eutanasia
Una 'buona morte' scelta al posto di una vita di sofferenza
Il termine eutanasia, composto dalle parole greche eu ("bene") e thànatos ("morte"), significa letteralmente "buona morte", quella che giunge serenamente senza essere accompagnata da strazianti sofferenze. Nell'accezione corrente oggi per eutanasia si intende un'azione o un'omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte allo scopo di eliminare il dolore, ma anche, come si legge in un documento del Comitato nazionale per la bioetica, "l'uccisione diretta e volontaria di un paziente terminale in condizioni di grave sofferenza e su sua richiesta"
Nel giro di pochi decenni i progressi della medicina hanno trasformato le circostanze e le modalità del morire e, nello stesso tempo, hanno contribuito a mutare le visioni della morte e gli atteggiamenti verso le ultime fasi della vita. La nascita della bioetica, negli anni Settanta, ha posto al centro del dibattito le cosiddette questioni di 'entrata' e 'uscita' dalla vita, stimolando un'accresciuta attenzione per il tema della morte. Si assiste, quindi, in questi ultimi decenni, a una progressiva presa di coscienza e a un'assunzione di responsabilità nei confronti dei problemi connessi al morire. Sembra emergere un nuovo atteggiamento improntato alla richiesta di conoscere la diagnosi della propria malattia e di decidere in merito alle diverse strategie terapeutiche e, in generale, in merito al proprio destino. È il rifiuto del 'paternalismo medico': il medico non deve trattare il paziente come un bambino da proteggere ma considerarlo come un agente libero e autonomo.
Per la prima volta nella storia un medico si trova nella situazione di poter continuare a tenere in vita un paziente sottoponendolo al cosiddetto accanimento terapeutico. Da qui l'emergere di questioni, proprie della bioetica, che riguardano la libertà dell'individuo rispetto al potere medico e i valori di autonomia e di dignità della persona. È infatti proprio la capacità della scienza e della tecnologia di ritardare indefinitamente la morte a far nascere la richiesta di riprendere possesso della propria vita, da parte di pazienti che non hanno più speranze di guarigione e vanno incontro a un destino ineluttabile di patimenti.
A questa esigenza intende rispondere il testamento biologico (in inglese living will): un documento con cui una persona, dotata di piena capacità, esprime la propria volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o per traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso.
Vari tipi di eutanasia. Tradizionalmente il compito del medico è quello di curare e, possibilmente, di dare nuovamente la salute ai pazienti. Ci si chiede se egli può prestare la propria opera per aiutare il paziente a porre termine alla sua vita. Il problema ha suscitato un ampio dibattito in ambito medico, giuridico e filosofico. L'intervento del medico, in effetti, muta la natura dell'atto: si tratta di un suicidio assistito o, piuttosto, di un omicidio pietoso?
Per affrontare tale complessa tematica occorre introdurre alcune distinzioni cruciali tra suicidio eutanasico e suicidio medicalmente assistito, eutanasia volontaria e non volontaria; in quest'ultimo caso si distingue anche tra eutanasia attiva e passiva.
Suicidio eutanasico e suicidio medicalmente assistito. Si parla di suicidio eutanasico quando un individuo, a causa di una malattia con prognosi infausta, con dolori insopportabili e un decorso invalidante, sceglie da sé i mezzi con cui togliersi la vita. Si parla, invece, di suicidio medicalmente assistito quando il medico consiglia o fornisce al malato i mezzi idonei per darsi la morte.
Eutanasia volontaria. L'eutanasia volontaria è quella eseguita su richiesta della persona interessata, anche se essa non è in grado di esprimere la volontà di morire nel momento in cui si trova nello stadio terminale. Una persona, infatti, mentre è ancora in buona salute, potrebbe stendere per iscritto una richiesta di eutanasia compilando il testamento biologico, qualora a causa di incidente o malattia dovesse diventare incapace di prendere una decisione e non ci fosse una ragionevole speranza di guarigione.
Eutanasia non volontaria attiva e passiva. L'eutanasia non volontaria è quella eseguita su persone incapaci di comprendere la scelta tra la vita e la morte. Vengono considerati tali i neonati affetti da patologie incurabili e gli individui che, a causa di incidenti, malattie o vecchiaia, abbiano perso in modo permanente la capacità di intendere e di volere, senza avere in precedenza dato disposizioni in merito al trattamento da praticarsi su di loro in tali circostanze.
Questo tipo di eutanasia è detta attiva quando si causa direttamente la morte ‒ per esempio con un'iniezione letale di farmaci ‒ di un soggetto sofferente di una malattia incurabile. Si dice invece passiva quando essa consiste o in un atto omissivo ‒ per cui si lascia morire un malato non prestandogli intenzionalmente le cure ordinarie necessarie alla sopravvivenza ‒ oppure nella sospensione del cosiddetto accanimento terapeutico inteso come "irragionevole ostinazione di trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per il paziente o un miglioramento della qualità della vita" secondo la definizione del Codice italiano di deontologia medica, testo che definisce i diritti e i doveri del medico. Nel primo caso, siamo dinanzi a un atto giuridicamente illecito, giacché il medico è sempre obbligato a prestare le sue cure sia perché si presume che il mantenersi in vita sia desiderio di ogni paziente, sia perché il mandato professionale che egli riceve è curativo o, comunque, di sostegno vitale. Nel secondo caso, l'accanimento terapeutico fuoriesce dalla pratica medica ordinaria, diventando manipolazione del malato, sottoposto a trattamenti che non hanno né finalità sedative, né finalità curative.
In taluni paesi, come in Olanda e in alcuni Stati australiani e statunitensi, l'eutanasia attiva è stata legalizzata per i malati terminali; in Danimarca e in Svizzera è riconosciuto invece legalmente valido il testamento biologico. In Italia la pratica dell'eutanasia è fatta rientrare nei reati di omicidio del consenziente e di istigazione al suicidio; nel 2001 è stato regolamentato l'impiego di farmaci analgesici oppiacei utilizzabili nella terapia del dolore per lenire le sofferenze del malato.
I fautori dell'ammissibilità etica del suicidio medicalmente assistito e dell'eutanasia attiva e volontaria si appellano a due principi: quello della disponibilità della vita, in base al quale essa deve considerarsi come un bene a disposizione dell'individuo, e quello della qualità della vita, per cui essa ha valore solo se l'individuo la ritiene degna di essere vissuta. Fanno riferimento, inoltre, alla nozione di dignità della persona e al valore dell'autodeterminazione, chiedendo che tra i diritti umani fondamentali venga incluso anche quello di morire.
Quanti ritengono moralmente inammissibile l'eutanasia si richiamano, invece, al principio della sacralità della vita, per cui essa è un bene in sé, non disponibile da parte della persona. Viene negata, pertanto, l'ammissibilità stessa di un preteso 'diritto di morire'. È questa, per esempio, la posizione della Chiesa cattolica, secondo la quale "nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all'amore di Dio per lui, senza violare un diritto fondamentale, inalienabile, senza commettere, perciò, un crimine di estrema gravità". In tale ottica, che si rifà a ragioni di ordine teologico-religioso ma anche etico e sociale, è ritenuto moralmente e giuridicamente lecito soltanto l'uso di cure palliative ‒ ossia tese a combattere provvisoriamente solo i sintomi della malattia ‒ opportunamente dosate in relazione allo stato di sofferenza del paziente e al grado di evoluzione della sua malattia.
Nella riflessione bioetica contemporanea si dà sempre maggiore spazio all'etica della cura, che vuole non soltanto curare ‒ cioè somministrare terapie, medicamenti e altro ‒ ma anche 'prendersi cura', cioè farsi carico responsabilmente delle sofferenze della persona. Essa quindi si rivolge soprattutto ai malati incurabili e si presenta come una risposta positiva, intesa a contrastare la richiesta di morte da parte dei malati terminali. In questo quadro, si può collocare la crescente diffusione degli hospices, luoghi che mirano a perfezionare il trattamento del dolore (cure palliative) e ad accompagnare i pazienti verso una 'buona morte'.