EVANGELISTI
La radice etimologica del termine e., che nel senso cristiano significa 'colui che annuncia la buona novella relativa a Cristo', è il verbo εὐαγγελίζομαι 'annunciare lieti eventi'. In questo senso tuttavia la parola ha conosciuto un uso molto limitato. Nel Nuovo Testamento il termine è utilizzato tre volte, riferito a seguaci di Cristo: Filippo, uno dei sette uomini di Gerusalemme (At. 6, 3ss.), Timoteo, il compagno di Paolo (2 Tim. 4, 5), e al plurale in senso generico (Ef. 4, 11). In quest'ultimo esempio gli e. sono gerarchicamente citati dopo gli apostoli e i profeti, mentre il termine, che in Eusebio (Hist. eccl., III, 37, 2ss.; V, 10, 2) non ha connotazioni di titolo né di posizione, non è menzionato nella Didaché. Evidentemente gli e. non possono ambire allo stesso ruolo accordato agli apostoli in virtù del fatto che questi ultimi sono stati chiamati direttamente da Cristo (Rom. 1,1; 1 Cor. 1, 17).I primi autori cristiani (Ippolito, De antich., 56; Tertulliano, Adv. Prax., 21-23), dal canto loro, hanno usato il termine a partire dal tardo sec. 2° ma in un altro senso, quello poi vulgato, per indicare gli autori - Matteo, Marco, Luca, Giovanni - a cui sono attribuiti i quattro vangeli canonici e dal cui nome ognuno dei vangeli è individuato.L'ordine di successione degli e. ha subìto notevoli varianti, dovute a due diversi criteri di valutazione: un concetto di grado che dava la preminenza ai due apostoli, quindi Matteo, Giovanni, Luca, Marco, e un altro presumibilmente cronologico che, basandosi sull'autorità di Girolamo nel prologo Plures fuisse dei Commentarii in Mattheum (PL, XXVI, coll. 15-22), determinò anche la loro disposizione nella Vulgata e successivamente l'ordine canonico: Matteo, Marco, Luca, Giovanni, tradizione consolidata dai famosi versi di Sedulio (Paschale carmen, vv. 355-360; PL, XIX, col. 591).L'accostamento di ogni e. a una particolare creatura simbolica deriva da due passi delle Sacre Scritture che, nel corso dei secoli, hanno suscitato numerose interpretazioni: Ez. 1, 1-28 e Ap. 4, 1-11. Ireneo (Adv. haer., III, 11, 8; PG, VII, coll. 885-890) e altri autori mettono gli e. in relazione con i quattro chaiot ('esseri') della visione di Ezechiele e con i quattro viventi ricoperti di occhi dell'Apocalisse. Tale correlazione costituì il fondamento del pensiero teologico sulla sostanziale unità dei vangeli e sul quadruplice aspetto di Cristo. L'assegnazione di una particolare creatura simbolica a questo o quell'e. rimase a lungo un problema arduo.Mentre non vi sono state discrepanze nell'assegnazione del bue o toro a Luca, per Ireneo le altre coppie sono Giovanni-leone, Matteo-uomo, Marco-aquila; per Agostino (De consensu evang., I, 6, 9; PL, XXXIV, col. 1046ss.) e Beda (Explanatio Apocalypsis, 1, 4; PL, XCIII, col. 144) sono Matteo-leone, Marco-uomo, Giovanni-aquila. Vittorino di Pettau (In Apocalypsim, 4, 7-10; PL, V, col. 324ss.), Epifanio (De mensuris, 35) e altri citano invece le coppie che con il passare del tempo divennero canoniche: Matteo-uomo, Marco-leone, Giovanni-aquila.Anche la razionalizzazione delle corrispondenze è stata variamente interpretata: s. Girolamo, che contribuì in modo decisivo a dare loro un'impronta canonica, si basava sul contenuto dei paragrafi iniziali di ogni vangelo (In Ezechielem, I, 1; PL, XXV, col. 15ss.), in linea con la tradizione biblica secondo la quale il primo elemento di una serie rappresenta l'insieme. Gli incipit dei quattro vangeli furono investiti di un alto valore mistico-simbolico, che, a sua volta, fu trasmesso agli stessi esseri, alati. A Matteo, che riporta la genealogia umana di Cristo, è quindi associato l'uomo; la voce che grida nel deserto di Marco suggerisce il ruggito del leone; Luca trova il suo correlativo nel bue o toro perché apre il suo vangelo con il sacrificio di Zaccaria; Giovanni è invece associato all'aquila sulla base del suo inno al Verbo.Le più antiche raffigurazioni del sec. 4° presentano gli e. soprattutto in modo naturalistico: i rilievi sui lati brevi di un sarcofago nella cattedrale di Apt raffigurano tutti e quattro gli e. (Leclercq, 1907, figg. 859-860), mentre su un sarcofago di Arles (Mus. Lapidaire d'Art Chrétien) è raffigurata la Traditio legis ai dodici apostoli fiancheggiati dagli evangelisti. In una pittura murale delle catacombe dei Ss. Marco e Marcelliano a Roma (Wilpert, 1903, tav. 162) gli e. sono identificati da quattro cartigli ai piedi di Cristo, mentre in un frammento di sarcofago del Laterano (Wilpert, 1929-1936, I, tav. 52) Cristo governa la nave della Chiesa e i quattro e., accompagnati da iscrizioni, sono ai remi. Gli e. appaiono ben presto nei più vari contesti tematici: sulla cattedra di Massimiano a Ravenna (Mus. Arcivescovile; Volbach, 1916, nr. 140) gli e. stanti sono ai lati di s. Giovanni Battista e compaiono nel contesto di scene vetero e neotestamentarie. Su varie croci pettorali bizantine gli e. sono raffigurati insieme alla Vergine (Roma, BAV, Mus. Sacro; Leclercq, 1914, fig. 3384; 1922, fig. 4231). Alcune delle più antiche miniature presentano gli e. come autori dei loro vangeli: così il Codex Purpureus di Rossano Calabro (Mus. Diocesano, cc. 5r, 121r; Haseloff, 1898, tav. 13-14) e i Vangeli di Rabbula (Firenze, Laur., Plut. 1.56, cc. 9v-10r).Le miniature del pieno Medioevo aggiunsero al soggetto vivide descrizioni figurative e notevole potere inventivo. I manoscritti carolingi della scuola di Ada e le miniature delle scuole di Treviri, Echternach e della Reichenau, come il Codex Egberti (Treviri, Stadtbibl., 24) e l'Evangeliario di Ottone III (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453), contengono un'ampia serie di varianti. In queste miniature la resa naturalistica degli e. segue, a parte le combinazioni con le loro figure simboliche, due tipologie principali: nella prima gli e. sono variamente disposti intorno o in prossimità di Cristo, per testimoniare così la sua parola con la loro sola presenza; nella seconda sono raffigurati sul frontespizio dei quattro vangeli con una rappresentazione generica o, singolarmente, in testa al particolare vangelo che ognuno rappresenta e di cui è ritenuto l'autore.La teologia bizantina (e di conseguenza la produzione artistica), sostanzialmente contraria alle interpretazioni simboliche forzate, rifiuta le idee di Ireneo relative alla lettura simbolica degli e.; le uniche eccezioni sono costituite dalle miniature influenzate dalla cultura occidentale. Gli evangeliari miniati presentano due tipologie di immagini: il gruppo dei quattro e. su una singola pagina di incipit a introdurre l'intera opera, oppure l'immagine del singolo e. che precede il suo testo, spesso con una miniatura a piena pagina (Athos, Stavronikita, 43, cc. 11v, 12v; Parigi, BN, gr. 54, c. 111r; Lazarev, 1967, figg. 114-115). Dalla preferenza per una rappresentazione naturalistica deriva l'attenzione della miniatura bizantina e di quella copta ad altre figure associate all'opera degli e.: in un evangeliario del sec. 13° (San Pietroburgo, Saltykov-Ščedrin, gr. 101, cc. 76v, 50v; Lazarev, 1967, figg. 398, 400) l'apostolo Pietro detta a Marco e Paolo a Luca, mentre in un evangeliario del sec. 12° (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., gr. 41, c. 206v; Lazarev, 1967, fig. 263) Giovanni, ispirato dalla mano del Signore, detta al suo scriba-discepolo Procoro. Una tale divisione dei compiti corrisponde alla già menzionata differenziazione gerarchica tra apostoli ed evangelisti.Sia in Occidente sia a Bisanzio, posizioni, gesti e panneggi degli e. derivano da rappresentazioni tardoclassiche di antichi filosofi, poeti e oratori. A volte sullo sfondo sono inseriti elementi come nicchie, arcate, fondali teatrali o edicole, anch'essi tratti dall'iconografia classica.Gli e. sono spesso raffigurati seduti su una sedia, con o senza schienale, impegnati nell'atto di scrivere, di leggere o di intingere la penna nel calamaio, frequentemente in meditazione. Il libro o rotulo è variamente tenuto o maneggiato; a volte la mano destra compie il gesto dell'adlocutio. Un piccolo banco per scrivere è quasi sempre parte della rappresentazione, insieme a una cassetta per i rotuli; nelle immagini più antiche i tipi fisionomici sono per lo più indeterminati. L'iconografia consueta nel pieno Medioevo in Occidente raffigura i quattro e. imberbi, ma a volte alterna un e. anziano a un e. giovane. A Bisanzio viene talvolta effettuata una differenziazione tra i due e.-apostoli e gli altri: i primi sono raffigurati con barba, mentre gli altri sono imberbi.Molte sono le fluttuazioni e sovrapposizioni nella comprensione ideologica così come nella rappresentazione iconografica degli e. e dei loro simboli da una parte, e della visione di Ezechiele e di quella apocalittica dei quattro viventi dall'altra. I simboli che talvolta sostituiscono le figure naturalistiche degli e. stessi e che altre volte sono rappresentati insieme a questi, come attributi o ispirazioni, conobbero una fortuna particolarmente ricca e variata in Occidente. Il pensiero teologico relativo a queste figure le ha sempre collegate alle visioni degli esseri di Ezechiele e dei viventi ricoperti di occhi dell'Apocalisse. La preminenza ideologica è stata probabilmente accordata alla visione di Giovanni, anche se è altrettanto plausibile l'interpretazione critica che integra le due visioni con una sovrapposizione ideologica e formale. Le modalità di tali sovrapposizioni sono variamente formulate: a volte prevale la visione di Ezechiele, come nella Bibbia di Bury St Edmunds (Cambridge, C.C.C., 2, c. 281v.; Millar, 1926, tav. 39b); altre volte più frequentemente ha il sopravvento la visione apocalittica, come nelle miniature delle bibbie carolinge di Tours, in quelle dei manoscritti di Beato e nella maggior parte dei timpani e archivolti romanici. L'idea di una sovrapposizione almeno parziale delle due visioni nella definizione dei simboli degli e. è in linea con il dettato sulla concordia veteris et novi testamenti anche prima della sua formulazione canonica. Gregorio Magno riassumeva alcune di queste considerazioni mettendo l'enfasi sulla totalità degli aspetti cristologici racchiusi nella quadruplice formula (Hom. in Ez., I, 3, 1; 4, 1ss.; PL, LXXVI, coll. 785-815): Cristo è uomo nella sua natività, vitello sacrificale nella morte, leone nella risurrezione, aquila nell'ascensione.Le più antiche rappresentazioni dei simboli degli e. che si trovano in mosaici italiani, in posizione elevata all'interno degli edifici sacri, seguono due tipologie: nella prima, collocata nel contesto dei mosaici absidali o dell'arco trionfale, i simboli occupano la zona superiore orizzontale ai lati di Cristo, come avviene nei mosaici absidali di alcune chiese romane (S. Pudenziana, dell'inizio del sec. 5°: Wilpert, 1916, III, tavv. 70-72; S. Maria Maggiore, del secondo terzo del sec. 5°: Wilpert, 1916, III, tavv. 36, 38ss.); nella seconda gli e. sono nei mosaici della cupola e i loro simboli nei pennacchi, con la figura di Cristo o con un suo simbolo (croce, agnello) nella parte centrale superiore della composizione. Esempi rilevanti sono la cupola del 400 ca. del battistero di Napoli (Wilpert, 1916, III, tavv. 42-44), quella della metà del sec. 5° del mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (Deichmann, 1958, tavv. 19, 22-25) e la volta del 500 ca. della cappella arcivescovile a Ravenna (Deichmann, 1958, tavv. 220-225). L'avorio Trivulzio, del 400 ca. (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Applicata; Volbach, Hirmer, 1958, tav. 92), presenta invece un'iconografia eccezionale, un bue alato e un uomo che appaiono tra le nuvole.Accanto alle citate disposizioni dei simboli degli e., un'altra iconografia si sviluppò a partire dal sec. 5°: la Maiestas Domini, composizione caricata di forti toni apocalittici ed escatologici. Cristo in trono è raffigurato all'interno di un clipeo o di una mandorla e intorno a Lui sono disposti simmetricamente i quattro simboli degli e., in molti casi lungo le diagonali. Uno degli esempi più antichi di tale iconografia, il mosaico absidale del sec. 5° di Hosios David a Salonicco (Nilgen, 1968, fig. 2), costituisce un caso eccezionale, dal momento che si trova in territorio bizantino. Un altro degli esempi più antichi è sulla porta di S. Sabina a Roma, nel rilievo del 430 ca. con la Seconda venuta di Cristo (Wiegand, 1900, tav. 18). Tali immagini con la Maiestas Domini sono composizioni di concordanza, il cui scopo ideologico è quello di enfatizzare la complessiva e sostanziale unità dei vangeli.Le composizioni con la Maiestas Domini sono molto diffuse in tutto il Medioevo, in particolare nell'arte preromanica e romanica: i timpani della chiesa di Carrión de los Condes in Castiglia, quelli francesi di Saint-Pierre di Moissac e di Saint-Trophime di Arles e l'affresco absidale di S. Angelo in Formis sono tra i principali esempi monumentali. Anche le miniature dello stesso periodo presentano numerosi esempi di tale iconografia, arricchite da forti componenti fantastiche particolarmente in area spagnola, per es. in un codice del 945 contenente i Moralia in Job di Gregorio Magno (Madrid, Bibl. Nac., 80, c. 2r; Williams, 1977, tav. 8a). A volte i simboli degli e. sono disposti in un'unica fila al di sotto di Cristo: così nella Bibbia di León del 960 (León, Mus.-Bibl. de la Real Colegiata de San Isidro, 2, c. 2r; Williams, 1977, tav. 8b) e nell'Evangeliario di Xanten a Bruxelles (Bibl. Royale, 18723, c. 16v; Köhler, 1930-1960, III, 3, tav. 44); le miniature della scuola di corte di Carlo Magno e della scuola di Tours spesso presentano una disposizione dei simboli a croce (Stoccarda, Württembergische Landesbibl., II.40, c. 1v; Londra, BL, Add. Ms 10546, c. 352v; Parigi, BN, lat. 1, c. 330v; Alba Iulia, Bibl. Batthyaneum, R.II.1, c. 105r; Köhler, 1930-1960, I, 3, tavv. 20a, 52, 73; II, 2, tav. 105); questa tipologia, attestata anche in un codice di Beato a Madrid (Real Acad. Historia, 33; Los Beatos, 1985, p. 43), arriva fino al Gotico.L'enfasi sulla complessiva unità dei vangeli fa sì che a volte si trovino i quattro simboli degli e., senza la figura di Cristo, prima delle tavole dei canoni: un esempio è costituito dalla Bibbia di León del 920 (Léon, Arch. della cattedrale, 6, c. 150r; Underwood, 1950, pp. 118ss., 126-131; Williams, 1977, tav. 4). Si tratta di fatto di una terza tipologia delle composizioni di concordanza, a cui appartengono anche l'evangeliario carolingio della cattedrale di Aquisgrana (Domschatzkammer; Köhler, 1930-1960, III, 3, tav. 35) e le miniature armene dei secc. 10°-12° (Atene, Nat. Lib., 163, c. 4v; Friend, 1927; 1929, tav. 9; Nilgen, 1968, col. 704).I simboli degli e. sono stati rappresentati nei modi più diversi: pose frontali e di profilo hanno conosciuto un'ampia varietà di impiego, così come le varie positure degli animali, l'orientamento delle ali e spesso la particolare posizione dell'uomo alato. Mentre nelle più antiche rappresentazioni della Maiestas Domini, come in quelle basate su fonti orientali, si riscontra una tendenza alla frontalità dei simboli oppure un generico movimento centrifugo dei loro corpi, dal periodo carolingio i simboli tendono ad acquistare un'iconografia marcatamente contorta, con il corpo quasi sempre girato nella direzione opposta rispetto alla testa. Tali composizioni occidentali della Maiestas Domini sono centrifughe per quanto concerne i corpi dei simboli e centripete invece relativamente alla testa.I simboli zoomorfi a figura intera sono frequenti nelle immagini della Maiestas Domini e in quelle degli autori dei vangeli; rappresentazioni a mezza figura, frontali e di tre quarti, appaiono negli incipit degli evangeliari, in illustrazioni con i quattro evangelisti, o in quelle con la figura singola, e in una serie di monumenti e oggetti. Quando le raffigurazioni sono inserite in composizioni di Maiestas Domini in disposizione diagonale, appaiono come se si affacciassero da dietro la mandorla.I simboli degli e. presentano quasi sempre un paio di ali; solo in alcune delle più antiche rappresentazioni si trovano le sei ali descritte nell'Apocalisse. Solo l'uomo è sempre alato. Sono rare le rappresentazioni in cui le ali sono cosparse di occhi. Il più importante attributo dei simboli degli e. è il libro o il rotulo, chiuso nelle più antiche rappresentazioni, per lo più aperto dal sec. 8° in poi. Nelle miniature della scuola carolingia di Tours appare a volte una differenziazione tra l'aquila, con il libro o il rotulo aperto, e gli altri simboli degli e., con gli strumenti di lettura chiusi. Sono rari attributi particolari come il sole-gloria dietro l'aquila, il flabello nella mano dell'uomo alato, o i corni suonati dai quattro simboli degli e. secondo una tradizione iconografica inglese (Copenaghen, Kongelige Bibl., 10, c. 17v; Swarzenski, 1954, fig. 129; Londra, BL, Cott. Nero, D. IV, cc. 25v, 93v; Zimmermann, 1916, III, tavv. 223-224; Nilgen, 1968, coll. 709-710).A partire dal sec. 5°, ma particolarmente dal 6°, gli e. appaiono insieme ai loro simboli, variamente articolati, quasi a rafforzare la rappresentazione naturalistica. Il più antico esempio di tale iconografia è probabilmente la coperta di un evangeliario nel Tesoro del Duomo di Milano (Leclercq, 1922, figg. 4221-4222): in basso sono quattro medaglioni con le raffigurazioni frontali degli e., e in alto altri quattro con i loro simboli di tre quarti. Questa tipologia fu estesamente adottata per tutto il Medioevo occidentale e gli evangeliari sono i testi dove compare con maggiore precocità. Nell'Evangeliario di s. Agostino a Cambridge (C.C.C., 286, c. 129v; Nilgen, 1968, fig. 4) Luca, in una nicchia con il libro in mano, è seduto sotto un architrave e un archivolto sorretti da due pilastri su cui sono rappresentate scene evangeliche. Nel timpano così formato compare un bue alato, anch'esso con un libro. Nell'Evangeliario dell'abbazia di St. Maximin di Treviri (Stadtbibl., 22, c. 85v; Cetto, 1950, tav. 2), un manoscritto del gruppo di Ada, mentre Luca con l'aureola è seduto con un libro aperto in posa di ieratica frontalità, il bue, anch'esso con l'aureola, tiene un rotulo svolto (per i numerosi esempi si vedano Boinet, 1913; Goldschmidt, 1914-1926; Zimmermann, 1916; Köhler, 1930-1960). Le immagini naturalistiche vengono 'raddoppiate' dalla rappresentazione simbolica.A volte la predilezione per le forme simboliche è così pronunciata che i simboli degli e. sostituiscono del tutto, sulla pagina di incipit, la rappresentazione naturalistica degli e.: un esempio fondamentale in questo senso è in un manoscritto irlandese, il Libro di Durrow (Dublino, Trinity College, 57, già A.4.5, cc. 76v, 116v, 173v, 245v; Zimmermann, 1916, III, tav. 161ss.; IV, tav. 255-256); molte miniature di scuola carolingia e ottoniana seguono tale iconografia (Bange, 1923; Köhler, 1930-1960; Nilgen, 1968, col. 700).Gradualmente il rapporto tra e. e simboli si sviluppò in connessione organica. Le antiche rappresentazioni non mostrano, tranne poche eccezioni, nessun particolare nesso tra i due elementi, oltre la prossimità spaziale; infatti nell'Alto Medioevo tali elementi presentano appena lievi corrispondenze nelle figure, solo occasionalmente rivolte l'una verso l'altra con uno sguardo o con il volgere della testa, generalmente l'e. verso il suo simbolo. La relazione spaziale adottata è in genere invariata: l'e. siede nella parte inferiore dell'immagine mentre il simbolo è posto in quella superiore, a volte su sfondo naturalistico, più spesso in una lunetta o in un altro elemento architettonico, sfruttato per connettere le due figure.Tale iconografia sussistette fino al pieno Medioevo insieme a quella in cui il simbolo incarna la funzione di fonte di ispirazione dell'evangelista. In questi casi il simbolo può guardare l'e. negli occhi, parlargli, dettargli il testo, bisbigliare nel suo orecchio, mostrargli un libro aperto o un rotulo, oppure tenere i suoi strumenti scrittorî. In casi estremi il simbolo è utilizzato come poggiapiedi, sedia o anche banco scrittorio per l'evangelista. Questa iconografia rimanda ai gruppi classici di musa-poeta o filosofo-discepolo. I simboli degli e., tuttavia, non sono gli unici a compiere questa funzione: a volte è un angelo, altre lo Spirito Santo nella forma di una colomba, altre ancora la mano di Dio. Il Codex Purpureus di Rossano Calabro (Mus. Diocesano, cc. 5r, 121r) presenta una personificazione femminile della Sapienza, con la medesima funzione (Haseloff, 1898, tav. 13-14). Nei manoscritti copti gli e. vengono ispirati dagli arcangeli, dalla Vergine e da Cristo stesso.L'importanza teologica del soggetto e lo sforzo immaginativo profuso nel suo sviluppo nel corso dei secoli hanno generato numerose varianti che non rientrano nelle principali linee tematiche. A volte le composizioni con la Maiestas Domini sono costruite intorno a un simbolo di Cristo (agnello, leone) o a una lastra di marmo di un altare portatile (Nancy, Trésor de la Cathédrale, Evangeliario di Arnaldus, c. 3v; Bamberga, Staatsbibl., Msc. Bibl. 1, c. 339v; Köhler, 1930-1960, I, 3, tavv. 35c, 56b; Rademacher, 1964, figg. 37-39). Un caso particolare è quello in cui è usata la croce come punto di riferimento centrale di tali composizioni di concordanza degli evangelisti. La natura paradossale di tale iconografia resta nella asserzione ideologica secondo la quale i quattro vangeli da una parte, come i quattro fiumi del paradiso, scaturiscono dalla croce, cioè ne sono la conseguenza, e dall'altra si focalizzano sulla croce, e quindi la definiscono. Gli e. o i loro simboli divengono in tal caso testimoni del segno sacro. Nella lastra di Sigualdo del battistero di Callisto a Cividale (Mus. Cristiano), i simboli si trovano negli angoli interni formati dai bracci (Doberer, 1963, fig. 213); in altri casi sono posti alle estremità dei bracci della croce (Laon, Bibl. Mun., 137, c. 1v; Zimmermann, 1916, II, tav. 144a). Altrove gli e. o i loro simboli sono raggruppati attorno a personaggi sacri come la Vergine, santi, o anche la personificazione dell'Ecclesia, come nella situla di Gotofredo (Milano, Mus. del Duomo; Goldschmidt, 1914-1926, II, nr. 1). Per ragioni diverse anche il tema della 'presentazione' riveste un particolare interesse: l'e. consegna, effettivamente offre, il suo libro a Cristo in trono (Neuss, 1931, II, figg. 6, 8, 10-12).Un'altra iconografia dei simboli degli e. rimanda al carattere antropomorfo del tetramorfo come descritto da Ezechiele. Da qui si sviluppò una linea secondaria che unisce elementi zoomorfi e antropomorfi in tre dei simboli degli evangelisti. Nel Sacramentario di Gellone, Giovanni mostra corpo umano e testa di aquila (Parigi, BN, lat. 12048; Leclercq, 1922, fig. 4229). Il fenomeno, rintracciabile nelle miniature occidentali, costituisce probabilmente una corruzione dell'iconografia dell'Apocalisse attraverso elementi presi in prestito da Ezechiele. Una soluzione iconografica particolarmente significativa è offerta da alcune miniature ottoniane della scuola della Reichenau del c.d. tipo visionario: uno degli e. o tutti e quattro sono immersi nella gloria divina; per es. nell'Evangeliario di Ottone III a Monaco (Bayer. Staatsbibl., Clm 4453, c. 94v; Cetto, 1950, tav. 6) Marco compare in trono in una mandorla e il suo simbolo, gli angeli e i profeti si librano in alto tra nubi luminose.Di interesse ideologico sono le varie combinazioni o concordanze dei simboli degli e. con figurazioni naturalistiche o simboliche costruite intorno al valore numerologico del quattro. Le miniature della scuola carolingia di Tours (Nancy, Trésor de la Cathédrale, Evangeliario di Arnaldus, c. 3v; Londra, BL, Add. Ms 10546, c. 352v; Parigi, BN, lat. 1, c. 330v; Köhler, 1930-1960, I, 3, tavv. 35, 52, 73), della scuola di corte di Carlo il Calvo (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 14000, c. 6v; Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia, c.d. Bibbia di S. Paolo, c. 256v; Boinet, 1913, tavv. 116b, 125b) e della scuola ottoniana di Colonia (Colonia, Historisches Arch. der Stadt, W 312, c. 12v; Stoccarda, Württembergische Landesbibl., Bibl. 4°2, c. 10r; Colonia, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 1a, c. 1v; Bamberga, Staatsbibl., Msc. Bibl. 94, c. 3v; Bloch, Schnitzler, 1967-1970, I, tavv. 10, 221, 262, 310) offrono, nelle raffigurazioni della Maiestas Domini, corrispondenze tra le figure dei quattro e., o dei loro simboli, e i quattro maggiori profeti, secondo le basi ideologiche dettate da Guglielmo Durando (Rationale divinorum officiorum, VII, 44, 3; Nilgen, 1968, col. 706). Nelle vetrate del transetto della cattedrale di Chartres gli e. siedono addirittura sulle spalle dei profeti (Delaporte, Houvet, 1927, tavv. 200-202). I fiumi del paradiso (Hildesheim, duomo, reliquiario e fonte battesimale; Swarzenski, 1954, figg. 209, 235), le quattro virtù cardinali (Hildesheim, duomo, fonte battesimale; Pinder, 1935-1943, I, 2, tav. 322), i quattro elementi (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 12600, c. 30r; Tselos, 1952, fig. 38) partecipano in varie e a volte multiple concordanze con gli e. o con i loro simboli.
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