EUROPA (XIV, p. 604; App. I, p. 566; II, 1, p. 883)
Mutamenti politici e territoriali. - Dopo il 1948 non si sono verificati in E. mutamenti politico-territoriali di grande rilievo e la situazione politica si è in complesso consolidata, rimanendo aperto soltanto il problema della riunificazione della Germania. La Repubblica Federale di Germania (Germania Occidentale) ha incorporato, previo accordo con la Francia, il territorio della Sarre (10 gennaio 1957; piena reintegrazione economica dal 31 dicembre 1959); la Repubblica Democratica Tedesca (Germania Orientale) ha definito le frontiere con la Polonia mediante un trattato stipulato a Potsdam il 6 luglio 1950. Nel 1954 l'Italia ha annesso la zona A del Territorio Libero di Trieste e la Iugoslavia ha annesso la zona B (con lievi rettifiche di confine a suo favore), ma lo stato di fatto derivatone non è accettato dall'Italia come definitivo. La Finlandia ha reincorporato (26 gennaio 1956) la base militare di Porkkala già ceduta all'URSS. L'indipendenza e la sovranità dell'Austria sono state riconosciute nel 1955; l'anno dopo è stato instaurato un regime repubblicano e dichiarata la neutralità.
Altri mutamenti interni: in Italia è stata promulgata la Costituzione repubblicana (10 gennaio 1948); nuove costituzioni sono state promulgate per l'Albania (15 dicembre 1955), la Danimarca (5 giugno 1953), la Francia (Costituzione della Quinta Repubblica e della nuova Communauté française, 5 ottobre 1958), la Grecia (22 dicembre 1951), l'Ungheria (18 agosto 1949), l'Olanda (29 dicembre 1954; statuto che regola i rapporti coi paesi d'Oltremare), la Iugoslavia (Statuto della Repubblica federale, 13 gennaio 1953). Anche la costituzione dell'URSS ha subìto qualche ritocco.
Dati demografici. - Nuovi censimenti della popolazione sono stati eseguiti nella maggior parte degli stati europei nel 1950, nel 1951 e anche posteriormente.
La popolazione dell'E. in epoche passate è stata calcolata come risulta dalla tabella seguente (per la Russia e la Turchia solo le parti europee):
L'aliquota dell'aumento percentuale sul totale mondiale negli intervalli qui di seguito indicati è stata: dal 1650 al 1750, del 21%; dal 1750 al 1800, del 25%; dal 1800 al 1850, del 30%; dal 1850 al 1900, del 31%; dal 1900 al 1950, soltanto del 14%. Questa diminuzione dell'aliquota nel primo cinquantennio del sec. 20° costituisce un fatto demografico che pesa gravemente nel confronto con gli altri continenti.
Per alcuni maggiori stati l'aumento annuo della popolazione negli ultimi anni si può calcolare come segue (in migliaia): Polonia 500; Germania (in complesso) 400; Italia 350; Iugoslavia 300; Francia 300; Gran Bretagna, Spagna, Romania 200. Per l'URSS (nel suo insieme) l'aumento è di circa 3 milioni l'anno.
Il movimento naturale della popolazione negli ultimi anni nei principali stati risulta dalla tabella seguente:
Queste cifre sono peraltro da accogliersi per taluni stati con molta cautela. Per gli stati i cui dati sono più attendibili l'eccedenza dei nati sui morti oscilla fra limiti assai larghi: tra il 4 e il 12%; le più alte eccedenze riguardano i paesi slavi e quelli balcanici.
Trasferimenti di popolazioni. - I dati che si posseggono sui trasferimenti di popolazioni da uno stato all'altro dopo la fine della guerra mondiale sono molto numerosi, ma mal coordinabili, non completi, né comparabili fra loro, perché, accanto a trasferimenti disciplinati e controllati ufficialmente, ve ne sono stati di irregolari, coatti o volontarî, e anche clandestini; il termine stesso "rifugiati" non è stato definito ovunque in maniera uniforme. Alcuni trasferimenti sono poi stati seguiti da rimpatrî, ecc.
Per la Germania Occidentale il censimento del 1950 noverava 7.876.211 rifugiati, cifra che, secondo i calcoli di G. Reiching (1958), era salita a 8.756.000 nel 1955, oltre a 210.000 circa in Berlino ovest. Nella Germania Orientale sono stati trasferiti 3.560.000 individui, in massima parte Tedeschi della Cecoslovacchia, della Russia meridionale e di SE.
Secondo gli accordi del 1944 fra il governo polacco di allora e quello dell'URSS, 515.000 tra Ucraini, Biancorussi e Lituani sono stati trasferiti dalla Polonia in territorio sovietico (1946); e, viceversa, circa un milione e mezzo tra Polacchi ed Ebrei sono stati introdotti entro i confini della Polonia attuale dai territorî già polacchi annessi all'URSS (1948).
La Finlandia ha accolto a due riprese profughi dalla Carelia e da Viipuri, in numero non esattamente precisato.
In Francia si sono trasferiti numerosi Italiani e Algerini: questi ultimi furono calcolati a circa 300.000 per il periodo 1947-54. L'Olanda ha accolto alcune decine di migliaia di concittadini stabiliti nell'Indonesia. L'Italia ha fatto posto a profughi dalla Venezia Giulia, dall'Albania e dai territorî africani in un quantitativo calcolato a circa 480.000 unità.
Dalla Spagna durante le guerre civili emigrarono, soprattutto in Francia, circa 650.000 individui; molti di essi sono rimpatriati, altri sono rimasti in Francia, o, in numero maggiore, si sono trasferiti oltre Oceano. Anche dalla Grecia, in seguito alle guerre civili, vi è stato un flusso di emigranti; molti hanno poi fatto ritorno, ma si calcola che almeno 140.000 si siano stabiliti definitivamente all'estero.
Dalla Bulgaria circa 150.000 Turchi espulsi nel 1950-51 sono stati sistemati in Turchia. Non si conoscono dati precisi sui trasferimenti dalla Russia Europea in Siberia e in altri territorî asiatici; anche per la Romania e l'Ungheria difettano dati completi. Ma i dati ora riferiti bastano a dare un'idea dell'entità dei trasferimenti, che hanno avuto grandi ripercussioni anche nel campo sociale ed economico.
Economia. - È difficile valutare il peso dell'Europa nell'economia mondiale soprattutto perché le statistiche economiche dell'URSS non distinguono la parte europea dall'asiatica. I due grandi blocchi economici europei - l'occidentale e l'orientale - tendono ad attenuare il distacco, perché si fanno via via più frequenti i trattati di commercio fra stati dell'uno e dell'altro blocco e gli scambî tendono, nonostante i molteplici ostacoli, sempre più manifestamente a una ripresa. Ma nell'Europa occidentale si vengono affermando organismi economici interstatali: dapprima il MEC (Mercato Comune Europeo), che raggruppa cinque stati, più tardi la Zona di Libero Scambio, che ne raggruppa altri sei. Tra i due organismi si vanno perfezionando accordi (vedi alle rispettive voci). Per l'integrazione economica europea, oltre le voci dedicate ai singoli istituti, v. unioni economiche internazionali, in questa App.
Comunicazioni - Ferrovie. - Si calcola che lo sviluppo della rete ferroviaria europea ammonti attualmente a circa 390.000 km in cifra tonda, cioè un po' meno di un terzo del totale mondiale. La tabella qui unita fornisce i dati per i singoli stati, anche in relazione all'area ed alla popolazione.
Non si sono fatti grandi progressi nell'uniformazione degli scartamenti; si sono invece moltiplicati i treni internazionali, nei quali sono stati ripristinati e ammodernati tutti i servizî, accresciuta la velocità, ecc. Tra i percorsi internazionali, quello dell'Espresso Sempione-Oriente (Calais-Istanbul con diramazioni per Salonicco e Atene) ha ancora il primo posto per importanza; ma oggi si può andare senza trasbordo da Amsterdam, da Copenaghen e anche da Stoccolma a Roma e Napoli (traghetti da Malmö a Copenaghen e da Gedser a Grossenbrode), come da Varsavia a Roma, da Hendaye e da Bordeaux a Trieste, da Parigi a Vienna con proseguimento per Budapest e Bucarest, ecc. Numerosissimi i raccordi e le coincidenze. Si può dire che ogni traccia delle offese belliche sia scomparsa nel sistema ferroviario europeo, tranne, naturalmente, gli ostacoli derivanti dalla cortina di ferro, che tuttavia si vanno attenuando.
L'elettrificazione delle ferrovie ha fatto considerevoli progressi anche in stati che fino ad un decennio fa non avevano che una modesta percentuale di linee elettriche, come la Francia.
Autostrade. - Il moltiplicarsi delle autostrade influisce ormai anche sul movimento internazionale dei viaggiatori. Esistono servizî internazionali (Europabus) combinati anche con i trasporti per ferrovia. L'apertura di gallerie stradali transalpine (Monte Bianco, Gran S. Bernardo) consentirà un aumento considerevole del traffico.
Marina ed aviazione. - Di gran rilievo è la ripresa dell'attività marinara anche in stati che per effetto della guerra mondiale avevano subìto le più gravi perdite nella consistenza della marina mercantile, come la Germania e l'Italia. Oggi l'Europa possiede di nuovo più della metà del tonnellaggio complessivo delle marine mondiali, come è dimostrato dalla tabella che segue (dati arrotondati relativi al 1958; v. anche marina: m. mercantile). Il primo posto spetta alla Gran Bretagna, cui seguono, a distanza, Norvegia, Italia, poi Olanda, Francia e Germania.
Enorme è il progresso dell'aviazione civile in ogni campo. Tra le tendenze fondamentali, che hanno rilevante importanza anche dal punto di vista geografico, possono indicarsi le seguenti: 1) concentrazione dei traffici da parte di grandi compagnie europee (Air France, BOAC, Sabena, Alitalia, ecc.) o americane (TWA, AAL, ecc.); 2) abbreviazione dei percorsi con l'introduzione di sistemi di trasporto rapidissimi (apparecchi a reazione, ecc.); 3) moltiplicazione delle linee e dei servizî in genere; 4) creazione di aeroporti internazionali grandiosi, dotati di tutti i più moderni servizî; 5) aumento della capacità degli aerei con conseguenti accresciute possibilità di trasporto viaggiatori, posta e anche merci; 6) ampliamento del raggio delle linee internazionali col moltiplicarsi dei servizî transoceanici e transcontinentali; 7) crescente diffusione degli elicotteri per i brevi percorsi.
Bibl.: A geography of Europe, a cura di G. W. Hoffman, con contributi di varî collaboratori, Londra 1953; J. M. Houston, A social geography of Europe, Londra 1953; N. J. G. Pounds, Europe and the Mediterranean, New York-Londra 1953; Europa Aeterna. Eine Gesamtschau über das Leben Europas und seiner Völker Kultur, Wirtschaft, Stadt und Mensch, 2 voll., Zurigo-Metz 1954-55; R. Almagià, Il mondo attuale, I, 2ª ed., Torino 1960.
Europa federale.
Il Consiglio d'E., il cui statuto fu firmato a Londra il 5 maggio 1949 da dieci nazioni - cui successivamente si aggiunsero altri cinque stati -, rappresentò la conclusione di un intenso processo di iniziative e proposte aventi lo scopo di restaurare e consolidare la solidarietà e l'unità europea, svoltosi dopo la seconda guerra mondiale. (v. paneuropa, XXVI, p. 189, App. II, 11, p. 500).
Il Consiglio d'Europa era essenzialmente un'istituzione intergovernativa. Uno dei suoi due organi fondamentali, il Comitato dei ministri, era emanazione diretta dei governi: ogni stato vi delegava un proprio rappresentante, le deliberazioni erano prese di regola all'unanimità e rivestivano la forma di raccomandazioni alle quali i governi non avevano espresso obbligo di attenersi, cosicché gli accordi che ne risultavano erano negoziati, firmati e ratificati secondo la normale procedura dei trattati internazionali. Qualche elemento nuovo si individuava soltanto nell'altro organo fondamentale del Consiglio, l'Assemblea consultiva, i cui membri non rappresentavano né i governi né in senso stretto i parlamenti nazionali, sebbene spettasse a questi di stabilire le norme della loro designazione: una volta nominati, i delegati svolgevano il loro mandato a titolo personale, non avevano alcun vincolo di dipendenza dagli organi nazionali che li avevano eletti o designati, esprimevano opinioni che impegnavano soltanto loro stessi. Questa caratteristica appariva evidente anche dalla topografia dell'Assemblea, dove i delegati siedevano in ordine alfabetico e non per gruppi nazionali o di ideologia politica.
Si trattava, in sostanza, di una vera e propria Assemblea europea, le cui possibilità di sviluppo erano però soffocate dal fatto che essa non possedeva nessun potere proprio di decisione ed era subordinata al Comitato dei ministri, cioè ai rappresentanti dei governi nazionali. La realtà era che il Consiglio d'Europa era nato da un compromesso tra l'obiettivo inglese di un organo intergovernativo e quello continentale di un organo parlamentare con ampî poteri sovranazionali. Il contrasto iniziale tra la concezione "federalista" dei paesi continentali e quella "funzionalista" propria di Londra e degli Scandinavi continuò a farsi sentire anche in seguito, aggiungendo alle difficoltà dei contrasti già esistenti tra gli stessi paesi continentali ulteriori ostacoli sulla via di un effettivo coordinamento della politica degli stati dell'Europa occidentale in seno al Consiglio d'Europa.
Date queste premesse, è naturale che il Consiglio d'Europa non conseguisse risultati importanti sulla strada dell'unificazione europea e deludesse rapidamente le speranze sollevate dalla sua nascita. La sua riluttanza o, più propriamente, impossibilità ad evolversi nella direzione auspicata dai federalisti, determinò numerosi momenti di crisi, il più grave dei quali venne sottolineato dalle dimissioni del belga P. H. Spaak dalla presidenza dell'Assemblea consultiva, l'11 dicembre 1951. Tale sua impossibilità non significò però che esso fosse insensibile alle esigenze federalistiche. Fin dalla sua prima sessione, infatti, l'Assemblea consultiva incluse nel suo ordine del giorno "lo studio dei cambiamenti nella struttura politica dell'Europa che potrebbero essere necessarî per realizzare quella unione più stretta" che il Consiglio aveva lo scopo di promuovere tra i suoi membri. Contro tale argomento, che era stato iscritto per pressione di delegati che sostenevano la necessità di istituire una autorità politica europea a carattere sovranazionale, capace di rompere il principio della sovranità assoluta degli stati, ormai ritenuto estraneo alla realtà storica, insorsero coloro che negavano la possibilità di dare sollecite soluzioni costituzionali ai problemi europei. Dalle due opposte tendenze nacque il compromesso di una risoluzione in cui l'Assemblea dichiarava di considerare "come suo scopo e obiettivo l'istituzione di un'autorità politica europea, con funzioni limitate, ma dotate di poteri reali". Tale risoluzione ha notevole importanza, storicamente, poiché da essa prese le mosse la realizzazione dell'idea funzionalistica, cioè della graduale integrazione, settore per settore, del continente europeo: idea che fu alla base della Comunità del carbone e dell'acciaio, del fallito progetto di Comunità difensiva, degli studî per una Comunità politica, e dei trattati istitutivi della Comunità economica europea e della Comunità atomica.
La parte più positiva dell'attività del Consiglio d'Europa si svolse nel senso di armonizzare le legislazioni e le iniziative degli stati membri in materia sociale e culturale: progetto di una Carta sociale europea del lavoro, costituzione (1959) di una Corte europea dei diritti dell'uomo, progetto per realizzare l'equivalenza dei diplomi universitarî, facilitazioni d'altro genere nel campo degli studî, iniziative per la progressiva eliminazione dei passaporti fra i cittadini dei paesi membri.
La direttiva volta a promuovere l'unificazione europea per gradi e su linee funzionali partì dalla preoccupazione principale di spezzare, con questa formula, il circolo del risentimento e del sospetto franco-tedesco che appariva politicamente l'ostacolo principale all'obiettivo dell'integrazione. Da questa preoccupazione derivarono, nel 1950, due iniziative: la prima, promossa dal ministro degli Esteri francese R. Schuman, tendeva a creare una Comunità europea del carbone e dell'acciaio, con ciò risolvendo i contrasti per il controllo della produzione del bacino della Ruhr; la seconda, presa dal primo ministro francese R. Pleven, si proponeva di conciliare le esigenze di rafforzamento della sicurezza occidentale - divenute impellenti con lo scoppio della crisi di Corea -, attraverso la partecipazione tedesca, con la riluttanza di alcuni stati occidentali, in primo luogo la Francia, a consentire il riarmo della Germania, mirando alla costituzione di un esercito europeo integrato di cui avrebbero fatto parte contingenti tedeschi. Mentre la costituzione di una Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA) andò rapidamente in porto con la firma del trattato relativo il 18 aprile 1951 e con la sua entrata in vigore il 25 luglio successivo, il progetto per la Comunità difensiva (CED), pur firmato il 27 maggio 1952, vide sempre più allentarsi i consensi, una volta attenuati i timori di pericoli immediati sullo scacchiere internazionale e, nonostante le pressioni statunitensi - il segretario di stato J. Foster Dulles minacciò un "angoscioso riesame" della politica del suo paese -, l'opposizione anticedista finì col prevalere nel voto della Assemblea nazionale francese il 30 agosto 1954, bocciando definitivamente l'obiettivo di integrazione militare. I tentativi per trovare una soluzione di ricambio alla CED e di riprendere l'iniziativa europeistica portarono, grazie all'attiva opera del ministro degli Esteri britannico A. Eden, alla creazione di un nuovo sistema difensivo europeo basato sull'estensione all'Italia e alla Repubblica Federale di Germania del patto di Bruxelles del 17 marzo 1948 tra Belgio, Francia, Gran Bretagna, Lussemburgo e Olanda, che aveva avuto fino allora una vita puramente formale: nacque così, il 23 ottobre 1954, l'Unione dell'Europa occidentale (UEO), mentre il problema immediato del contributo militare tedesco veniva risolto con l'adesione al Patto Atlantico della Repubblica federale.
Per risollevare le sorti del movimento europeistico - tanto duramente scosso dal fallimento della CED e che aveva presentato una ulteriore espressione della sua crisi nell'immediato insabbiamento del progetto di statuto di una Comunità politica presentato nel marzo 1953 in sede di Consiglio d'Europa dall'apposita commissione costituzionale -, venne promosso, poco dopo la firma dell'UEO, un "rilancio europeo", condizionato però dal ripiegamento dei fautori dell'integrazione su soluzioni fondate sopra base interstatale e intergovernativa. Su tali basi, infatti, furono avviati, alle conferenze di Messina e di Noordwijk, tra il giugno e il settembre 1955, lo studio per la creazione di un mercato comune europeo e, successivamente, un progetto per l'utilizzazione comune della energia atomica, con la partecipazione di Francia, Germania, Italia e paesi del Benelux. Lo sforzo sfociò nei trattati costitutivi della CEE e dell'EURATOM, firmati a Roma il 25 marzo 1957.
La conclusione di questi trattati fu seguita dal tentativo, promosso principalmente dalla Gran Bretagna, di creare un collegamento organico tra i paesi della Comunità economica europea e gli altri stati dell'Europa occidentale che, per ragioni o politiche, come la Svizzera, l'Austria e la Svezia, o economiche, come la Gran Bretagna, non potevano aderire alla CEE. Fallito un primo tentativo di accordo multilaterale, nel corso del 1959 si andò delineando un nuovo raggruppamento di stati (Austria, Danimarca, Gran Bretagna, Norvegia, Portogallo, Svezia e Svizzera), che il 20 novembre di quell'anno diede vita alla cosiddetta "zona di libero scambio". Con ciò risultava evidente che il mezzo di giungere alla integrazione politica attraverso la creazione di istituzioni specializzate creava il pericolo di portare alla scissione economica e quindi anche politica dell'Europa.
Il continuo alternarsi di "crisi" e "rilanci" dell'europeismo fu l'inevitabile conseguenza del modo come era stato impostato il problema dell'unificazione. Innanzitutto si creò una distinzione, spintasi sino alla contrapposizione, tra la "grande Europa" e la "piccola Europa" dei Sei: esclusa prima l'Europa orientale a regime comunista, esclusi poi i paesi occidentali non facenti parte dei Sei, esclusi ancora per varie ragioni la Svizzera, l'Austria, la Spagna e il Portogallo, l'Europa da organizzare si venne a ridurre ad un assai ristretto numero di paesi. Oltre che mutilata territorialmente, l'idea federalistica fu ancora più gravemente colpita sul piano ideologico, poiché l'unione, sia pure di un numero piccolo di paesi, venne considerata quale mezzo per raggiungere un fine politico e diplomatico immediato. Secondo la concezione federalistica, invece, le istituzioni specializzate avrebbero dovuto costituire il mezzo, mentre l'unione il fine ultimo. La necessità, del resto, d'un superiore organismo unitario politico apparve chiara dalle difficoltà di funzionamento delle istituzioni specializzate. È difficile superare la contraddizione tra alcuni strumenti di integrazione a carattere sovranazionale e una funzione politica, incaricata di dirigere e impiegare tali strumenti, che si svolge nell'ambito della tradizionale cooperazione tra stati sovrani. Se il processo d'integrazione è nell'effettiva volontà dei governi che se ne sono fatti promotori, il superamento di tale contraddizione appare indispensabile. A buon motivo vi insistono i varî movimenti federalisti, l'ultimo dei quali, e più autorevole, fu fondato l'11 ottobre 1956, con la denominazione di "Comitato d'azione per gli Stati Uniti d'Europa", da Jean Monnet con la partecipazione di rappresentanti dei partiti democratici dell'Europa occidentale.
Bibl.: P. Reynaud, Unite or perish: a dinamic programm for United Europe, New York 1951; Conseil de l'Europe, Vers une politique européenne, Strasburgo 1953; R. d'Harcourt ed altri, Dix ans d'efforts pour unir l'Europe, 1945-1955, Parigi 1955; C. G. Haines, European integration, Baltimora 1957; A. Spinelli, Manifeste des fédéralistes européens, Parigi 1957.