DEGOLA, Eustachio
Nacque a Genova, in una famiglia agiata della borghesia mercantile, il 20 sett. 1761, da Giovanni Pietro. Mancano notizie dell'infanzia e dell'adolescenza: le prime informazioni che si hanno di lui sono relative all'ordinazione a diacono, avvenuta nel marzo del 1784, e a quella sacerdotale, il 17 dic. 1785. Sicuramente completò gli studi teologici sotto la guida dello scolopio G. B. Molinelli, maestro indiscusso del gruppo filogiansenista ligure: il D. ne frequentò le lezioni almeno fra il 1790 e il 1792. Contrariamente a quanto affermato dal Cantù (III, p. 474) e poi dal Ruffini (La vita religiosa, I, p. 138), non partecipò al sinodo di Pistoia del settembre 1786, le cui tesi però condivise sempre senza riserve. Conobbe Scipione de' Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, solo più tardi, durante un viaggio in Toscana, intrapreso nell'estate del 1791, nel corso del quale strinse legami anche con gli altri esponenti del riformismo anticuriale e portorealista toscano: A. Baldovinetti, F. De Vecchi, A. Longinelli, C. Mengoni, G. Pannilini e N. Sciarelli. Pur non avendo mai studiato all'università di Pisa, vi si laureò in teologia, con Paolo M. Del Mare, il 3 nov. 1796.
A quell'epoca il D. era già una personalità di rilievo nel gruppo giansenista ligure, di cui sarebbe divenuto presto il capo incontrastato. Non occupò mai, invece, alcuna posizione di rilievo nella gerarchia ecclesiastica: rifiutata nel 1793 la parrocchia di Voltri, rimase semplice prete per tutta la vita. Vivamente attratto dalla cultura e dalle vicende religiose francesi, iniziò la sua ricchissima produzione letteraria con la traduzione di un opuscolo dell'oratoriano filogiansenista francese P.-E. Guibaud, cui, con lo pseudonimo di Ireneo Filarete, aggiunse prefazione e note di intonazione portorealista e antigesuita (Gemiti di un'anima penitente ricavati dalla Divina Scrittura e dai Ss. Padri. …, Pavia 1792); del Guibaud trascrisse pure, nello stesso anno, una Memoria sulla costituzione civile del clero che provvide a far pervenire al de' Ricci. Nel 1795 pubblicava a Lugano una traduzione anonima delle Lettere di s. Paolo, con prefazione e commento di P. Quesnel (Lettere di san Paolo tradotte). Nel 1792 conobbe Benedetto Solari, vescovo di Noli, di cui divenne intimo consigliere e che riuscì a guadagnare, non senza qualche sforzo, alla causa della Chiesa costituzionale francese. Definita ormai, fra giansenismo appellante e costituzionalismo, la sua posizione religiosa, la prima sortita pubblica del D., affiancato dal Solari, avvenne in occasione della condanna papale del sinodo di Pistoia (28 ag. 1794): mentre il Solari rifiutava la pubblicazione della bolla Auctorem fidei nella sua diocesi, il D. ne difese apertamente l'operato, insistette presso il governo genovese affinché proibisse la promulgazione della bolla e, infine, inviò al de' Ricci una lettera, sottoscritta anche da Luigi Massuccone e da Francesco Carrega, in cui esprimeva totale adesione alle dottrine sinodali e suggeriva l'appello al giudizio di un concilio. Spinse inoltre il Carrega, suo fedele seguace, a scrivere una difesa del sinodo, mentre lui stesso iniziava dialoghi polemici contro la bolla papale che non vennero mai completati (Bibl. Ap. Vaticana, Vat. lat. 13.136, n. 9, cc. 99r-125r). Si occupò anche della pubblicazione e della diffusione degli scritti indirizzati dal Solari al Senato per giustificare il proprio rifiuto di pubblicare la bolla (Motivi dell'opposizione del vescovo di Noli, pubblicati, a cura del D., nelle Riflessioni in difesa di mons. S. de' Ricci..., uscite anonime [ma opera di V. Sopransi e dello stesso D.] a Lugano nel 1796 [ma 1797]).
Nel frattempo il D. era entrato in relazione anche con la Chiesa giansenista di Utrecht, avviando fin dall'inizio del 1796 un carteggio con J. B. Mouton, redattore dell'edizione olandese delle gianseniste Nouvelles ecclésiastiques: il 17 dic. 1796 inviò una "lettera di comunione" all'arcivescovo di Utrecht G. M. van Nieuwenhuysen. Da allora non smise mai il ruolo di propagandista e difensore di quella che chiamava "la Chiesa martire" e, dal 1803, fu anche uno degli amministratori dei beni posseduti dai giansenisti olandesi.
Durante il periodo della democratica Repubblica Ligure il ruolo del D. e del gruppo che a lui si riferiva fu determinante nell'ambito della nuova politica ecclesiastica. La consolidata posizione antiromana e l'ostilità nei confronti del potere temporale, giudicato quale causa primaria della degenerazione autoritaria del Papato (il D. accoglierà con favore le due successive occupazioni di Roma da parte dei Francesi), gli permisero di appoggiare senza riserve il nuovo regime, da cui sperava l'attuazione di una riforma ecclesiastica in senso giurisdizionalistico-giansenista, tramite la nascita di una Chiesa nazionale e l'attuazione di una costituzione civile del clero ligure.
Con la fondazione, avvenuta il 17 giugno 1797, degli Annali politico-ecclesiastici (dal 5 genn. 1798 solo Annali ecclesiastici), organo di stampa di una "società di zelanti amici" presieduta dal Molinelli, iniziò la breve ma intensa fase di politica attiva del D. all'interno dello schieramento moderato. Dalle colonne del settimanale, che visse fino al 7 dic. 1799 e che, nonostante fino al 10 febbr. 1798 fosse firmato da G. Poggi - da non identificare, almeno secondo Codignola (Carteggi, I, p. CXLVI), col noto giacobino - era redatto quasi completamente dal D., questi prese posizione nella polemica che divampò intorno al progetto di costituzione della Repubblica Ligure: egli respinse, appoggiato dal Solari e da V. Palmieri, gli articoli relativi alla libertà di coscienza e di culto e sostenne che "la volontà generale della Nazione [voleva] esclusivamente il culto pubblico della Cattolica Religione" (Tivegna, p. 256). Inoltre intervenne più volte a favore del ripristino, contro le "usurpazioni" papali, dell'antico uso delle elezioni popolari di vescovi e parroci: gli articoli che redasse in proposito vennero poi raccolti e pubblicati a parte col titolo di Dissertazione storico-canonica sulle elezioni ecclesiastiche alle autorità costituite, al clero e al popolo della Repubblica Ligure, Genova 1798. Soprattutto, attraverso il giornale, il D. - che si espose spesso alle critiche dei suoi stessi amici (i quali, come il Molinelli, il Solari, Tommaso Vignoli e Fabio De Vecchi, disapprovarono spesso la virulenza del suo linguaggio e la radicalità delle sue posizioni) - cercò di diffondere la convinzione che se la libertà e l'eguaglianza politica si accordavano perfettamente con le massime del Vangelo, d'altra parte anche il nuovo regime democratico non poteva né fondarsi né reggersi senza il sostegno della religione. Estraneo all'idea di separazione fra Chiesa e Stato e al processo di laicizzazione di quest'ultimo, sosteneva che compito dello Stato repubblicano, la cui autorità sovrana derivava da Dio, doveva essere la riforma della religione e la purificazione di essa da abusi e usurpazioni secolari; compito della religione la formazione di cristiani buoni cittadini. A tale scopo rispose anche l'istituzione, ideata dal D., di missionari nazionali o patriottici, di una organizzazione, cioè, approvata dal governo provvisorio nel luglio del 1797, che era formata da sacerdoti fedeli alla Repubblica incaricati di predicare fra il popolo i principî democratici e la religione. Per essi il D. compilò una Norma per le istruzioni religioso-politiche de' missionari nazionali della Liguria, Genova 1797. Le missioni, realizzate da trentanove sacerdoti per lo più appartenenti al gruppo degoliano (fra di essi, F. Carrega, L. Massuccone, e anche Stefano De Gregori e Luca Agostino Descalzi, futuri precettori di G. Mazzini) non sortirono risultati soddisfacenti e causarono molte polemiche e contrasti anche all'interno degli stessi circoli filogiansenisti.
Il tentativo di riforma della Chiesa genovese avviato, in realtà con scarso successo, dal gruppo degoliano - nel quale a torto il Codignola (Carteggi, I, p. CLVII) ha potuto ravvisare un preannunzio liberale, non cogliendone l'aspetto teocratico - doveva culminare nell'attuazione di una costituzione civile del clero ligure e si ispirava apertamente alle esperienze della Chiesa costituzionale francese. Il 27 luglio del '97, tramite la mediazione del de' Ricci, il D. era entrato in corrispondenza con Henri Grégoire, vescovo costituzionale di Blois e guida della Chiesa costituzionale francese, e diffondeva regolarmente tramite i suoi Annali le decisioni e gli atti del concilio nazionale della Chiesa costituzionale, organizzato a Parigi, appunto dal Grégoire, nell'agosto del '97. Il D., che (contrariamente a quanto sostiene il Manfredi, p. 805) non partecipò a quel concilio, ricavava i suoi articoli dalle Annales de la religion, organo del clero costituzionale, di cui egli stesso era collaboratore e che spesso rimproverò di poco rigoroso sostegno delle tesi teologiche gianseniste. Nell'ottobre del '98 inviò una "lettera di comunione" ai vescovi costituzionali. Fra la fine del '98 e l'inizio del '99 venne finalmente presentato al Consiglio dei sessanta un Rapporto e progetto di legge sull'organizzazione civile del clero, molto probabilmente opera del D., che, seguendo il modello francese, prevedeva fra l'altro le elezioni popolari dei vescovi, parità di dignità fra vescovi e parroci, stipendi per entrambi gli ordini, e nazionalizzazione dei beni ecclesiastici. Esso però non ebbe alcun seguito. Sempre del D., ma anonime, uscirono a Genova, nel 1799, le Istruzioni famigliari sopra la verità della cristiana cattolica religione.
In seguito alla capitolazione di Genova nelle mani degli Austro-Russi (4 giugno 1800), il gruppo giansenista venne perseguitato dagli avversari del partito filogesuita, guidato dall'arcivescovo di Genova Giovanni Lercari, anche a causa della parte attiva che i degoliani avevano avuto nei provvedimenti presi dal governo giacobino contro il clero antidemocratico e curialista. Ma neppure il rapido ritorno dei Francesi riportò il gruppo degoliano al potere e anzi il nuovo corso napoleonico ne confermò sempre più l'emarginazione e la debolezza. Il D. riuscì solo ad impedire per la seconda volta la nomina del suo più fiero avversario, G. B. Lambruschini, futuro vescovo di Orvieto, a vescovo coadiutore. Deluso e amareggiato nelle sue aspettative di riforma ecclesiastica, egli si volse tutto alle vicende della Chiesa costituzionale francese. Sempre più strettamente legato al Grégoire, nel giugno 1801 partì per Parigi per partecipare al secondo concilio nazionale del clero costituzionale, unico italiano insieme con G. A. Bergancini, latore di una lettera di adesione del clero di Casale, e F. Carrega, che recava la lettera del Solari. Il D. ebbe una parte importante nel concilio, sia perché ne finanziò parte delle spese coi suoi beni personali, sia perché venne incaricato della redazione di una lettera del concilio stesso al pontefice. Egli inoltre affiancò il Grégoire nella sua fiera opposizione al concordato fra la Francia e Roma (15 luglio 1801), la cui stipula determinò lo scioglimento d'autorità dell'assemblea e la fine della Chiesa costituzionale. Il D., "pieno di amarezza per la desolata prospettiva della progettata organizzazione" (cit. da De Gubernatis, p. 23, n. 1), si fermò a Parigi e si adoperò col Grégoire per impedire la dispersione e la ritrattazione del clero costituzionale: a sostegno della causa pubblicò anonimo a Parigi nel 1804, con la falsa indicazione di Losanna, L'ancien Clergé constitutionnel jugé par un évêque d'Italie, compendio di un'opera del Solari, in cui assicurava che più di seicento ecclesiastici italiani giudicavano favorevolmente la causa costituzionale. L'opera fu posta all'Indice condecreto del 26 ag. 1822.
Molto intensi furono, in questo periodo parigino, l'attività e i rapporti letterari: membro della Société de philosophie chrétienne fondata dal Grégoire, e collaboratore delle Annales de la religion, strinse amicizia con gli ex vescovi costituzionali J.-Pierre Saurine, André Constant e Claude Debertier, con gli orientalisti Sylvestre de Sacy e Prosper Audran, soprattutto con il magistrato Pierre-Jean Agier e con Jean-D. Lanjuinais: con tutto il gruppo, cioè, dei giansenisti parigini che ruotavano intorno alla chiesa di St. Séverin e al suo parroco Paul Baillet. Nel 1802 scrisse una Relation de ce qui s'est passé à l'archevêché de Paris relativement au clergé constitutionnel de Saint Etienne du Mont (riprodotta in De Gubernatis, pp. 119-22), in difesa del rifiuto del Baillet di sconfessare la costituzione civile del clero. Nel 1804 lavorò ad un'operetta in francese sul primato papale, rimasta incompiuta, che doveva ristabilire, contro le pretese dell'ultramontanismo, le reali attribuzioni che "les beaux siècles" della Chiesa conferirono ai successori di Pietro (Vat. lat. 13.136, n. 4, cc. 44r-66v). Nello stesso anno pubblicò, anonimo, sempre a Parigi, un necrologio dell'amico Vignoli (Précis de la vie du R. P. Thomas Vignoli, Paris 1804). Scrisse pure un affettuoso necrologio di A.-J.-C. Clément, giansenista, già vescovo costituzionale di Versailles: Faits historiques de la vie du revèrendissimeévêque de Versailles Mr. Clément mort à Paris le 15 mars 1804, recueillis par Mr. Degola prêtre génois et insérés dans les journeaux de Gênes, Milan et Turin, Paris 1804 (conservato a Parigi, Bibl. Arsenal, ms. 4988). Con il Clément e con il Grégoire il D. aveva progettato di scrivere un'opera che sollecitasse la "riunione delle chiese nazionali sul modello dell'antichità" (Savio, pp. 108 s.) allo scopo di contrapporsi al dispotismo romano. Infine, fu ancora il Clément che lo condusse per la prima volta in pellegrinaggio alle rovine di Port-Royal des Champs e gliene trasmise la devozione. Durante settimane e mesi, egli si dedicò a ricerche minuziose fra le rovine e a rilievi del terreno e delle pietre tombali, e compose anche dei versi francesi su Port-Royal (Effusions de coeur rimées à Port-Royal, in Gazier, II, pp. 169 s.). Scrisse inoltre delle riflessioni su Port-Royal (Su Porto Reale. Pellegrinaggio. Professione di fede, in Vat. lat. 13.136, n. 3, cc. 32r-42v, in una duplice redazione, italiana e francese, datate 8 apr. 1804), in cui egli esaltava l'operato dei "solitari" e la necessità dei pellegrinaggi per conservare la memoria e la missione portorealista (ora in Bonacchi, pp. 49-55).
Fu proprio vicino a Port-Royal, a Saint-Lambert, che il D., a imitazione del Nicole, cui del resto diceva egli stesso di ispirarsi, iniziò nel 1804 la sua fortunata opera di catechista di riformati, istruendo e convertendo al cattolicesimo la baronessa svizzera, calvinista, Anne Marie Caroline Geymüller: ella abiurò il 4 marzo 1805 nelle mani del D. che, pochi giorni dopo, la presentò a Pio VII, allora a Parigi. Egli rimase in continuo contatto con la neofita, per la quale redasse una Instruction e dei Règlements (pubblicati da De Gubernatis, pp. 437-467) che utilizzò anche per le successive conversioni: in essi raccomandava la devozione per Port-Royal, il pellegrinaggio alle rovine, la lettura di autori giansenisti, quali Racine, Nicole, Quesnel, Duguet, Mésenguy, de Sacy e, infine, preghiere particolari per la conversione degli ebrei, tema assai caro al tardo giansenismo. Anche il discorso parenetico che venne pronunciato dal D. in occasione dell'abiura (Vat. lat. 13.136, n. 13, cc. 174r-184v) era tutto incentrato sulle argomentazioni gianseniste in materia di grazia, giustificazione, predestinazione gratuita e libero arbitrio ("cette grâce toute puissante qui sans blesser le libre arbitre le prévient, le suit et lui fait faire avec une efficace que rien ne saurait arrêter tout ce que Dieu exige de nous": c. 182v), e in pratica raccoglieva insieme le più note proposizioni di Quesnel condannate dalla bolla Unigenitus. Successivamente, il 14 ag. 1806, a Noli, il D. fece abiurare anche il primogenito della Geymüller, Rodolfo Teofilo, e in quella occasione lesse un suo Sermon sur l'unité de l'Eglise (pubblicato da Codignola, Carteggi, III, pp. 799-823) che si concludeva con l'esortazione a credere al "retour d'Israël" come al grande rimedio riservato da Dio alla Chiesa per risanarla e con il quale sarebbe iniziata una era di "abondance de la justice" sulla terra. Infine, il 5 giugno 1808, a Genova, egli fece abiurare anche il secondogenito della Geymüller, Luca, e, nel 1811, il successo del suo metodo catechistico indusse i giansenisti torinesi, che pure riconoscevano nel D. la loro guida spirituale, a chiedergli istruzioni e scritti che furono utilizzati per la catechizzazione della calvinista Adele de Sellon, marchesa di Cavour.
Questo primo soggiorno parigino del D., che si protrasse dal 1801 al 1805, fu però spesso interrotto da lunghi viaggi per l'Europa che egli intraprese insieme all'amico Grégoire già subito dopo il fallimento della loro battaglia anticoncordataria: nel 1802 era in Inghilterra, nel 1803 si recò in Belgio e in Olanda dove, il 5 giugno, celebrò la messa nella chiesa giansenista di Utrecht, in segno di unione con quei "santi perseguitati"; nell'estate del 1805, infine, visitò le maggiori città della Germania, dove conobbe Goethe, molti teologi tedeschi, e dove si legò d'amicizia con l'astronomo Franz Xaver von Zach.
Durante i loro viaggi il D. e il Grégoire, probabilmente però soprattutto su spinta delle idee ecumenistiche e tolleranti di quest'ultimo, entrarono in relazione con esponenti delle religioni ebraica e protestante: ciò, tuttavia, non impedì che a Wittemberg il D. calpestasse le tombe di Lutero e di Melantone gridando anathema ad entrambi. Di questi viaggi egli scrisse pure un diario (in parte riprodotto in De Gubernatis, pp. 37-77) ricco di osservazioni e di notizie sui costumi e sulla religione dei paesi visitati. Fu durante la permanenza in Germania, inoltre, che il D., avendo saputo dell'avvenuta riunione della Liguria all'Impero, scrisse al Municipio di Genova una fiera protesta; nello stesso periodo, poi, gli giunse notizia della ritrattazione e dell'accettazione della bolla Auctorem fidei da parte del de' Ricci e, nella sua rigorosa intransigenza, troncò l'epistolario che intratteneva con quest'ultimo, contrariamente a quanto invece fece il Grégoire che, qualche anno dopo, lo sollecitò a riprendere il carteggio. Fu probabilmente il D. a suggerire al fedele Carrega la redazione di uno scritto contro la ritrattazione ricciana.
Il 17 sett. 1805 il D. e il Grégoire si separarono a Strasburgo e, attraverso la Svizzera, passando poi per Como, Milano e Pavia, il D. fece ritorno, l'11 ott. 1805, a Genova. Il nuovo arcivescovo, cardinale G. Spina, lo interdisse nel 1806 dalla facoltà di confessare (l'interdetto fu revocato però in seguito, probabilmente nel 1811) mentre la sua pubblica protesta per l'annessione della Liguria all'Impero gli procurò per breve tempo qualche noia da parte delle autorità francesi, con cui però intrattenne poi buoni rapporti (nel 1812 rifiutò l'offerta di divenire sindaco di Sestri). Ritirato dalla vita pubblica ed inattivo anche sul piano religioso, egli restò fedele alle sue convinzioni, i cui caposaldi egli stesso nel 1807, smentendo le voci relative a una sua pretesa ritrattazione e alla sua appartenenza alla massoneria, riassunse nell'"être toujours attaché à la paix de Clément IX dans le sens de Port-Royal; à l'appel du 1717 de la bulle Unigenitus, à l'Orthodoxie et Canonicité de l'Eglise d'Utrecht, à la cause du Clergé Constitutionnel, en un mot à toute Verité" (lettera a Grégoire, Genova, 23 ott. 1807, in Codignola, Carteggi, III, p. 459).
In questo periodo la teologia del D., rigidamente giansenistico-appellante, ostile al primato assoluto del papa e fedele alla Chiesa costituzionale, venne esaltando sempre più la preesistente componente escatologica e millenaristica che, del resto, trovava alimento nell'atmosfera e nella letteratura profetico-apocalittica che in quegli anni fioriva in Francia e in Italia, offrendo una speranza e un conforto di fronte all'emarginazione dei gruppi religiosi innovatori e al fallimento delle loro prospettive ecclesiali e politiche. Fin dal 1791, in realtà (Codignola, Carteggi, I, p. CCXX n. 1), il D. aveva mostrato attenzione per i fenomeni convulsionari e, poco dopo, ferma fede nella realizzazione prossima della profezia paolina sulla conversione degli ebrei, mezzo per la rigenerazione della Chiesa e del Cristianesimo, delle profezie dell'Apocalisse relative alla sconfitta dell'Anticristo e al millennio dei giusti, e, infine, della seconda venuta di Cristo (parusia) prima del millennio. Attraverso le opere di Duguet, d'Etémare, Lacunza, Joubert, Desfours de la Genetière, Lambert, Saillant (con questi ultimi due era in corrispondenza), e soprattutto attraverso numerosi lavori sull'argomento dell'amicissimo Agier e dell'abate Luigi Giudici - che lo stesso D. aveva guadagnato al millenarismo (Vaucher, Une célebrité, p. 95) -, egli aderì al "figurismo", alla convinzione, cioè, di alcuni giansenisti di poter trarre dalle Scritture prefigurazioni di avvenimenti per la vita della Chiesa, e all'attesa fiduciosa ed esaltata del prossimo nuovo splendore della Chiesa purificata e rinnovata. La speranza di una palingenesi universale tramite il "ritorno d'Israele", divenne a poco a poco il tema centrale delle sue riflessioni, costantemente presente nei suoi scritti, nell'attività catechetica e nella corrispondenza. Contemporaneamente, anche la fede millenaristica, oltre alle delusioni, lo spingeva ad irrigidirsi su posizioni sempre più radicali, tanto sul piano teologico, quanto su quello del rapporto con Roma. Così, nel 1807, mobilitò contro Giangiulio Sineo - il quale aveva sostenuto (Orazione nel solenne riaprimento dell'oratorio dell'Imperiale Università di Torino …, Torino 1807), contro l'opposta tesi giansenistica, che non si dovevano ritenere dannati i bambini morti senza battesimo, gli infedeli negativi e gli eretici in buona fede - gli attacchi virulenti dei riformatori anticuriali piemontesi Michele Gautier e Girolamo Spanzotti, del Palmieri e del Carrega, riuscendo a coinvolgere nella controversia anche il più tollerante Grégoire (Grégoire, Histoire, II, pp. 324 s.).
Il 17 ott. 1808 il Grégoire invitò il D. a recarsi a Parigi in occasione del centenario della distruzione dell'abbazia di Port-Royal des Champs, per piangere "sur ces saintes Ruines une des plus grandes pertes de l'Eglise" (Codignola, Carteggi, I, p. CCXXXII). Egli intraprese il viaggio, accompagnato dal Carrega e da Benedetto Vejluva, alla fine del 1809 e rimase a Parigi per otto mesi: il gruppo giansenista parigino gli affidò la direzione del pellegrinaggio a Port-Royal organizzato il 29 ott. 1809, anniversario della chiusura del monastero.
Qui il D. pronunciò di fronte a trecento persone un lungo discorso commemorativo (riprodotto in parte in Gazier, II, pp. 172-75, e in Ruffini, La vita religiosa, I, pp. 233-38) in cui accusava calvinismo e gesuitismo di essere due modi opposti di stravolgimento del Cristianesimo, la cui eterna lotta aveva portato all'incredulità filosofica e all'indifferentismo, destinato a concludersi con una "apostasie presque générale de la gentilité chrétienne"; faceva anche una commossa e felice rievocazione della storia e della dottrina teologica e morale di Port-Royal, dettando una delle pagine più alte della letteratura giansenistica del tempo.
Durante questa seconda permanenza a Parigi avvenne l'incontro che procurò al D. notorietà presso gli storici. Infatti, attraverso il gruppo filogiansenista parigino e, probabilmente, in particolare per opera del piemontese Giovanni Battista Somis conte di Chiavrie - legato a quei giansenisti piemontesi con cui anche il D. era in stretti rapporti - egli venne posto in contatto con i coniugi Manzoni, anch'essi allora a Parigi. Se è soltanto una supposizione quella del Ruffini (Vita religiosa, I, p. 190) e di altri secondo la quale il matrimonio cattolico dei Manzoni fosse celebrato, il 15 febbraio 1810 a Parigi, per incitamento del D., è invece accertato che il 9 aprile dello stesso anno egli iniziò la catechizzazione della calvinista Enrichetta Blondel secondo il suo metodo basato su conferenze dogmatiche e morali ("discussions très suivies" le definì il D. stesso), di cui la catecumena faceva dei riassunti, e alle quali partecipò spesso anche A. Manzoni. L'istruzione si concluse con l'abiura di Enrichetta, avvenuta il 22 maggio 1810 nella chiesa di St. Séverin: tutti giansenisti i presenti e i testimoni firmatari dell'atto d'abiura, fra cui la Geymüller, il Carrega e l'Agier.
In quell'occasione il D. pronunciò un discorso parenetico (Exhortation à une nouvelle catholique le jour de son abjuration du calvinisme l'an de grâce 1810, 22 Mai à Paris, in Vat. lat. 13.136, n. 14, cc. 185r-204r; pubblicato da Salvadori, pp. 77-124) che risentiva di quella atmosfera impregnata di illusioni messianiche e millenaristiche che caratterizzava in quel periodo i gruppi di riforma religiosa francesi e italiani: esso era tutto incentrato sul commento della profezia di Isaia (XI, 11-12) relativa alla conversione del popolo d'Israele, interpretata come inizio dell'atteso rinnovamento del Cristianesimo, e si concludeva ricordando gli scritti in proposito del Duguet e le parole di Tertulliano - ricorrenti continuamente nelle pagine del D. a partire dal 1798 - secondo le quali "Tota ratio spei nostrae cum reliqua Israelis expectatione coniuncta est". Anche nei Règlements che lasciò ad Enrichetta, simili a quelli redatti per la Geymüller e che in seguito il Tosi modificò in alcuni punti, insisteva sulla raccomandazione alla neofita di pregare per il "ritorno" del popolo ebreo. Il D. diede ad Enrichetta anche un Mémorial, per guidarne la vita spirituale, e affidò i Manzoni, tornati che furono a Milano, alle cure spirituali del suo amico canonico Luigi Tosi: egli restò da allora sempre in contatto, soprattutto attraverso l'epistolario con il Tosi e con la sua convertita, con la famiglia dello scrittore. Frequenti furono anche le visite reciproche intercorse fra il D. e i Manzoni. Il D. inoltre plaudì alle manzoniane Osservazioni sulla morale cattolica, che definì, scrivendone al Grégoire il 24 ott. 1819, "lavoro stupendo e per lo stile, e per la profondità e nitidezza Pascaliana" (Carteggio di A. Manzoni, I, p. 441), mentre il Manzoni, d'altro canto, durante la stesura dei Promessi sposi, comunicava al D. di stare lavorando a "quel genere di composizioni, agli autori delle quali il vostro e mio Nicole regalava, senza cerimonie, il titolo di empoisonneurs publics" (Manzoni al D., 15 maggio 1825, ibid., II, p. 186).
Ritornato in patria da Parigi nell'estate del 1810, dopo una sosta a Torino presso gli amici piemontesi (Michele Gautier, Giuseppe Boyer e B. Vejluva), visse quasi sempre ritirato nei suoi possedimenti di Sestri Ponente, che curava personalmente mostrando grande interesse per i problemi dell'agricoltura. Da qui seguì con grande attenzione e speranza i lavori del concilio parigino del 1811, di cui l'amico A. Dania, vescovo di Albenga, era uno dei segretari. Inoltre, fin dal 1809 era il principale collaboratore dello scolopio Ottavio Assarotti, fondatore dell'Istituto per i sordomuti di Genova, che lo aveva incaricato dell'amministrazione e dell'educazione religiosa degli allievi.
Molto probabilmente fu opera sua il libretto della pantomima I tre fanciulli nella fornace ardente, eseguita dai fanciulli sordomuti il 4 sett. 1815 davanti ai reali piemontesi. Scrisse pure I sordomuti del Reale Istituto, ossia Memoria sull'istruzione ed educazione di questa classe d'infelici, Genova 1820, mentre la sua Memoria sul metodo dell'insegnamento mutuo, del 1819, in cui sosteneva il metodo lancasteriano, testimonia sui suoi interessi, comuni del resto a tutto il gruppo filogiansenista genovese, per la pedagogia più moderna e per i problemi dell'educazione in geriere.
Poco dopo il ritorno del D. a Genova uscì una Justification de fra Paolo Sarpi ou Lettres d'un prêtre italien à un magistrat français sur le caractère et les sentiments de cet homme célèbre, pubblicato, anonimo, a Parigi nel 1811, a spese del presidente Agier cui del resto l'opera era indirizzata.
In questo lavoro, composto di tre lettere e posto all'Indice con decreto del 22 dic. 1817, il D. intendeva combattere l'opinione corrente fra i Francesi che il Sarpi, autore caro ai giansenisti italiani, fosse un "protestant déguisé", e mostrare l'ortodossia del servita e la vicinanza delle sue dottrine a quelle dei fautori della libertà della Chiesa gallicana. Alla tesi del D. si contrappose violentemente il padre Bartolomeo Rivera con il suo Giuda traditore giustificato ossia La dottrina del giansenismo, atta a giustificare ogni sorta di delitti. Dialoghi diciotto..., Rovigo 1815.
È del 1820, infine, l'opera sua più significativa e meditata, il Catechismo de' Gesuiti esposto ed illustrato in conferenze storico-teologico-morali. A profitto della gioventù, priva già da tanto tempo di una buona educazione. Ultima edizione corredata dall'editore con note, Lipsia 1820, che, pubblicata anch'essa anonima, riassume, in toni aspramente antigesuitici, tutto il pensiero religioso ed ecclesiale del D. ed occupa "un posto segnalato nella abbondante letteratura antigesuitica che seguì al ristabilimento della Compagnia di Gesù" (Ruffini, La vita religiosa, I, p. 250).
Il libro, scritto ad imitazione delle pascaliane Lettres provinciales e costituito da sei lunghissimi dialoghi-conferenze tra un avvocato ed un gesuita, investe la dottrina e l'intera vita della Compagnia e ricostruisce, da un punto di vista rigorosamente giansenistico, tutto il secolare dibattito sulla dottrina della grazia, sulle cinque proposizioni dell'Augustinus di Giansenio condannate da Roma, e sulla morale del lassismo e dei casisti, le cui aberrazioni sono dal D. interpretate come fatale conseguenza delle tesi sulla grazia propugnate dai gesuiti. Stranamente l'opera, nonostante la sua virulenza e benché lo stesso autore se ne attendesse la condanna, non fu menzionata nell'Indice.
Contemporaneamente, il D. continuava a sostenere la battaglia condotta dal Grégoire contro il cattolicesimo ultramontano redigendo per la Chronique religieuse articoli che talvolta lo stesso Grégoire non pubblicava a causa della loro eccessiva insistenza e intransigenza sui più scabrosi temi del giansenismo più rigoroso. Inoltre, imparato l'ebraico, si accinse, ad imitazione dell'Agier, alla traduzione italiana e latina dei Salmi: Salmi nuovamente tradotti sul testo ebraico. Messi nel loro ordine naturale, con spiegazioni e note ed una raccolta di cantici evangelici ed altri scritturali..., ms. inedito del 1817 (in Arch. Segr. Vat., Carte Degola: cfr. Bonacchi, p. 110)e Psalmi ad Hebraicam veritatem translati et in ordinem naturalem digesti; accesserunt Cantica tum evangelica tum reliqua in laudibus..., Parisiis 1818 (a torto attribuiti all'Agier dal Codignola, Carteggi, III, p. 550, n. 3). Gli ultimi anni di vita furono quasi totalmente assorbiti dalla fede e dalla problematica millenaristico-apocalittica, fuori dalla tradizione teologica ufficiale: nel 1820 scrisse un Saggio di osservazioni sulla Chiave dell'Apocalisse esposta da Francesco Ricardi (inedito, in Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 13.136, n. 11, cc. 145r-169v), risposta polemica ad un'opera antigiansenista del Ricardi, in cui i temi del Catechismo erano ripresi con maggiore violenza.
Vi esponeva inoltre la sua interpretazione dell'Apocalisse, secondo la quale i capitoli 12, 13 e 14 contenevano la profezia degli avvenimenti del XVIII secolo, mentre il capitolo 11 era la chiara previsione della conversione del popolo ebraico, quale mezzo per il "consolantissimo ringiovinimento" della Chiesa, vera e propria "seconda Pentecoste", destinata a realizzarsi, ben prima del giudizio finale, come preludio del secondo avvento di Cristo e del suo regno visibile di mille anni. Dell'argomento il D. intraprese a scrivere un'apposita trattazione, cioè un lavoro Sulla conversione degli ebrei, di cui ci resta solo un Discorso preliminare (ms. inedito, datato aprile 1821, ibid., n. 15, cc. 205r-210r).
In questo breve scritto (che presenta delle correzioni di forma che, secondo il Ruffini e il Manfredi, smentiti però dal Bondioli, p. 191, sarebbero di mano del Manzoni) il D., seguendo molto fedelmente le teorie e le conclusioni dell'Agier, tracciava il piano degli avvenimenti che avrebbero fatto seguito alla realizzazione della profezia secondo la quale gli Ebrei sarebbero tornati a costituire il popolo eletto sostituendo la gentilità cristiana apostata: egli profetizzava, infatti, che gli Ebrei, una volta convertiti, avrebbero conquistato alla vera fede tutte le nazioni della terra e subito dopo - e qui la carica escatologico-millenaristica del D. anticipava di molto analoghe idee del futuro movimento sionista - essi sarebbero stati da Dio ristabiliti anche "ne' loro antichi nazionali diritti" e nel possesso del "paese de' loro Padri"; con la vittoria sull'Anticristo, la distruzione della nuova Babilonia, e la rifondazione di Gerusalemme sarebbe iniziato il millennio, pacifico regno di Cristo, in cui i giusti e i martiri risorti avrebbero governato su una terra prospera e felice. Alla vigilia della morte tentò invano di stampare una sua esposizione del Pater noster (I doveri della vita cristiana compendiati nella orazione domenicale, ms. in due parti, in Arch. Segr. Vat., Carte Degola: cfr. Bonacchi, p. 111), terminata nel dicembre 1824, in cui intendeva ribadire i principî della teologia e della morale giansenista. L'opera rimase inedita poiché la censura ecclesiastica ne impedì la pubblicazione a causa della presenza di motivi milienaristici che il D. vi aveva inserito nonostante il consiglio contrario datogli dal Tosi, che non condivideva le convinzioni in materia del suo amico. Non sono invece del D., come affermava il Ruffini, ma del carmelitano scalzo Vittore Maria Sopransi, suo amico e collaboratore, le violente Riflessioni sulla Chiesa dei tempi presenti che si trovano fra le Carte Degola della Bibl. Ap. Vat. (Vat. lat. 13.134, 13.135A, 13.135B). Inedite rimasero pure alcune Riflessioni spirituali sulla penitenza, sul Purgatorio e sui suffragi per le anime purganti, del 1822 (Vat. lat. 13.136, n. 16, cc. 214r-224r).
Negli ultimi anni la salute da sempre debole del D. - soffriva di convulsioni -, minata dalla vita ascetica e dalle mortificazioni corporali, peggiorò sensibilmente: il 17 genn. 1826 si spense, a Genova, senza alcuna ritrattazione, e fu sepolto nel cimitero di Sestri. Alla sua morte si diffuse la voce, infondata, che fosse stato avvelenato dai gesuiti.
Le autorità politiche e quelle religiose impedirono ogni celebrazione: il necrologio scritto dal genovese marchese Gian Carlo Di Negro, autore anche di un sonetto in memoria del D., fu respinto dalla Gazzetta di Genova e a stento fu accolto dalla Gazzetta piemontese. Il Grégoire scrisse sulla Revue encyclopédique un ricordo commosso dell'amico (trad. da De Gubernatis, pp. 5-19), che venne criticato e smentito in più punti dai giornali ultramontani Ami de la religion et du roi e Memorie di religione, di morale e di letteratura.
Personalità di fede profonda e di austero e coerente rigore di costumi e di principî, il D. rappresenta "la personalità religiosa più originale e vigorosa del giansenismo italiano" (Codignola, Carteggi, I, p. CIV), tale da occupare un posto di prim'ordine nella storia religiosa fra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo. Confluivano in lui anzitutto la tradizione spirituale portorealista - vissuta assai più intensamente dell'amico Grégoire - e quella del più tardo giansenismo appellante e antiromano; la tradizione della Chiesa gallicana e l'influsso di quella costituzionale; infine, la tradizione repubblicana genovese. Quest'ultima, unitamente alla speranza di realizzare la riforma ecclesiastica, lo indusse ad accettare con facilità i principî democratici, sia pure da una posizione fondamentalmente ancora teocratica che impedisce di vedere in lui, come pure si è fatto, un anticipatore del liberalismo ottocentesco. Assai più duraturo e influente fu invece il suo insegnamento di fede operosa e di dirittura morale.
Fonti e Bibl.: Indicazioni sulla collocazione dei manoscritti e dei carteggi del D. - conservati nella Bibl. Ap. Vaticana, nell'Arch. Segr. Vaticano, nella Bibl. Braidense di Milano, nell'Arch. di Stato di Firenze, nella Bibl. del Seminario arcivescovile di Genova, nell'Arch. della Chiesa di Utrecht, a Utrecht, e infine, nella Bibl. de l'Arsenal e nella Bibl. de la Société des Amis de Port-Royal, a Parigi - si trovano alle pp. 108-113 e 155 s. della monografia, peraltro non esauriente, di S. Bonacchi, La vita e la teologia di E. D. (1761-1826), Pistoia 1949. Il Bonacchi, tuttavia, non menziona le lettere del D. conservate nell'Arch. Tosi a Busto Arsizio, ampiamente utilizzate dal Bondioli. Le lettere del D., provenienti dai diversi archivi, sono state in gran parte pubblicate da De Potter, Codignola (Carteggi, I-III), De Gubernatis, Sforza-Gallavresi e Savio. Per la biografia del D. sono stati utilizzati, oltre al vecchio ma ancora utile A. De Gubernatis, E. D., il clero costituzionale e la conversione della famiglia Manzoni, Firenze 1882, anche: G. C. Di Negro, Necrologio di E. D., in Gazzetta piemontese, 16 febb. 1826, p. 109; H. Grégoire, Notice biographique sur M. E. D., prêtre, docteur en philosophie à l'université de Pise, in Revue encyclopédique, XXX (1826), pp. 636-642 (trad. it. in De Gubernatis, pp. 5-19); Ami de la religion et du roi, XLVIII (1826), pp. 410 ss.; Memorie di religione, di morale e di letteratura, XI (1827), pp. 347 s.; L.-J.-A. De Potter, Vie et mémoires de Scipion de Ricci, Paris 1826, III, pp. 170 s., 318 s., 326-336, 338, 339-342, 345-350 (il D. è designato dalla sigla D.); H. Grégoire, Histoire des sectes religieuses, II, Paris 1828, p. 323; E. De Tipaldo, Biogr. d. Italiani illustri, IV, Venezia 1837, pp. 130-134 (voce di A. Mauri); C. Cantù, Gli eretici d'Italia, Torino 1868, III, p. 474; F. H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, Bonn 1885, II, pp. 325, 813, 974, 1012; I. Rinieri, Napoleone e Pio VII (1804-1813), Torino 1906, I, pp. 130 ss., 205, 212 s.; P. Pisani, L'Eglise de Paris et la Révolution, IV, Paris 1911, pp. 181, 189, 330; N. Rodolico, Gli amici e i tempi di Scipione dei Ricci. Saggio sul giansenismo italiano, Firenze 1920, pp. 190, 194 s., 201 s., 205, 211 e passim; F. Landogna, G. Mazzini e il pensiero giansenistico, Bologna 1921, pp. 11 ss., 54; A. Gazier, Histoire générale du mouvement janséniste, depuis ses origines jusqu'à nos jours, Paris 1924, II, pp. 157, 168-178; P. Nurra, Il giansenismo ligure alla fine del secolo XVIII, in Giornale stor. e letterario della Liguria, n. s., II (1926), pp. 1, 8, 15, 17, 18, 20 ss., 25, 29; A. C. Jemolo, Il giansenismo in Italia prima della Rivoluzione, Bari 1928, pp. XVI, 330, 398 n., 400; S. G. Manfredi, Per la storia del giansenismo. Sintesi del movimento fino al consolato napol., in Convivium, I (1929), 5-6, pp. 770, 772, 774, 777, 779, 782, 792, 794, 797 ss., 804-808, 812-818; P. Savio, Devozione di mons. A. Turchi alla S. Sede. Testo e DCLXXVII documenti sul giansenismo italiano ed estero, Roma 1938, pp. 259-304, 412 e ss., 745-945 (carteggio del D.), e ad Indicem; Carteggi di giansen. liguri, a cura di E. Codignola, I, Firenze 1941, pp. CIII-CCLIX, 615-657 (carteggio D.-Vignoli) e passim; II, ibid. 1941, pp. 656-676 (carteggio D.-Solari) e passim; III, ibid. 1942, pp. 103-552 (lettere del D.), 799-823 e passim; F. Ruffini, I giansenisti piemontesi e la conversione della madre di Cavour, con introd. di E. Codignola, Firenze 1942, pp. 19-40 e ad Indicem; G. Cacciatore, S. Alfonso dei Liguori e il giansenismo. Le ultime fortune del moto giansenista e la restituzione del pensiero cattolico nel secolo XVIII, Firenze 1944, pp. 24 ss., 33 ss.; E. Codignola, Il giansenismo toscano nel carteggio di F. de Vecchi, Firenze 1944, I, pp. 108 n., 110, 112-117; II, pp. 260, 324 s., 327, 330, 338, 340, 353, 360; Id., Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, ad Indicem; Id., rec. a S. Bonacchi, in Scuola e città, 1951, 3, p. 120; A.-F. Vaucher, Lacunziana. Essais sur les prophéties bibliques, s. 2, Collonges-sous-Salève 1952, pp. 71, 79, 83, 85 ss.; Cassiano da Langasco, Un esperimento di politica giansenista? La Repubblica Ligure 1797-1800, in Nuove ricerche storiche sul giansenismo, in Analecta gregoriana, LXXI, Romae 1954, pp. 212-216, 220, 223-229; A.-F. Vaucher, Lacunziana, s. 3, Collonges-sous-Salève 1955, pp. 107, 110 s.; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'università di Torino nel secolo XVIII, Torino 1958, pp. 8, 57, 73, 77, 92, 94; Id., Crisi religiose nel primo Ottocento piemontese, Torino 1959, pp. 9, 14, 47, 85 s.; M. 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Fabbri, I giansenisti nella conversione della famiglia Manzoni, Faenza 1914, pp. 18-32; E. Rota, A. Manzoni e il giansenismo, in Nuova Riv. stor., X (1926), pp. 151 s., 154, 156, 158, 163, 166, 175; XI (1927), pp. 54 s., 57-63, 67, 69-98, 450, 454 s., 465, 473, 485; G. Molteni, Il "Règlement" spirituale di E. Blondel Manzoni, in Scuola cattolica, LIV (1926), pp. 188-208; A. Guidi, Il discorso del D. nell'abiura di E. Manzoni Blondel, in Nuova Antologia, 16 genn. 1929, pp. 180-198; G. Salvadori, E. Manzoni Blondel e il Natale del '33, Milano 1929, pp. 77-124, 125-406 (capitolo sul D.) e passim; F. Ruffini, La vita religiosa di A. Manzoni con documenti inediti..., Bari 1931, I, pp. 136-158, 195-253 passim e ad Indicem; II, pp. 379-389, 392-399 e ad Indicem; P. Bondioli, Manzoni e gli "Amici della Verità", Milano 1936, pp. 75-110, 111-157 e ad Indicem. Si vedano anche: H. Hurter, Nomenclator literarius..., V, Oeniponte 1912, col. 1049; G. Moroni, Dizionario di erudizione stor.-ecclesiastica, XCII, p. 472; Nouvelle Biographie générale, XIII, pp. 364 s.; Biographie universelle ancienne et moderne, X, pp. 284 s.; Diz. del Risorg. naz., II, p. 876; Encicl. catt., IV, pp. 1330 s.; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., XIV, coll. 160 ss.