TANZI, Eugenio
– Nacque a Trieste il 26 gennaio 1856, da Alberto e da Giuseppina Martinolli, entrambi di origini lombarde e fervidi irredentisti.
Ebbe una sorella, Silvia, del cui mantenimento si fece carico dopo la guerra, quando questa, già vedova, si ritrovò con un figlio invalido e padre di quattro figli; a sua volta, la sorella maggiore assistette Tanzi negli ultimi anni della sua vita. Ebbe anche un fratello, Carlo, avvocato socialista vicino a Filippo Turati e padre di Drusilla, compagna e seconda moglie di Eugenio Montale, e Lidia, madre di Natalia Ginzburg. In questa famiglia di professionisti intellettualmente vivace e con ampie frequentazioni, stante a quanto raccontato anche da Ginzburg in Lessico famigliare (Torino 1963), Eugenio Tanzi era bonariamente chiamato – probabilmente a sua insaputa – ‘il demente’, pungente contrazione di ‘medico dei dementi’.
Compiuti gli studi secondari a Milano si recò per un anno a Graz e poi si iscrisse all’Università di Padova, dove si laureò in medicina e chirurgia nel 1880. A causa della nota fede irredentista sua e della famiglia, il governo asburgico gli impedì l’esercizio della libera professione a Trieste. Passato un periodo di incertezza sulla strada da intraprendere – durante il quale sposò Antonietta Curto, alla quale fu legato profondamente per oltre quarant’anni (non ebbero figli) – nel 1883 si recò come assistente volontario al manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia, diretto da Augusto Tamburini. Lì iniziò i suoi studi sulla paranoia e la pazzia morale, che lo impegnarono per molti anni a seguire. Il suo primo scritto, La paranoia e la sua evoluzione storica (in Rivista sperimentale di freniatria, X (1884), pp. 159-174), offriva una colta disamina di come nel tempo si fosse ampliato il concetto diagnostico della paranoia, fino ad arrivare alla situazione tardo ottocentesca in cui «i paranoici vengono a formare un contingente fra i più cospicui nella statistica delle alienazioni mentali» (p. 160). Tornò sul tema due anni dopo, nell’intento di contribuire a una migliore definizione della malattia, di cui affermò decisamente il carattere costituzionale e cronico e che invitava a distinguere da altre psicosi con cui era comunemente confusa, pubblicando con Gaetano Riva La paranoia. Contributo alla teoria delle degenerazioni psichiche (Reggio Emilia 1886). Stentoreo anche nel suo secondo lavoro, Pazzi morali e delinquenti nati (in Rivista sperimentale di freniatria, X (1884), pp. 266-283) in cui si misurava con alcuni tra i temi più dibattuti e cari a Cesare Lombroso, dal quale non esitava a prendere le distanze. Tanzi sostituì il termine ‘pazzia morale’ con ‘immoralità costituzionale’, tracciando una linea netta di demarcazione tra questa e tutte le forme di deficienza etica acquisite, come quelle legate all’epilessia e criticando, più in generale, l’eccessiva facilità con cui la teoria della degenerazione veniva applicata (Zalla, 1934, p. 220).
Nel 1884 venne chiamato da Dario Maragliano alla clinica psichiatrica di Genova e l’anno successivo si spostò a Torino, richiesto dal direttore dell’istituto psichiatrico Enrico Morselli dopo la morte di Gabriele Buccola. Collaborò con Morselli per diversi anni, tornando con lui a Genova nel 1889, quando questi – complice l’isolamento che patì nel progetto di riforma del manicomio torinese, dove prevaleva un regime meramente custodialistico – accettò di occupare la cattedra dell’appena defunto Maragliano.
Con Morselli, Tanzi diventò redattore della Rivista di filosofia scientifica, dove pubblicò diversi contributi sull’associazione delle idee e condusse importanti ricerche su ipnotismo e isterismo, allontanandosi dalle teorie di Jean-Martin Charcot e della scuola della Salpêtrière e sostenendo il carattere autosuggestivo delle manifestazioni isteriche (cfr. L’influenza della suggestione nell’ipnosi isterica: nota clinica e sperimentale, Milano 1887, con G. Musso). In quegli stessi anni approfondì gli studi sulla paranoia iniziati a Reggio Emilia, allargando l’interesse ai deliri cronici in genere e dedicando particolare attenzione allo studio delle parole inventate o usate in modo arbitrario dagli alienati. Sul tema pubblicò la sua prima monografia, I neologismi degli alienati in relazione col delirio cronico (Reggio Emilia 1889), accolta molto favorevolmente negli ambienti scientifici e accademici. A questo periodo risale anche la teoria della connessione tra i deliri dei paranoici e il pensiero primitivo, considerata al tempo una delle più originali della psichiatria moderna. Mettendo a frutto le acquisizioni dell’antropologia sul pensiero mistico, le superstizioni, i riti religiosi, gli scongiuri, di popolazioni primitive e selvagge, Tanzi arrivò alla conclusione che uomini e donne reagiscono, in qualunque parte del mondo e in epoche diverse, in modo analogo a circostanze simili. Il misticismo primitivo, che si può osservare esplicitamente nei ‘selvaggi’ e negli strati più bassi delle popolazioni, «nell’uomo incivilito rimane represso, latente, pronto sempre a svelarsi ove la malattia o un’anomalia esaltino le passioni istintive o smantellino la critica. I paranoici appaiono come spostati nell’ambiente sociale e nel tempo, veri ‘anacronismi viventi’» (Lugaro, 1934, p. III). Tanzi estese queste interpretazioni all’analisi dei comportamenti delle folle e dei soggetti collettivi, una delle principali inquietudini dell’età dei positivismi. La suggestione passionale della folla innescherebbe, secondo lo psichiatra triestino, veri e propri deliri collettivi, recrudescenze di pensiero arcaico che, a ben vedere, sembra abbiano guidato e determinato la storia e le vicende dell’umanità più della ragione (p. IV).
Grazie a questi lavori Tanzi si accreditò velocemente come una delle migliori promesse della psichiatria italiana e nel 1890 conseguì la libera docenza a Genova. L’anno successivo, intenzionato a perfezionare la sua formazione in biologia, si recò a Firenze da Luigi Luciani, studioso e professore di patologia generale.
Nel 1892, non ancora quarantenne, vinse il concorso per professore straordinario di clinica psichiatrica a Cagliari, per passare già alla fine dello stesso anno a Palermo. La prolusione al corso, che ripeté nelle due città, I fatti e le induzioni nell’odierna istologia del sistema nervoso (Reggio Emilia 1893), rappresentò un’occasione importante per gli studi del sistema nervoso in Italia che venivano iniziati alle importanti teorie neuronali di Santiago Ramón y Cajal, secondo cui il sistema nervoso non ha struttura reticolare (come voleva la scuola di Camillo Golgi, dominante in Italia), ma è formato da unità cellulari distinte tra loro, anatomicamente, geneticamente e fisiologicamente indipendenti. Fu a Palermo fino al 1895, quando una concatenazione di eventi lo portò a Firenze, dove rimase per il resto della carriera. Augusto Tamburini, che aveva guidato il progetto di riforma e ammodernamento dell’assistenza manicomiale a Reggio Emilia guadagnando notorietà internazionale, era stato ampiamente coinvolto come consulente per la realizzazione e progettazione del manicomio San Salvi di Firenze, alla cui guida era stato infine chiamato nel 1895. Rimasto vacante il posto di direttore del San Lazzaro e di professore di clinica psichiatrica a Modena, il doppio incarico venne proposto a Tanzi. A fronte, tuttavia, del profondo rammarico con cui Tamburini lasciò il ‘laboratorio’ emiliano, i due professori si accordarono nei mesi seguenti, con l’avallo delle istituzioni coinvolte, perché fosse Tanzi a recarsi a Firenze, seguito da Ernesto Lugaro, suo discepolo a Palermo e da allora uno dei suoi collaboratori più vicini.
Gli anni fiorentini furono quelli della piena maturità professionale.
Appena arrivato, nel 1896, Tanzi fondò la Rivista di patologia nervosa e mentale e si occupò dell’ultimazione e organizzazione della clinica psichiatrica, successivamente da lui rinominata Clinica delle malattie nervose e mentali, che divenne un modello a livello nazionale. La clinica funzionava come reparto di osservazione del manicomio, dove studiare e valutare la destinazione dei neoammessi o segnalati, ma anche come luogo dove trattenere o richiamare dall’istituto psichiatrico i casi meritevoli di approfondimento. Allo stesso tempo, nella nuova struttura si eseguivano le autopsie e si accumulava un archivio di informazioni e materiale anatomopatologico estremamente ricco. Infine, la clinica funzionava come ambulatorio gratuito e aperto alla cittadinanza, per malattie nervose e mentali più lievi.
Nel 1903 Tanzi si dimise dalla direzione del manicomio, dopo aver consumato un profondo conflitto con le istituzioni locali che non avevano voluto appoggiare un suo piano di riforma che avrebbe dovuto far fronte ai seri problemi di sovraffollamento che gravavano sull’istituto.
Lo stesso anno fu nominato professore ordinario di clinica delle malattie nervose e mentali.
Libero da altri impegni, se non quelli accademici, mise mano alla sua opera più importante, il Trattato delle malattie mentali (Milano 1904), nel quale scelse di ordinare le malattie mentali secondo le cause e il processo morboso, con particolare attenzione per quello che accadeva a livello cerebrale, e non secondo i sintomi, criterio allora più diffuso. Diede rilievo, dunque, agli studi sulle localizzazioni psichiche e a quelli sulla sede delle diverse memorie, rifuggendo, tuttavia, dal cadere nel meccanicismo per privilegiare, piuttosto, un interesse a tutto tondo per la costituzione somatica.
Sette anni dopo il Trattato, diede una nuova prova della sua levatura intellettuale, della sua capacità di sistematizzare e discutere le questioni di fondo della psichiatria del tempo, pubblicando Psichiatria forense (Milano 1911): un testo che solo parzialmente si proponeva come strumento per la costruzione di perizie medico-legali e che, piuttosto, si apriva con sedici pagine sul senso ultimo della giustizia e delle pene, dei principi che animano la legge penale al di là delle disposizioni mutevoli dei codici, che secondo Tanzi si baserebbero su leggi psicologiche indiscusse, prima fra tutte la difesa sociale.
Ormai all’apice della carriera, allo scoppio della prima guerra mondiale Tanzi fu un convinto interventista e, dopo Caporetto (1917), un appassionato animatore della mobilitazione, come testimoniano i toni degli interventi scritti per il periodico fiorentino Resistenza.
Dopo la morte della moglie, nel 1922, accentuò il suo carattere riservato: usciva raramente per la città, non si recava a teatro, ai concerti, né frequentava circoli.
Collocato a riposo per raggiunti limiti di età il 1° novembre 1931, nel 1932 fu nominato professore emerito dell’Università di Firenze, riconosciuto come una delle «figure più nobilmente rappresentative della neuropsichiatria italiana» e per i suoi meriti, oltre che di insegnante e studioso, «di cittadino e patriota»: irredentista, interventista, «sentì fra i primissimi la bellezza e la forza del Fascismo redentore» (Estratto del verbale della seduta di facoltà di Medicina e chirurgia, 11 dicembre 1931, in Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, fascicolo personale).
Ormai inattivo, lasciò Firenze per ritirarsi a Salò, dove morì il 18 gennaio 1934, lasciando indicazioni perché il suo funerale non fosse pubblico.
Nel corso della sua vita era stato nominato cavaliere (1906), ufficiale (1917) e commendatore (1932) nell’Ordine della Corona d’Italia.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale istruzione superiore, Fascicoli personali dei professori ordinari (II versamento), Serie 2, b. 153, ad nomen.
G. Guicciardi, E. T., in Rivista sperimentale di freniatria, LVIII (1934), pp. 6-16; E. Lugaro, E.T., in Rivista di patologia nervosa e mentale, 1934, vol. 43, pp. I-XX; M. Zalla, E. T., in Rassegna di studi psichiatrici, XXIII (1934), pp. 217-227; L. Del Pistoia, E. T., in Anthology of Italian psychiatric texts, a cura di M. Maj - F.M. Ferro, Chichester 2008, pp. 199 s.