TORELLI VIOLLIER, Eugenio
. – Nacque a Napoli il 26 marzo 1842, primo dei tre figli di Francesco Torelli e Joséphine Viollier.
Suoi fratelli furono Giovanni e Carlo. Il padre, allievo di Basilio Puoti, condiscepolo di Luigi Settembrini e Francesco De Sanctis, uomo di lettere e avvocato, alla vigilia della parentesi rivoluzionaria del 1848, aveva partecipato alle iniziative del gruppo di cospiratori liberali guidato da Paolo Bozzelli. La madre – seconda moglie dell’avvocato Torelli, rimasto vedovo pochi anni dopo il suo primo matrimonio – era francese e a sua volta vedova e già madre di una giovane, Luisa Thouroude, avuta dal precedente matrimonio con un commerciante di Tolosa.
Giovanissimo, Eugenio fu colpito da gravi lutti familiari, rimanendo a otto anni orfano di padre e a quattordici di madre. Fu per questo affidato, dal 1856, alle cure della sorellastra Luisa. La sua formazione ebbe un andamento abbastanza irregolare, gravitando sostanzialmente attorno ad alcuni istituti privati. Maturata ben presto una certa insofferenza verso il sistema di governo borbonico, appena diciottenne Torelli fu precocemente rapito dalle gesta di Giuseppe Garibaldi, sbarcato in Sicilia nel maggio del 1860. Tanto che ai primi di agosto decise, assieme all’amico Francesco Leanza e ad altri patrioti napoletani, di prendere le armi al fianco del nizzardo, divenendo sottotenente del battaglione dei Cacciatori irpini, guidato da Giuseppe De Marco.
Fu proprio tale decisione a impedirgli di rispondere a una – quasi contestuale – chiamata giuntagli dal governo borbonico che, ormai in balia degli eventi, il 26 agosto gli aveva offerto, in ricordo del padre defunto (nel 1848 capo di divisione al ministero dell’Interno con il mandato di lavorare alla costituzione del 10 febbraio 1848 e poi destituito dopo il ritorno della reazione), un impiego come «ufficiale soprannumero».
Conclusasi la parentesi risorgimentale, Torelli – che pure avrebbe potuto optare per una carriera nell’esercito regolare – decise di accettare il posto che gli era stato offerto poco dopo la sua partenza per il fronte.
Quella esperienza fu tuttavia piuttosto breve. Preso effettivo servizio nel gennaio del 1861, dopo pochi mesi decise infatti di rispondere a una nuova proposta, giuntagli dal quotidiano L’Indipendente, che Alexandre Dumas aveva fondato nella ex capitale borbonica dopo l’ingresso delle truppe di Garibaldi. Guadagnatosi ben presto la fiducia del direttore, ne divenne segretario personale e principale collaboratore.
Torelli avrebbe svolto quel ruolo fino al 1865, seguendo per un breve periodo Dumas anche dopo il suo rientro a Parigi, avvenuto alla fine del 1864. Proprio in quegli anni egli decise di adottare, nei suoi scritti, il doppio cognome, evocando in questo modo il suo amore per la madre scomparsa e per il Paese che lo stava ospitando.
Come aveva fatto a Napoli, anche nella capitale transalpina Torelli svolse per L’Indipendente varie mansioni: traduttore, contabile e collaboratore personale dello scrittore e drammaturgo francese. Ebbe inoltre l’opportunità di conoscere alcuni personaggi di particolare spicco della vita culturale e politica dell’epoca, come Giuseppe Verdi, Gioachino Rossini, l’ambasciatore italiano a Parigi Costantino Nigra.
A Parigi collaborò anche con alcune testate locali (come Le Nain jaune, La Vie parisienne, La Vogue parisienne) ed ebbe modo di fare un incontro che si sarebbe rivelato decisivo per la sua carriera: quello con l’editore milanese Edoardo Sonzogno, il quale – intravisto nel giovane napoletano uno spiccato talento giornalistico – gli propose di diventare collaboratore di due suoi periodici illustrati: L’Illustrazione universale, nata a Milano il 3 gennaio 1864, e il più economico e popolare L’Emporio pittoresco, fondato sempre nel capoluogo lombardo il 4 settembre dello stesso anno.
A partire dal 1865 Torelli decise dunque di lasciare il suo impiego a L’Indipendente e di trasferirsi a Milano, dove divenne, per circa un quadriennio, direttore di fatto di entrambe le riviste di Sonzogno (poi fusesi nel gennaio 1869 in un unico settimanale: L’Emporio pittoresco e L’Illustrazione universale. Giornale illustrato). Sarebbe stato lo stesso Torelli, nei suoi ricordi, a ripercorrere sommariamente queste sue prime esperienze di direzione, individuando la causa del loro esito non particolarmente brillante nella sua giovanile impreparazione.
Nei primi anni trascorsi a Milano Torelli fu anche, per un breve periodo, collaboratore del Gazzettino rosa di Felice Cavallotti e Achille Bizzoni, organo della «democrazia milanese», di cui peraltro condivise ben poco la linea politica. Dal 1871, per circa un anno, fu poi cronista e redattore di articoli culturali per un’altra importante testata di orientamento democratico, pubblicata dall’editore Sonzogno: il quotidiano Il Secolo. Lasciato anche quest’ultimo incarico, a partire dal 1872 Torelli iniziò a collaborare al liberale moderato Corriere di Milano (fondato nel dicembre del 1869 da Emilio Treves), a lui politicamente più vicino, e – dal dicembre del 1873 – con la Nuova Illustrazione universale, su cui curò una rubrica intitolata Corriere. Scrisse sulle pagine culturali e politiche del Corriere di Milano fino al 1875, per un breve periodo dopo la fusione di quest’ultimo con Il Pungolo, avvenuta alla fine del 1874. Qualche anno prima, nel 1870, l’editore Treves aveva anche accettato di pubblicargli un racconto ambientato a Napoli, Le rovine di Palmira, che raccolse qualche interesse tra la critica, anche se, nel complesso, Torelli non si sarebbe mai distinto per una particolare vena letteraria.
Fu tuttavia il 1875 a consentirgli di tornare a svolgere mansioni direttive. L’occasione gli fu offerta dall’avvocato Riccardo Pavesi, editore del quotidiano La Lombardia, organo moderato che, sin dalla sua fondazione nel giugno del 1859, godeva del privilegio della pubblicazione degli atti governativi e giudiziari.
Quello stesso anno Torelli sposò la trentacinquenne Maria Antonietta Torriani, maestra elementare di origini novaresi, donna molto impegnata e attiva nel movimento femminista lombardo, oltre che scrittrice capace di ritagliarsi – con lo pseudonimo Marchesa Colombi – un certo credito a livello di critica.
Fu proprio in quel periodo che egli maturò anche l’idea di fondare un nuovo quotidiano, liberale e moderato, ispirato ai criteri di efficienza e di indipendenza del giornalismo anglosassone, il Corriere della sera, il cui numero di esordio fu pubblicato il 5 marzo 1876, primo giorno di Quaresima, in cui a Milano tradizionalmente non uscivano giornali. La nuova testata avrebbe segnato profondamente la vita e le fortune di Torelli. Puntando sul contributo di alcuni personaggi vicini all’aristocrazia e alla borghesia imprenditoriale lombarda (Pio Morbio, Riccardo Bonetti, Pavesi, l’editore della Lombardia), Torelli mirava con la sua iniziativa a dare vita a un organo che potesse farsi garante di una linea di equilibrio e moderazione politica, dopo la caduta dei governi della Destra storica.
Quel primo patto editoriale, formalmente avviato all’inizio del 1876, ebbe tuttavia breve vita. Poco dopo la sua costituzione uno dei tre soci, Pavesi, decise infatti di schierarsi con i governi della Sinistra, cedendo il 1° settembre 1876 la sua quota di partecipazione. Ne derivò la nascita di un nuovo sodalizio, la Società editrice del Corriere, che si costituì ufficialmente il 10 settembre con un capitale sociale di 45.000 lire, suddiviso in nove carature (tre delle quali sottoscritte da Morbio). Torelli formalmente non compariva nell’atto costitutivo, ma fu ugualmente confermato alla direzione della testata, a cui da quel momento si sforzò sempre più di imprimere una linea moderata, filomonarchica, liberale, aperta alle sfide di una società in trasformazione. Un atteggiamento, questo, che gli avrebbe consentito di raccogliere ampi consensi sia negli ambienti aristocratici e conservatori, sia in quelli più dinamici della borghesia imprenditoriale.
Nel giro di pochi anni Il Corriere incrementò significativamente la sua diffusione. Secondo i dati forniti dallo stesso giornale, dalle circa 2500 del 1876, le copie tirate passarono alle 4000 della fine del 1877 e alle 18.000 del 1883 (Per l’anno 1884, in Il Corriere della sera, 15-16 dicembre 1883, p. 1). Nel 1890 esse raggiunsero la cifra di 65.000, per un utile netto di circa 200.000 lire (Moroni, 2005, p. 127).
In questa fase, caratterizzata da notevoli soddisfazioni sotto il profilo professionale, Torelli dovette tuttavia anche patire alcune amarezze, come quelle legate alle – peraltro infondate – accuse rivoltegli da alcuni avversari politici, tra cui quella di avere lavorato al soldo dei Borbone, di essere stato allontanato da Dumas dal suo incarico a L’Indipendente, di avere abbracciato per ragioni di mera convenienza il credo radicale durante la sua permanenza al Gazzettino rosa e al Secolo, salvo poi prenderne inopinatamente le distanze dopo il 1872.
Nel 1885 la Società editrice del Corriere fu interessata da una nuova sistemazione. Nel marzo di quell’anno l’industriale tessile Benigno Crespi ne acquistò infatti l’intera proprietà, divenendone socio accomandante, mentre Torelli assunse la carica di socio accomandatario (circostanza che sancì in maniera sempre più chiara la sua identificazione con la propria creatura). L’accordo sottoscritto prevedeva, tra l’altro, che l’eventuale morte di Torelli costituisse ragione di scioglimento della società, denominata E. Torelli Viollier & C. Al confermato direttore furono assicurati pieni poteri, sia per quanto riguardava l’indirizzo politico, sia per quanto concerneva la scelta dei collaboratori.
I consistenti capitali investiti da Crespi, uniti al non comune talento giornalistico di Torelli, determinarono un ulteriore successo del quotidiano. Furono acquistate moderne macchine per la stampa, assunti numerosi collaboratori e corrispondenti, incrementati i servizi telegrafici, introdotti nuovi spazi di intrattenimento. Dal 1886 fu avviata la pratica dei «redattori viaggianti» (ai quali Torelli affidò alcune inchieste dalle aree più lontane e amene del globo) e quella dei «corrispondenti straordinari». Il tutto all’interno di una proposta che intendeva sempre più affiancare il rigore della cronaca a temi relativamente leggeri, tarati su un pubblico di estrazione culturale e sociale diversificata.
Con il trascorrere degli anni, accanto ai lusinghieri risultati ottenuti con il suo Corriere, Torelli iniziò a doversi confrontare anche con le prime difficoltà finanziarie (in gran parte legate agli investimenti profusi per l’acquisto di un lussuoso palazzo in via Pietro Paleocapa a Milano) e con vari problemi di salute (soprattutto di carattere cardiaco), a cui si aggiunsero una strisciante depressione e – a partire dall’ottobre del 1891 – una patologia oculare che ne limitò non poco l’attività.
Torelli fu così costretto a prendersi sempre più frequenti periodi di riposo (generalmente trascorsi a Villa Passalacqua, sul lago di Como) e, dal maggio del 1891, anche ad affidare temporaneamente la vicedirezione del giornale all’amico Alfredo Comandini, proveniente dalla Lombardia, assegnando contestualmente ad Adolfo Rossi il ruolo di redattore capo centrale.
Tra il settembre del 1891 e il novembre del 1892 Comandini assunse, anche sotto il profilo formale, la direzione politica del Corriere, mentre, al fine di rafforzare la solidità finanziaria della società editrice, Torelli decise di avviare delle nuove trattative con due facoltosi imprenditori milanesi (l’industriale tessile Ernesto De Angeli e quello della gomma Giovan Battista Pirelli), da cui scaturì nel febbraio del 1895 un accordo societario che prevedeva la divisione del capitale sociale in sedici quote: otto in capo a Crespi, tre a De Angeli, tre a Pirelli e due allo stesso Torelli.
Tra il 1895 e il 1896 per altre due volte Torelli delegò la guida del giornale a uomini a lui vicini: Andrea Cantalupi prima e, dal maggio del 1896, Luca Beltrami. Ciò gli consentì, tra l’altro, di onorare l’incarico – a cui teneva molto – di rappresentante dell’Associazione lombarda dei giornalisti in seno al Bureau central des associations de presse, di cui fu anche vicepresidente.
Nel pieno della crisi di fine secolo, dal novembre del 1896 al giugno del 1898, Torelli tornò ancora una volta alla guida del Corriere. Ma lo fece in un contesto di ormai crescente solitudine, sia all’interno del giornale, sia a livello di rapporti con gli ambienti governativi e con la stessa platea dei suoi tradizionali lettori. Fu proprio durante il tempestoso maggio del 1898 che si espresse in maniera palese l’ormai profonda inconciliabilità tra la linea politica impressa al giornale dagli editoriali di Domenico Oliva (trentottenne deputato della Destra, solidale con l’azione repressiva del governo e sostenuto dalla proprietà) e le più moderate posizioni di Torelli, il quale il 1° giugno 1898 rassegnò definitivamente le sue dimissioni da direttore.
Sostituito alla guida del giornale proprio da Oliva, Torelli chiese allora, solo per un giorno, ospitalità alla Stampa di Luigi Roux, su cui il 14 giugno 1898 pubblicò una lettera aperta in cui spiegò le ragioni del suo abbandono. Fu un documento assai sofferto, che si apriva con significative parole – «Sì egregio amico, ho l’anima piena d’amarezza» – e in cui si auspicava, per il Paese, una giustizia che dimostrasse «occhi calmi» (Una lettera aperta di Eugenio Torelli-Viollier, in La Stampa, 14 giugno 1898, p. 1).
La lettera suonò ad alcuni come un testamento politico, ad altri come l’indicazione di una linea da seguire per tutti quei redattori che, all’interno del giornale, ancora si riconoscevano nel suo magistero, in particolare, quel giovane talento del giornalismo nazionale, Luigi Albertini, che in cuor suo egli aveva probabilmente individuato come la figura più adatta a raccogliere la sua eredità.
Torelli morì a Milano poco meno di due anni dopo, il 26 aprile 1900, a causa di una endocardite.
Nel suo testamento egli ricordò, oltre ai familiari, i suoi operai – a ognuno dei quali lasciò 50 lire – e alcune istituzioni pubbliche, tra cui il Comune di Milano, a cui devolse una cifra considerevole per l’edificazione di un sanatorio. Dopo un funerale modesto e senza pompe, la sua salma fu tumulata nel cimitero Monumentale cittadino.
Opere. Oltre ai testi citati, si segnalano: Ettore Caraffa. Romanzo storico napoletano, Milano 1869; La stampa e la politica, in Milano 1881, Milano 1881, pp. 117-147; La creola. Melodramma in tre atti, Milano-Palermo-Napoli 1882 (con la Marchesa Colombi).
Fonti e Bibl.: Documentazione su Torelli è conservata a Milano presso l’Archivio storico del Corriere della sera, all’interno di alcuni fascicoli intestati ad altrettante personalità che ebbero dei rapporti significativi con lui. Altre fonti utili a ricostruire la sua attività giornalistica sono conservate dall’Università degli studi di Milano, presso la Biblioteca del dipartimento di scienze della storia e della documentazione storica, Fondo Magnani Torelli. Inoltre: A. Rossi, E. T.-V., Firenze 1900; F. D’Ovidio, Rimpianti, Milano-Palermo-Napoli 1903, pp. 266-275; L. Villari, I fatti di Milano del 1898. La testimonianza di E. T.V., in Studi storici, VIII (1967), 3, pp. 534-549; G. Licata, Storia del Corriere della Sera, Milano 1976, ad ind.; A. Moroni, Alle origini del Corriere della sera. Da E. T.V. a Luigi Albertini (1876-1900), Milano 2005; M. Nava, Il garibaldino che fece il Corriere della sera. Vita e avventure di E. T.V., Milano 2011.