PETERSEN, Eugenio
Archeologo, nato a Heiligenhafen (sul Mar Baltico) il 16 agosto 1836, deceduto ad Amburgo il 14 dicembre 1919.
Scolaro di Welcker, Ritschl e O. Jahn, nel 1859 si laureò discutendo una tesi sui caratteri di Teofrasto, e poi, insieme con A. Michaelis, si recò con una borsa di studio in Italia. Sugli Annali dell'Istituto Romano comparvero allora, dal 186o al 1863, i suoi primi saggi archeologici su monumenti di Roma e di Napoli che egli, seguendo il metodo dei suoi maestri, dichiarava studî "mitologico-artistici". Nel 1862 ottenne la docenza ad Erlangen, ma poi dovette adattarsi a diventare insegnante di ginnasio. Anche in questo periodo, tuttavia, rimase attivo nel campo scientifico: nel 1864 un suo scritto sul Doriforo di Policleto comparve nella Archäologische Zeitung, ed un altro nel 1865, sempre nella stessa rivista, sul Marsia di Mirone; particolare valore ha la sua interpretazione, comparsa in quelle stesse pagine, del Rilievo a tre figure nella Villa Albani (poi al Museo Torlonia), ossia Teseo, Piritoo ed Eracle agli Inferi. Nel 1871 comparvero le sue Kritische Bemerkungen zur ältesten Geschichte der griechischen Kunst che trattavano l'essenza mitica della tradizione e, nel 1873, la sua grande opera Die Kunst des Phidias am Parthenon und zu Olympia. In quest'opera sono esposte molte osservazioni e proposte numerose identificazioni che più tardi furono riconosciute esatte. Ma è anche vero che già vi si rileva una certa assenza di sensibllità per la forma artistica, come si osserva particolarmente nel suo giudizio negativo sulle sculture di Olimpia. Nel 1873 P. accettò la chiamata dell'università di Dorpat; quivi, oltre a svolgere intensa attività filologica, tenne anche conferenze sulla mitologia nell'arte e sulla storia dell'arte greca. In questo periodo le sue pubblicazioni furono soprattutto di contenuto filologico, mentre nei lavori di carattere archeologico continuò ad occuparsi di Teseo e Piritoo nonché della pittura vascolare (Archäologische Zeitung, 1877 e 1879). Nel 1879 P. lasciò Dorpat per Praga, dove succedeva al Benndorf. Quivi poté svolgere più liberamente attività puramente archeologica; la pubblicazione principale di questo tempo è l'opera sulla Dreigestaltige Hekate, che comparve nel 188o e 1881 nella rivista Archäologisch-epigraphische Mitteilungen aus Oesterreich. A questa sua attività scientifica contribuirono i numerosi viaggi: in Grecia nel 1879, in Licia (con Benndorf) nel 1882; con Niemann nel 1884 e 1885, seguendo il suggerimento del conte Lanckoronski, si inoltrò maggiormente nell'Asia Minore. Il più importante risultato di questi viaggi è rappresentato dalla grande opera topografica, in due volumi Städte Pamphyliens und Pisidiens, pubblicata tra il 1890 ed il 1892. A prescindere dall'originalità del materiale, essa contiene gran numero di nuove scoperte, per quanto la critica storica vi risulti poco profonda e la parte romana, nel periodo imperiale, vi sia interamente trascurata. Nel 1886 P. lasciò Praga e divenne insegnante a Berlino; ma nel corso dello stesso anno fu nominato primo direttore (segretario) dell'Istituto Archeologico Germanico in Atene. Durante questa sua breve permanenza, dedicò ogni attività allo studio delle rappresentazioni arcaiche di Nike (Archaische Nikebilder) all'antico tempio di Atena ed alle sculture di Olimpia (Athenische Mitteilungen, 1886 e 1887). Nell'autunno del 1887 fu nominato primo direttore dell'Istituto Archeologico Germanico a Roma, e coprì tale carica sino al 1905, per quanto l'ambiente romano rimanesse sempre estraneo alla sua natura di tedesco settentrionale e alla sua innata tendenza alla vita ritirata dello studioso. Accanto a relazioni critiche nello Archöologischer Anzeiger e nelle Römische Mitteilungen, pubblicò anche lavori sull'Italia meridionale, tra cui quello sul tempio ionico di Locri, da lui scoperto (Röm. Mitt., 1890, e Antike Denkmäler, 1), Verschiedenes aus Süditalien (Röm. Mitt., 1897) e sulle terrecotte di Taranto (Röm. Mitt., 1900 e 1901); inoltre, nel 1894 aveva pubblicato nelle Röm. Mitt. un saggio sui bronzi di Perugia da lui ritenuti di origine ionica. Va anche ricordata la sua interpretazione del Trono Ludovisi come la nascita di Afrödite (Röm. Mitt., 1892), il ricollegamento dell'Apollo del Tevere al dono votivo di Milziade (Röm. Mitt., 1900), l'interpretazione della Medusa Ludovisi come Erinni e la rivelazione del bassorilievo chigiano delle Muse nella Villa di Cetinale (Siena) (Röm. Mitt., 1892 e 1893) già incluso nelle Admiranda Romanorum Antiquitatum di Pietro Sante Bassoli nel 1693 (t. 62). Particolarmente felice fu la scoperta della testa di Meleagro a Villa Medici (Ant. Denkmäler, 1). P. si familiarizzò ben presto anche con l'arte romana. Già nel 1889 pubblicava nelle Röm. Mitt. uno studio su i rilievi tondi dell'Arco di Costantino, che egli riteneva traianei; nel 1892 commentò nella stessa rivista l'edizione fotografica di Meomartini dei bassorilievi sull'arco di Benevento e compilò personalmente un'opera sulle guerre daciche di Traiano narrate sulla scorta del bassorilievo sulla colonna. Infine, con A. von Domaszewski e G. Calderini pubblicò la grande opera Die Marcussäule auf Piazza Colonna (1896), rimasta a tutt'oggi insostituita. Il volume Vom alten Rom è uno studio riassuntivo su Roma, pubblicato nel 1898 per una più vasta cerchia di lettori. L'opera più importante di questo periodo è il grande saggio nel quale identificava l'Ara Pacis, che comparve nel 1902 come seconda pubblicazione speciale dell'Istituto Archeologico Austriaco, in cui egli esponeva norme fondamentali per la ricostruzione e la sicura interpretazione di questo monumento; si rivelò unilaterale soltanto nell'esame critico dello stile, insistendo nel dichiararlo esclusivamente greco. Tra i lavori minori va ricordato il saggio pubblicato negli Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, 1899, ove egli dimostrò che i frammenti della statua di Costantino nel Palazzo dei Conservatori erano parte di un acrolito. Sulla pittura murale pompeiana, che egli considerava prevalentemente come pittura architettonica, pubblicò opere teoriche nelle Röm. Mitt., 1902 e 1903; nello Archäologischer Anzeiger, del 1903 un'ampia relazione Dall'Africa francese (da Tunisi a Orano); su Comitium, Rostra, Tomba di Romolo nel 1904, un saggio che nel 1906 egli difese nelle Röm. Mitteilungen. Nel 1905 lasciò Roma per stabilirsi prima a Berlino e poi ad Amburgo. Mantenne piena attività anche in questo periodo e, a risultato di un viaggio intrapreso nel 1907, scrisse l'opera Die Burgtempel der Athenaia, al quale fece seguito un saggio nel 1908 in Klio. Nello Jahrbuch del 1908 comparve un saggio dedicato ai santuarî posti sulle pendici occidentali dell'Acropoli ed un altro ancora sulle pitture del sarcofago di Haghìa Triada nello Jahrbuch del 1919. Al suo libro riassuntivo su Roma, nel 1908 ne aggiunse uno dello stesso genere su Atene. Tra le opere minori di questo periodo va ricordato il saggio Ein Werk des Panainos (1905), che tratta nuovamente del rilievo Teseo-Piritoo, e lo studio Pausanias als Perieget, nel Rheinisches Museum, 1909. Nel 1915 comparve la sua opera maggiore Die attische Tragödie als Bild-und Bühnenkunst; quindi, nel 1917, nelle Abhandlungen der Göttinger Gesellschaft, il suo contributo all'arte tecnica antica, Rhytmus, in cui egli appare nuovamente in veste di filologo e di archeologo ad un tempo; infine, nel 1918, l'ultimo saggio su Homers Zorn des Achilleus und der Homeriden Ilias, ove volle individuare l'opera originale di Omero dal complesso dell'Iliade. P. fu uno degli ultimi archeologi che ebbe completa padronanza della filologia nella sua intera estensione e seppe valersene; ma appunto da ciò dipese anche il suo scarso interesse per la forma esterna visibile. L'aridità nell'espressione e l'acredine nella polemica rendono più gravosa la lettura dei suoi scritti i quali, però, malgrado i molti errori e manchevolezze, costituiscono tuttora una base solida e durevole per ogui ricerca posteriore.
Bibl.: F. Studniczka, in Biographisches Jahrbuch für Altertumskunde, XLVIII, 1928, p. 86 ss.; L. Curtius, Deutsche und antike Welt, Stoccarda 1950, p. 173 s.