EUSEBIO di Nicomedia
Vescovo di questa città già nel 325, era stato, con Ario, discepolo di Luciano d'Antiochia e vescovo di Berito. A Nicomedia si rifugiò infatti Ario dopo la prima condanna, ed E. tentò di farlo reintegrare. A Nicea E. sottoscrisse la celebre formula, pur non aderendo all'anatema lanciato contro Ario; perciò venne esiliato. Ma poté tornare alla sua sede nel 328, e da allora in poi si diede a lottare contro Atanasio, che vide in lui il più temibile avversario proprio e dell'ortodossia, tanto da chiamare "eusebiani" i sostenitori di Ario. Tale E. si manifestò nei sinodi di Tiro del 335, e di Antiochia in encaeniis del 341. Nel 337, in Nicomedia, battezzò Costantino; conservò la propria influenza di vescovo cortigiano anche sotto Costanzo, anzi, nel 338, fatto cacciare il vescovo ortodosso Paolo, si fece trasferire alla sede di Costantinopoli, nonostante il divieto del concilio di Nicea (v. arianesimo, IV, p. 295). Abile nei maneggi politici, non lasciò opere teologiche; le lettere conservate (da Teodoreto, Hist. eccl., I, 5, in Patr. graeca, LXXXII, col. 914; da S. Atanasio, De syn., 17, in Patr. graeca, XXVI, col. 711; di Ario a E., in Patr. graeca, LXXXII, col. 909) hanno scopo tutto pratico.
Bibl.: A. Jülicher, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI (1909), col. 1439 segg.; G. Bareille, in Dict. de théol. cathol., V, ii, coll. 1539-1551; v. anche arianesimo.