EVAGORA I (Εὐαγόρας, Evagŏras)
Re greco di Salamina nell'isola di Cipro. Apparteneva, o pretendeva almeno di appartenere, alla stirpe regia dei Teucridi, dinasti greci riportanti la loro origine a Teucro e al suo padre Eaco, che regnavano in Salamina nell'isola di Cipro. I Teucridi furono sostituiti dopo l'abbandono di Cipro per parte degli Ateniesi (449) da una dinastia fenicia che avversò l'elemento greco e cercò di semitizzare la città. Mentre dominavano questi principi nacque in Salamina E. circa il 435. Quella dinastia fu abbattuta da un altro fenicio, Abdemone, il dinasta di Cizio, il quale ne continuò ed aggravò la politica antigreca. E. dovette fuggire circa il 415: e poi tornò con cinquanta compagni e penetrato di notte in Salamina, uccise Abdemone e gli si sostituì sul trono. Distratta in quel tempo l'attenzione dei Persiani che dominavano in Cipro dalle cure della guerra del Peloponneso, E. poté senza impedimento far rifiorire l'ellenismo oppresso dai Fenici in Salamina, aiutato in ciò dai fuorusciti greci che, cacciati dalla patria in seguito alle vicende di quella guerra, trovarono accoglienza ospitale alla sua corte. Di essi il più famoso fu Conone, che si rifugiò colà dopo la sconfitta di Egospotami (405).
A poco a poco E. finì così col trovarsi in uno stato di latente ribellione alla Persia. E solo i torbidi che seguirono alla guerra del Peloponneso, e particolarmente la ribellione di Ciro il Minore impedirono ai Persiani di procedere energicamente contro di lui. Poco dopo quella ribellione scoppiò la guerra aperta tra Sparta e la Persia, e Sparta iniziò la sua offensiva in Asia col proposito di rinnovare la lotta per l'indipendenza liberando le città greche.
Fu un momento decisivo nella vita di E. e nella storia della Grecia in generale. Pareva che E. dal suo atteggiamento contro il semitismo, dal suo spirito d'indipendenza di cui diede prova lottando eroicamente più tardi contro i barbari, dovesse essere tratto nell'alleanza spartana. La forza vigorosa dell'ellenismo in Cipro, l'energia e la genialità di cui E. diede prova, fanno ritenere che la sua cooperazione con Agesilao avrebbe assicurato la superiorità marittima degli Spartani e con ciò anticipato di sessant'anni la vittoria definitiva dell'ellenismo nell'Asia Minore e nelle isole vicine. E l'avrebbe attuata, con incalcolabili conseguenze, senza bisogno dell'intervento macedonico. Ma vinse in questo momento nell'animo di E. lo spirito particolaristico, cancro della vita ellenica. Subordinandosi a Sparta egli avrebbe cambiato la dominazione straniera ma lontana e poco esigente del Gran Re con quella nazionale sì, ma più vicina, più esigente e più dura di Sparta. Perciò E. mise tutta la sua energia al servigio della Persia, e le diede l'aiuto decisivo per la vittoria su Sparta. Egli riuscì ad ottenere, trattando con la corte persiana e coi satrapi, che il suo amico e ospite Conone venisse posto al comando della flotta regia e fornì a quella flotta con le sue navi e con la sua energia la possibilità stessa d'organizzarsi. L'effetto fu la vittoria di Conone a Cnido (394), che distrusse la supremazia marittima degli Spartani.
Tanto Conone quanto E. avevano cercato l'aiuto del re di Persia, ma non per giovare a lui, sì per sottrarre Atene e Cipro all'egemonia spartana o al pericolo di essa. Il doppio e pericoloso giuoco d'entrambi non tardò a chiarirsi, dopo peraltro che esso ebbe portato i suoi effetti esiziali nella guerra nazionale iniziata da Sparta. Conone, invitato a Sardi, fu senz'altro imprigionato come traditore. Riuscì peraltro a fuggire e si recò di nuovo presso E. a Salamina, dove morì poco dopo. E. frattanto aveva profittato delle contingenze per impadronirsi di quasi tutta l'isola di Cipro. Egli era ormai in aperta ribellione contro il re, il quale iniziò con lui una guerra accanita che durò quasi dieci anni (390-380). Atene, legata a lui strettamente per l'aiuto fornito a Conone, sebbene nominalmente ancora alleata del Gran Re contro Sparta, non mancò d'inviargli soccorsi contro il satrapo di Caria Ecatomno che lo attaccava in Cipro per ordine del re. Ancora nel momento in cui fu conclusa la pace di Antalcida, ausiliarî ateniesi agli ordini di uno dei migliori generali d'Atene, Cabria, combattevano in Cipro con felice successo insieme con E. La pace di Antalcida (386) abbandonò Cipro ai Persiani, e Atene dovette ordinare a Cabria di lasciare l'isola. Così E. rimase abbandonato dai suoi connazionali nell'impari lotta e dovette accontentarsi dell'aiuto del re Acori d'Egitto, ribelle ai Persiani. I quali peraltro non procedettero subito energicamente contro Cipro, distratti dalla loro campagna contro l'Egitto (385-383), che terminò col loro più completo insuccesso. Fu questo il momento in cui culminò la potenza di E., il quale riuscì perfino a conquistare Tiro sulla costa fenicia. Ma ora i Persiani inviarono contro di lui un considerevole esercito comandato da Tiribazo, appoggiato da una considerevole flotta agli ordini di Glos. E., che non poté impedire lo sbarco di Tiribazo in Cipro (381), si batté valorosamente per terra e per mare. Ma sconfitta presso Cizio la sua flotta, che aveva portato con l'aiuto di Acori a duecento triremi, egli venne asserragliato in Salamina. Privo di ogni speranza di soccorso, chiese pace, e Tiribazo gliela offerse a condizione che promettesse ubbidienza al re come servo. Al suo rifiuto la guerra continuò. Fortunatamente per lui il richiamo di Tiribazo e i dissensi tra i Persiani gli permisero di capitolare più onorevolmente ad Oronte successore di Tiribazo, riconoscendosi soggetto al re, ma non come servo, sì come re (380). Suddito del re, e limitato al dominio della nativa Salamina, egli sopravvisse circa sei anni al fallimento delle sue ambizioni. Morì nel 374-3, vittima, insieme col figlio primogenito Pitagora, di un oscuro dramma di palazzo, per mano dell'eunuco Trasideo. Gli succedette il figlio Nicocle.
Nessuno metterà in dubbio l'altezza dell'animo e la vigoria dell'ingegno di E., meritamente lodate da Isocrate nell'orazione funebre che ne porta il nome, la quale è la fonte precipua delle nostre informazioni intorno a lui. E non si potrà non ammirare l'ardore con cui ha combattuto per la causa dell'ellenismo. Ma nel fallimento totale dell'opera sua sta la condanna di lui come politico. Il suo particolarismo gli ha impedito di partecipare alla guerra nazionale quando essa, sotto la guida d'una grande potenza come Sparta, poteva riuscire vittoriosa. E dopo ciò la sua ripresa della lotta o con appoggi labili come era quello di Atene sul principio del sec. IV, o senza più nessun appoggio ellenico, non è che una eroica follia, la cui inanità era dimostrata dal precedente insuccesso della ribellione di Cipro durante l'insurrezione ionica.
Bibl.: E. Meyer, Geschichte des Altertums, V, Stoccarda 1902, pp. 199 segg., 258 seg., 311 segg.; J. Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ed., III, i, Berlino 1922, pp. 37 seg., 89 seg., 98 seg.; III, ii, Berlino 1923, pp. 99 seg., 226 segg. Inoltre W. Judeich, Kleinasiatische Studien, Marburgo 1892, p. 113 segg.; H. Swoboda, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, p. 820 segg. (con ulteriore bibliografia); W. H. Engel, Kypros, Berlino 1841, I, p. 286 segg.