VITI, Eugenio
– Nacque a Napoli il 28 giugno 1881 da Angelo Viti, impiegato militare, e da Emilia Porzio, di origini nobiliari (Atti di nascita - Quartiere Avvocata, n. 679, in Picone Petrusa, 2006, pp. 333, 358).
Frequentò il Regio Istituto di belle arti di Napoli dal 1894, conseguendo numerosi premi fra il 1904 e il 1906, quando si licenziò con il massimo dei voti nel corso speciale di pittura (ASABAN, Serie alunni, cartella 5474, Eugenio Viti). Allievo di Michele Cammarano e di Vincenzo Volpe in accademia, frequentò con Edgardo Curcio ed Edoardo Pansini lo studio di Giuseppe Boschetto, un morelliano non allineato. Influenzato dalla pittura ‘a corpo’ e dalla pennellata costruttiva di Cammarano, decise di aprire i suoi orizzonti, raggiungendo a Roma, alla fine del 1906, Curcio e Arturo Bacio Terracina. Insieme s’iscrissero alla Scuola libera con il modello vivente del Regio Istituto di belle arti di Roma e poco dopo alla scuola del nudo di via Margutta. Nel 1907 Viti prese parte al concorso per il Pensionato artistico nazionale presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma (tema: I primi soccorsi dati dai compagni ad un operaio minatore a stento salvato da una frana). Dell’opera da lui realizzata resta solo una fotografia in bianco e nero (Archivio eredi Viti), che attesta il suo saldo legame con la tradizione verista di Cammarano e di Achille d’Orsi. L’esperienza romana, che lo aveva messo in contatto con varie situazioni artistiche italiane ed europee grazie alle mostre della Società amatori e cultori di belle arti, culminò nel 1911 con l’Esposizione del cinquantenario dell’Unità d’Italia, dove esposero fra gli altri artisti come Auguste Rodin, Edvard Munch, Jorn, Gustav Klimt, Joaquín Sorolla, appartenenti per lo più all’ambito accademico ufficiale o all’avanguardia ‘moderata’, dal momento che mancavano i veri avanguardisti, ossia cubisti e fauves. Viti, grazie al maestro Volpe, riuscì a prendere parte a varie iniziative dell’esposizione: alla decorazione del padiglione della Campania (Tesorone, 1913), a quella del Circolo dei forestieri, e al fregio della Nave romana; espose inoltre alla mostra degli Indipendenti a palazzo Teodoli i dipinti Nel parco e Villanella, riproposti nella mostra della Società promotrice di belle arti Salvator Rosa di Napoli nel 1912 e acquistati, il primo, dalla Camera di commercio (disperso) e, il secondo, dall’amministrazione provinciale di Napoli. Nel 1909 aveva collaborato all’organizzazione della I Esposizione giovanile della cosiddetta Secessione dei ventitré con gli amici Curcio, Pansini e Bacio Terracina; mentre nel 1910, di nuovo grazie a Volpe, partecipò all’Esposizione universale di Bruxelles e alla Exposición internacional de arte del Centenario di Buenos Aires.
Rientrato a Napoli, prese parte nel 1913 alla II Esposizione del CNAG (Comitato Nazionale Artistico Giovanile), fondato da Pansini, e a due iniziative della società Italica Ars. Nella mostra della Promotrice napoletana del 1914 espose Danzatrice (acquistata dal ministero della Pubblica Istruzione, ora alla Galleria dell’Accademia di belle arti di Napoli), e nel 1915-16 fu tra gli organizzatori della I Esposizione nazionale del comitato Rinascimento, dove presentò due acqueforti e tre dipinti (Ritratto; Gli amici; Settecento, Napoli, Raccolta del Comune). Nel 1916 fu richiamato alle armi e fu congedato nel maggio del 1919. Continuò a esporre a Napoli, nella Promotrice del 1916-17 e in altre mostre. Nel 1920 prese parte a due collettive napoletane, presso la Compagnia degli illusi e alla Mostra giovanile voluta da donna Antonia Nitti. Nel 1916 era comparso fra i pochi napoletani cui Umberto Boccioni aveva dedicato il suo Manifesto futurista ai pittori meridionali. Boccioni, come altri critici che parlavano di Viti come di un ‘secessionista’ o di un ‘impressionista’, aveva colto la sua volontà di sperimentare linguaggi nuovi che superassero, almeno in parte, i condizionamenti della tradizione ottocentesca: opere già citate, come Danzatrice e Settecento, mostrano i suoi tentativi di divisione del colore, senza rinunciare alle costruzioni volumetriche derivate da Cammarano, che impedivano la completa deflagrazione della forma (Milone, 1915).
Fra il 1911 e il 1920-21 le ricerche linguistiche di Viti oscillavano fra opposti stimoli, alternando a seconda dei committenti o delle sedi espositive stili più accademici (come, per esempio, nella pala Il Cuore di Gesù con la beata Margherita Maria Alacoque, 1914, Napoli, chiesa di S. Pietro ad Aram) a stili avanguardistici (dall’‘impressionismo’ di Autunno, esposto nel 1920-21 alla Mostra dei grigio-verdi e subito dopo alla prima Biennale di Napoli, all’espressionismo quasi fauve di Olga alla finestra, 1920-21 circa).
Fra il 1921 e il 1922 si registra una svolta: opere come Fauno (Napoli, Palazzo reale; premiato alla Biennale napoletana del 1921), Controluce (esposta nel 1921 al Circolo artistico politecnico che la comprò), Calvario (acquistato dall’Amministrazione provinciale di Napoli alla Promotrice napoletana del 1922), con i loro bruschi passaggi dalla luce all’ombra, rivelano suggestioni quasi neocaravaggesche. Queste sarebbero diventate ancora più evidenti negli anni successivi, come si nota, per esempio, in Figurina gialla (o Proiezione, 1925, Napoli, collezione Matarazzo; esposta a Roma nel 1927) – in combinazione con accensioni fauves – o in Siesta (1928 circa; Napoli, collezione privata; esposta alla Biennale di Venezia nel 1930), dove Viti inclina ad accenti ribereschi.
Nel 1925 l’artista fece un breve viaggio in Francia, i cui riflessi si riscontrarono soprattutto nei suoi paesaggi, di un’accentuata impostazione cézanniana (Grotta a Meta, 1925; Punta Campanella; tutti in collezioni private). Dal 1922 espose in varie città italiane, fra cui Roma: alla mostra della rivista Fiamma nel 1922 (dove presentò Primavera in giardino, acquistata per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma), nel 1927, nel 1928, alla Quadriennale del 1931 (con l’opera Lucilla); nel 1933, nel 1934, nel 1941, fino alla mostra del premio nazionale Luigi Einaudi (1950), alla Quadriennale del 1951-52 e alla mostra «L’Arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia» del 1953. Espose anche a Firenze nel 1922 e nel 1933, a Torino nel 1923 e nel 1931, a Bari nel 1924 e a più riprese a Milano, dove tenne una personale alla galleria Vinciana nel 1925 e fu presente a un’importante mostra di artisti napoletani alla galleria Pesaro nel 1929 e alla Sindacale nazionale fascista del 1941. Nel 1929 a Milano, dove si recò in viaggio di nozze con Olga d’Ippolito (da cui ebbe una figlia nel 1930), espose alcune delle sue opere più importanti, che segnavano la sua adesione al clima del realismo magico con inflessioni che andavano da Caravaggio a Felice Casorati: Proiezione, L’album bianco, La schiena, Ritratto del pittore Aiello (tutte in collezioni private).
Durante gli anni del regime fascista Viti, che aveva esposto a Napoli anche alla mostra del GUF (Gruppo Universitario Fascista) del 1928, prese parte a tutte le mostre Sindacali campane dal 1929 al 1942, ricoprendo talvolta incarichi organizzativi. Il suo successo fu suggellato dagli inviti alle Biennali veneziane: nel 1924 e dal 1930 al 1936, fino alla presenza postuma nel 1954. Di particolare rilievo fu la Biennale di Venezia del 1932, dove espose sette opere, fra cui La donna ossigenata e Adamo ed Eva che, con i loro accenti spiccatamente novecenteschi, furono scelte per una circolazione internazionale, la prima a Monaco di Baviera e in altre città tedesche, la seconda a New York.
Negli anni fra le due guerre partecipò a varie esposizioni all’estero: a Barcellona (1929-30), ad Atene (1931), a Vienna (1933), a Pittsburgh (1934), a Budapest (1936). Nel suo percorso si era cimentato anche nella pittura decorativa (al Castello di Baia nel 1927; nel soffitto del teatro Italia a Napoli nel 1935) e in scenografie per opere cinematografiche in collaborazione con l’amico Renato Tancredi (La danza dei milioni e La donna perduta, 1940).
Dopo la caduta del fascismo fu tra i fondatori della Libera associazione degli artisti napoletani nel 1944, divenendone presidente e organizzando mostre presso la galleria Forti fino al 1948-49. Nel 1948 fu tra i giurati della Prima mostra nazionale di pittura di Cava dei Tirreni. Due anni dopo aver ricevuto l’alto riconoscimento del premio Einaudi, l’8 marzo 1952 morì.
Nel 1953 il Circolo artistico politecnico di Napoli gli dedicò una retrospettiva e nel 1964 fu intitolato a suo nome il premio di pittura Città di Massalubrense.
Fonti e Bibl.: Napoli, Archivio storico dell’Accademia di belle arti [ASABAN], Serie alunni, cartella 5474, Eugenio Viti, 10 novembre 1894; Napoli, Archivio degli eredi Viti, tessere, lettere, cataloghi e fotografie d’epoca.
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