EUGENIO IV papa
Gabriele Condulmer, nacque a Venezia da ricca famiglia di mercanti nel 1383, morì a Roma il 23 febbraio 1447. Agostiniano a S. Giorgio in Alga, fu dallo zio materno Gregorio XII creato suo tesoriere, vescovo di Siena (1407), e cardinale (9 maggio 1408); indi da Martino V legato della marca di Ancona (1420) e di Bologna. Ritornato a Roma nel 1424, fu eletto papa il 3 marzo 1431. Iniziò il pontificato con un'energica repressione contro i Colonna, troppo favoriti dal suo predecessore: riuscì a cacciarli da Roma e a costringerli a un accordo svantaggioso. Ma si trovò tosto impegnato in una fiera contesa col concilio di Basilea (v. basilea: Concilio di B.); temendone l'ostilità, lo trasferì (18 dicembre 1431) a Bologna, dove l'azione della S. Sede si sarebbe potuta svolgere più efficacemente. Ma di fronte alla resistenza dell'assemblea, alle pressioni di Sigismondo, da lui già coronato imperatore (31 maggio 1433), alle minacce di torbidi in Roma, dovette revocare il provvedimento (15 dicembre). Fu costretto a riconoscere Francesco Sforza come vicario della marca d'Ancona e gonfaloniere della Chiesa; vide Roma ribellarsi per le violenze e gl'intrighi dei condottieri milanesi e dei Colonna e dovette fuggire (4 giugno 1424), con pericolo della vita, a Firenze. L'energica azione del Vitelleschi e lo scontento del popolo fecero crollare l'effimera repubblica romana (ottobre 1434), i baroni furono domati e l'ordine conservato in Roma con implacabile severità dal Vitelleschi, che fu creato cardinale (1437); ma fu poi imprigionato, non è chiaro se col consenso del papa, e finì oscuramente (1440). Il papa tuttavia rimase ancora lontano dalla città turbatissima.
S'era intanto riaccesa la lotta col concilio, sempre più ostile alla costituzione monarchica della Chiesa. Il papa, che era dall'aprile 1436 a Bologna, lo trasferì a Ferrara, nella quale città dovevano convenire i Greci per la riunione delle due Chiese (18 settembre 1437). Il 14 gennaio 1438 si recò egli stesso a Ferrara, dove vennero l'imperatore Giovanni Paleologo, il Bessarione, Gemisto Pletone e altri illustri. Il concilio fu poi trasferito a Firenze, dove E. ritornò nel gennaio 1439, e qui il 5 luglio 1439 fu firmato il decreto di unione. La riconciliazione con l'Oriente, alla quale si unirono poi Armeni (1439) e Giacobiti (1444), sebbene dovuta a necessità politiche, e perciò passeggiera, accrebbe di molto il credito del papa, che il concilio proclamò capo della Chiesa, vicario di Cristo, dottore di tutti i cristiani.
I padri, rimasti a Basilea, avevano sospeso (24 gennaio 1438) e deposto E. (25 giugno 1439) e il 5 novembre 1439 elessero papa Amedeo di Savoia, Felice V. Ma trovarono assai scarsi aderenti. Alfonso d'Aragona, già avversario di E., per il favore di questo al suo competitore angioino, si conciliò con lui (14 giugno 1443), ottenendo l'investitura del regno, la concessione a vita di Benevento e Terracina, e, più tardi, il riconoscimento dell'illegittimo Ferrante come successore (1444). E., ormai sicuro, rientrò in Roma (19 settembre 1443), accolto con giubilo dalla città, e provvide con l'aiuto del cardinale Scarampo a restaurarla. Con l'appoggio di Alfonso riuscì poi dopo lunga guerra a ritogliere la marca allo Sforza (1446). La Francia e la Germania, pure accogliendo con la Prammatica di Bourges (7 luglio 1438) e le deliberazioni della dieta di Magonza (26 marzo 1439) i decreti di Basilea a danno dell'autorità pontificale, si erano dichiarate neutrali nella lotta fra il papa e il concilio. Ma il Piccolomini riuscì a guadagnare alla causa di E. prima l'imperatore (1445), poi molti principi e prelati tedeschi (1447). A quello e a questi E. dovette fare concessioni molte, ma neppure nel "concordato con i principi" (5 e 7 febbraio 1447), stipulato presso alla morte, riconobbe esplicitamente la superiorità del concilio sul papa e con una bulla salvatoria dichiarò che non aveva inteso derogare ai diritti della S. Sede. Così lo scisma era, se non estinto del tutto, certo fallito.
Meno fortunata fu l'opera di E. di fronte al pericolo turco. Quando gli Ottomani avanzarono nell'Ungheria e nella Slavonia, il papa emanò (1° gennaio 1443) un'enciclica, imponendo al clero una decima per la crociata e promettendo un quinto delle entrate della camera apostolica, ma solo l'Ungheria e la Polonia mostrarono zelo per l'impresa, che fallì a Varna (10 novembre 1444). La flotta crociata, sotto il comando del cardinale Francesco Condulmer, nipote di E., partita troppo tardi (giugno-luglio 1444), ritornò (gennaio 1445) senz'alcun risultato.
Notevole operosità spiegò E. per la riforma della Chiesa, quantunque non si accingesse a una riforma generale, forse impossibile in ora così torbida: migliorò i costumi del clero, favorì l'osservanza francescana e i benedettini riformati di S. Giustina. Di molto rilievo è il suo pontificato nella storia della cultura. Fin dal 1431, egli fondò novamente l'università romana, caduta in rovina per la tristezza dei tempi e lo scisma. Nella lunga dimora a Firenze, la curia venne a contatto con la cultura umanistica, di cui quella città era centro; il concilio di Ferrara e di Firenze mise in relazione più stretta l'Occidente e l'Oriente, segnando un momento decisivo per lo sviluppo degli studî del greco e la conoscenza della filosofia ellenica. E. stesso, per la necessità di avere chi sapesse con gli ornamenti dello stile dare decoro e difesa al papato, accolse nella curia e onorò umanisti insigni; Flavio Biondo, che gli dedicò la Roma instaurata, Maffeo Vegio, l'Aurispa, l'Alberti, Leonardo Dati, Carlo Marsuppini, tutti segnalati per valore nelle lettere, non tutti per fede, onestà di costumi, amore alla Chiesa; fondò in Vaticano la cappella del SS. Sacramento, chiamando l'Angelico a decorarla, commise al Filarete la porta di mezzo di S. Pietro, che riuscì bizzarra e non felice mescolanza di cristiano e di pagano, fece ornare dal Ghiberti la sua ricchissima tiara. Restaurò il Laterano e il Pantheon; difese il Colosseo e gli altri monumenti antichi, distruggere i quali - egli scrisse - è diminuire la dignità di Roma e dell'orbe terrestre. "Grande della persona, bellissimo d'aspetto, macilento e grave e di grandissima riverenza a vederlo", E. "pareva quello che rappresentava" (Vespas., 20). Fu d'illibata e rigida vita, di grande liberalità, ebbe difetto di misura e di prudenza, né fu in tutto scevro di nepotismo, sebbene nulla volesse concedere ai suoi dello Stato della Chiesa, dicendo "non potere dare quello che non era suo". Il pontificato di lui segna la vittoria, se non piena, certo decisiva della sede romana sulla tendenza a spezzare l'unità della Chiesa cattolica in più chiese nazionali. Ma con questo monaco austero s'inizia anche, pur fuori di sua scienza e di sua voglia, quella trasformazione profonda della curia, che la rese per oltre un secolo ricca di tutti gli splendori della cultura profana, ma non altrettanto di santità, di vita e di zelo evangelico.
Bibl.: Vespasiano da Bisticci, in Vite di uomini illustri del sec. XV, ed. L. Frati, Bologna 1892, I, pp. 5-26; Liber pontificalis, ed. Duchesne, II, pp. 556-557; Vita Eugenii, in Rerum Ital. Scriptores, II, ii, p. 867 segg.; F. Ph. Abert, Papst E. IV, Magonza 1884; E. v. Ottenthal, Die Bullenregister Martin V und E. IV, in Mitth. d. Inst., Vienna 1885; K. Hayn, Aus des Annaten-Registern der Päpste E. IV, ecc., Colona 1896; R. Arnold, Pontificat Eugens IV, in Repertorium Germanicum, I, Berlino 1897. Si cfr. pure L. Pastor, Storia dei papi, trad. ital., I, nuova ed., Roma 1927 e gli altri storici dei papi; F. Gregorovius; G. Voigt, Enea Silvio de' Piccolomini, Berlino 1856; articoli in Archiv. stor. lomb., XII (1885); in Hist. Jahrb., XIV (1893); in Boll. soc. umbra st. pat., I (1895); in Arch. d. soc. rom. st. pat., XXVII (1904). E per il conflitto con il concilio di Basilea, specialmente N. Valois, Le pape et le concile, voll. 2, Parigi 1904.