eurobond
eurobònd s. m. (usato per lo più al pl.). – Obbligazioni emesse in sostituzione di titoli del debito pubblico di ciascuno dei paesi aderenti all’Unione economica e monetaria, con garanzie fornite da tutti i paesi dell’eurozona, congiuntamente o separatamente, in proporzione alla quota di partecipazione al capitale della Banca centrale europea (BCE). L’idea di e. risale al piano Delors del 1993 per promuovere la crescita e la competitività dell’UE, nel quale si avanza la proposta di un prestito garantito dal bilancio della stessa Unione per il finanziamento di progetti di sviluppo infrastrutturale di dimensione europea, ed è stata ripresa nel nuovo millennio, a partire dal 2000, come modalità per attirare investimenti esteri nell’UE. L’idea è stata successivamente riproposta nel 2010, in seguito al crescente rischio di insolvenza della Grecia, da ministri economici, esperti ed ex presidenti della Commissione. Nel novembre 2011, un documento della Commissione ha avviato una consultazione pubblica sul tema. La finalità prevalente degli e. è in questo caso una migliore gestione del debito pubblico dei singoli stati, per ridurre il premio per il rischio di inadempienza e quindi i rendimenti richiesti dagli investitori, grazie a garanzie dei paesi dell’area euro che godono di un più elevato merito di credito (v. ). Si limiterebbe anche il rischio di liquidità, legato alle dimensioni ridotte di emissioni di singoli stati. Gli e. consentirebbero di rispettare la clausola dei trattati istitutivi dell’euro, che vietano aiuti a un Paese a rischio di inadempienza (v. ) sul suo debito sovrano a spese dei contribuenti di altri stati membri, direttamente o per il tramite della BCE. In questo modo si eliminerebbe anche il rischio di credito legato a ciò che è stato definito il «peccato originale» (original sin) dell’Unione economica e monetaria, ossia non aver previsto anche una ‘unione di bilancio’, privando in questo modo i paesi aderenti della possibilità di finanziamento del proprio debito pubblico mediante l’emissione di moneta da parte della BCE. Questo ha comportato che i paesi con debito pubblico più elevato, dovendo finanziare il servizio del debito con mezzi propri (aumento del prelievo fiscale o riduzione della spesa pubblica), si sono ritrovati a dover pagare interessi sempre più elevati sui propri titoli, andando rapidamente incontro a una situazione di default. L’opposizione alla proposta di e., sostenuta principalmente dalla Germania, nasce dal timore dei comportamenti di da parte dei beneficiari delle garanzie, ovvero dei paesi maggiormente a rischio di inadempienza, a scapito di quelli valutati più affidabili dai mercati, che si troverebbero a pagare un interesse più elevato sul rifinanziamento del debito. Pertanto, in assenza di una maggiore centralizzazione nell’eurozona del controllo preventivo e consuntivo delle politiche fiscali dei singoli paesi, una garanzia congiunta finirebbe per trasferire l’onere del debito dalle nazioni più indebitate sui contribuenti di quelle che lo sono meno, come la Germania, con ovvie difficoltà di consenso politico o di violazione di norme costituzionali interne. Gli unici e., con garanzie in proporzione alle quote di capitale nella BCE, sono stati sinora emessi dall’European financial stability facility (v. EFSF) per erogare finanziamenti a tassi ridotti, concordati a livello europeo, a Irlanda, Portogallo e Grecia, per primi coinvolti nella crisi del debito sovrano.