenne soprattutto la necessità di adeguare le imposte alla capacità contributiva del paese per non comprimerne anche le potenzialità economiche. Più che invocare nuove imposte, talora anzi respingendole con fermezza, come avvenne nel 1871 per l'aumento delle imposte dirette proposto dal Sella, egli insisterà ripetutamente sull'esigenza di migliorare la produttività di quelle già esistenti, adottando tutti gli accorgimenti suggeriti dalla conoscenza diretta del funzionamento del. sistema fiscale. Suo, ad esempio, fu l'o.d.g. del 5 giugno 1871, da cui scaturì l'inchiesta parlamentare sull'andamento del macinato. Le sue attenzioni maggiori furono comunque per la ricchezza mobile che, mentre falcidiava pesantemente i redditi più bassi, lasciava troppo ampi margini all'evasione dei più abbienti e si prestava perciò a interventi correttivi e ritocchi di varia natura in attesa di una riforma organica invocata da più parti. In questa direzione non segnò peraltro un avanzamento la relazione elaborata nel 1875 dal C. sui lavori, che egli per primo giudicava insoddisfacenti, della commissione amministrativa d'inchiesta sull'imposti.
Incline alle soluzioni empiriche, egli non si identificò integralmente in nessuno dei piani finanziari di volta in volta presentati dal governo, mirando piuttosto a discuterne le singole proposte con notevole indipendenza. Dopo l'iniziale divergenza dal Sella, il C. andò comunque progressivamente accostandoglisi per avviare più tardi una stretta collaborazione. Al Sella del resto lo accomunava, prima che un'identità di vedute in materia finanziaria o creditizia, una visione della società e della politica dai contenuti fortemente laici e moderni. Già nel 1872 il C. affermava di condividere la "filosofia" dei provvedimenti finanziari se non la parte fiscale, e dalla "condiscendenza" del ministro verso la maggioranza traeva l'auspicio che egli potesse divenire il polo aggregatore di un forte partito, capace di "grandi lotte". Rimasto fra la Destra di osservanza selliana nel confronto del 25 giugno 1871, si oppose con decisione al progetto di M. Minghetti sulla circolazione cartacea e il consorzio bancario. Pur consentendo poi agli altri provvedimenti dell'omnibus, rifiutò per motivi giuridici la nullità degli atti non registrati, che decadde con lo scarto di un solo voto dopo la defezione della Sinistra moderata meridionale, portando allo scioglimento della Camera.
Da tempo il C. andava sostenendo la necessità, per arrivare al pareggio, di agire con determinazione anche sulle uscite e dal 1874, giudicando che dalle elezioni fosse uscita una conferma delle posizioni che, quasi da isolato, aveva sostenuto alla vigilia, si arroccò in difesa di rigorose economie. Verso questo indirizzo si delineò la spontanea confluenza di altri deputati, ed egli, insieme con E. Di Sambuy, fu l'uomo di punta del gruppo. Al Minghetti che tentava di smussarne la rigidità agitando lo spettro della Sinistra, nel marzo 1875 essi opposero senza ripensamenti l'intenzione di contrastare tutte le spese non indispensabili.
All'indomani della caduta della Destra, il C. prese parte alla rifondazione del partito. Come altri fedelissimi del Sella, aveva invano deplorato che questi assumesse la direzione del partito col rischio di bruciarsi nelle beghe interne e non potersi più candidare alla presidenza del Consiglio in alternativa alla Sinistra. Egli stesso sperimentò i contraccolpi della frattura ideologica che minava la compattezza della Destra nelle elezioni del 1876. Messo allora in campo dai progressisti un competitore giovane ma agguerrito come P. Carcano, il C. dovette parare anche l'offensiva del gruppo ultramoderato comasco, che era affiliato all'Associazione centrale, ma che non gli perdonava i principi manifestati nei dibattiti sulla legislazione ecclesiastica. Né il programma avanzato durante la campagna elettorale, che lo vide comunque facilmente vincente, era tale da conciliargli le simpatie dei conservatori. Egli prospettava infatti un vasto piano di riforme, che investiva egualmente questioni politiche, finanziarie, sociali, rivendicando la matrice pragmatica di una posizione autenticamente liberale. Quanto al mutamento di prospettive politiche aperto dall'ascesa della Sinistra, nel quadro di un atteggiamento vigilante, egli si riprometteva di appoggiare il governo se si fosse messo sulla via delle riforme e, in ogni caso, di condurre un'opposizione non sistematica (cfr. Discorso... agli elettori tenuto uno a Cantù e l'altro a Caccivio, che uscirono entrambi in opuscolo, Como 1876).
Il C. aveva sperato di potersi giovare nella lotta elettorale anche di un lavoro ambizioso e di non poca mole che aveva già completato, ma l'uscita ne fu ritardata fino all'anno successivo (cfr. Politica e libertà. Libri due, Milano 1877; una riedizione apparve postuma nel 1882).
Scarsamente originale nelle disquisizioni teoriche, il saggio, che spaziava dalle dottrine politiche alle istituzioni, dal terreno delle idee alle concrete applicazioni, dai partiti alle assemblee, appariva però non privo di una sua rilevanza nel dibattito politico in corso e capace di orientare l'opinione media. Non a caso, mentre riaffermava la centralità della politica come scienza del bene sociale, il C. puntava a confutare le asserzioni correnti e i luoghi comuni contro il sistema politico e a combattere l'assenteismo nelle tante facce in cui esso si presentava. Pur negando l'equazione di politica e immoralità e l'esistenza di una doppia morale, quella privata e la pubblica, égli restava comunque avvertito del pericolo di una degradazione nella statura etica della deputazione. Il rimedio stava nella crescita dell'educazione politica e della partecipazione, essendo la coscienza politica del paese l'unica reale garanzia del retto funzionamento delle istituzioni. Il rapporto fra opinione pubblica e organi rappresentativi doveva divenire per il C. circolare, ed anche per questo egli giudicava essenziale la formazione di saldi partiti politici intorno a programmi ben definiti. L'esplicito modello di riferimento del C., nell'invocare quella trasformazione dei partiti che sarebbe divenuta un leitmotiv della vita politica negli anni successivi, era il Parlamento subalpino con le sue compatte maggioranze aggregate intorno ad idee chiare e semplici e le sue crisi politiche che stavano a significare quasi sempre un mutamento di linea.
Al suo sincero affiato liberale trasfuso in molte pagine di Politica e libertà non meno che agli studi sugli ordinamenti adottati all'estero che ne costituivano la ossatura si collegarono alcuni fra gli interventi parlamentari del C., dalle posizioni assunte nel 1877 in merito al problema delle incompatibilità, che lo videro assai disponibile nei confronti del ministero, al contributo offerto sul regolamento della Camera; e ancora, alle tesi che poco prima di morire egli si disponeva a sostenere per esprimere, con la condanna dello scrutinio di lista, un caldo consenso alla riforma elettorale (cfr. La riforma elettorale e lo scrutinio di lista. Le finanze dei comuni, Milano-Napoli-Pisa 1881). Si trattava di prese di posizione che, accostate alle dichiarazioni di principio o al ruolo svolto dal C. alla periferia in appoggio alle forze vive del liberalismo - come avvenne ad esempio per il Corriere della Sera (cui prestò volentieri anche la sua collaborazione) - ne facevano nella Destra una figura di frontiera, vicina in numerose circostanze al centro e non pregiudizialmente avversa a molte frazioni della Sinistra. Da questa lo allontanava però, con un dissenso destinato ad approfondirsi con gli anni, la politica finanziaria.
Raggiunto il pareggio, il C. pensava infatti si dovesse tener fermo un programma di contenimento delle spese, ad eccezione di quelle indiscutibilmente produttive, per avviare la riforma fiscale vivamente desiderata dal paese e necessaria per ridar fiato all'economia. Troppo blandi gli apparvero così gli interventi sull'imposta di ricchezza mobile varati nel 1877 dal ministero Depretis, dopo le speranze suscitate dalla nuova inchiesta governativa sull'imposta promossa l'anno precedente con la sua partecipazione. A differenza di molti esponenti della Destra egli dava però il suo voto alla legge, considerandola un acconto sui miglioramenti futuri. Ma le successive vicende della politica finanziaria e tributaria seguirono una direzione opposta agli orientamenti del C., soprattutto quando, con il preannuncio di nuove spese, incominciò ad essere ventilata l'abolizione dell'imposta sul macinato. Egli insisté allora alla Camera e nel denso Discorso ... in un banchetto dato in Cantù il 4 maggio 1878 (Milano 1878) nell'invitare alla prudenza e alla cautela, tanto più che per assicurare un assetto stabile alle finanze statali ancora convalescenti occorreva risolvere anche la questione delle finanze locali. Ad una minuziosa disamina della situazione dei bilanci soprattutto comunali gravemente deficitari e del nesso fra finanze statali e locali il C. dedicò alcune reputate monografle che apparvero nell'Archivio economico-amministrativo (febbraio e settembre 1878) e nell'Annuariodelle scienze giuridiche, sociali e politiche di C. F. Ferraris nel 1881 (quest'ultima ripresa dall'opuscolo postumo precedentemente citato).
A partire dalla metà del 1878 gli inviti alla cautela e alla prudenza e, con questi, i molti problemi finanziari pendenti furono però completamente sopravanzati dalla questione del macinato, intorno alla quale prese a ruotare la politica finanziaria, e non quella soltanto, dopo l'annuncio di B. Cairoli e di F. Seismit Doda che un cospicuo avanzo di bilancio avrebbe reso possibile avviarne l'abolizione senza compromettere il pareggio. In realtà il bilancio di previsione del 1879 fu cOmpilato in base a un sistema che "s'incaricava di ingrossare le entrate e di rendere mingherline le spese" per dirla con il C. (alla Camera, a tornata del 20 luglio 1879). Il lavoro della commissione referente si svolse così in un clima particolare, denso di aspettativa da un lato e di timore dall'altro. Nessuno dei commissari della maggioranza si decideva ad assumersi l'onere ingrato di approntare la relazione. Si preferì così passare la mano a un uomo della Destra, affidando il mandato al Corbetta. Questi sottopose allora a un vaglio impietoso, ma lontano, da ogni acrimonia di schieramento, le voci del bilancio, ridimensionando a poca cosa il famoso avanzo. In dissenso con la maggioranza della cominissione che gli revoqò l'incarico, il C. presentò allora una relazione di minoranza, concordata nella linea politica con Sella, che difese poi nell'intervento del 25 marzo 1879, insistendo sulla necessità di non fare questioni di parte intorno alle finanze. Dichiarata già da tempo la sfiducia totale della Destra nel ministero, nell'aprile 1880 egli respinse con qualche ironia i provvedimenti finanziari di A. Magliani, giudicandoli insufficienti a coprire le falle aperte nel bilancio dagli sgravi sui cereali superiori e altrettanto impopolari dell'imposta che si voleva gradualmente abolire.
Rielaborando le sue riflessioni, nell'estate del 1880 egli abbozzava un discorso in vista della discussione finanziaria dell'anno successivo, che non fece poi in tempo a tenere e che apparve postumo con il significativo titolo di I socialisti della cattedra e la pubblica finanza (Cantù 1881).
Identificando con questi i sostenitori dell'intervento statale a sollievo della miseria, e paventandoli come la minaccia di uno snaturamento dello Stato liberale, con un ponte gettato ai progressisti, il C. puntava ora a delimitare i confini dell'azione statale nel campo economico-sociale, sostenendo che non doveva essere che ausiliaria e complementare all'iniziativa e al lavoro dei privati, e comunque incentrata sulla manovra finanziaria e tributaria, con effetti soltanto indotti sulla vita economica. Quanto al sistema tributario italiano, esso era ispirato ad un criterio di giustizia distributiva fra le classi. Indebita, e pericolosa, gli appariva perciò l'accusa che esso fosse diretto a colpire le classi inferiori, risparmiando gli abbienti. Attraverso un'attenta comparazione dei sistemi fiscali operanti in Europa il C. si preoccupava infatti di dimostrare come il rapporto fra l'imposizione diretta e l'indiretta fosse in Italia il più sfavorevole ai proprietari, alla pari con l'impero russo e con l'unica eccezione della Spagna arretrata.
Dal 1879 intanto il C., che era divenuto consigliere della Costituzionale milanese, sedeva nel Consiglio comunale dei capoluogo lombardo. Ma la sua attività fu limitata a una sporadica presenza negli intervalli degli impegni parlamentari e a radi interventi. Di qualche rilievo fu quello che tenne il 25 marzo 1880, nel momento in cui ilConsiglio dava corpo alle proteste cittadine per la incombente riforma dell'amministrazione della Cassa di risparmio, tradizionale roccaforte dei moderati.
La campagna elettorale del 1880, durante la quale uscì a Como il Discorso pronunciato in Cantù il 9 maggio 1880 in una adunanza elettorale, confermò il C. come un personaggio emergente nel panorama politico anche per la sua vicinanza personale a Sella, che al momento della ristrutturazione della proprietà dell'Opinione ne fece il suo alter ego. Ma soprattutto si andava precisando la sua importanza come possibile anello di congiunzione nella ricomposizione dei partiti, giudicata ormai. da più parti un'esigenza indilazionabile, quando improvvisamente morì a Roma il 28 genn. 1881.
Fonti e Bibl.: Necrol., in Corriere del Lario, 1° febbr. 1881; Corriere della sera, 29-30 genn. 1881; L'Illustr. ital., 6 febbr. 1551, pp. 84, 86 (a firma di E. T[teves]); La Perseveranza, 30 genn. 1881; Il Pungolo, 29-30 genn. 1881; La Riforma, 30 genn. 1881, cui va accostata la valutazione politica apparsa il giorno dopo (Un uomo e un partito), Arch. di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi p. m., c. 508; Ibid., Commercio p. m., c. 458; Ibid., Notai. Ultimo versamento, bb. 764 (12 luglio 1859), 776 (15maggio 1862), 1345 (23 dic. 1854; 13 ag. 1555);Arch. di Stato di Pavia, Antico Archivio dell'univers. di Pavia, Registri, Legge-Politico-Legale, reg. 236; Biella, Fondaz. Sella San Gerolamo, Arch. Sella, Fondo Quintino, nun. 57, 59 (i riferim. sono puramente indicativi in attesa del riordino del fondo); Milano, Arch. stor. civico, Famiglie, c. 509; Ibid., Atti di Stato civile. Ruolo gener. della popolaz. della città di Milano. Anno 1835, voll. 18, 38, 56; Milano, Museo del Risorgimento, Arch. delle memorie dei Patrioti ai quali venne conferita la medaglia commem. delle Cinque giornate, vol. 4. Lettere del C. si trovano sparse in diversi archivi, con consistenza e rilevanza assai varie; cfr. Bergamo, Bibl. comunale A. Mai, Arch. Spaventa, Carteggio, C/205; Ibid. Protocollo, nn. 442, 954, 1058, 3531, e Protocollo B, nn. 346, 2201; Biella, Fondaz. Sella San Gerolamo, Arch. Sella, Fondo Quintino, Serie Carteggio, nun. 12 (rilevanti anche le lettere della moglie), 33 (allegata a C. Perazzi), 37 (a E. Di Sambuy); Ibid., Serie Affari generali, nun. 39, fase. 171 (qui anche una lettera della Tenca che interessa la biografia del C.); 42, fasc. 151; 52, fasc. 224; 53, fasc. 228; 56, fasc. 237; Bologna, Bibl. com. dell'Archiginn., Carte Minghetti, c. 56; M. Minghetti, Copialett. 1837-1876, a e. di M. P. Cuccoli, Roma 1978, I, p. 271; II, pp. 743, 749; Firenze, Bibl. naz., Carteggio De Gubernatis, cass. 31, ins. 16; Imola, Bibl. com., Arch. Codronchi, cc. 10.729, 10.783, 10.831, 10.856, 10.906, 10.910, 11.001, 11.295, 11.805, 11.833; Milano, Museo dei Risorg., Arch. Correnti. Carteggio, c. 7, b. 360; Roma, Museo centrale del Risorgimento, bb. 307. n. 55; 902, n. 23; Torino, Museo del Risorgimento, Arch. Dina, 204/431-435; Venezia, Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, Arch. Luzzatti, b. 13. E inoltre, Atti del Parlam. Italiano, Camera dei deputati, Discuss. e Documenti, leg. XI-XIV (dal 1870 al 31 genn. 1881), ad Indices; Atti del Municipio di Milano, annata 1868, pp. 115-124; a. 1869, p. 75; a. 1879-1880, pp. 140-141, 144-146, 187; Ministero dell'Interno, Atti della Commiss. reale d'inchiesta sulle opere Pie del regno dalla sua istit. avvenuta col regio decreto 3 giugno 1880 fino al 25 genn. 1884, I, Roma 1884, pp. 10, 13, 19, 21-22, 30-31, 43-44, 48, 58, 62; Guida di Milano per l'anno..., 1828-1880, ad Indices; Il Pungolo, 20 febbraio-17 marzo 1867, nn. vari; La Perseveranza, 1-17 marzo 1867, nn. vari; Gazzetta di Milano, 9 marzo 1867; Cooperazione ed industria, 1868-1869, nn. vari; Corriere del Lario, 12, 16, 18, 19 nov. 1870; Il Giorno, Milano, 10, 31 genn., 19 nov. 1872; G. Bellini, Le assoc. elettorali di Milano e i principali loro oratori. Impressioni di un elettore non eleggibile, Milano 1865, pp. 34 s.; Elenco dei membri della Società patriottica, Milano 1867, p. 9; T. Zanardelli, La Necropoli dei consorti. Iscrizioni caustico-sopolcrali a molti purtroppo vivi gonfiavetri e gonfianuvoli, Napoli 1872, pp. 46 s.; U. Rabbeno, La cooperazione in Italia. Saggio di sociol. economica. Milano 1886, p. 13; A. Guiccioli, Q. Sella, II, Rovigo 1885, pp. 76, 253 e n.; A. Plebano, Storia della finanza ital. dalla costituzione del nuovo regno alla fine del secolo XIX, II, Torino 1900, pp. 76, 136, 138 s.; Storia dei collegi elettorali, 1848-1897, Roma 1898, pp. 1, 216, 379; N. Rosselli, Mazzini e Bakounine..., Torino 1927, p. 209 n.; L. Luzzatti, Mem. autobiogr. e carteggi, I, Bologna 1931, p. 222 n.; L. Bulferetti, Le ideologie socialistiche in Italia ncll'età del Positivismo evoluzionistico, Firenze 1951, p. 215 n.; L. Luzzatti, L'Ordine sociali, Bologna 1952, p. 697 n.; I socidel Circolo dell'Unione durante i suoi primi cento anni di vita. 1841-1848, 1859-1953, a cura di F. Arese Lucini, Milano 1953, p. 41; Il Nord nella storia d'Italia, a cura di L. Cafagna, Bari 1962, pp. 53-54, 257;A. 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