EUSEBIO di Cesarea
Vescovo di Cesarea (di Palestina), dove forse era nato, tra il 260 e il 265. Durante molti anni visse in stretta relazione con Panfilo che, diventato presbitero della Chiesa, aveva fondato in Cesarea un centro di cultura cristiana, simile al Didaskaleion di Alessandria, continuando la tradizione iniziata da Origene e i suoi lavori sul testo della Bibbia. Con Panfilo, E. collaborò, e collazionò codici; dall'amico, prese anche a designarsi come τοῦ Παμϕύλου ("di Panfilo": possessivo, non patronimico), forse non soltanto per amicizia, ma perché, se non proprio schiavo, in qualche modo dipese da lui, spiritualmente e materialmente. Scoppiata nel 303 la persecuzione dioclezianea, in cui Panfilo fu martire (310), E. gli fu per qualche tempo compagno di prigionia; ma in quegli anni fu anche a Tiro e in Tebaide. Tornato a Cesarea, vi divenne presbitero e, intorno al 313, vescovo. Per l'importanza della sede e per il suo valore personale acquistò presto influenza: così, pronunciò l'omelia solenne per la dedicazione della chiesa di Tiro. Ma la sua reale partecipazione agli avvenimenti ecclesiastici e politici incomincia dopo il 323, quando Costantino è unico imperatore, ed E. si trova immischiato nella controversia ariana, sostenendo Ario contro il vescovo Alessandro. Perciò E. fu condannato nel concilio di Antiochia; ma a Nicea, per accondiscendere al desiderio di Costantino che lo aveva sostenuto, egli accettò il celebre Credo che definiva il Figlio "consustanziale al Padre" (v. arianesimo). Ma ben presto E. fu tra coloro che indussero Costantino a mutare rotta: in prima linea nel combattere Eustazio d'Antiochia; morti Paolino e Eulalio fu anche chiamato a questa sede, che non accettò, in omaggio al canone niceno che vietava i trasferimenti; combatté accanitamente Marcello d'Ancira (v.), e anche sant'Atanasio, che avrebbe dovuto essere giudicato, in un nuovo sinodo, appunto a Cesarea (dove Atanasio non comparve) e fu condannato nel sinodo di Tiro (335), cui E. partecipò. Con gli altri vescovi salì quindi a Gerusalemme, ove assisté all'inaugurazione della nuova chiesa eretta dall'imperatore e passò a Costantinopoli. Qui tenne il panegirico in occasione dei Tricennalia di Costantino, che lo aveva onorato in varî modi, ordinandogli anche di procurare le cinquanta copie della Bibbia greca occorrenti per le chiese della Nuova Roma. Morì un 30 maggio, fra il 337 e il 340, probabilmente il 339.
L'attività letteraria di E. fu abbondante e molteplice e tutta ispirata da preoccupazioni apologetiche. Dei suoi scritti, non tutti sono pervenuti fino a noi; ma il confronto con le notizie e gli elenchi fornitici da San Girolamo (De vir. ill., 81), Fozio (Bibl., codd. 9, 13, 27, 37, 118, 127) e 'Ebed-Jesu (in Assemani, Bibl. Or., III, 1, 18) ci assicura che abbiamo la maggiore e miglior parte di essi, sia intera sia in frammenti, nell'originale o in versioni (siriache, armene e latine).
Scritti biblici ed esegetici: - Oltre ai lavori sul testo greco, di cui rimane traccia in alcuni codici (come il Marchalianus, Q, dei Profeti), conviene ricordare in primo luogo i Canoni evangelici (Εὐαγγελικοὶ κανόνες) destinati a ritrovare i passi paralleli, registrando in varie tabelle, a seconda della loro appartenenza a quattro, tre, due o un solo vangelo, i numeri delle brevi sezioni in cui E. divise il testo, e l'Onomasticon (Περὶ τῶν τοπικῶν ὀνομάτων τῶν ἐν τῇ ϑείᾳ γραϕῇ), ultima parte, e sola pervenutaci, di una più vasta opera di geografia biblica: è un dizionario dei nomi geografici, in greco, contenuti nella Bibbia; fu tradotto in latino e rimaneggiato da san Girolamo. Dei commenti di E. abbiamo abbondanti frammenti (ritrovati in catene dal Montfaucon, dal Mai, dal Pitra e da G. Mercati) di quello sui Salmi, che Eusebio di Vercelli (v.) avrebbe tradotto in latino, molto minori di quello a Isaia, notizia o poco più di quelli a Geremia, Ezechiele, Daniele, Proverbî e Cantico dei cantici. Solo da citazioni conosciamo uno scritto sulla poligamia dei Patriarchi (Περὶ τῆς τῶν πάλαι ϑεοϕιλῶν ἀνδρῶν πολυγαμίας τε καὶ πολυπαιδίας); e possiamo collocare qui l'opera sulla Pasqua (Περὶ τῆς τοῦ Πάσχα ἑορτῆς), dedicata a Costantino, per combattere l'uso antiocheno di celebrare la Pasqua nello stesso giorno degli Ebrei, condannato a Nicea. Frammenti greci e siriaci, e un riassunto altrui abbiamo d'un'opera, Problemi evangelici e soluzioni (Περὶ τῶν ἐν εὐαγγελίοις ζητημάτων καὶ λύσεων o, secondo san Girolamo, Περὶ διαϕωνίας εὐαγγελίων) che in due parti, dedicate rispettivamente a uno Stefano e a un Marino, tratta di discrepanze e altri problemi, dell'inizio e della fine dei vangeli. Per l'epoca in cui fu composta (tra la Praeparatio e la Demonstratio) e per altre ragioni si ricollega, con i Canoni, alla categoria seguente.
Scritti apologetici e dogmatici. - Sono i più numerosi; alcuni assai importanti. Contro Ierocle, preside della Bitinia, che in un suo Φιλαλήϑης λόγος aveva esaltato, contro Gesù, Apollonio di Tiana, E. scrisse, subito dopo la persecuzione, un'opera polemica (Πρὸς τοὺς ὑπὲρ 'Απολλωνίου τοῦ Τυανέως ἱεροκλέους λόγους), così come in un'opera più vasta, in 25 libri, di cui abbiamo solo scarsi frammenti, egli combatté Porfirio; perduto è lo scritto, in due libri, intitolato Confutazione e difesa ("Ελεγχος καὶ ἀπολογία). Più vasta e generale, la Introduzione generale elementare (Καϑόλου στοιχειώδης εἰσαγωγή), che doveva comprendere almeno 10 libri, di cui i primi 5, per gli audientes (ἀκροώμενοι) che ricevevano la prima istruzione cristiana, contenevano le prove bibliche di Cristo; i successivi, dal VI al IX, sono i Passi scelti dai Profeti (Περὶ τοῦ Χριστοῦ προϕητικαὶ ἐκλογαί) in cui sono spiegate a catecumeni e fedeli le profezie messianiche dell'Antico Testamento. Le due parti di quest'opera corrispondono probabilmente ai due libri designati da Fozio come 'Εκκλησιαστικὴ προπαρασκευή e 'Εκκλησιαστικὴ ἀπόδειξις.
Rifacimento e rielaborazione dell'Introduzione elementare sono le due opere cui è massimamente legata la fama di E. come apologeta, cioè la Preparazione evangelica (Εὐαγγελικὴ προπαρασκευή) e la Dimostrazione evangelica (Εὐαγγελικὴ ἀπόδειξις) che costituiscono in realtà un'opera unica. E. vi ribatte le accuse rivolte al cristianesimo da pagani e da giudei: i primi rimproverano ai cristiani di aver abbandonato i culti nazionali per la religione degli Ebrei; i secondi, di voler usurpare il posto riservato al popolo eletto, respingendo d'altra parte le prescrizioni della Legge mosaica. Contro i primi, nella Praeparatio (libri 15), E. soprattutto esalta il monoteismo, riprendendo le argomentazioni dell'apologetica giudaica e cristiana sulla maggiore antichità di Mosè rispetto ai filosofi greci e sulla derivazione di questi (specialmente Platone) da quelli. Ma il cristianesimo è superiore, specie per quanto riguarda la morale; Cristo ha sostituito il suo regno a quello dei varî demoni, e ciò ha coinciso storicamente con l'unificazione e la pacificazione del mondo compiuta da Augusto. Per combattere i pagani (in particolare Porfirio) con le loro stesse armi, E. abbonda nelle citazioni. Contro i giudei, la Demonstratio si fonda sul fatto che il cristianesimo contiene in sé quanto costituisce la vera essenza del giudaismo come religione rivelata ed è l'adempimento delle profezie. Dei 20 libri della Demonstratio abbiamo i primi 10 e frammenti del XV. Le due opere furono compiute tra la fine del 314 e prima del 323.
Di carattere quasi solo in apparenza teologico è la cosiddetta Teofania (Περὶ ϑεοϕανείας "Sulla manifestazione di Dio"). I primi tre libri trattano del Logos divino creatore e reggitore dell'universo, dell'anima umana, immortale perché ragionevole, della necessità della redenzione dell'uomo per opera del Logos: ma, rivolti a lettori pagani, ripetono le argomentazioni delle opere apologetiche; e questo carattere appare più evidente nei libri successivi, il IV, rifacimento d'uno scritto più antico (citato in Praep. ev., I, 3, 12) sulla realizzazione delle profezie messianiche, e il V, che riproduce la confutazione della diceria che Gesù fosse un mago, data già nella Demonstratio (III, 3-7). Ne abbiamo frammenti greci e una versione siriaca. Qualche frammento si riferisce anche a una Seconda manifestazione (Δευτέρα ϑεοϕάνεια) di Cristo alla fine dei tempi. Questo scritto doveva avere carattere polemico contro il millenarismo: forse combatteva Metodio d'Olimpo (avversario dell'escatologia origeniana), forse Marcello d'Ancira, contro il quale E. scrisse due opere (Κατὰ Μαρκέλλου e Περὶ τῆς ἐκκλησιαστικῆς ϑεολογίας). Infine va ricordata l'Apologia di Origene, di cui E. scrisse in collaborazione con Panfilo i primi cinque libri (il I tradotto in latino da Rufino d'Aquileia) e da solo il VI; E. combatteva Metodio d'Olimpo e narrava diffusamente i contrasti di Origene col suo vescovo Demetrio. Di Origene, E. raccolse anche le lettere.
Scritti storici. - Primo in ordine di tempo è la Cronaca (Χρονικοὶ κανόνες καὶ ἐπιτομὴ παντοδαπῆς ἱστορίας ‛Ελλήνων τε καὶ βαρβάρων), composta circa il 303. Una prima parte è un'esposizione dei sistemi cronologici dei Caldei, Assiri, Ebrei, Egizî, Greci e Romani; la seconda contiene una serie di tabelle in cui gli anni sono disposti in colonne parallele secondo le ere registrate nella prima parte, indicando ogni anno almeno mediante due notazioni in due serie diverse, in modo da porre in evidenza i sincronismi; e registrando anche alcuni avvenimenti di particolare importanza. Le varie serie si riducono da ultimo a quella degl'imperatori romani; così come in fine le notizie riguardanti il cristianesimo si fanno predominanti. Si manifestano già in queste particolarità le idee apologetiche di E., che a base della sua cronologia scelse la nascita di Abramo (2016-2015 a. C.): fatto notevole, se si pensi che Giulio Africano (della cui Cronografia E. si servì), essendo millenarista, incominciava con la creazione del mondo, al quale assegnava una durata di 6000 anni, ponendo la nascita di Gesù all'inizio della sesta e ultima epoca, cui doveva seguire il millennio.
Della Cronaca la prima parte ci è nota attraverso una traduzione armena; la seconda nella rielaborazione latina di S. Girolamo, il quale, come del resto il traduttore armeno, non possedeva più l'opera originale, che dovette essere rimaneggiata da un incompetente.
La fama di E. è particolarmente legata alla Storia ecclesiastica ('Εκκλησιαστικὴ ἱστορία). Egli stesso dice di voler in essa dare un racconto completo degli avvenimenti compendiati nella Cronaca; e che scopo dell'opera è narrare le serie dei successori (διαδοχαί) degli apostoli, con i vescovi delle sedi più insigni e con i maestri che in ogni generazione hanno annunciato la parola divina, a voce o per iscritto; gli eretici; le sventure con cui sono stati puniti i Giudei; le lotte sostenute dalla parola divina contro i pagani; coloro che per essa hanno versato il sangue o sofferto supplizî e i martirî contemporanei; infine il soccorso misericordioso e clemente concesso dal Salvatore (I, 1, 1-2; 4; 6).
Appaiono pertanto chiari i motivi apologetici, cui la storia s'ispira: contro gli eretici, con l'affermazione della continuità della tradizione dagli apostoli in poi; contro i pagani, con questa affermazione e con il ricordo delle persecuzioni e dei martirî, cui la Chiesa è sopravvissuta, sino alla liberazione; contro i Giudei, con il ricordo delle sventure onde furon colpiti, avendo essi perduto il diritto di considerarsi come il popolo eletto. Ma la storia - che è la prima opera del genere - è più che altro una raccolta di materiali, per noi preziosi, ma non fusi in un racconto veramente seguito. I primi cinque libri incominciano l'esposizione con capitoli apologetico-dogmatici intorno a Cristo e la continuano senza ordine rigoroso, secondo lo schema tracciato nel prologo; il VI è dedicato quasi soltanto a Origene, il VII consta quasi tutto di estratti dalle lettere di Dionisio d'Alessandria o di dati ricavati per lo più da esse, salvo un'ampia parentesi (cc. 12-19) e la fine (c. 26 segg.) che potrebbero conservare tracce di ritocchi e meriterebbero un esame attento. Il libro finisce con l'annuncio che E. narrerà d'ora innanzi le lotte sostenute per la religione dai suoi contemporanei. È questo, tra i punti accennati nella prefazione, il solo che non sia stato trattato finora. L'VIII libro racconta infatti la persecuzione di Diocleziano e dei suoi colleghi e successori, fino all'editto di tolleranza di Galerio (30 aprile 311); il IX tratta della ripresa della persecuzione sotto Massimino, fino alla sconfitta di Massenzio per opera di Costantino, all'editto di tolleranza di Massimino, alla sua morte dopo la sconfitta subita da Licinio; il X tratta della pace concessa alle chiese, riferisce il discorso tenuto da E. per la dedicazione della basilica di Tiro, e quindi sei costituzioni imperiali, la più recente delle quali è la lettera a Cresto di Siracusa che lo convoca al concilio di Arles, per il 1° agosto 314; gli ultimi due capitoli narrano la persecuzione dei cristiani fatta da Licinio e la vittoria definitiva di Costantino.
È dunque chiaro che gli ultimi tre libri sono stati suggeriti a E. dallo svolgersi degli avvenimenti; egli ha veduto scatenare la persecuzione e concedere la pace alla Chiesa per ben tre volte prima della vittoria definitiva, e ha quindi ripreso la sua opera per aggiornarla con aggiunte e con correzioni delle parti precedenti. Ma in che maniera precisamente ciò sia avvenuto, è più difficile dire. E. Schwartz ha, comunque, il merito di avere stabilito che la stessa tradizione manoscritta, eccezionalmente buona, della Storia ecclesiastica conserva la testimonianza dei rimaneggiamenti compiuti dall'autore. Secondo lui, che si stacca in ciò dai predecessori (eccettuato, in parte, il Mancini), la prima redazione (o "edizione") della storia abbracciava otto libri, terminando con l'editto di Galerio del 311; sarebbe composta dopo il 30 aprile 311 e compiuta quando non si poteva prevedere la fine della persecuzione. Una seconda edizione comprendeva dei rimaneggiamenti nel libro VIII (13-15), il libro IX e la raccolta delle costituzioni imperiali; sarebbe stata ultimata nel 315, quando Costantino e Licinio assunsero insieme il consolato; la terza edizione avrebbe portato un nuovo rimaneggiamento di VIII, 13, posteriore alla morte di Diocleziano, e l'aggiunta del libro X con il discorso di Tiro, seguito dalla raccolta delle costituzioni trasportate qui dalla fine del libro IX. Un'ultima revisione, che aggiungeva il racconto della persecuzione e della sconfitta di Licinio e modificava i libri precedenti per mettere l'opera d'accordo con le idee diffuse nella corte di Costantino, sarebbe di poco posteriore alla morte di Licinio (324) e anteriore al concilio di Nicea (325). Infine, E. avrebbe tolto, dopo la morte di Crispo (326) ogni allusione a questo figlio di Costantino. Di queste conclusioni sono state particolarmente combattute quelle che riguardano le due edizioni del libro X e che concernono la forma originaria dell'opera. Secondo il Lawlor, E. avrebbe quasi terminato l'opera secondo il piano originario, in 7 libri, allorché l'editto di Galerio lo indusse ad aggiungere l'VIII, terminando il suo lavoro tra il maggio e il novembre 311; in seguito, egli avrebbe aggiunto il libro IX, verso la fine del 313 e il X, tra la fine del 324 e il principio del 325. Il Laqueur ritiene che a una prima redazione in 7 libri ne sarebbe seguita una seconda con l'aggiunta dell'VIII e quindi di un'appendice per narrare gli avvenimenti del 313; in seguito, venuto a conoscenza di nuove fonti e documenti, e compilato il discorso di Tiro, E. avrebbe accresciuto l'opera e scomposto in due parti il libro VIII (cioè i nostri VIII e IX) e aggiunto il X, dopo il 317. I rimaneggiamenti introdotti nei libri precedenti avrebbero tutti il carattere singolare di essere stati fatti solo mediante aggiunte. Oltre le difficoltà sollevate da ciascuna, è da notare che tutte queste costruzioni critiche hanno un carattere di assolutezza, una rigidità, che lascia perplessi. Assumere, p. es., come termine finale per la redazione della storia il concilio di Nicea, di cui E. non parla, sarebbe un errore, dato il suo subordinazionismo; ed E. tace, per es., anche di Metodio d'Olimpo. Non è quindi impossibile che la prossima fase della critica consista nel riconoscere che le correzioni e i rimaneggiamenti siano stati introdotti dall'autore nel suo manoscritto in momenti diversi, forse anche occasionalmente e durante una lunga serie di anni.
Lo scritto Sui martiri di Palestina (Περὶ τῶν ἐν Παλαιστίνῃ μαρτυρησάντων) ci è giunto in due redazioni diverse. Una, più breve, è conservata da alcuni manoscritti della Storia ecclesiastica dopo l'VIII libro, da altri dopo il X (in altri ancora, manca del tutto); la seconda, più lunga, è nota in una versione siriaca, pubblicata dal Cureton, e in frammenti del testo greco. Per di più, il libro VIII della storia contiene un racconto abbreviato delle "sante lotte dei testimoni (martiri) della parola divina", di cui principio e fine (2, 4 e 16, 1) coincidono con l'inizio e la fine dei Martiri di Palestina; d'altronde in questo stesso libro E. dichiara che descriverà minutamente in un altro scritto gli atti dei martiri ai quali è stato presente. Si ritiene generalmente che la recensione breve sia più antica; ma altri la considerano un riassunto, fatto più tardi per i lettori della storia. Secondo lo Schwarz, la recensione breviore era in origine appunto un'appendice al libro VIII della storia; il Laqueur invece ha emesso l'ipotesi che il trattatello in origine fosse parte della Storia ecclesiastica e venisse solo più tardi sostituito dal riassunto.
La terza opera storica importante di E. è la cosiddetta Vita di Costantino (Εἰς τόν βίον τοῦ μακαρίου Κονσταντίνου Βασιλέως). Essa non è, in realtà, una biografia ma un encomio e una delineazione del carattere dell'imperatore e delle sue benemerenze verso la religione. Oltre alle molte ragioni di gratitudine verso Costantino possono aver indotto E. a scrivere il desiderio d'influire sulla politica religiosa di Costanzo II e la considerazione che i successi politici e militari del grande imperatore fossero unicamente da attribuire alla protezione divina che s'era acquistata con la sua pietà religiosa; questa è per E. la sola cosa che conti nella vita d'un sovrano: l'uomo di stato e il condottiero sono da lui interamente trascurati. L'opera, come ha dimostrato G. Pasquali, fu da E. rimaneggiata per adattarla alla situazione politica creatasi alla morte di Costantino. E. v'introdusse anche nuovi documenti che, non ostante i dubbî del Crivellucci, sono ormai, dopo la dimostrazione di A. Heikel, riconosciuti autentici.
Ciò non significa che E. possa sempre e in tutto ritenersi uno storico attendibile. Nella Storia ecclesiastica egli trascrive larghi brani dalle sue fonti; ma, a parte errori e distrazioni che potrebbero essere opera di segretarî che copiavano poco attentamente i brani indicati da E. (talvolta inseriti malamente), egli omette spesso parti anche abbastanza lunghe e importanti, e, a quanto pare, non senza motivo. Analogo modo di procedere si riscontra nella Vita di Costantino, dove, p. es., E., nella narrazione relativa al concilio di Nicea tace della condanna di Ario. Il suo temperamento di filologo e le sue abitudini di bibliotecario si manifestano in ciò che hanno di buono e di cattivo: così egli tratta le "successioni" episcopali in maniera non dissimile da quelle dei filosofi, applica i metodi della filologia alessandrina agli scrittori cristiani, anche eretici: l'autenticità e la data degli scritti sembrano interessargli più che le idee. Ma anche, nell'usare volumi che dovevano contenere opere svariate (di un solo o di più autori), gli avviene di scambiare l'ordine in cui sono disposte con quello cronologico. Infine, le sue preferenze teologiche traspaiono qua e là nettamente, non solo a proposito del dogma trinitario, ma anche del canone biblico: trattando del quale, a varie riprese, egli ha modo di sfogare - henché solo indirettamente e mantenendosi in apparenza neutrale - la sua avversione per l'Apocalisse.
Si manifesta in ciò, ancora una volta, il suo antimillenarismo che è conseguenza non solo della sua adesione alla teologia origeniana e in genere alle correnti che miravano a mettere d'accordo il cristianesimo con la filosofia greca (onde la sua apologetica, che si ricollega alle dottrine degli apologisti greci deI sec. II e del III e che, pur svalutando in apparenza la cultura classica, finisce, ammettendone la derivazione dalla Bibbia, col riabilitarla), ma anche della sua particolare concezione dei rapporti tra l'Impero romano e la nuova religione. Tertulliano riteneva che le qualità di cristiano e di Cesare non potessero coesistere nella stessa persona; E. esalta in Costantino l'imperatore cristiano e protetto da Dior il nuovo Mosè che trasse in salvo il popolo di Dio. Si è detto che per sua bocca parla la Chiesa vittoriosa del sec. IV, e si è anche detto ch'egli appartiene spiritualmente al periodo che precede l'editto di Milano. In realtà, E. rappresenta la transizione tra i due periodi, il perpetuarsi d'una tradizione precedente con il necessario adattarsi ai tempi nuovi, la Chiesa che ha trionfato della persecuzione ma si sottomette all'imperatore, che E. ammira e venera sinceramente, per un'effettiva concordia spirituale.
Scritti minori. - Tra le opere storiche si potrebbero includere ancora la biografia di Panfilo, perduta, e una raccolta di antichi atti di martiri, pure essa perduta. Alla Vita di Costantino tengono dietro un discorso da lui diretto "all'assemblea dei santi" (Λόγος ὃν ἔγραψε τῷ τῶν ἁγίων συλλόγῳ); sulla relazione di questa versione greca con l'originale, indubbiamente latino, si è molto discusso; e la cosiddetta Laus Constantini. giustapposizione di due opere diverse: il Τριακονταετηρικός, cioè il discorso pronunciato da E. in occasione dei Tricennalia di Costantino (cc. 1-10), e il Βασιλικός, altro discorso rivolto a Costantino e tenuto a Gerusalemme, ma in realtà estratto dalla Teofania, intorno alla divinità del Logos (capitoli 11-17). Possiamo aggiungere un discorso in onore dei martiri, pervenutoci in siriaco, e alcune lettere (intere o frammentarie), come quella che E. inviò alla comunità di Cesarea per giustificare il suo atteggiamento a Nicea, e quelle altre, in cui E. difende Ario, che fornirono più tardi argomenti anche agl'iconoclasti. Queste, oltre il suo filoarianesimo e l'origenismo, nonché la duplicità segnalata da Socrate (Hist. eccl., I, 23) fecero sì che il secondo concilio di Nicea (VII ecumenico, 787) escludesse E. dal novero dei testimoni della fede ortodossa.
Ediz.: Le edizioni antiche sono riprodotte in Patrologia graeca, XIX-XXIV; di un'edizione moderna in Die griechischen christlichen Schriftsteller der ersten drei Jahrhunderte sono apparsi i seguenti volumi: Eusebius Werke, I (Vita di Costantino, ecc., a cura di I. A. Heikel, Lipsia 1902); II (Storia ecclesiastica, a cura di E. Schwarz, trad. lat. di Rufino, a cura di T. Mommsen, voll. 3, ivi 1903-1909; III (Onomastico, a cura di E. Klostermann e Teofania, a cura di H. Gressmann, voll. 2, ivi 1904); IV (Contro Marcello, Teologia eccles., a cura di E. Klostermann, ivi 1906); V (Cronaca, vers. ted. dall'armeno, di J. Karst, ivi 1911); VI (Demon. evang., a cura di I. A. Heikel, ivi 1913); VII (Cronaca; trad. lat. di S. Girolamo, a cura di R. Helm, voll. 2, ivi 1913-1926). Della Storia ecclesiastica si hanno traduzioni: francese, di E. Grapin, voll. 3 (Parigi 1905-13); inglese, di H. J. Lawlor e J. E. L. Oulton, voll. 2 (Londra, 1927-28).
Bibl.: Fondamentale, tra gli scritti moderni, l'articolo di E. Schwarz, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, Stoccarda 1909, coll. 1370-1439; O. Bardenhewer, Gesch. d. altkirchl. Literatur, III, 2ª ed., Friburgo in B. 1923, pp. 240-262 e 672 (aggiornamenti all'ediz. preced., ivi 1912); O. Stählin, in W. v. Christ, Gesch. d. griech. Litteratur, 6ª ed., Monaco 1912, p. 1359 segg.; G. Pasquali, Die Composition der Vita Costantini, in Hermes, XLV (1910), p. 369 segg.; H. J. Lawlor, Eusebiana, Oxford 1912; A. Casamassa, I documenti della "Vita Costantini", Roma 1913; P. Batiffol, Les documents de la "Vita Constantini", in Bull. anc. litt. chrét., 1914, pp. 81-95; R. Helm, De Eusebii in Chronicorum libris auctoribus, in Eranos, 1924, pp. 1-40; id., Eusebius, Chronik und ihre Tabellenform, in Abhandl. d. preuss. Akad. d. Wiss., CLIII (1923); id., Die neuesten Hypothesen zu Eusebius' (Hieronymus') Chronik, in Sitzungsber. d. preuss. Akad., 1929, p. 371; C. Caspar, Die älteste römische Bischofliste, ecc., Berlino 1926; R. Laqueur, E. als Historiker seiner Zeit, Berlino-Lipsia 1929; J. Stevenson, Studies in E., Cambridge 1929.