Europa
Geografia umana ed economica
di Pasquale Coppola
Evoluzione del quadro politico
La scena continentale è dominata, in apertura del nuovo millennio, dal tema dell'ampliamento e del ripensamento istituzionale dell'Unione Europea. Nel maggio del 2004, infatti, altri 10 Paesi hanno aderito a quest'organismo, che ha così integrato nel suo territorio anche le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), la totalità dell'Europa centro-orientale (dalla Polonia alla Slovenia, passando per la Repubblica Ceca, la Slovacchia e l'Ungheria) e alcuni spazi del sud Mediterraneo (Malta e Cipro). Nello stesso periodo si è avviata la procedura di convergenza economica e politica che dovrà portare la Romania e la Bulgaria a concludere nel 2007 il tragitto verso l'adesione, mentre è in corso la pratica per l'associazione del Montenegro. Se si mettono in conto anche le trattative in atto per l'eventuale piena integrazione di Croazia e Turchia, si comprende come l'Unione, già forte di 25 membri, abbracci la maggior parte degli Stati europei e tenda sempre più ad assumere una dimensione paracontinentale. La candidatura della Turchia ha sollevato, peraltro, non poche controversie, soprattutto per i dubbi avanzati sul rispetto delle minoranze (e dei diritti umani più in generale): le pressioni europee hanno già avuto un riscontro presso il governo di Ankara con l'abolizione della pena di morte e il consenso all'utilizzo e all'insegnamento della lingua curda, decisi nel 2002. Nel caso questa domanda fosse infine accettata, l'Unione si troverebbe proiettata nello spazio asiatico, a diretto contatto con le problematiche del Medio Oriente e con le tensioni interne al mondo islamico, data l'assoluta dominanza della confessione musulmana (sunnita) tra i cittadini turchi. Già per l'Unione a 25, peraltro, si è reso necessario modificare la composizione e il funzionamento di alcuni organi (secondo linee concordate nel vertice di Nizza del 2000), ma anche proporre una revisione complessiva delle logiche aggreganti, elaborando un progetto di Costituzione europea. Questo documento, definito nel giugno 2004, è stato sottoscritto dai governi a Roma nell'ottobre successivo, ma il percorso verso la definitiva ratifica è stato rallentato dall'esito negativo dei referendum effettuati in Francia e nei Paesi Bassi, che hanno evidenziato le diffuse preoccupazioni per il diluirsi dell'originaria coesione. Ad accrescere i dubbi sui limiti dell'espansione comunitaria e sulle trasformazioni geopolitiche che ne derivano, stanno le spinte verso l'adesione all'Unione che si fanno strada anche nella Comunità degli Stati indipendenti, CSI (in Ucraina più che altrove), insidiando quanto resta dell'egemonia di Mosca. Sul versante russo, del resto, le preoccupazioni sono accresciute dall'espansione della NATO, alla quale tra il 1999 e il 2004 ha aderito l'intera fascia di Paesi, dalle repubbliche baltiche alla Bulgaria, che formavano il fianco occidentale del Patto di Varsavia. Per frenare tali timori è stato perciò costituito nel 2002 il Consiglio dei venti, che associa ai membri della NATO il governo russo nella trattazione di temi rilevanti per gli equilibri strategici mondiali, dal terrorismo internazionale agli armamenti nucleari. In ogni caso, i confini della CSI si sviluppano ora per un lungo perimetro a diretto contatto con gli spazi della UE e dell'Alleanza atlantica, che sono venuti pure a inglobare la piccola oblast´ russa di Kaliningrad (15.100 km2), sul Baltico.
Nell'area della ex Iugoslavia, sopiti i contrasti che hanno portato alla dissoluzione di tale Paese, rimangono aperti numerosi problemi, che si protraggono dagli anni Novanta. Un contingente militare europeo continua a garantire un'accettabile quotidianità in Bosnia ed Erzegovina, mentre molti responsabili delle stragi che vi si svolsero sfuggono ancora al giudizio del Tribunale penale internazionale insediato a L'Aia. L'assetto federale tra Serbia e Montenegro ha avuto fine con il referendum del 21 maggio 2006, che ha sancito l'indipendenza del Montenegro; rispetto alla Serbia, resta poi in posizione indefinita la provincia autonoma del Kosovo, a maggioranza albanese: dal 1999 l'amministrazione vi è esercitata da un distaccamento di truppe delle Nazioni Unite e da un'assemblea locale.
La dissoluzione dei collanti ideologici e la ricorrente permanenza di formule autoritarie di governo insidia quel che resta dell'antico blocco sovietico. Sul versante europeo, le tensioni maggiori sono emerse in Ucraina, dove a fine 2004 le manifestazioni popolari hanno indotto a disconoscere i risultati delle elezioni presidenziali, inficiate da una serie di brogli. Le nuove consultazioni hanno portato al successo V. Juščenko, candidato assai sensibile ai richiami occidentali, sullo sfondo di una pesante crisi economica, di forti dissensi delle aree a maggioranza russa e di non risolti contrasti tra chiesa uniate e clero ortodosso. Ma, se una secessione di parte dell'Ucraina appare improbabile, ben più preoccupanti sono per la Russia i focolai di rivolta accesi da tempo ai margini del Caucaso, in particolare in Cecenia, dove la guerriglia separatista si fonde con l'estremismo islamico, impegnando l'esercito russo in un conflitto cui fa da sfondo anche il controllo strategico di alcune vie del petrolio. In questo scenario si sono verificate azioni terroristiche di particolare rilevanza, come nel caso dell'assalto nel settembre 2004 a una scuola di Beslan, nell'Ossezia del Nord, che ha provocato oltre 400 vittime, per lo più bambini; ma la violenza terroristica si è manifestata pure in spettacolari e cruenti assalti a Mosca, con attentati a teatri, metropolitane e palazzi.
Il terrorismo internazionale di matrice islamica ha investito anche altri Paesi europei, in particolare in rapporto al loro impegno militare in ̔Irāq. Gli eventi più gravi si sono verificati con attentati dinamitardi ai treni dei pendolari di Madrid, nel marzo 2004, e ai trasporti pubblici londinesi, nel luglio 2005: ma anche in altri Stati, come l'Italia, la Francia e la Germania, sono stati scoperti reti e piani terroristici. Mentre si intensifica l'allarme per questa minaccia senza frontiere sembrano attutirsi tradizionali fratture interne: in Spagna l'ETA ha annunciato l'abbandono della lotta armata, mentre nell'Irlanda del Nord l'IRA ha accettato di consegnare il suo arsenale, acconsentendo a un accordo di governo, peraltro assai instabile, tra protestanti e cattolici.
Le stime del 2004 attribuivano all'E. una popolazione prossima a 708 milioni di ab., con un modestissimo incremento nell'arco del quinquennio precedente. La sua densità restava pari a 69 ab./km2, mentre la crescita demografica più sostenuta registrata negli altri continenti ne riduceva l'incidenza sul totale mondiale all'11%.
Nella maggior parte dell'E. la natalità si colloca poco sopra il 9‰, con una fecondità di 1,2-1,3 figli per donna. Gli scostamenti in alto rispetto a questo livello sono assai modesti: in particolare, alcuni dei floridi Paesi della fascia settentrionale (Norvegia, Finlandia) o del quadrante occidentale (Gran Bretagna, Francia) superano l'11‰; e sono due dinamiche economie insulari (Islanda e Irlanda) a registrare i massimi, intorno al 15‰. La tradizionale vitalità della sezione meridionale è ormai un lontano ricordo, tenuto in piedi solo dalla Macedonia e soprattutto dall'Albania (oltre il 15‰, con 2,3 figli per donna). Insieme a Germania, Slovacchia e Bulgaria, sono invece molti dei territori europei dell'ex Unione Sovietica a far segnare valori inferiori alla media (minimo dell'Ucraina: 8‰). Sui contingenti dei nati incide poco la mortalità infantile, scesa in genere sotto il 10‰, con le eccezioni di due Paesi danubiani (Romania e Bulgaria) e del blocco di popolamento russo (Russia, Bielorussia, Ucraina), dove condizioni igienico-sanitarie precarie spostano la falcidie intorno al 14-16‰. Anche i profili della mortalità europei sono abbastanza appiattiti su quota 10‰, con scostamenti che ripercorrono quasi all'inverso quelli della natalità: a livelli minimi si pongono Islanda, Irlanda e Paesi Bassi, nell'E. ricca, e la coppia Albania-Macedonia, nell'orizzonte meno prospero; ai massimi l'insieme ex sovietico, ancora con Romania e Bulgaria, cui si aggiunge il Principato di Monaco, soggiorno di ricchi pensionati europei (gli ultrasessantenni sfiorano il 30%). Il comportamento demografico appena delineato fa dell'E. un continente in progressivo e diffuso invecchiamento: se in Italia e in Svezia si registra il massimo degli anziani oltre i 75 anni (circa il 9% dei residenti), ben oltre il 7% si pongono anche la Grecia e molti Paesi scandinavi e dell'E. occidentale. Più contenute le quote là dove permane un livello più sostenuto di nascite e nell'E. ex sovietica, dove le privazioni e le profonde carenze del welfare rendono assai difficile la vita degli anziani. In quest'ultimo spazio la speranza media di vita, crollata con lo sfascio del sistema sociale, si colloca ancora intorno ai 65 anni per gli uomini, con un minimo di 59 per la Russia, dove questi sono il 12-14% in meno rispetto alle donne. Nel resto del continente, con l'esclusione dei Paesi della fascia centro-orientale e dei Balcani, dove l'aspettativa di vita femminile si attesta sui 78 anni, l'età estrema si pone sugli 80-81 anni, con un culmine di 83 nell'arco che abbraccia Spagna, Francia, Svizzera e Italia.
L'evoluzione dei modelli di vita ha aumentato il numero dei nuclei familiari, riducendone al tempo stesso la media dei componenti: solo in alcune zone dell'E. dell'Est si contano ancora oltre tre membri per famiglia, mentre nel resto del continente il nucleo tende ad approssimarsi all'essenzialità della coppia (già raggiunta in Svezia). La rilevante quota di anziani soli, spesso non autosufficienti, comporta una forte espansione del comparto dell'assistenza, cui i bilanci pubblici stentano a fare fronte. Quasi a contraltare, l'esigua schiera dei giovani induce a considerarli una risorsa preziosa e consente di finanziare lunghi cicli di formazione, che si spingono sempre più diffusamente fino a una frequenza universitaria di massa.
In queste condizioni demografiche, un apporto decisivo alle forze di lavoro deriva dai flussi migratori. Anche se alcune consuete mete (come Francia e Germania) hanno rafforzato le barriere in entrata, l'E. più florida registra ancora ingressi annui superiori al milione d'individui, parte dei quali tende a consolidare la propria presenza anche nella sezione mediterranea. Un contributo imponente ai contingenti migranti viene dagli spazi orientali e balcanici della stessa E., ma continuano, anche se in misura più contenuta, gli afflussi dall'Africa, dall'Asia e dall'America Latina. Mentre, da un canto, gli immigrati ampliano di molto il ventaglio delle loro collocazioni sociali e varcano pure le soglie dei parlamenti, dall'altro, le tensioni fomentate dai fondamentalismi e dalle paure xenofobe aprono vistose crepe persino in consolidati modelli d'integrazione.
La città appare la cifra dominante dell'insediamento per gran parte del continente, con quote di popolazione inurbata che superano in genere i due terzi e si spingono oltre l'80% in Benelux, Scandinavia e Lettonia; solo in qualche regione balcanica e in Moldavia i centri rurali concentrano ancora la maggioranza degli abitanti. Il gigantismo urbano, peraltro, sembra quasi cancellato dalla carta dell'E., dove solo cinque perimetri metropolitani annoverano oltre 5 milioni di residenti: prima fra tutte Mosca, che supera i 10 milioni, poi Parigi e Londra e, proprio sulla soglia, San Pietroburgo e Madrid. Le statistiche, d'altronde, rivestono una significatività modesta, giacché da vari decenni il fenomeno urbano sta ampiamente modificando in E. la sua natura, con la riduzione delle densità dei nuclei centrali e con l'integrazione diffusa delle campagne circostanti in una maglia funzionale e connettiva di dimensioni sempre più vaste. Contemporaneamente è avvenuto un deciso tentativo di valorizzare i centri storici, di cui il continente è ricco, recuperando quartieri e monumenti, esaltando le dimensioni culturale e turistica, e agendo sull'arredo urbano e sulla qualità della vita. In molte città sono in atto programmi di riqualificazione delle periferie della stagione fordista, dove la chiusura delle fabbriche ha aperto grandi vuoti; analoghe iniziative di riuso investono fronti portuali liberati da ingombranti quanto desuete funzioni. Le trasformazioni urbanistiche più emblematiche toccano forse Berlino, dove sottolineano la ricomposizione della città e il ritrovato ruolo di capitale.
Attività economiche
L'E. continua ad annoverare alcune delle più floride economie mondiali, ma prospetta forti scompensi interni. In particolare, nel 2004 la Norvegia e la Svizzera hanno superato ampiamente la quota dei 40.000 dollari di prodotto pro capite, e sui 30.000 si collocavano il resto della Scandinavia, l'Austria e i grandi motori economici dell'E. centro-occidentale. Appariva significativa la rimonta dell'Irlanda, a lungo marginale e in seguito annoverata nel 'club dei ricchi' dopo un paio di decenni di forte crescita. I Paesi mediterranei dell'Unione hanno fatto registrare redditi pro capite più contenuti, dai 16.000 dollari della Grecia ai 25.000 dell'Italia, mentre quelli di recente integrazione dell'E. centro-orientale sono rimasti ancora alquanto indietro (tra i 4000 e gli 8000 dollari). Sulla soglia della povertà si sono posti, infine, la Romania, parte dei Balcani e gli Stati derivati dal crollo dell'URSS; agli ultimi posti Ucraina e Moldavia, i cui abitanti disponevano di meno di 1000 dollari a testa. Il particolare sconvolgimento subito da economia e società in Russia, terra dalle immense potenzialità, si è colto con efficacia nel contrasto tra la modestia del prodotto medio (sotto i 3000 dollari) e gli straordinari patrimoni accumulati dai cosiddetti 'oligarchi', una ventina dei quali figuravano tra gli uomini più ricchi del mondo.
La struttura economica del continente trova sempre più il suo punto di forza in un comparto dei servizi che occupa all'incirca due terzi degli addetti e fornisce quote analoghe di reddito: nel suo ambito prevalgono di norma i rami del terziario avanzato, con una marcata dilatazione degli apparati finanziari. Solo in Romania e Ucraina le attività terziarie contano per meno di metà, sia per occupazione sia per formazione del prodotto. Questi due Paesi, insieme all'Albania, sono anche quelli in cui l'arretratezza dell'assetto produttivo si esprime con il permanere di una sostanziosa quota di addetti in un vetusto comparto agricolo; anche l'Islanda, peraltro, conta quasi il 15% di agricoltori, ma qui il settore è totalmente modernizzato e capace di alte rese. L'industria, che impegna in genere il 25-30% dei lavoratori (con una posizione di punta per l'Irlanda: oltre il 45%), è teatro di trasformazioni crescenti: abbandonati i comparti pesanti, ed essendo in difficoltà settori tradizionali sotto l'attacco vincente delle merci cinesi, come il tessile-abbigliamento e l'elettronica civile, l'accento delle economie europee più solide si porta verso produzioni ad alto contenuto di ricerca e innovazione, con l'emergere dell'aerospaziale, delle biotecnologie e dell'informatica di punta.
Le difficoltà incontrate nella incisiva quanto obbligata ristrutturazione produttiva hanno avuto pesanti e diffusi riflessi sull'occupazione, specie in termini di garanzie sindacali e di continuità dell'impiego. In alcuni dei grandi Paesi dall'assetto più complesso, che formano il motore dell'economia europea (Francia, Germania, Gran Bretagna), questa fase si è espressa anche in crescite del PIL modeste e discontinue; e in altri, più lenti nei processi innovativi, come l'Italia, il ritmo ha persino toccato lo zero. Ritmi assai più sostenuti hanno esibito nella crescita del prodotto lordo alcune economie dell'Est europeo, che negli anni Novanta avevano subito forti decurtazioni del potenziale produttivo e dell'occupazione. Il miglioramento ha toccato in particolare i Paesi della sezione centrale ammessi all'Unione Europea, la quale ha destinato per circa un decennio 3 miliardi di euro l'anno al sostegno della loro difficile transizione dal socialismo al sistema di mercato. La ripresa sul versante orientale è stata accompagnata dalle rimesse delle schiere di emigrati riversatesi verso l'E. ricca e da un cospicuo flusso d'investimenti, che in alcuni casi si sono tradotti nel decentramento delle fasi produttive di interi distretti industriali delle economie consolidate. In effetti, in apertura del millennio, l'asse economico del continente sembra slittare verso le regioni centro-orientali, confermando il suo perno nella Germania riunificata. A sottolineare questa tendenza interviene la dominanza delle direttrici ovest-est nel vasto piano di 'corridoi europei' allestito in sede comunitaria per accelerare e migliorare i collegamenti terrestri tra i principali poli urbani. L'infittirsi delle reti interne serve la vasta mole di scambi commerciali interni all'orizzonte europeo, destinata ad ampliarsi ulteriormente dopo l'allargamento dei confini dell'Unione.
Sul fronte, meno rilevante, degli scambi extracontinentali, l'E. presenta nell'insieme un persistente saldo attivo nei confronti degli Stati Uniti, ma un disavanzo crescente nei confronti dell'Oriente asiatico, Cina in testa. Quest'ultima corrente di traffici apre buone prospettive per i porti mediterranei, in posizione favorevole rispetto alle rotte asiatiche che s'incanalano per Suez; a metà del primo decennio del 21° sec., comunque, il maggior movimento di merci riguarda sempre gli approdi del Mare del Nord, con predominio di Rotterdam, secondo porto al mondo dopo Singapore con i suoi 327 milioni di t di traffico.
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